"Intrepido, fendo lo spazio con le mie ali e la fama non mi fa urtare contro mondi tratti da falsi principi, secondo i quali rimarremmo rinchiusi in una prigione immaginaria come se tutto fosse cinto da muraglie di ferro... ma fendo i cieli e all’infinito m’ergo." (Giordano Bruno)
venerdì 14 novembre 2008
La sacra pianura di Dharmakshetra
Ricerchiamo la solitudine ed il silenzio, perché la domanda di spazio e di silenzio è forte quando dobbiamo riflettere, senza che i rumori e le presenze esterne, disturbino la nostra concentrazione ed il nostro raccoglimento interno. La solitudine diviene quindi una necessità, diviene una fuga “dalla pazza folla”, diviene un’uscita dal mondo, per entrare in uno spazio silenzioso fatto di calma concentrazione.
La solitudine ha, però, una faccia negativa che è costituita dall’isolamento, in cui appunto si diviene un’isola, cioè una monade separata ed avulsa dal resto del mondo. Quando la solitudine diviene isolamento, e un forte ripiegamento su se stessi, allora può divenire una solitudine letale, da cui ci si deve sottrarre con forza di volontà e determinazione, cercando occasioni per uscire e frequentare delle persone. L’ideale, sarebbe quello di coltivare il maggior numero possibile di amici e di occasioni sociali, al fine di potersi permettere una maggiore varietà e ricchezza di relazioni.
Positiva è la solitudine che favorisce i momenti d’introspezione e di ricostruzione, ma il protrarsi della solitudine, fino ad annullarsi in un isolamento pieno e totale, non può che segnalare una tendenza disperata e una mancanza di speranza nei rapporti umani. Va allora discriminato, e vanno accettati solo quei momenti di solitudine ricercati per un fine costruttivo, cioè la solitudine utile, quella usata per riflettere e stare in pace con sè stessi, quella usata per ascoltare le indicazioni che emergono dal profondo: la voce del nostro guru interno.
Paramhansa Yogananda racconta che, la Bhagavad Gita inizia con il re cieco Dhritarashtra, che chiede notizie a Sanjaya sull’andamento della battaglia in corso a Dharmakshetra. Tale battaglia chiaramente non è fisica, ma sta ad indicare la lotta interiore dell’uomo, come pure il re cieco è l’immagine della mente umana, che percepisce il mondo esterno solo tramite i sensi, quindi in modo cieco, e Sanjaya rappresenta l’introspezione.
“Il re cieco Dhritarashtra (la mente cieca) chiese a Sanjaya (l'introspezione imparziale): “Che cosa fecero i miei figli, le cattive, seducenti tendenze mentali e dei sensi, opposti alle pure tendenze mentali discriminative, radunatisi sulla sacra pianura del campo di battaglia della Vita (Dharmakshetra) desiderosi di darsi battaglia psicologica e morale?”
Tutta la Bhagavad Gita fa riferimento al campo della coscienza umana, per cui è naturale chiedersi chi stia vincendo, e questa domanda è il nucleo dell’opera. Si supera l’illusione - avverte Yogananda - quando si distingue quale sia la vera vittoria, quale sia quella fittizia e quale poi, alla prova dei fatti, si rivelerà una schiacciante sconfitta.
Perciò l’introspezione è un aiuto essenziale, perché non è affatto semplice riconoscere ciò che è giusto e ciò che è sbagliato. All’atto introspettivo cosciente, va unita la guida intuitiva proveniente dal Guru saggio che risiede nel nostro interno.
Ma con quale risorsa l’uomo esce vittorioso, da questa cieca notte di ignoranza? Vi sono degli elementi chiave, che Yogananda indica, per uscire vincitori dalla battaglia psicologica. Uno dei mezzi da usare è l’espansione della felicità e della libertà interiore. Un’ulteriore elemento a nostro favore è costituito dall’allargamento della coscienza. Un terzo elemento essenziale, è l’espansione della compassione per gli altri, ed infine, complementare a tutti, la calma interiore.
Ma la mente, che conosce il gioco dell’inganno, usa questi punti di forza, per illuderci di avere trovato le nostre vere soluzioni, per cui traveste le opposte emozioni, con le stesse ingannevoli apparenze, trasformando false felicità in felicità vere.
Ma il segno sicuro che esse siano o meno false, è offerto dai sentimenti che ad esse si accompagnano, qualora trasmettano una profonda ed inquieta eccitazione, invece che una calma sempre più profonda. Perciò una espansione di coscienza mal controllata, causa una sensazione di aumento di potere e di egocentrismo personale, una compassione male indirizzata agli altri, può causare un’eccessivo carico di aspettative nei loro confronti e un’eccessiva possessività, e persino la calma può degenerare in totale indifferenza ed apatia. Come capire quale sia il corso vero e il corso sbagliato, nella vita?
Secondo Yogananda, la risposta è nel fare ciò che funziona. Solo dai risultati si riesce a capire, se la scelta fatta sia stata giusta, ben ricordando però, che se usiamo i mezzi sbagliati, anche se a buon fine, il risultato finale produrrà sempre disarmonia e fallimento. Il giusto procedere di un’azione, deve produrre armonia, buona salute, uno stato di equilibrio e la capacità di continuare a dirigersi con ragionevolezza e discriminazione verso ciò che si cerca di conseguire, cioè verso i nostri obiettivi. Dove troviamo gioia, espansione di coscienza, compassione e calma interiore, sentiremo sempre un’energia che si muove dalla spina dorsale e si eleva, circolando nel corpo e facendoci felici: quello sarà il nostro posto giusto. Un ottimo modo di valutare la giustezza del nostro agire, è anche quello di valutare le reazioni degli altri, senza però dimenticare che gli altri si lasciano spesso influenzare da reazioni di simpatia ed antipatia, dall’interesse personale e dalla valutazione egoistica: per questo l’introspezione (Sanjaya) resta la via più sicura, la via della saggezza.
Esaminando le nostre emozioni, in modo onesto e sincero, avremo una chiara comprensione di ciò che è meglio per noi.
Schierate contro di noi, troveremo sempre tutte le nostre tendenze sbagliate, trasformate in cattive abitudini, che vanno comprese e trasformate positivamente. Così quando il re cieco Dhritarashtra, chiede a Sanjaya, quale sia l’esito della battaglia, questi risponde: “Giudica i tuoi pensieri e le tue azioni dai loro effetti, in primo luogo su te stesso e quindi sugli altri. Inducono alla pace? Arrecano beneficio al maggior numero possibile di persone? Contribuiscono ad espandere la tua comprensione e la tua compassione? Hanno portato maggiore armonia nel tuo ambiente? O hanno prodotto disarminia? Ispirano te e gli altri? Oppure, in generale, hanno portato meno speranza o perfino disperazione?”
Ricordiamo solo che le vie dell’errore sono innumerevoli, avvisa Yogananda, mentre quelle della giustizia sono limitate.
Potrebbe sembrare un male, io penso invece che così abbiamo minori occasioni di compiere azioni sbagliate.
Buona erranza
Sharatan ain al Rami
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