giovedì 7 febbraio 2019

Tribalismo



“Poiché il principale nemico è la disumanizzazione,
la soluzione deve essere la nuova vivificazione e
la restaurazione della natura umana.
La fonte deve essere una filosofia dell’umanismo.”
(Daisaku Ikeda)

Di norma, le tribù sono profondamente legate da un totem (una bandiera, un libro un’icona), da qualcosa che simboleggi la loro unità e che faccia appello ai loro sentimenti. Un tempo il tribalismo consentiva a piccoli gruppi di unirsi come effettive unità sociali e forniva agli individui motivi forti, non altruistici, per accantonare o risolvere le proprie divergenze competitive per il bene del gruppo: è più semplice per ciascun individuo prosperare se ha aiutanti e alleati fidati.

Per essere membro di una qualche tribù, si deve essere disposti a disumanizzare i membri delle altre tribù. Ed è qui che il tribalismo smette di essere conduttore del progresso umano. Il potere positivo del tribalismo ci ha fatto scendere dagli alberi e ci ha condotti fino alla civiltà, ma a costo di rinforzare pregiudizi irrazionali e di fomentare guerre.

Quando il tribalismo sfugge di mano può causare danni colossali. È uno dei motivi fondamentali per cui noi non riusciamo ad andare d’accordo. Le tribù primitive erano poco numerose e tutti i membri si conoscevano bene. La tecnologia ha reso le tribù sempre più grandi, così da poter comprendere un’intera nazione politica o un’intera nazione religiosa.

Aumentando le dimensioni delle tribù è aumentata anche la portata del danno che può essere inflitto quando i suoi membri sono eccessivamente zelanti nel loro tribalismo. Anche se i membri di queste tribù così grandi non si conoscono più di nome - o nemmeno di viso - possono e potranno essere mobilitati grazie al potere unico del linguaggio umano per odiare altre tribù grandi, composte da un numero ancora maggiore di persone che loro non conoscono.

I bambini imparano a sentirsi desiderati, amati e accolti non soltanto dai propri genitori e dalle rispettive famiglie, bensì dalla tribù alla quale appartengono. Gli attaccamenti emozionali che i bambini sviluppano nei confronti della propria tribù sono tanto profondi e duraturi quanto quelli che formano nei confronti dei loro genitori e delle loro famiglie.

Vi è una sola differenza sostanziale: i genitori e le famiglie sono composte da persone che possono essere amate oppure odiate in maniera personale, mentre le tribù sono formate da credenze condivise - fra le quali storie e tradizioni- che possono essere amate oppure odiate, soltanto in maniera impersonale. L’odio è un attaccamento negativo a qualcuno: a una persona specifica, che ha nome e identità.

Anche il razzismo e il sessismo - chiari esempi di identificazione con il proprio gruppo fino al punto di non riuscire più a scorgere l’elemento umano nell’altro - rappresentano un attaccamento negativo, ma non a qualcuno in particolare. Sono piuttosto un attaccamento negativo ad un intero gruppo di persone che non si conoscono nemmeno.

Se ti fermi a riflettere, è piuttosto incredibile che si possa odiare qualcuno che non si conosce. Ma se la tua tribù ha un’idea radicata e accettata pedissequamente da tutti - per esempio che i membri di qualche altra tribù sono nemici - allora, che ti piaccia o no, per essere accettato, dovrai condividere anche questa idea. E la maggior parte degli esseri umani ritiene essenziale essere accettato dalla propria tribù.

Così facendo, però, crei un attaccamento negativo all’altra tribù, fino al punto che, ogniqualvolta ne senti pronunciare il nome, sei condizionato a reagire con emozioni negative. Questi pregiudizi vengono spesso rinforzati da tradizioni tribali o propaganda, o telegiornale della sera, che narrano di atti eroici, per esempio omicidi violenti, commessi da membri della propria tribù e di vili atrocità per esempio omicidi violenti commesse da membri delle altre tribù.

Se mai incontrerai qualcuno che appartiene all’altra tribù, sarai predisposto a considerarlo comu un nemico implacabile, cattivo per natura. Naturalmente hai anche la possibilità di amare coloro che non conosci di persona, riconoscendo e rispettando l’idea della loro natura umana. Ma amarli richiede molto più coraggio che odiarli.

Poiché se ti rifiuti di ricambiare il male con il male - come ha insegnato Socrate - o se ami i tuoi nemici - come ha insegnato Gesù - o se cerchi di conferire potere agli individui - come ha insegnato Nichiren - o se ti rifiuti di avere nemici - come ha insegnato Gandhi - allora, con tutta probabilità, sarà proprio la tua tribù a rivolgersi contro di te, perché se ami persone che non conosci, anziché odiare tribù immaginarie, sembri minare la forza di coesione della tua tribù.

Platone si è occupato di questo argomento nel Mito della Caverna. Metteva in guardia dai pericoli mortali che si era trovato ad affrontare un qualsiasi essere umani illuminato fuggito dalla grotta, e che era ritornato volontariamente per liberare gli altri dalla prigionia, fatta di credenze basate su informazioni errate, per condurli fuori dall’oscurità nella luce del bene, della verità e della giustizia. «E non ucciderebbero chi tentasse di liberarli e di condurli fuori; se mai potessero averlo tra le mani?»

Hai il coraggio di amare l’umanità a qualsiasi costo? Un numero considerevole di persone che possiede questo coraggio rappresenta l’unico modo che abbiamo per andare avanti pacificamente. Siamo molto più legati gli uni agli altri di quanto non crediamo. E quando un numero ancora maggiore di persone arriverà a considerare se stesse come esseri umani unici e non come membri di questa o quella tribù, le cose andranno nettamente meglio. (Lou Marinoff, Le pillole di Aristotele, Piemme ed.)

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