venerdì 18 luglio 2008

La perfezione del Vuoto


La bellezza, per la filosofia presocratica, è ciò che risplende, che colpisce gli occhi, ciò che è luminoso, ciò che abbaglia.
La bellezza per avere un effetto tanto travolgente deve avere qualcosa di divino, di sovrumano. Platone disse: "Quando io vedo un volto bello, un volto di aspetto divino, allora mi ricordo di una vita precedente, in cui avevo visto le idee," celebrando così l’associazione del Bello con il Bene.
Nel Medioevo si arrivò ad identificare la bellezza come simbolo del maligno e si mortificò il corpo umano come mezzo della dannazione e fu solo nel Rinascimento che si rivalutò la bellezza del corpo, celebrandone la perfezione e l’armonia delle forme. Il recupero del classicismo, in epoca rinascimentale, intende il corpo dell’uomo non solo un corpo estetico ma anche un corpo etico; l’uomo misura di tutte le cose. Di tale misura si offrono i requisiti costituiti dalle caratteristiche esteriori di misura, ordine, proporzione, simmetria, convenienza, decoro, etc. sulla scia di Aristotele che, nella sua Poetica affermava “la bellezza consista nella grandezza e nell’ordine.”
Per Hegel, il Cristianesimo è stata la religione che ha riabilitato il brutto, poiché è una religione dello spirito e non del corpo: per questo Hegel fece derivare l’estetica dal mondo greco classico. Parliamo così tanto del Bello che trascuriamo invece la sensibilità, dimenticandoci che c'è sempre un qualcosa di più, nella nostra percezione di un oggetto, rispetto al puro e semplice oggetto percepito. Fino a che punto la percezione viene condizionata dalle nostre personali convinzioni?
E’ assurdo parlare di estetica come noi la intendiamo, per il pensiero cinese e poi per quello giapponese; infatti tali civiltà non hanno sviluppato alcuna differenza tra teoria e pratica, quindi non concepiscono affatto una estetica intesa come “teoria” o “scienza del bello.” In tali civiltà, la bellezza viene fatta valere di volta in volta, in diversi contesti e in diverse occasioni, senza dovere creare una categoria estetica, poiché essi credono che i tentativi di elaborare delle teorie, finiscano per limitare le esperienze, abbassandone la qualità e diminuendone l’intensità. Lo Zhuangzi afferma che “quando regna la virtù perfetta […] gli uomini si amano l’un l’altro senza conoscere l’ideale dell’amore umanitario.” Il pensiero orientale manifesta una marcata predilezione per un rapporto diretto con la realtà e soprattutto il pensiero giapponese - come osserva G.C. Calza, tra i maggiori esperti di quella cultura - vi “è un ricettacolo di mezzi toni e sfumature, di spazi vuoti che non vanno subito colmati ma goduti come sono.”
Tali civiltà sono colme di un’infinità di arti che hanno come scopo, non il prodotto estetico ma l’atto che arricchisce tale rapporto, che è un rapporto con le persone, con la natura e con le cose. Alla base di tutte le manifestazioni artistiche e alla fruizione personale di tali arti sta il concetto di “wu” cioè vuoto, ma non la teoria bensì “l’esperienza del vuoto” ottenuta tramite la pratica meditativa. L’ideogramma “wu” nasce dalla stilizzazione di una fascina di fieno sopra un fuoco che la consuma, ed indica ciò che resta dopo l’azione del fuoco: nulla. Il carattere cinese significa “non-esserci”, “non”, “senza” e rimanda ad una assenza determinata, in un vuoto ben determinato. Usando una definizione impropria di “estetica del vuoto” si indica sia una teoria che pone il vuoto come principio ed oggetto di analisi, ma anche l’esperienza meditativa dello stesso. La tradizione del vuoto viene pensata e praticata dal taoismo e poi dal buddismo chan e zen, che hanno alimentato e sviluppato forme d’arte ed esperienze estetiche originali come: le arti marziali, la cerimonia del thè, la calligrafia, la pittura ad inchiostro, la forma poetica haiku, l’arte di disporre i fiori, la ceramica raku, i giardini a paesaggio secco e il teatro No, tutte processi ed insieme oggetti estetici del vuoto. Afferma il Daodejing che “l’Essere è generato dal Non-essere” e “L’Essere e il Non-essere si generano l’un l’altro.” Questa dialettica di Pieno e Vuoto veniva già dichiarata in Aristotele nella sua “Metafisica” in cui si testimonia che “Leucippo e il suo seguace Democrito dicono che gli elementi di ogni cosa sono il pieno e il vuoto, chiamando uno di questi l’Ente e l’altro il Non-ente. Perciò affermano che il Non-ente è quanto l’Ente, perché il vuoto esiste al pari del corpo.” Se incredibili appaiono tali similitudini nell’antico pensiero greco e quello taoista, è ancora più eccezionale come la fisica abbia dato ragione a queste teorie già dal 1919. In quell’anno il fisico britannico Ernest Rutherford, scoprì che l'atomo è costituito principalmente da uno spazio vuoto, al centro del quale si trova un nucleo di dimensioni pari a circa un decimillesimo del diametro dell'intero atomo. Rutherford concluse che la massa dell'atomo è concentrata in massima parte nel nucleo, attorno al quale gli elettroni ruotano percorrendo orbite predefinite. La carica positiva del nucleo viene bilanciata dalla carica negativa portata dagli elettroni, di modo che l'atomo, in condizioni normali, risulti elettricamente neutro: “l’atomo è quasi vuoto […] nell’intervallo non c’è niente.”
Grazie a lui sappiamo che la materia è costituita in gran parte di vuoto, anche se già lo sapevamo dagli scritti taoisti, in cui si affermava che il movimento, nel tempo, trasforma il vuoto in pieno ed il pieno in vuoto. Le vera virtù è quella di colui che sa far tesoro dei tempi del vuoto e del pieno, in modo che ogni cosa manifesti la propria natura nel momento opportuno. L’eccellere in una tecnica dipende dunque dall’esercizio, ma esso non è costituito solo da una semplice ripetizione di gesti finalizzati al dominio della disciplina: esso implica la coltivazione e quindi la capacità di individuare e di seguire i vuoti della cosa; così si ottiene una trasformazione che non è dovuta all’esecutore, ma che si opera per mezzo dell’esecuzione stessa, poiché fluisce spontaneamente manifestandosi. Quando le piccole abilità, allucinate dalla volontà di riuscire, irretite dai mezzi tecnici e dalla volontà di dominio, lasciano il passo alla grande abilità, essa non volendo dominare la materia sulla quale si esercita, non ne viene nemmeno dominata. Da qui nasce la via del Tao, secondo il quale solo colui che fa uso delle cose senza esserne dominato, può ottenerne il dominio; perciò nella vita si ottiene qualcosa solo quando si è finito di desiderarla. La bellezza del vuoto è costituita da cose semplici, l’essenziale è apprezzarne la forma nell’alternarsi di pieno e di vuoto e farlo con una coscienza annullata, facendo il vuoto dentro di sé.
Questa è la perfezione della Via e della Virtù, questa la contemplazione della Regola Celeste; la somma di Bello e Bene.
Buona erranza
Sharatan ain al Rami

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