"Intrepido, fendo lo spazio con le mie ali e la fama non mi fa urtare contro mondi tratti da falsi principi, secondo i quali rimarremmo rinchiusi in una prigione immaginaria come se tutto fosse cinto da muraglie di ferro... ma fendo i cieli e all’infinito m’ergo." (Giordano Bruno)
giovedì 4 settembre 2008
La perfezione dell'essenziale
Una condizione particolare che ho vissuto mi ha fatto riscoprire la bellezza dell’autenticità e dell’essenzialità. Questa essenzialità a cui alludo, è solo in parte correlata al disgusto per gli sprechi della nostra società consumistica, sebbene l’impulso sociale compulsivo-ossessivo, che è il prodotto patologico del capitalismo avanzato, stia spingendo il pianeta verso uno sviluppo insostenibile ed ottuso che rischia di annullarci. Fare nulla è impossibile perciò dobbiamo fare una rifondazione almeno personale, dobbiamo fare un passo che lasci traccia del nostro essere, non farlo sarebbe karma negativo.
L’essenzialità a cui mi riferisco è una sorta di ecologia della mente o di ecologia dello stile di vita, che potrebbe costituire il nostro passo, il nostro contributo per un migliore modo di vivere e di rapportarsi con gli altri. L’ essenzialità che auspico, è quella che permette di vivere dei ritmi di lavoro e di tempo libero personale che possano stare in un equilibrio più equo e costante. Certamente uno stile di vita sobrio aiuterebbe a rompere la spirale perversa di produzione/consumo da cui siamo ossessionati, e a cui chiediamo di anestetizzare le nostre insoddisfazioni. Un maggiore riequilibrio del nostro tempo personale e dei nostri stili di vita ci permetterebbe di vivere in modo più umano e soddisfacente e ci aiuterebbe a sentirci più felici, ridando il senso alle cose veramente essenziali ed autentiche.
La cura di noi stessi è il primo passo per un’etica di vita più umana ed equilibrata. Spesso questo accudimento personale viene demonizzato a causa di retaggi religiosi e culturali inadeguati, gli stessi che hanno castrato per secoli la corporeità e la sensualità umana. Errori ed orrori di pensiero che hanno sradicato e reso infelici un’infinità di persone, errori che ancora oggi schiacciano la vita di molti e che impongono una mortificazione di cui nessun dio saprebbe cosa farsene.
Prendersi cura di sé significa riconoscere il valore assoluto della bellezza della condizione umana, della gioia del respiro, del pulsare del sangue nelle vene, significa riconoscere la gioia del contatto con la propria carne e con i propri sentimenti. Significa infine, sapere riconoscere anche la bellezza degli altri e riconoscere la soddisfazione di potere guidare la propria vita, significa sapere reggere la responsabilità di un rapporto di affetto, di amore e riconoscimento. Nessun rapporto può essere gratificante se comporta la perdita dell’identità personale e la riduzione del nostro valore come individui, nessun rapporto di disparità può dare gioia. Avvertire la preziosità del proprio corpo e della propria mente, del nostro essere, non ha nulla da spartire con il narcisismo che è l’incapacità di amare, che è inflazione dell’Io. Nel corpo, come dimensione e percezione della globalità dell’essere umano vi è la pienezza della vita, vi è la maturità dell’essere e dell’esserci nel mondo. Il senso è quello che veniva proclamato da Heidegger, che vedeva il significato della vita degli uomini come un prestarsi alla possibilità e al progetto. Esistere significa infatti per Heidegger "ex-sistere", ovvero non essere più "un permanere", ma costantemente andare oltre questo permanere, verso la possibilità aperta, verso la novità. L'esistenza dell'uomo per Heidegger, può autenticamente svilupparsi solo entro la possibilità della libera scelta, solo se comprende il senso dell'essere come orizzonte entro cui è possibile il libero "gioco" del divenire.
Perciò una dimensione puramente esteriore ed estetizzante non riesce a dare soddisfazione alle esigenze spirituali umane, sebbene la società consumistica millanti l’ideale di una qualità di vita puramente esteriore ed appariscente, di una felicità grossolana e burina, che si compra e paga, ma che non appaga mai. Il corpo che sente veramente è attraversato da affetti, passioni ed emozioni e dalla dimensione del piacere, che è la massima manifestazione dello splendore e delle gioia dell’esistenza.
Il corpo che sente è intenso ed essenziale, non si nutre di apparenze, si nutre di sostanze vere e di contenuti di valore. Per ottenere questo è necessario creare uno spazio interiore che possa contenere la nostra storia, per prendersi cura della nostra identità. Per comprendersi è necessario ritrovare le trame della nostra vita e ricostruire il filo del nostro racconto personale, del racconto della nostra vita. Se necessario bisogna ricostruire tutti quei fili che si sono spezzati e ritessere tutte le trame sfilate. Bisogna avere il coraggio di lasciare lo spazio alle nostre emozioni, ai sentimenti e alle nostre paure, riconoscendo che quelle fragilità hanno creato la nostra sensibilità e l’altezza del nostro sentire. Questo lavoro viene spiegato meglio da Heidegger quando afferma che l'esistenza inautentica si perde nel "si dice", "si fa", ovvero nell'accettazione distratta di un'esistenza già vissuta da altri e quindi già creata, senza alcuna possibilità di creare nulla come novità sostanziale. L'esistenza autentica invece respinge questa inautenticità affermando consapevolmente il proprio carattere di estrema possibilità relativamente allo slancio creativo (l'esistenza autentica vive seguendo l'originalità radicale del proprio dipanarsi e non le forme delle esistenze già dipanate da altri).
Questo lavoro sul sé e sulle personali aspirazioni, il lavoro sulla fragilità, ha bisogno di nutrirsi di bellezza, di sentimenti, di sostegno e di gioia, di pause di ricreazione e di rilassamento, di risate. Facendo risuonare questi sentimenti in noi stessi, creiamo lo spazio per ospitare e riconoscere anche gli altri, ma occorre l’intimità, un’interiorità che sia capace di apprezzare il silenzio, la sospensione ed il ritiro, una capacità di sapere fare dei bilanci, una sensibilità che sappia dimostrare quella spiritualità cioè quella dimensione profonda dell’esistenza che si accresce con il silenzio e la meditazione, cioè con la pratica dell’essenzialità. Questa capacità di essere autentico ed essenziale, ci rende ancora più umani e sobri, ma anche ospitali ed accoglienti perché capaci di percepire con poco, recettivi ai sintomi e agli sguardi, al volo delle rondini e alle orme invisibili degli animali. Lasciando tacere le preconcezioni, annullando quelle voci interne ed esterne che non ci appartengono, ci si riscopre semplici e perfetti, ancora più umani e sublimi perché veramente padroni e responsabili del nostro essere. Quando non dobbiamo dimostrare nulla a nessuno, quando stiamo bene nei nostri panni, quando manifestiamo la nostra vera ed autentica essenza, allora diventiamo finalmente liberi e felici.
Buona erranza
Sharatan ain al Rami
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