venerdì 13 giugno 2008

Istruzioni per rendersi infelici


In questi giorni sto leggendo “Istruzioni per rendersi infelici” (1997) di Paul Watzlawick, filosofo, sociologo e psicologo austriaco morto nel 2007. Laureatosi in Lettere moderne e in Filosofia all’Università di Venezia, parlava correttamente oltre che l’italiano, anche francese, inglese, tedesco e spagnolo. Formatosi come terapeuta di stampo junghiano, dal 1960 assunse il ruolo di ricercatore associato al Mental Research Institute di Palo Alto, dove lavorò con Don D. Jackson, Janet Helmick Beavin e Gregory Bateson, diventando il massimo studioso della pragmatica della comunicazione umana, delle teorie del cambiamento, del costruttivismo radicale e della teoria breve fondata sulla modificazione delle idee con cui ci costruiamo la nostra “immagine” del mondo, spesso dissonante con la “realtà” del mondo.
Teoria basilare di Watzlawick è che, le forme psicopatologiche non originano nell’individuo isolato, ma sono prodotte da interazioni patologiche che si instaurano tra individui, quindi è possibile, studiando la comunicazione, individuarne le patologie e dimostrare che è la comunicazione a produrle. Watzlawick intende la terapia non come “guarigione”, ma come “cambiamento”. Per Watzlawick, ciò che noi chiamiamo realtà è un’interpretazione personale, un modo particolare di osservare e spiegare il mondo che viene costruito attraverso la comunicazione e l’esperienza: la realtà non è quindi “scoperta”, ma “inventata”. Da queste invenzioni nascono “stili di vita” che rendono ciechi non solo gli individui, ma anche interi sistemi relazionali umani, come famiglia, aziende, sistemi sociali e politici, nei confronti di possibilità alternative. Watzlawick afferma che, attraverso una nuova formulazione dell’immagine del mondo possiamo inventare nuove “realtà” ed attuare un positivo cambiamento.
Le istruzioni per l’infelicità fornite da Watzlawick vengono in soccorso - in un mondo sommerso da istruzioni di felicità - a coloro che si costruiscono la propria infelicità, per cui il “libro vuole offrire un piccolo, responsabile e consapevole aiuto”, perché “tutti possono essere infelici, ma è il rendersi infelici che va imparato, e a ciò non basta certamente qualche sventura personale,” è necessaria “una metodica e basilare introduzione ai meccanismi più sfruttabili e verificabili dell’infelicità […] una guida che permetterà ai miei lettori più dotati di sviluppare un proprio stile”. L’infelicità più complessa è quella che si costruisce nel chiuso della propria mente, dimostrando che si può vivere in conflitto con sé stessi, con mondo circostante e soprattutto con il prossimo. Ma come vivere essendo quotidianamente avversari di noi stessi? Watzlawick lo afferma possibile, se si abbraccia l’assioma primario che esista un solo punto di vista valido: il proprio. Addivenuti a tale convinzione e convinti che, colui che rimane fedele a sé stesso e ai propri princìpi, non scende ad alcun compromesso, non resta che schierarsi incondizionatamente dalla parte di coloro che scelgono il mondo come dovrebbe essere, e non come è realmente, ed il gioco è fatto. Allora si può resistere all’infinito sulle proprie posizioni. Il solo fatto che il prossimo offra dei consigli, equivale e rifiutarne i suggerimenti, rigettando anche quello che per sé stessi sarebbe il partito migliore. Qui è l’ideale magistrale dell’infelicità a cui si è votati da un genio naturale e spontaneo: l’immagine è quella del capitano che guida impavido, nella notte tempestosa, una nave che anche i topi hanno abbandonato. Ai poco dotati, conclude Watzlawick, si indica questo come un sublime ideale, ma per loro è del tutto irrangiungibile poiché inadatto ai mediocri.
Se il tempo guarisce ferite e dolori, continua Watzlawick, possiamo però difenderci da questa azione riparatoria, e fare del passato una fonte di infelicità. Anche il principiante può operare una trasfigurazione del passato fino a farne comparire una nuova Età dell’Oro irrimediabilmente perduta da cui fare trasudare oceani di tristezza e malinconia. Pentiti o meno, è necessario poi, che il rimorso ed il rimpianto degli errori compiuti resti imperituro ed eternamente presente. Si pensi agli imprinting familiari ed infantili come a stigmate indelebili ed immutabili, per “restare inaccessibile della stanza della nostra indignazione ed impedire che le ferite inferte dal passato giungano a guarigione con delle zelanti leccate” convincersi che “ormai è troppo tardi, ora non lo voglio più”. Usare delle strategie di risposta predefinite e mantenerle a discapito di ogni loro utilità, incrementando sia il disagio che la spesa di curare quella che gli specialisti chiamano “nevrosi”.
Watzlawick continua con esilaranti esercizi per accrescere disagio e infelicità, come nell’esercizio di visualizzazione e percezione ottica di “mouches volantes” da trasfigurare in tumore cerebrale, o di sibili o “tinnitus” acustici da trasformare in una grave malattia. Magistrali sono le osservazioni di coincidenze sfortunate di genere occulto, di cui tutti possiamo essere testimoni se valutiamo le coincidenze sfortunate in merito alla lentezza della fila da noi scelta, dal nostro incappare nei semafori rossi e in tutte quelle occasioni in cui traspare che, una cospirazione cosmica sia stata attuata - a nostra insaputa - per disagiarci e per danneggiarci. Viene da Karl Popper l’interessante idea che la terribile profezia di Edipo si avverò perché egli la conosceva e la sfuggiva: tutto quello che fece per evitarla, lo spinse incontro al suo destino. In questo caso le aspettative preparano la manifestazione dell’evento. Facendo l’esempio delle nazioni, il caso di una di esse che si armi spinge anche le altre a ricorrere agli armamenti per cui, al sorgere dei conflitti, facilmente si passa al fuoco dei fucili. Lo scoppio della guerra, lungamente atteso, finalmente si realizza oggettivamente e realmente: la profezia dell’evento porta all’avverarsi della profezia. Motto e blasone del meccanismo è la frase:”L’ avevo detto io!”
Infiniti sono i metodi con cui Watzlawick, con intelligente ironia e sarcasmo, mette alla berlina i meccanismi più distruttivi del masochismo e della ruminazione mentale, così con occhi acuti ed intelligenti, ci accompagna alla scoperta di idiosincrasie personali e relazionali. Una lettura gradevole e condensata che si chiude con una breve riflessione. Ci mettiamo tanto a capire che la vita è un gioco che possiamo vincere insieme, non appena smettiamo di essere ossessionati dall’idea di dovere vincere qualcuno per non esser vinti? Ci metteremo tanto a capire che in questo gioco così serio, è necessaria la lealtà, la fiducia e la tolleranza dell’altro?
Watzlawick chiude con una citazione tratta da “I demoni” di Dostoevskij in cui, uno dei personaggi più enigmatici del romanzo dice: “Tutto è buono… Tutto. L’uomo è infelice perché non sa di essere felice.. Soltanto per questo. Questo è tutto! Tutto! Chi lo comprende sarà subito felice, immediatamente, nello stesso istante…”
Buona erranza.
Sharatan ain al Rami

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