domenica 12 ottobre 2008

Le innumerevoli metamorfosi di Brahman


Per la tradizione induista, solo un essere esiste realmente: Brahman, il Principio Creatore e la Coscienza Assoluta. Poiché l'universo non esprime solo la coscienza, ma l'universo è consapevolezza, questa consapevolezza è Brahman. Brahman è al di là dei sensi, della mente, dell'intelligenza, e di qualsiasi immaginazione. Brahman è colui che pervade la consapevolezza che sta alla base di tutte le entità animate e inanimate. Ed ogni singolo individuo - nei tanti livelli dell’esistenza - è soltanto il prodotto di un incalcolabile numero di metamorfosi di Brahman, di questa entità, unica e infinita. E' per questo che ogni individuo partecipa della natura divina.
Gli antichi insegnamenti indiani considerano l’esperienza della visione di altri mondi come Lyla ovvero il gioco divino, che viene creato dalla Coscienza Assoluta ossia Brahman, e considerano la percezione del mondo materiale come un’illusione cosmica o Maya operata dalla divinità. Questa limitazione alla nostra consapevolezza viene imposta, secondo Alan Watt, perché il sapere chi siamo potrebbe scatenare un terrore irrefrenabile.
Poiché ogni divisione e barriera dell’universo è illusoria ed arbitraria, soltanto Brahman si incarna in realtà. Tutti i personaggi del gioco divino dell’esistenza sono aspetti diversi dell’Uno: per questo Brahman non può essere conosciuto, poiché rappresenta la nostra stessa consapevolezza. Se raggiungiamo la conoscenza di questa verità ultima, riusciamo a vedere che le nostre incarnazioni passate rappresentano semplicemente un altro momento dell’illusione o Maya. Perciò considerare queste vite come nostre, secondo l’induismo, dimostra che l’attore karmico crede di essere un singolo individuo, e riflette la sua profonda ignoranza sulla fondamentale unità di ogni cosa.
Se pensiamo alla teorie orientali sul karma, leggiamo che la legge del Karma è una legge immodificabile che regge tutto il creato e che controlla tutto con un’azione causa-effetto. Raffigurando il karma come una bilancia, si consideri un braccio come Dharma, e su questo si vanno ad accumulare le azioni buone e virtuose, e l’altro braccio si consideri il Karma e su questo andranno tutte le cattive azioni commesse. Alla fine del ciclo vitale, la rinascita porta il segno delle conseguenze dei due pesi, causando una vita felice o infausta, a seconda del valore delle proprio agire. Poiché ogni manifestazione degli esseri senzienti possiede una certa quantità di “semi del Karma”, finché essi non verranno esauriti, siamo tutti costretti a reincarnarci. È la legge del karma che ci lega al Samsara, cioè al ciclo delle rinascite.
Secondo Jane Roberts (1973), tra la coscienza individuale e separata e il Principio Universale Creativo, vi è una Superanima, che è un entità intermedia tra le due. Se il termine Anima viene dato alla coscienza che raccoglie e integra le esperienze di un’incarnazione individuale, Superanima è il nome che viene dato alla coscienza allargata, che congloba e unifica le esperienze di più incarnazioni. Secondo questo punto di vista, è la Superanima ad incarnarsi, non è l’anima universale cosciente.
Secondo Christopher Bache, filosofo e studioso di religioni comparate, questa concezione è condivisibile per cui, se siamo delle estensioni di vite precedenti, chiaramente non siamo estensione di tutte quelle incarnazioni, poiché lo scopo per cui la Superanima si reincarna, è per raccogliere esperienze specifiche. Un coinvolgimento totale in una vita ben precisa, richiede una rescissione della connessione con la Superanima e l’immersione in una precisa identità personale, per questo non ricordiamo affatto quale sia la nostra origine e la nostra missione.
Al momento del decesso, il singolo individuo si dissolve nella Superanima, lasciando dietro di sè un mosaico di esperienze difficili e non assimilate. Queste sono le esperienze che andranno affidate ad altri esseri incarnati, in una specie di casuale distribuzione di carte da gioco durante la partita. Secondo questo modello non vi è continuità reale nelle vite di individui che si incarnano in tempi diversi, ma vi è il perseguimento di un "compito" a cui la Famiglia ci chiama. Quando sperimentiamo le parti non digerite ed elaborate di altre esistenze, non abbiamo a che fare con il nostro karma personale, ma stiamo lavorando per ripulire il campo della Superanima, cioè stiamo lavorando per casa. Se identifichiamo l’ambito della Superanima come l’ambito della nostra Famiglia, vi sono ulteriori livelli, dei livelli superiori alla Superanima, come il campo di coscienza della specie umana, di cui parimenti condividiamo destini e finalità.
Il concetto di karma e reincarnazione lo ritroviamo nell’induismo, nel buddismo, nel giainismo, nel sikkhismo, nello zoroastrismo, nel buddismo vayrana tibetano e nel taoismo. Concetti simili si ritrovano nelle concezioni di tribù africane, presso i Nativi americani, nelle tribù precolombiane del Mesoamerica e dell’America meridionale, presso gli hawaiani e nell’umbanda brasiliano. Si conoscono tali concezioni nei Celti con il druidismo, e nella Grecia antica vi aderirono i pitagorici, gli orfici ed i platonici. La stessa dottrina era adottata dagli Esseni, dai farisei e dai caraiti, come dalle varie sette giudaiche e semigiudaiche. Fu poi ripresa dalla teologia cabalistica e dal giudaismo medievale, come pure fu centrale nella Gnosi e in tutte le scuole neoplatoniche. Io preferisco questa teoria del karma a quelle comunemente conosciute. Infatti, se continuiremo ad adottare delle teologie regressive a base di punizioni karmiche o divine, peggioreremo la nostra vita, togliendole il suo significato esistenziale più profondo, cioè comprendere al meglio delle nostre possibilità la struttura profonda che si nasconde dietro gli eventi che ci accadono. Tale opportunità ci è stata data per potere trascendere radicalmente la nostra presente condizione psico-spirituale, in un lungo processo spirituale di intensa purificazione, nel quale la nostra identificazione con un sé distinto viene messa a dura prova e alla fine abbandonata. Ciò che muore è il nostro profondo attaccamento a un sé separato, privato, distinto da tutti gli altri e dall’universo in generale. Ciò che nasce nell’alba seguente, e dopo molte vite, è un durevole senso di partecipazione e comunione con il Divino onnipresente,con Brahman. Diceva Einstein: “Un essere umano è una parte del tutto che noi chiamiamo Universo, una parte limitata nel tempo e nello spazio. Esso sperimenta se stesso, i suoi pensieri e sentimenti come qualcosa di separato dal resto, una specie di illusione ottica della sua coscienza. Questa illusione è come una prigione per noi, prigione che ci limita ai nostri desideri personali e all’affetto per poche persone, le più vicine a noi. Il nostro compito deve essere di liberarci da questa prigione allargando la nostra cerchia di partecipazione per abbracciare tutte le creature viventi e tutta quanta la natura nella sua bellezza. Nessuno è capace di fare ciò completamente, ma lo sforzo per tale conquista è in sè stesso una parte della liberazione e un fondamento per l’interiore sicurezza.”
Buona erranza
Sharatan ain al Rami

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