mercoledì 29 ottobre 2014

Osserva in silenzio



Osserva semplicemente il flusso dei pensieri,
come se osservassi il traffico,
osservali come guardi le foglie secche
che svolazzano in ogni direzione, in autunno.

Non essere tu quello che li genera,
non essere colui al quale accadono.
Allora la quiete accade da sola, spontaneamente.
Questo riposo è ciò che io chiamo meditazione.

Osservati senza alcun pensiero, valutazione o giudizio,
senza alcuna preferenza o repulsione;
cioè, senza alcun movimento della mente
o senza alcun brusio della mente.

Allora avrai occhi che sono diversi
dai tuoi occhi,
perché non saranno appesantiti dal passato.

Avrai occhi innocenti e silenziosi,
e in questo silenzio non esiste
né colui che osserva, né la cosa osservata -
bensì ciò che è, indiviso e unico,
senza principio e senza fine.

Puoi chiamarlo Dio o Nirvana
oppure in qualsiasi altro modo -
il nome non importa
perché il nome non è la cosa,
e quando hai conosciuto la cosa
non ti preoccupi più del nome.

(Osho)


lunedì 27 ottobre 2014

La figlia della spada



“Il bushido è fatto di poche regole
che non devono essere mai infrante,
e quando si è nel dubbio su come si dovrebbe agire,
la strada più difficile è quasi sempre quella giusta.”
(Daigoro in “La figlia della spada”)

Steve Bein esordisce come scrittore con l’appassionante romanzo “La figlia della spada” con cui inizia a narrare “Le cronache delle spade di Inazuma.” Bein insegna storia e filosofia dell’Asia allo State University di New York, ma insieme alle filosofie orientali, ha studiato anche le arti marziali diventando cintura nera quarto dan di karate.

Il romanzo si inquadra con fatica in un genere preciso ma è definito un urban fantasy, ed è ambientato nella Tokyo del periodo Heisei ossia nel 2010. La storia si svolge su due livelli narrativi e temporali in quanto le vicende del presente sono sempre più chiare intrecciandosi con gli avvenimenti dei vari secoli passati. Questo uso dei vari momenti narrativi non è sgradevole piuttosto diventa assai gradevole per la presenza di indovinati personaggi che ci fanno comprendere la mentalità giapponese.

Tutto inizia quando Fuchida Shuzo, che è padrone di una stupenda spada del maestro Inazuma, decide che deve avere anche un’altra spada che è riuscito a sapere dov’è custodita. Fuchida fa parte di un clan yakuza e agisce per conto dell'organizzazione, ma l’arma che possiede lo domina con il suo potere ammaliatore, perché influisce su chi la possiede:

“La spada sul letto di Fuchida Shuzo era la più antica della sua specie e il canto che produceva era per lui fonte di impareggiabile piacere. Era una spada tachi in stile shinogi-zukuri, forgiata dal grande maestro Inazuma. In quel momento era stesa sulle lenzuola di seta nera, incorniciata da un rettangolo di luce, e l’arco del suo dorso era incantevole come quello di una donna.

Piccole onde, grandi come petali di trifogli, serpeggiavano a meno di un centimetro dal filo della lama percorrendone tutta la lunghezza. Quando si sdraiava accanto a lei, e la osservava da così vicino, Fuchida riusciva a vedere distintamente le striature della sua forgiatura, impercettibili linee argentenee che assomigliavano alle striature del legno e percorrevano tutto lo shinogi-ji, la superficie piatta tra la lama e il dorso incurvato…”

Oshiro Mariko è una tenente della polizia metropolitana di Tokyo, è impegnata a lottare contro i trafficanti della yakuza. Ma deve lottare anche contro i colleghi uomini per avere il loro rispetto. È la prima donna detective della polizia metropolitana perciò questo le impone una dura lotta contro i pregiudizi misogini del suo capo, il tenente Ko. Il tenente Ko è il suo nuovo capo avendo preso il posto del tenente Hashimoto, che è andato in pensione.

Ko è ostile e cerca di trovare un minimo errore nell’operato di Mariko per compromettere il suo lavoro. Anche in famiglia le cose sono difficili, perché la sorella è una drogata che non riesce a disintossicarsi. Mariko è cresciuta in America perciò ha assimilato le abitudini moderne e la mentalità aperta delle donne occidentali, quindi è trattata come una gaijin cioè come un’estranea, una straniera.

Il capo le assegna i casi più difficili oppure quelli insignificanti come il tentato furto di una spada antica. Quando Mariko va a parlare con l’uomo che ha fatto la denuncia del tentato furto ha una sorpresa. L’anziano signore è quasi cieco e lo trova intento a potare la siepe del suo giardino, ma si rivela un famoso esperto dell’arte della spada e un esperto docente universitario di storia giapponese.

Il professore Yamada Yasuo, a dispetto dell’apparente fragilità è nono dan di kendo, nono dan di kenjutsu, ottavo dan di iaido e tante cinture nere di varie specialità. Possiede un dottorato di storia medievale ed è stato professore alla Todai, ma ormai è diventato quasi cieco ed è in pensione. Ma è considerato il migliore conoscitore dell’arte della spada, infatti è autore di molti libri sui forgiatori di lame del periodo Kamakura e Muromachi.

Yamada Yasuo considera il maestro Inazuma il più grande di tutti i forgiatori. L’uomo rivela che la spada che hanno tentato di rubargli fu forgiata 900 anni prima dal grande Inazuma. Il valore di una spada con un’età che oscilla tra 500 e 1000 anni è enorme, ma le lame di Inazuma hanno un valore incalcolabile. Tutte le spade forgiate da Inazuma sono dotate di qualità magiche perciò influiscono sul destino di chi le possiede.

Chiaramente il maestro Inazuma è un personaggio immaginario ma tutte le notizie che sono fornite nel romanzo si basano su fatti simili a quelli storici. I maestri Murasama e Masamune citati con Inazuma sono dei famosi forgiatori di spade del passato che vissero realmente. I forgiatori di Seki erano sacerdoti shintoisti che forgiavano armi, e Seki era una città rinomata per la forgiatura.

Le spade di Inazuma si chiamano Bella Cantante, Tigre sulla Montagna e Vittoria Gloriosa perché non era inconsueto che, alle spade venisse dato un nome. E non era inconsueto neanche credere che una spada avesse la sua personalità. Le spade di Inazuma erano forgiate mentre il maestro era in stato di totale concentrazione perciò potevano avere un grande potere ricettivo.

Alla base della mentalità giapponese c’è una base scintoista e, nello scintoismo è centrale l’idea che i kumi cioè delle entità energetiche potessero entrare e risiedere negli oggetti e negli esseri animati... nulla impedisce che siano anche nelle spade. Le cronache delle spade di Inazuma iniziano con "La figlia della spada" e il romanzo mi è talmente piaciuto che sono ansiosa di leggere il seguito della serie. Come sono belle queste storie di spade shinogi-zukuri ma, soprattutto, com'è buono l'esordio narrativo di Steve Bein!

Buona lettura
Sharatan

martedì 21 ottobre 2014

Essere nel corpo



“Essere nel corpo è sia un privilegio che una fatica. Molte lezioni vengono imparate grazie alle occasioni fornite dal corpo. E tuttavia devi ricordarti che tutto ciò che il corpo può fare per te, un giorno, verrà disfatto. I piaceri della tavola, del sesso, del sonno, del divertimento, che significato avranno quando il corpo non ci sarà più?

Venerare il corpo è altrettanto inutile quanto umiliarlo. Il corpo è un mezzo. È un veicolo per collezionare esperienze. Ha uno scopo. Nessuno entra in un corpo senza provare l’estasi e il dolore, l’amore e la morte. Il corpo è un veicolo. È uno strumento per apprendere.

Ti prego di non disprezzarlo e di non umiliarlo. Ti prego di non renderlo un dio a cui offrire la tua adorazione. Non renderlo né più né meno importante di quello che è. Quando godi del tuo corpo e te ne prendi cura, esso può servirti meglio. Ma nessun corpo è perfetto. Tutti i corpi finiscono per decomporsi. I corpi non sono destinati a durare per sempre, e neppure alla risurrezione. Quelli che parlano di ascensione fisica o di immortalità fisica non hanno capito niente. Ogni cosa, nell’esperienza fisica, è limitata per natura.

Diventa fisica in virtù dei limiti che la definiscono. Togli le caratteristiche che la definiscono, e non ci sarà più nessun corpo fisico. Togli la personalità e, come sai, non ci sarà più la mente. Più definizioni hai, più diventi fisico. Ciò che ha molta definizione è denso. L’egocentrismo è denso. L’egoismo e l’avidità sono densi. La dipendenza dalle sostanze o dalle situazioni è densa.

Denso significa limitato e con poche possibilità di scelta. Se hai una dipendenza dall’alcool o dalle droghe, quante alternative hai? Se sei un ladro o un assassino, quante alternative hai?

Denso vuol dire che il tuo comportamento è ripetitivo, prevedibile. Tutti gli stati dell’ego sono densi. Se vuoi che qualcosa sia in un certo modo e rifiuti ogni compromesso o di guardare le cose da un punto di vista diverso, non hai molte scelte. Stai assumendo una posizione limitata. Le tue convinzioni mancano di intuizione, flessibilità o compassione.

E soprattutto i tuoi pensieri, sentimenti e azioni sono timorosi. Quando hai paura, ti raggomitoli e irrigidisci gambe e piedi. Ti contrai. Chi agisce in modo nocivo nei propri confronti o in quelli degli altri non è malvagio di per sé. È timoroso, contratto. Riparare il proprio comportamento nocivo significa adottare una posizione più flessibile e aperta.

E per farlo bisogna prima sentirsi al sicuro. Le persone che si sentono insicure agiscono in modo rigido, auto protettivo, anche quando non sono minacciate. È vero a tanti livelli. Per esempio, a livello intellettuale, la presunzione o la superbia provengono dall’insicurezza.

Le persone che ritengono di sapere tutto, di solito, si sentono profondamente insicure nei confronti dei loro valori e delle loro convinzioni. Assumono una posizione rigida e ostile. L’errore non è innato nell’uomo. È qualcosa che si impara. Prendete un neonato qualunque e amatelo, nutritelo e mettetegli le ali. Diventerà un faro d’amore.

Ma prendete lo stesso neonato e negategli l’amore e rifiutatevi di incoraggiarlo. Ben presto seminerà scontento. Non c’è nessun peccato originale. Non c’è nessuna densità originale. La densità è la creazione della paura, e la paura si apprende.

La realtà fisica sembra essere terribilmente restrittiva, ma non deve essere così. Una volta vi ho chiesto di essere nel mondo, ma non del mondo. Vi ho suggerito di stare nel corpo, di onorarlo e di usarlo come veicolo per diffondere l’amore e l’accettazione, senza però provare attaccamento.

Vi ho chiesto di non costruire la vostra casa sulla sabbia, dove ogni tempesta esige il suo tributo devastante. Alcune cose sono temporanee e temporali, altre sono eterne. Il corpo non è eterno. Il meglio che può essere è diventare un servitore volenteroso.” (Paul Ferrini, Il miracolo dell’amore, Macro edizioni)

sabato 18 ottobre 2014

Cos’è la bellezza?



“Allora, cos’è la bellezza? Questa è una delle domande fondamentali; non è una domanda superficiale, quindi non accantonatela subito. Capire cos’è la bellezza, avere quel sentimento del bene che inizia quando la mente e il cuore sono in comunione con qualcosa di bello, senza nessun impiccio e in modo di sentirsi completamente a proprio agio; sicuramente ciò ha un gran significato per la vita, e se non conosciamo queste reazioni alla bellezza, le nostre vite saranno completamente superficiali.

Si può essere circondati da grande bellezza, dalle montagne, dai campi, dai fiumi, ma se non si è vitali di fronte a ciò, è proprio come se fossimo morti. Cos’è la bellezza? Pulizia, ordine dei vestiti, un bel sorriso, un gesto aggraziato, il ritmo della camminata, un fiore nei capelli, buone maniere, chiarezza nel parlare, sollecitudine, essere ben considerati dagli altri, puntualità… tutto ciò fa parte della bellezza; ma questa è solo la superficie. Ed è tutto riguardo alla bellezza o c’è qualcosa di molto più profondo?

C’è la bellezza della forma, la bellezza del disegno, la bellezza della vita. Avete mai osservato la bella forma di un albero quando il suo fogliame è rigoglioso, o la straordinaria delicatezza di un albero spoglio che si staglia contro il cielo? Simili cose sono belle da contemplare. Ma sono tutte espressioni superficiali di qualcosa di molto più profondo. Allora, che cos’è quello che chiamiamo bellezza? Potete avere un bel viso, belle fattezze, potete vestirvi con buon gusto e avere maniere raffinate, potete dipingere bene o scrivere sulla bellezza del paesaggio.

Ma senza quel sentimento interiore del bene tutti gli annessi e connessi della bellezza conducono a una vita molto superficiale e sofisticata, ad una vita senza gran significato. Perciò dobbiamo scoprire cos’è realmente la bellezza, non è vero? Fate attenzione, non sto dicendo che dovremmo evitare le espressioni esteriori della bellezza. Tutti dobbiamo avere buone maniere, dobbiamo essere puliti e vestire con gusto, senza ostentazione, dobbiamo essere puntuali, chiari nel nostro parlare e tutto il resto. Questi elementi sono necessari e creano una piacevole atmosfera ma essi, in loro stessi, non hanno gran significato.

È la bellezza interiore che ci dà grazia, una squisita gentilezza nella forma e nel movimento esteriore. E che cos’è questa bellezza interiore senza la quale la vita è così superficiale? Ci avete mai pensato? Probabilmente no. Ma aiutarvi a scoprire che cos’è la bellezza interiore, senza la quale la forma esteriore e il movimento hanno pochissimo significato, è una delle funzioni della corretta educazione; e il profondo apprezzamento della bellezza è una parte essenziale della vostra vita. Una mente superficiale può apprezzare la bellezza?

Può parlare di bellezza, ma può sperimentare lo sgorgare di questa immensa gioia guardando qualcosa che è veramente bello? Quando una mente si interessa solo a se stessa e alle proprie attività non è bella; qualunque cosa faccia rimane brutta, limitata e quindi è incapace di sapere che cosa sia la bellezza. Invece una mente che non si interessa a se stessa, che è libera dall’ambizione, una mente che non è imprigionata nei propri desideri né spinta dalla ricerca del successo, una simile mente non è superficiale e fiorisce nel bene. Capite?

È questa bontà interiore che conferisce bellezza, persino a una cosiddetta faccia brutta. Quando c’è la bontà interiore la brutta faccia si trasforma, perché la bontà interiore è davvero un sentimento molto religioso. Sapete cosa significa essere religiosi? Non ha nulla a che vedere con le campane dei templi, né con i puja indù e nemmeno con le cerimonie dei preti e tutti i loro insensati ritualismi. Essere religiosi significa essere sensibili alla realtà. Il vostro intero essere - cuore, corpo e mente - è sensibile alla bellezza e alla bruttezza, all’asino legato a un palo, alla povertà e al sudiciume della città, alle risate e alle lacrime, a ogni cosa intorno a voi.

Da questa sensibilità per l’intera esistenza scaturiscono la bontà e l’amore; e senza questa sensibilità non c’è bellezza, anche se potete avere talento, essere vestiti bene, guidare un’automobile costosa ed essere scrupolosamente puliti. L’amore è qualcosa di straordinario. Non potete amare se state pensando a voi stessi - e questo non vuol dire che dovete pensare a qualcun altro. L’amore è, non ha oggetto. La mente che ama è realmente una mente religiosa perché sta all’interno del movimento della realtà, della verità, di Dio, ed è solo una mente simile quella che può sapere che cosa sia la bellezza.

La mente che non è prigioniera di alcuna filosofia, che non è rinchiusa in nessun sistema o fede, che non è spinta dalle proprie ambizioni e perciò è sensibile, attenta, osservatrice, essa possiede bellezza. Una mente che non appartiene a nessuna nazione, che non è motivata dall’ambizione o dominata dalla paura, una simile mente fiorisce sempre nell’amore e nella bontà. Poiché sta nel movimento della realtà, essa sa che cos’è la bellezza; sensibile sia al brutto che al bello, è una mente creativa, dotata di una comprensione illuminata.”

(Jiddu Krishnamurti, La ricerca della felicità, Mondadori)

venerdì 17 ottobre 2014

Pioggia e nubi



Una macchia di nube bianca
lungo le foci della valle:
di notte, gli uccelli
non ritrovano il nido.

Dopo lo scroscio,
le cime azzurre
sono ancora più azzurre.

Osserva il sole
nella pioggia,
attinge l'acqua chiara
dal fuoco.

I fiori si schiudono
su un tronco senza radici:
i salmoni balzano
su un'alta vetta.

(Zenrin-Kushu)

mercoledì 15 ottobre 2014

L'Ospite della Caverna



Si narra che quando Lu Yen nacque l’arcobaleno comparve sulla sua casa. La stanza della madre fu invasa da un profumo meraviglioso e da una musica celestiale. Dalla finestra della camera entrò una gru bianca che assisté la partoriente facendo vento con le ali. Dopo questi fenomeni prodigiosi fu chiamato l'indovino che esaminò attentamente il neonato e diede un responso sul suo destino.

L’indovino disse che quel bambino aveva il cranio della gru, il volto del drago e gli occhi della fenice perciò non era come tutti gli altri neonati. Già nella vita passata era stato un grande saggio e, nella vita attuale, avrebbe raggiunto la suprema fusione con il Tao. Il padre di Lu Yen era prefetto nella provincia dello Shanxi e suo nonno era stato maestro di cerimonie alla Corte Imperiale, perciò il ragazzo ebbe la migliore educazione che potesse offrire una nobile famiglia.

Come tutti i giovani aristocratici del suo tempo studiò gli autori classici e imparò a comporre versi in una lingua molto raffinata, imparò le arti marziali ma, benché fosse un allievo molto dotato non eccelleva negli studi. A venticinque anni, Lu Yen era ancora uno studente e non aveva ancora espresso l'intenzione di prendere moglie e di farsi una famiglia. Agli studi dei classici preferiva le compagnie delle taverne, dei poeti girovaghi e delle affascinanti musiciste e danzatrici che si esibivano nei “Padiglioni Fioriti” sulle rive del fiume.

Gli studi ne risentivano e, con grande dispiacere della sua famiglia, era stato bocciato due volte al concorso per funzionario imperiale. Un giorno si trovava a rientrare dalla capitale dove era stato bocciato per la terza volta agli esami, perciò non aveva fretta di dare la brutta notizia alla famiglia. Decise di fermarsi in una locanda per riposare e bere una grappa di riso. Ma non appena si fu seduto ad un tavolo, nella taverna, entrò un uomo dalla chioma scompigliata color sale e pepe.

I suoi tratti erano aristocratici ma i suoi modi erano molto sfacciati. Aveva l’aspetto molto trasandato e la barba spettinata gli pendeva sul petto. Una grande pancia sporgeva dalla tunica che era stata allacciata male, ma dalle maniche e dai pantaloni arrotolati spuntavano i suoi muscoli robusti e ben delineati. L’uomo si sedette al suo stesso tavolo senza essere invitato e poi, rivolto all'oste, ordinò zuppa per due.

Lo stravagante tipo lo fissò con occhi penetranti e gli chiese: “Senti un po', viaggiatore di questo mondo fluttuante, perché rovini la tua vita con l’alcool di riso quando potresti addolcirla con l’ambrosia del Tao?” Lu Yen era rimasto stupito dalla sfrontatezza del taoista, ma rispose: “Non mi sento pronto per salire la montagna degli Immortali. Devo salvare l’onore della famiglia e tenere alta la mia reputazione. Devo studiare per avere un titolo prestigioso che faccia felice la mia famiglia.”

L’adepto del Tao aveva iniziato a mangiare la sua zuppa con molto appetito. Lo ascoltò, si asciugò la bocca sulla manica rovesciata della tunica e disse: “Vedo che ti sei ambientato bene nel mondo dei mortali. Onore e disonore, profitto e perdita sono categorie mortali, perciò vanno superate. Solo chi vede oltre le illusioni può superarsi. Quando sarai pronto vieni da me. Mi chiamo Zhongli Quan, sono l’Eremita della Camera delle Nuvole: mi troverai sul Picco della Gru.”

L’eremita finì il pasto in silenzio poi si alzò per andare, ma prima di uscire frugò nella sua bisaccia di canapa. Ne trasse fuori un bel poggiatesta che gli offrì come dono di congedo. Lu Yen prese quel dono e riprese il suo viaggio di ritorno verso casa. Il giorno dopo, al calar della notte, si trovò ancora in viaggio perciò decise di coricarsi all'aperto avvolto nel suo mantello con la testa adagiata sul cuscino. Stava comodo perciò sprofondò velocemente nel sonno e sognò.

Sognò che aveva superato l’esame imperiale a pieni voti e aveva vinto il concorso. Sognò che era divenuto mandarino e aveva ottenuto una carica a corte dove era entrato nelle grazie del Figlio del Cielo che lo fece suo ministro e consigliere. Conobbe una colta e affascinante dama di compagnia dell’imperatrice e la prese in sposa. Dal matrimonio nacquero dei figli che ebbero incarichi prestigiosi perciò fecero dei matrimoni che accrebbero la fama della famiglia.

Alla nascita del primo nipote, Lu Yen si aspettava di essere nominato Primo Ministro, ma non aveva considerato l’invidia dei suoi nemici che lo accusarono di alto tradimento. L'imbroglio fu ben pensato e le accuse furono confermate dai falsi testimoni perciò Lu non poté dimostrare la sua innocenza. Dovette affrontare il processo e l’imperatore furente non gli accordò la grazia. Fu condannato alla pena capitale assieme a tutti i maschi della sua famiglia. Mentre saliva al patibolo sudava, sudava, sudava… infatti si svegliò tutto sudato.

Lu Yen tornò a casa per informare la famiglia che era venuto a salutarli perché prendeva la via degli Immortali. L'eccentrico eremita del Picco della Gru non trovò assolutamente strano il suo arrivo, perché sembrava quasi aspettarlo. Lo accolse ridendo e con fare bonario gli disse: “E così una notte vale come una vita intera da cortigiano? Finalmente sei giunto alla fine del sogno.” Quelle parole sorpresero Lu Yen che gli chiese: “Voi come sapete del mio incubo?”

L’eremita rispose molto divertito: “Non hai forse sognato sul mio cuscino? Ora dimmi, cosa vuoi da me e cosa credi di cercare? Sei sicuro di volere ciò che potresti trovare?” Lu Yen rispose: “Ho capito che questo mondo è cangiante perciò non rende sicuri di nulla. So che il successo produce l’invidia e che l’onore produce l’infamia. Ho capito che viviamo in un regno di illusioni e che io sono un pellegrino esiliato che è alla ricerca della sua patria originaria.”

L'eremita scrollò la criniera brizzolata e ruggì: “Ben detto ragazzo! Bravo, finalmente sei sulla Via! Da adesso diventi Lu Dongbin ossia l’Ospite della mia Caverna.” Poi lo fece sedere su una stuoia e gli iniziò a insegnare come disciplinare il proprio spirito e come riuscire ad armonizzare i soffi interni. Passarono insieme alcuni anni di intensa pratica del Qigong, finché un giorno l’Eremita gli disse:

“Credo che ne sai abbastanza. Ora devi tornare da dove sei venuto, ma non smettere di praticare la nostra arte sottile. Non permettere che il tuo spirito venga fiaccato e che si smarrisca nelle difficoltà della vita. Quando sarai pronto, verrò da te per rivelarti l’ultimo segreto.” E fu così che Lu Dongbin ritornò nella casa paterna dove lo informarono che il padre era morto da qualche mese, e che sua madre era morente.

Il suo cuore si riempì di dolore ma la pena diventò una grande compassione. Questo gli permise di guidare l’anima della madre nel suo volo verso le Isole degli Immortali. Alla fine del funerale fece delle donazioni ai più poveri com'è usanza, ma vennero troppi poveri a chiedere l'elemosina e non volle cacciare nessuno. Lu Yen chiese perdono del poco che donava e donò tutto quello che aveva. Tornato a casa trovò la visita di una sua amica d’infanzia di cui era stato innamorato in passato che era giunta a fargli le condoglianze.

Lu notò che era ancora più bella di come la ricordasse perciò fu molto turbato quando gli chiese di ospitarla perché veniva da lontano. Durante la cena si confidò e raccontò che i genitori l’avevano maritata a un alto funzionario con cui aveva avuto due figli. Era scoppiata in lacrime perché il marito l’abbandonava a causa di tre concubine. Lei non l’aveva mai amato perché amava Lu, perciò gli chiese di fuggire insieme. Minacciò persino il suicidio se non avesse ricambiato il suo amore, poi si denudò e si offrì al suo desiderio.

Il povero Lu fece fatica a non essere travolto dai sensi alla vista di quel corpo nudo, ma la respinse seppure malvolentieri. Si indignò e la coprì con una coperta e poi l'accusò di essere una donna senza onore e pudore, e di essere una madre indegna. Le fece giurare che non avrebbe abbandonato i suoi figli e che li avrebbe accuditi finché non si fossero sposati. Solo dopo aver fatto il suo dovere, se voleva, poteva raggiungerlo per fare la via del Tao. Naturalmente, nella notte, la vecchia fiamma fuggì via senza lasciare neppure un biglietto di saluti.

Qualche tempo dopo, sempre di notte, fu svegliato dai ladri che venivano a derubarlo. Velocemente si alzò per difendersi perché era un praticante esperto di arti marziali. Si agganciò la spada alla cintura e staccò l'alabarda dal muro ma, mentre stava per entrare in azione e gettarsi nella lotta, si fermò a riflettere. Pensò che non poteva uccidere per non farsi derubare. Che i furfanti prendessero tutto ciò che gli restava, ma non si sarebbe macchiato le mani del loro sangue.

Perciò restò nascosto finché i ladri non furono fuggiti portandosi via tutti gli oggetti di valore. Presto non ebbe che la casa e il pezzo di terra su cui sorgeva. Licenziò la servitù diventata inutile e iniziò a vivere dei prodotti dell'orto. Divise la sua giornata tra il giardinaggio, la meditazione e la lettura dei libri degli Antichi Maestri. Una sera, mentre leggeva a lume di candela, sentì un baccano incredibile. Sentì delle urla, dei lamenti e poi un forte rumore di passi. La porta si aprì violentemente e irruppero nello studio un’orda di demoni inferociti.

Erano delle creature orrende con teste di cane, di maiale, di lucertola e di serpente ed erano tutti armati con delle lance, delle scuri e dei falcetti che agitavano con furia. Lu Dongbin restò imperturbabile e li accolse chiedendo gentilmente cosa volessero. Il capo dei demoni urlò un ordine. Entrarono due demoni armati di lancia che spingevano senza usargli troppi riguardi una povera ombra che sembrava avere un qualcosa che gli parve di riconoscere. Il capo dei demoni gli gridò ridendo:

“Ecco l’anima di tuo padre che siamo andati a scovare nel terzo inferno inferiore dove scontava i suoi delitti. Nella sua posizione di funzionario non ha impedito le ingiustizie e si è reso complice della condanna di molte persone innocenti. Questa è la sorte di chi obbedisce agli ordini ingiusti. Ora deve pagare perciò non dimenticarlo nelle tue preghiere.” Dopo queste parole beffarde, i demoni presero a tormentare l’anima del padre colpendolo con le loro armi mentre lui gridava di dolore.

Lu Dongbin non seppe più restare impassibile e gridò: “Basta! Lasciatelo stare, lasciatelo in pace. Che le colpe del padre ricadano sul figlio. Vi offro la mia anima in cambio della sua anima, ma voi lasciate andare mio padre.” E fece il gesto di afferrare la spada per tagliarsi la gola e mantenere la sua parola, ma fu fermato dall’esplosione di un lampo luminoso che irruppe nella stanza.

Era il maestro Zhongli Quan con la sua spada magica che mise in fuga i demoni. Liberò l’anima del padre con una formula magica, e poi si rivolse al suo discepolo: “Sei stato bravo. Anzi, te la sei cavata alla grande. Sei stato migliore nella pratica che nella letteratura. Il tuo spirito è rafforzato e il tuo cuore è diventato puro. Adesso risplendi come uno specchio perciò lo spettacolo del mondo può riflettersi in te senza appannare o guastare la tua natura originaria. Sei pronto per il Cinabro dell’Immortalità.”

Perciò il vecchio maestro lo portò sul Picco della Gru dove gli insegnò il segreto della trasmutazione del Soffio del Drago. E quando la Grande Opera fu conclusa, il suo maestro lo portò sul bordo della falesia e gli disse: “La nostra missione in questo basso mondo si è conclusa. Vieni con me a gioire dei piaceri divini nel Regno degli Immortali.” Ma Lu Dongbin rispose: “No. Mi dispiace, ma le nostre strade si separano a questo punto. Io non lascerò questo mondo prima di aver aiutato tutti gli esseri a ritrovare la Via del Tao.”

Il vecchio eremita rise di gusto e disse: “Ottimo! Vedo che il discepolo ha superato il maestro!” poi si lanciò nel vuoto. Lu Dongbin si inchinò a rendergli omaggio perché il vecchio Immortale era stato un grande generale dell’esercito degli Han. Aveva convissuto per troppi anni assieme alla follia omicida degli uomini. Il suo cuore eroico si sentiva troppo oppresso dal loro dolore perciò voleva andarsene. L’antico guerriero viaggiò nel vento, volò verso il sole e diventò un puntino nel cielo.

Da quel giorno il Maestro Lu iniziò le sue peregrinazioni e scrisse vari libri sui segreti del Tao. Prese l’abitudine di sostare in una locanda di montagna. L'oste era contento di ospitarlo e sfamarlo senza essere pagato perché era onorato di avere la visita di un saggio. La cosa andò avanti per molti mesi finché il Maestro Lu gli disse: “Io preferisco saldare i miei debiti in questo mondo piuttosto che portarli con me nell’altro mondo. Non ho denaro ma posso pagarti con qualcosa che ti frutterà per sempre.”

Prese dalla sua borsa i pennelli e gli inchiostri colorati e dipinse una gru sulla parete gialla della sala. Disse che facessero della musica. Alle prime note della melodia, la gru dipinta si staccò dalla parete, volò tra gli avventori poi iniziò a danzare. Quando la musica tacque, la gru tornò a schiacciarsi sulla parete e ridiventò una gru dipinta. La notizia della gru danzante fece il giro dell’Impero di Mezzo perciò la gente accorse numerosa per vederla danzare.

Naturalmente gli affari dell'oste andavano splendidamente, e lo scalpore raggiunse anche il Figlio del Cielo che andò a vedere il dipinto. L’albergatore si arricchiva ma non perdeva la sua indole generosa, perciò aiutava sempre volentieri i più poveri. E così passarono trenta anni. Ma, un giorno, quando il Maestro Lu passò dalla locanda trovò l'oste di pessimo umore. Quando il Maestro Lu gli chiese se stesse male o se fosse avvenuto qualcosa alla sua famiglia, il poverino rispose che lo colpiva una grande sventura.

Aveva ricevuto una lettera da corte con cui dicevano che il Figlio del Cielo aveva deciso che il suo dipinto era un'opera d'arte dal grande valore. Di conseguenza, quel dipinto andava asportato dalla parete dell'osteria, e portato nel palazzo imperiale. Il dipinto avrebbe abbellito lo studio privato dell'imperatore. L'oste sapeva che era inutile ribellarsi perciò era disperato.

Ma il Maestro Lu fu sarcastico: "E così vogliono rubarti il dipinto? Vedremo se il furto gli riuscirà!" E dopo averlo detto, si avvicinò al dipinto e pronunciò alcune frasi misteriose che fecero animare la pittura. La gru si staccò dal muro e il Maestro Lu gli saltò in groppa. Così volarono verso il Cielo degli Immortali e nessuno li vide più. L'oste fece costruire vicino alla locanda la Pagoda della Gru Gialla con cui onorò il Maestro Lu, e fece incidere questa poesia:

"La gru è scomparsa tra le nubi
il drago non ha potuto afferrarla,
chi potrà mai esprimere
la tristezza della montagna?"

Buona erranza
Sharatan

sabato 11 ottobre 2014

Ogni cosa è in noi



“Dobbiamo essere grati alle persone
che ci fanno felici; esse sono
gli affascinanti giardinieri
che fanno fiorire la nostra anima.”
(Marcel Proust)

“Percorrendo la via dovrete iniziare a lasciare gli attaccamenti, le aspettative, i desideri e i bisogni inutili e scoprire quale libertà vi sia nel trovarsi alla fine della giornata con le mani vuote, ma anche quanto sia meraviglioso essere semplici esseri umani. Questa sensazione di sollievo libererà tempo e pensieri, dandovi una nuova energia. Pensate a quanto spazio vi sarà nella vostra mente senza tutte quelle preoccupazioni, quell’egocentrismo e quei dubbi.

Comincerete a notare che cosa vi ispira; avrete prima lo spazio e la libertà di crescere e di svilupparvi; e poi di ispirare gli altri. A questo scopo dovrete conoscere il vostro ego, quella maschera fragile ma opprimente che tutti portiamo nella vita, togliendovela gentilmente per riconoscere il vostro vero sé, per scoprire ciò che realmente vi fa vibrare.

Dovrete imparare a riconoscere i vostri maestri, quelle persone che vi trasmettono calore e incoraggiamento e che è bene tenere in gran conto; e, cosa altrettante importante, dovrete comprendere che esistono individui che, sfortunatamente, sono per voi negativi, così come lo siete voi per loro. Sottraendovi a queste influenze, anche solo mentalmente, riuscirete a far crescere la compassione e la pazienza.

A quel punto dovrete sviluppare il giusto atteggiamento, la volontà di essere buoni e di fare cose buone, per gioire del benessere altrui, per essere generosi anziché soddisfare soltanto i vostri desideri, per applicare umiltà e pazienza, e per agire con gentilezza e amore. Dovrete praticare molto per scoprire la vostra vera via e per gioire della vita quotidiana, ma questo è il momento per cominciare.

Il segreto di questa via non comune è che, prendendovi cura degli altri, in realtà vi prendete cura di voi stessi. E, per prendervi cura degli altri, dovrete pensare a voi stessi e al vostro benessere, ma dovrete farlo con un atteggiamento di generosità, invece di pensare sempre in termini di “io voglio” o “io desidero.”

Ci troviamo tutti in un ciclo di interdipendenza e di connessione: dovete prendervi cura degli altri per prendervi cura di voi stessi e dovete prendervi cura di voi stessi per prendervi cura degli altri. Entrambi gli atteggiamenti sono necessari se volete percorrere questa via non comune, se volete esservi utili a vicenda. Ecco che cosa dovete capire.

Percorrere la via significa predisporre le cose in modo da essere rilassati e godere gioiosamente di ciò che avviene. Potrete partire dalla contemplazione e poi comincerete a praticare; ed è una pratica che comincerete veramente a imparare. Le migliori lezioni della vita vengono dal viverla. Ogni giorno cercherete di essere persone un poco più gradevoli agli altri e un poco più gradevoli a voi stessi, passo dopo passo, un poco alla volta.

A lungo andare questa sarà una pratica efficace che renderà agevole una strada impervia. Solo comprendendo quanto sia importante la vostra esistenza sarete in grado di rispondere alla domanda sul come renderla migliore, su come trovare il significato; e in tal modo potrete liberarvi da una concezione rigida di voi stessi e del mondo. Nel prossimo minuto può accadere qualsiasi cosa: questa è la bellezza della vita.” (Gyalwang Drupa, Vedere il cielo in un fiore selvatico, Mondadori)

giovedì 9 ottobre 2014

Assolutamente liberi



“La mia unica preoccupazione è che gli uomini
siano assolutamente, incondizionatamente liberi.
La verità è una terra senza sentieri.”
(Jiddu Krishnamurti)

“L'uomo che dice: "Io voglio cambiare, dimmi come si fa", sembra molto sincero, molto serio, ma non lo è. Vuole un'autorità e spera che essa porti ordine in lui. Ma l'autorità potrà mai produrre l’ordine interiore? L'ordine imposto dall'esterno produce necessariamente disordine. Forse ne capite la verità intellettivamente, ma riuscite nella realtà ad attuarlo in modo che la vostra mente non rappresenti autorità alcuna, quella d'un libro, di un insegnante, d'una moglie o d'un marito, di genitori di amici o della società?

Poiché abbiamo sempre funzionato entro il modello di una formula, e la formula diventa ideologia e autorità; ma nel momento stesso in cui capite veramente che la domanda, "Come posso cambiare?" instaura una nuova autorità, avrete finito per sempre con l'autorità. Riprendiamo l'argomento con maggiore chiarezza.

Io vedo che debbo cambiare completamente dalle radici del mio essere; non posso più dipendere da una qualsiasi tradizione perché la tradizione ha prodotto questa colossale pigrizia, accettazione e obbedienza; non posso più in alcun modo contare su altri perché mi si aiuti a cambiare, si tratti pure di un maestro, d'un sistema, di una pressione o influenza esterna o interna. Che accade allora?

Prima di tutto, riuscite a rigettare ogni autorità? Se lo potete vuol dire che non avete più paura. Allora cosa avviene? Quando rigettate qualcosa di falso che vi siete trascinato dietro per generazioni, quando vi liberate di un qualsiasi fardello, che cosa avviene? Avete più energia, non è vero? Avete maggior capacità, più carica, più intensità e vitalità.

Se non lo sentite allora non vi siete liberati del carico, non avete estirpato il peso morto dell'autorità. Ma quando ve ne siete liberati e avete quell'energia del tutto esente da paura dalla paura di commettere un errore, dalla paura di far bene o male quell'energia, allora, non costituisce essa stessa un cambiamento?

Abbiamo bisogno di un'enorme dose di energia e la dissipiamo nella paura, ma quando c'è quell'energia che deriva dall'essersi liberato da ogni forma di paura, essa produce una radicale rivoluzione interiore. Voi non dovete fare niente perché avvenga. In tal modo rimanete soli con voi stessi; e questa è la condizione genuina per chi sia veramente serio su tutta questa faccenda; e dal momento che non state più cercando aiuto da niente e da nessuno, siete già liberi di scoprire.

E quando c'è libertà, c'è energia; e quando c'è libertà non si può fare niente di sbagliato. La libertà è assolutamente diversa dalla ribellione. Non vi è niente di simile all'agire bene o male quando c'è la libertà. Voi siete liberi e agite di conseguenza partendo da questo centro. E da questo momento non vi è più paura, e una mente che non abbia paura è capace di grande amore. E quando c'è amore può fare quello che vuole.

Ciò che ora dobbiamo cercare di fare, quindi, è studiare noi stessi, non secondo gli insegnamenti miei o di qualche analista o filosofo poiché se studiamo noi stessi secondo gli insegnamenti di qualcun altro, studiamo loro, non noi stessi quello che dobbiamo cercare di fare è studiare quello che realmente siamo.

Una volta che si è compreso che non dobbiamo dipendere da alcuna autorità esteriore nel generare una totale ribellione nella struttura della nostra psiche, compare la difficoltà immensamente più grande di rigettare la nostra autorità interiore, l'autorità delle nostre particolari piccole esperienze e il cumulo di opinioni, conoscenze, idee e ideali.

Avete avuto una esperienza ieri che vi ha insegnato qualcosa e quello che vi ha insegnato si trasforma in una nuova forma di autorità di un migliaio di anni. Per poterci comprendere non c'è alcun bisogno né dell'autorità di ieri né di quella di un migliaio di anni poiché noi viviamo le cose, sempre in movimento, sempre scorrendo, senza mai fermarci.

Quando ci guardiamo con la morta autorità di ieri non riusciremo a comprendere il movimento vivo e la bellezza e la qualità di questo movimento. Essere liberi da qualsiasi autorità, vostra o di qualcun altro, vuol dire morire a tutto ciò che appartiene allo ieri, di modo ché la vostra mente sia sempre fresca, sempre giovane, innocente, piena di vigore e di entusiasmo.

È solamente in un simile stato che si impara e si osserva. E per questo è necessaria molta consapevolezza, reale consapevolezza di quello che succede dentro di voi, senza tentare di correggerla o suggerirle quello che dovrebbe o non dovrebbe essere, poiché nel momento in cui voi la correggete stabilite una nuova autorità, il censore.

Ora dunque, insieme, tenteremo di studiare noi stessi non ci sarà una persona che spiega mentre voi leggete e siete d'accordo o no con lei intanto che seguite le parole sulla pagina; faremo piuttosto un viaggio insieme, un viaggio di scoperta negli angoli più segreti della nostra mente.

E per intraprendere un viaggio del genere bisogna viaggiare con poco bagaglio; non possiamo essere appesantiti da opinioni, pregiudizi e conclusioni tutto quel vecchio bagaglio che abbiamo messo insieme negli ultimi duemila anni e più. Dimenticate tutto quello che sapete su voi stessi; dimenticate tutto quello che avete pensato di voi; cominceremo come se non sapessimo niente.

La scorsa notte è piovuto molto, ed ora il cielo comincia a schiarirsi; è un nuovo fresco giorno. Affrontiamo questo fresco giorno come se fosse il solo giorno. Cominciamo insieme il nostro viaggio lasciandoci dietro tutti i ricordi di ieri e cominciamo a comprenderci per la prima volta.” (Jiddu Krishnamurti, Libertà dal conosciuto)

martedì 7 ottobre 2014

Il Maestro Buono



"Io ti ringrazio, mio Dio,
perché hai compiuto meraviglie;
per la polvere e per la creatura d'argilla
manifestando la tua potenza molto e poi molto.
(Inno di Qumran)

Nel Vangelo di Matteo si racconta che Giuseppe e Maria fuggirono in Egitto per salvare Gesù dalle persecuzioni di Erode il Grande. Sappiamo che rimasero lontani da Betlemme fino alla morte del re che avvenne nel 4 d.C. Le fonti apocrife dicono che la Sacra Famiglia durante il soggiorno in Egitto fu protetta e aiutata dagli Esseni. Sappiamo che vissero presso i monasteri di Wadi-el-Natrun, di Mataria detto “Giardino delle Erbe” e presso Al-Moharraq. Quei monasteri erano degli esseni, che Filone (13 a.C.-45 d.c.), attesta fossero circa 4-5.000 anime.

Filone dice che questi uomini erano dei devoti che seguivano tre precetti basilari: l’amore di Dio, l’amore della virtù e l’amore verso gli uomini. L’amore per Dio veniva attestata dal loro astenersi dal giurare e dal mentire. Essi credevano che da Dio viene ogni bene e non può mai venire alcun male. L’amore per la virtù la dimostravano con il disprezzo per le ricchezze, per la gloria e per i piaceri terreni.

Amavano la frugalità, la modestia, la gioia, la semplicità, la pace, l’obbedienza alla regola e l’equilibrio del carattere e del comportamento. L’amore verso gli uomini lo attestavano con il loro amore per l’uguaglianza e la vita in comune. Non accumulavano alcun patrimonio o bene personale, perché ogni bene era considerato come un possesso di tutta la comunità che si riuniva in confraternite.

Vivevano in villaggi perché aborrivano le impurità delle città. Alcuni lavoravano la terra oppure facevano altri mestieri per rendersi utili a se stessi e al prossimo. Non amavano le ricchezze ma ricavano dai loro beni solo il necessario alla vita della comunità. Questo raro tipo di devoti, nota Filone, non fabbrica armi o macchine militari ma fabbrica solo oggetti che non possono fare del male.

La schiavitù era considerata un'empietà che offende il precetto divino che prescrive la completa uguaglianza di tutti gli uomini, perciò i padroni vengono considerati degli empi. Tutte le ricchezze erano messe in comune e venivano usate per accudire i malati che erano assistiti a spese della comunità quando non potevano più produrre. E anche gli anziani erano accuditi in modo comunitario e amorevolmente dai figli e dai parenti.

Di loro si diceva che erano degli uomini virtuosi, delle persone indipendenti e libere di natura che facevano vita in comune. La virtù che dimostrano è superiore a qualsiasi elogio che se ne possa fare, perciò sono la chiara dimostrazione di una vita perfetta e supremamente facile, dice Filone. Il peso che esercitava la confraternita era grande ed è testimoniato da Giuseppe Flavio vissuto tra 37 d.C. e fine del 1° secolo d. C.

Nella sua opera “La Guerra Giudaica” scritta tra 75 e 79 d.C., parla delle sette degli Ebrei dicendo che hanno tre forme. Ci dice che, i seguaci della prima forma sono i farisei, quelli della seconda sono i saducei e quelli della terza forma sono gli esseni che hanno fama di grande santità. Questi ebrei per nascita sono legati tra loro da mutuo e reciproco affetto. Sebbene disprezzino il matrimonio adottano i figli degli altri nell'età in cui sono recettivi ai loro insegnamenti.

Li trattano come se fossero loro parenti e li modellano secondo i loro costumi. Nel vestiario mostrano la massima semplicità, infatti usano delle semplici tuniche bianche e dei sandali. E la loro pietà per la divinità ha una forma molto particolare, dice Giuseppe Flavio, poiché salutano il sorgere del sole con alcune preghiere che rivolgono al sole per ringraziarlo di essere sorto. Dopo il saluto al sole, vanno alle loro occupazioni.

Si ritrovano all’ora quinta per pranzare in comune e, più tardi, cenano nella stessa maniera insieme agli ospiti che fossero venuti in visita. Nelle loro case non c’è rumore o lite, ma c’è silenzio e pace. Nel parlare, si cedono reciprocamente la parola e, uno dopo l’altro, vengono tutti ascoltati. Non fanno nulla senza avere prima il consenso del sovrintendente, ma ci sono due cose in cui sono totalmente liberi, cioè l’assistenza e la compassione: su questi due temi hanno libero arbistrio.

Ogni parola che danno è più forte di un giuramento perché dicono che è perduto chi non crede se Dio viene preso a testimone. Giuseppe Flavio dice che gli esseni studiavano come guarire le malattie con le erbe e con le proprietà delle pietre, e questi esseni particolari erano chiamati Terapeuti. E poi c'era il gruppo di esseni che vivevano lungo le coste del mar Morto, di cui parla Plinio il Vecchio. Nelle questioni giuridiche erano molto giusti e accurati, infatti giudicano in assemblee di cento persone perciò le loro sentenze erano irrevocabili.

Sappiamo che, per entrare nella loro setta era richiesto un periodo di almeno tre anni di "apprendistato" e di prove che mostrassero l’attitudine dell’aspirante. Disprezzavano i pericoli e superavano il dolore con la riflessione, perciò non temevano la morte e preferivano una morte gloriosa ad una vita vergognosa. E potevano morire tra le più atroci torture senza perdere la loro serenità ma, anzi, furono visti trattare ironicamente i loro carnefici

La testimonianza di Plinio il Vecchio che morì nel 79 d.C. a Pompei, descrive la pianura del Giordano che scende tortuosamente verso il Mar Morto, e si cita la fonte termale di Calliroe davanti a Qumran. Dice che gli esseni non amavano quel luogo malsano perché erano virtuosi e ammirevoli molto più di altri. Avendo abbandonato la vita mondana attraevano tutti quelli che erano rimasti delusi dal mondo, perciò le loro fila furono sempre numerose.

Sotto il loro dominio era fiorita la città di Engaddi che, per ricchezza e fertilità non fu inferiore a Gerusalemme, ormai ridotta in macerie. Più avanti c’era la fortezza di Masada costruita sulla rupe, presso il Mar Morto, e ridotta anch'essa in rovina. Ma le fonti non chiariscono il mistero del loro nome che, alcuni collegano a hesen o hasajja, ossia a santo o venerabile, ma l’etimologia resta incerta. Altri pensano che gli esseni venivano da un ceppo di missionari buddhisti giunti in Egitto dopo le conquiste di Alessandro Magno morto nel 323 a.C.

Alla morte del Buddha i discepoli si divisero in due sette: Theravadin e Sarvastivadin, perciò si pensa che i Terapeuti provengano dai primi, e i Sampsaean del Mar Morto dai secondi. Steiner dice che gli esseni erano un ordine occulto dalla regola severa che dimostrava di voler eliminare ogni indegnità e impurezza con rigorose pratiche di purificazione. Il nome della setta, secondo Steiner deriva dall'ebraico essin o assin che significa "pala" o paletta, perchè il loro distintivo simbolico era una piccola pala

Steiner conferma l’affiliazione di Gesù e del Battista alla confraternita degli esseni. Nel “Quinto Vangelo” dice che il battesimo nel Giordano di Giovanni Battista purificava con l’acqua perché era il rito preparatorio al battesimo di fuoco che avrebbe imposto il Messia. Gli esseni aspettavano un Messia "politico" che li liberasse dai romani, perciò credevano nell’avvicinarsi dei Giorni della Visitazione. Ma fu proprio il problema della salvezza spirituale che allontanò Gesù dagli esseni.

Gesù disapprovava le dottrine che non mostrassero la possibilità della salvezza per tutti gli uomini. Steiner dice che Gesù mentre era tra gli esseni ebbe la visione di molti demoni infuriati che fuggivano lontano da quei virtuosi. I primi insegnamenti che erano stati impartiti a Gesù venivano dalla confraternita, e anche gli insegnamenti del Battista erano esseni, ma Gesù capì che gli esseni non mostravano la santità che gli veniva attribuita.

Essi pensavano solo alla loro salvezza personale, notò Gesù perciò ebbe sgomento e “si sentiva solo, isolato e taciturno.“ Sentiva che non ci si deve isolare dalla comunità umana, perché non tutti gli uomini riescono a diventare puri come gli esseni. Cosa diventiamo, si disse, se ci salviamo e restiamo soli? Questa fu la domanda che sentì sorgere nel cuore. Dobbiamo vivere e agire nella comunità umana e dare il nostro amore al prossimo. Che senso avrebbe una salvezza che ci lascia da soli?

L’errore degli esseni era l'isolamento dal mondo e la vita santa che compartava l'aumento del dolore di molti altri uomini. Se i demoni capivano che non potevano corrompere gli esseni diventavano furiosi, fuggivano e sfogavano la loro rabbia sugli uomini che incontravano. Così, la salvezza di "pochi" veniva ottenuta a spese di "molti" che restavano indifesi davanti all'attacco del male. Gesù comprese che la salvezza non si ottiene a spese degli altri

Gli esseni causavano l'infelicità, perché credevano che gli uomini devono essere sempre infelici. E infatti essi lo credono affinché gli sia possibile affermare la loro diversità e superiorità: solo così possono distinguersi dai peccatori. Gli esseni si salvavano a spese della dannazione di molti uomini, e sono felici di sfuggire da Lucifero e Arimane. Ma, in realtà, hanno la superbia di credersi migliori e dimostrano di essere felici anche se altri soffrono

Buona erranza
Sharatan

giovedì 2 ottobre 2014

La vita è un sermone



La vita è un sermone;
l'esistenza predica alla sua maniera,
ma sempre indirettamente - e quella è la sua bellezza.

L'armonia della natura insegna,
senza alcuna intenzione,
la lezione dell'equilibrio nella vita.

Guarda un uccello in volo -
ed entrerai in meditazione senza sforzo alcuno.
Oppure ascolta la sua canzone -
e senza ragione alcuna il tuo cuore si unirà a lui.

E quando non vi è sforzo alcuno da parte tua
la meditazione scende in profondità
e all'improvviso ti trasforma,

e quando non esiste alcuna motivazione
e tu ti muovi -
il movimento è nel divino.
(Osho)