"Intrepido, fendo lo spazio con le mie ali e la fama non mi fa urtare contro mondi tratti da falsi principi, secondo i quali rimarremmo rinchiusi in una prigione immaginaria come se tutto fosse cinto da muraglie di ferro... ma fendo i cieli e all’infinito m’ergo." (Giordano Bruno)
venerdì 18 aprile 2008
Il fuoco del vasaio
La necessità di avere un compagno di vita ha radici profonde nell’animo umano, come non meno diffusa è la tendenza a non sceglierne alcuno, in modo da non doversi assumere delle responsabilità.
La tentazione di una ricerca personale e spirituale è quella di focalizzarsi troppo su se stessi, dimenticandosi delle esigenze degli altri, rinforzando un atteggiamento egoistico, piuttosto che conseguire un avanzamento nel progetto di evoluzione personale.
Se fosse preferibile non compromettersi con i sentimenti umani, vorrebbe dire che le persone disposte ad una seria ricerca spirituale, dovrebbero abbandonare completamente la società e ritirarsi a predicare l’amore universale dalla spelonca di un romitorio. Questa via è assolutamente impraticabile, mancante di qualsiasi comprensione della natura umana ed innaturale. Se l’esistenza ha un fine, il primo senza dubbio è quello di godere della corporeità e di tutto il meglio che l’esperienza umana ci può offrire.
Partendo da una vita gioiosa sia a livello corporeo che emotivo si deve proseguire con l’educazione del sentimento, dell’amore, della comprensione e delle bellezze che l’uomo ha dimostrato di saper possedere. Come negare poi la condivisione di queste qualità con dei nostri simili, con compagni che ci possano comprendere ed apprezzare poiché amano e stimano le stesse cose? In questo modo si celebra la gioia della vita; nell’amare ed essere amati e nel perdersi nello sguardo dell’altro.
Mi sembra di ricordare che il Nazzareno fosse un ragazzo di compagnia: quale migliore esempio di Gesù per capire la vera via al giusto agire? Assolse l’adultera salvata dalla lapidazione, dicendo: "Per questo ti dico: le sono perdonati i suoi molti peccati, perché ha molto amato. Invece quello a cui si perdona poco, ama poco". Non mi sembra affatto un tipo bigotto. Se è pur vero che non si possiede nulla se non se stessi, è anche vero che si può amare un altro, accettandolo per come è, anzi dovremmo amarlo proprio perchè è in quel certo modo. Dovremmo amare nell’altro il suo essere un “unicum”.
Spesso però non amiamo gli altri per il loro vero essere, ma amiamo le idee e le fantasie che essi ci ispirano, perché siamo all’inseguimento dei fuochi fatui della nostra mente, delle idee inconsistenti ed illusorie di cui ci inebriamo per sopravvivere meglio. Come dire che vorremmo plasmare gli altri perché corrispondano meglio al nostro egoismo ed egocentrismo. Per il nostro pensare assolutistico ed ottuso vogliamo costruire un fantoccio disposto ad impersonare i nostri sogni e le nostre chimere. La frase:”Mi hai deluso!” cosa nasconde, se non questa incapacità ad interpretare la pantomima del copione che avevamo preparato?
Dovremmo invece osservare la realtà che ci circonda per come è, non per come la vorremmo, e così pure le persone. Spesso esse assumono sembianze ingannevoli, per questo ci lasciamo facilmente gabbare da quelli che A. Bona chiama i “sosia d’amore”, cioè da persone che fingono di essere quello che noi desideriamo, per avere libero accesso al nostro cuore: questi sono predoni di anime. A essi però offriamo ingenuamente il fianco, dimostrando di essere fragili alla lusinga, come Ulisse con le Sirene.
Molti individui sono assolutamente alieni alla nostra vera natura, sono profondamente inadeguati alla nostra indole interna, malgrado ciò però, noi ci ostiniamo a volerli possedere e trattenere. Dovremmo invece lasciarli andare, quando sappiamo che ci fanno soffrire, e ricercare una persona adatta alla nostra sensibilità e che sia in grado di capire e rispettare le nostre tendenze e le nostre esigenze. La cieca adorazione, l’amore assoluto per l’altro e la completa offerta di noi stessi, sono mortificazioni imperdonabili di noi stessi.
Schopenhauer afferma che l’amore è un’astuzia della specie che maschera di nobili sentimenti la sua cruda tendenza alla riproduzione, all’istinto di vita. Ma il pessimismo di Schopenhauer era causato da una madre anaffettiva che non seppe scaldargli l’anima, per cui lui ebbe sempre problemi ad amare ed essere felice: per questo concepiva la vita come un pendolo tra noia e dolore e dalle sue idee traspare il gelo che aveva dentro.
Io invece credo che i sentimenti che sgorgano dal cuore dirigono le nostre migliori energie vitali e che l’amore può veramente salvare la vita e ridargli il colore. L’amore è veramente la chiave della vita, senza si sopravvive ma non si vive.
Diceva Denton Welch del desiderio d’amore “ Quando desideri con tutto il cuore che qualcuno ti ami, dentro ti si radica una follia che toglie ogni senso agli alberi, all’acqua e alla terra. E per te non esiste più nulla, eccetto quell’insistente, profondo, amaro bisogno. Ed è un sentimento comune a tutti, dalla nascita alla morte. “ (Diario, 8 maggio 1944)
L’amore offre l’istinto ottimistico per la vita, è l’amore che accende il sole nelle giornate di pioggia, con lui conosciamo tutte le dolcezze dell’universo. La rinuncia all’amore nasconde sempre la paura delle nostre fragilità e delle nostre vulnerabilità. Scrive Fabrizio Floris in “Eccessi di città”: “Così negli anni mi sono allenato a non piangere, a celare sentimenti e passioni, a vivere intimamente ogni emozione: le lacrime anziché andare dall’alto in basso mi inondavano dentro.” Infatti l’invulnerabilità non fa parte delle doti dell’essere umano, se non fosse per Achille, che pure fu ucciso nell’unico punto vulnerabile, il tallone per l’appunto.
Diceva Erich Fromm che veniamo al mondo bisognosi di “latte e miele”, ed è proprio a questa necessità che risponde il mondo dei nostri sentimenti, dei nostri vissuti sensibili sebbene ci facciano apparire così fragili e vulnerabili. Il cinismo ha consegnato le frasi fatte del tipo: chi fa da sé fa per tre, meglio solo che male accompagnato,fidarsi è bene, non fidarsi è meglio, etc., ereditate dai tempi in cui la vita era dura e nemiche della vera gioia di vivere. Queste frasi confermano tutte le cattive esperienze e lasciano che il nemico ti vinca due volte. Ti vince facendoti del male e ti vince poi, uccidendoti, con il veleno che ti ha istillato e che ti rovina la vita. Come fargliela in barba? Celebrando la vita e restando gioiosi e vivi dentro, riappacificandosi con le delusioni passate e riaprendo le porte alla fiducia nella vita .
Vorrei celebrare l’amore e la passione, con i versi di Guan Daosheng, poetessa cinese del 13. sec.:
“Tu e io siamo davvero pazzi
uno dell’altra,
caldi come il fuoco del vasaio.
Dallo stesso pezzo
di argilla, la tua forma,
la mia forma. Ci schiaccia di nuovo
facendoci ridiventare argilla, la mescola
con acqua e riplasma
te e riplasma me.
E così io ho te nel mio corpo,
e anche tu avrai me nel tuo, per sempre. “
Buona erranza
Sharatan ain al Rami
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