mercoledì 9 luglio 2008

Le competizioni dei perdenti


Si può amare la competizione soprattutto se è amichevole ed è intermittente, ma vi sono personaggi che non riescono ad escludere la competitività dal loro stile di vita. Essi vivono ogni attività e ogni contesto della vita come se fosse una sfida da vincere ad ogni costo, una dimostrazione della loro furbizia e capacità di sbaragliare gli avversari ad ogni costo: avversari sono tutti coloro che essi incontrano sulla loro strada. Per questo il rapporto con un competitivo è sempre estremamente faticoso perché tutti coloro che vivono la vita come una gara senza fine sono persone ambiziose, invidiose, implacabili e vendicative che vedono il mondo come popolato da lupi di cui desiderano diventare il capobranco. L’ambizione dei competitivi è tale che il loro interesse è risvegliato solo da tutto quello che è fuori dalla loro portata. Potere ottenere l’impossibile equivale alla sfida suprema e la sublime vetta dell’impossibile dimostra la forza della loro determinazione vincente. Il loro primo motore resta sempre l’invidia perché avere ciò che altri non hanno e di cui si sente la mancanza, è un segno supremo di rivalità. I competitivi sono quindi molto tenaci, ma di una tenacia ben poco amichevole ed il solo timore di poter perdere, li spinge a raddoppiare la determinazione per rendere la competizione ancora più appetibile. Il solo fatto di essere contro tutti li rende invincibili e se chiedere aiuto equivale ad ammettere la loro debolezza, essi si credono in grado di fronteggiare il mondo. Prendere gli altri in fallo li aiuta a costruire una infallibilità personale e li mette in posizione di vantaggio, per cui dagli errori altrui traggono gioia perché rinforza in loro la convinzione che, a prescindere da tutto, loro quegli errori non li avrebbero mai fatti. Se la competizione aiuta ad affermare un Io debole e se nella sconfitta si perde una parte di sè stessi, ogni mezzo è considerato lecito per vincere.
Un’autostima personale malata, perchè basata sulla competizione, è frutto di una società debole di idee e progetti, in cui si attribuisce valore solo alle persone prepotenti ma vincenti. Se vinci sei tutto e se perdi sei un niente :questo giustifica ogni eccesso di darwinismo sociale.
In alcune società, ingiustamente definite “primitive”, non esiste la competizione, perché estranea in contesti in cui la cooperazione e la solidarietà sono valori sociali fondamentali e in queste società, al contrario della nostra proclamata come “evoluta”, si considerano i competitori delle persone maleducate ed insensibili.
Nella nostra cultura e soprattutto nei posti di lavoro, la competizione viene invece esaltata mentre viene del tutto trascurato il valore della forza cooperativa e della reciproca crescita professionale, ai fini di un migliore servizio/prodotto che protrebbero essere offerti concentrandosi su una fruttuosa collaborazione piuttosto che su lotte e conflitti.
Se è giusto misurarsi con delle sfide, indispensabili alla crescita e al miglioramento, per il competitore esse diventano vere ossessioni penetranti e divoranti. In lui la competizione non ha nulla di sano spirito sportivo ma diviene un meccanismo perverso, che trasforma dei ragionevoli esseri umani in ottuse miscele di aggressione, irrazionalità e maleducazione. E’per questo che è nel lavoro che il competitivo offre il peggio di sé, sbaragliando disinvoltamente colleghi ed avversari per ottenere la considerazione dei capi e maggiori vantaggi personali.
Nella amicizie i competitori vogliono essere considerati gli esseri più brillanti ed affascinanti, e in amore sono insopportabili ed egoisti e vogliono considerazione, attenzione e rispetto in maggior misura di quanto siano disposti ad offrirne. Essi devono sempre essere in primo piano, sivrani tronfi e trionfanti, relegando in uno scomodo “strapuntino” i malcapitati che gli sono al fianco.
La stessa Bibbia, nella Genesi, offre l’esempio di Giacobbe ed Esaù, figli del patriarca Isacco, gemelli e rivali fino dalla nascita. Essi “ si urtavano nel suo seno” - quindi già nell’utero materno - tanto che la madre Rebecca chiese al Signore il perché di tanta ostilità, ed il Signore rispose che “due nazioni erano nel suo grembo […] un popolo sarà più forte dell’altro e il maggiore servirà il più piccolo” e lei era incinta di due gemelli. Alla nascita uscì per primo Esaù, ma Giacobbe lo seguì aggrappato al suo calcagno. Il nome Giacobbe deriva da “ageb” cioè “tallone, calcagno” e più specificamente “afferrare per il calcagno o soppiantare”; il nome gli fu imposto perché al momento del parto, teneva con la mano il calcagno del fratello gemello Esaù, nato per primo e quindi destinatario del diritto di primogenitura. Il suo nome viene fatto derivare con una etimologia popolare dalla parola ebraica che significa "ingannare" ('aqob) ed infatti Giacobbe conquistò il diritto di progenitura con un inganno. I discendenti di Giacobbe dipendono da questa benedizione carpita e non legittima.
Ma la competizione non è una qualità innata - checchè ne dica la Bibbia - essa dimostra solo un senso d’insicurezza profondamente radicato. Nella paura del fallimento vi è una minaccia all’integrità personale, per questo il competitivo segue il principio del divide et impera e si dimostra un grande presuntuoso che diventa assai difficile cambiare o sopportare.
Molti credono erroneamente che la competizione sviluppi i migliori risultati, invece lo spirito competitivo consegue i risultati più mediocri mentre è vero che orientare al risultato rende molto più che orientare alla competizione. Molti uomini d’affari fortemente competitivi, per ottenere la vittoria si accontentano anche di risultati mediocri a condizione di avere partita vinta, per cui non si assumono il rischio di essere maggiormente creativi, propositivi ed innovatori. La motivazione intima, alla lunga, diviene l’incentivo più efficace ed il leader carismatico ottiene sempre una maggiore performance di gruppo.
Ma esiste una sana competizione? Un atteggiamento in cui uno vince ed uno perde non è mai sano: è sano invece pensare di potere vincere e guadagnare entrambi. La differenza tra dominante costruttiva o distruttiva della competizione sta solo nell’uso di regole del gioco condivise e nell’individuazione di colpi proibiti o ammessi. Anche in questo caso è sempre essenziale che la competizione lasci ampi spazi alla collaborazione, in onore al vero competere latino, che significa “lottare insieme per ottenere qualcosa". Nel vero gioco costruttivo entrambi gli avversari stanno dalla stessa parte e fanno una gara per offrire il migliore contributo al fine comune.
Non dimentichiamoci mai delle nostre vere coordinate mentali e non prestiamoci ai giochi di forza dei competitori che cercano la lotta per umiliarci e rafforzare così il loro scarso valore. Guardiamo dritto verso i nostri veri obiettivi, godiamo senza ostentazione dei nostri successi e concentriamoci solo su noi stessi per potere vincere veramente.
Buona erranza
Sharatan ain al Rami

2 commenti:

Non essere volgare, offensivo, razzista e sessista.
Grazie per il tuo commento.
Sharatan