giovedì 9 luglio 2009

Siamo pari o dispari?


Nella storia di Pinocchio, Collodi racconta le peripezie di un burattino di legno che attraversa mille disavventure per poter diventare un “ragazzino per bene.” Tra gli episodi più conosciuti vi è quello del Gatto e della Volpe, che riescono a rubare all’ingenuo burattino i suoi zecchini d'oro. Pinocchio viene convinto a seminarli nel Campo dei miracoli, ma quando torna a recuperare il suo tesoro, non trova altro che una buca vuota. Così Collodi racconta come finì per Pinocchio il furto degli zecchini:

“Allora, preso dalla disperazione, tornò di corsa in città e andò difilato in tribunale, per denunziare al giudice i due malandrini, che lo avevano derubato. Il giudice era uno scimmione della razza dei Gorilla: un vecchio scimmione rispettabile per la sua grave età, per la sua barba bianca e specialmente per i suoi occhiali d'oro, senza vetri, che era costretto a portare continuamente, a motivo di una flussione d'occhi, che lo tormentava da parecchi anni. Pinocchio, alla presenza del giudice, raccontò per filo e per segno l'iniqua frode, di cui era stato vittima; dette il nome, il cognome e i connotati dei malandrini, e finì col chiedere giustizia. Il giudice lo ascoltò con molta benignità: prese vivissima parte al racconto: s'intenerì, si commosse: e quando il burattino non ebbe più nulla da dire, allungò la mano e suonò il campanello.

A quella scampanellata comparvero subito due can mastini vestiti da gendarmi. Allora il giudice, accennando Pinocchio ai gendarmi, disse loro: - Quel povero diavolo è stato derubato di quattro monete d'oro: pigliatelo dunque e mettetelo subito in prigione". Il burattino, sentendosi dare questa sentenza fra capo e collo, rimase di princisbecco e voleva protestare: ma i gendarmi, a scanso di perditempi inutili, gli tapparono la bocca e lo condussero in gattabuia.

E lì v'ebbe a rimanere quattro mesi: quattro lunghissimi mesi: e vi sarebbe rimasto anche di più, se non si fosse dato un caso fortunatissimo. Perché bisogna sapere che il giovane Imperatore che regnava nella città di Acchiappa-citrulli, avendo riportato una gran vittoria contro i suoi nemici, ordinò grandi feste pubbliche, luminarie, fuochi artificiali, corse di barberi e velocipedi, e in segno di maggiore esultanza, volle che fossero aperte le carceri e mandati fuori tutti i malandrini.

- Se escono di prigione gli altri, voglio uscire anch'io, - disse Pinocchio al carceriere.
- Voi no, - rispose il carceriere - perché voi non siete del bel numero...
- Domando scusa, - replicò Pinocchio - sono un malandrino anch'io.
- In questo caso avete mille ragioni - disse il carceriere; e levandosi il berretto rispettosamente e salutandolo, gli aprì le porte della prigione e lo lasciò scappare.”

Questo episodio mi è tornato alla mente quando ho letto sui giornali che Salvatore S. di 40 anni, per il furto di un pacco di wafer in un discount, è stato condannato a 3 anni di reclusione con l’accusa di rapina impropria. L’uomo non ha potuto beneficiare dell'attenuante del danno lieve a causa della legge Cirielli che ha inasprito le pene per i recidivi. Era stato bloccato dagli addetti alla sicurezza di un discount di Melito, in provincia di Napoli, che lo avevano notato mentre rubava un pacco di biscotti del valore di 1,29 euro. Aveva tentato di fuggire, ma era stato immobilizzato e consegnato ai carabinieri. “Mi vergogno, avevo fame...” si è giustificato Salvatore, che è tossicodipendente e che in passato ha già riportato condanne per dei piccoli furti.

La sentenza è stata emessa il 9 luglio 2009 dal giudice monocratico di Marano, sezione distaccata del Tribunale di Napoli, al termine di un breve dibattimento. Assistito da un difensore di ufficio, l'imputato, che per l’accusa si trova agli arresti domiciliari, è stato condannato a 3 anni di carcere. Il giudice, in base alle norme sulla recidiva della Cirielli, che non consente in questi casi di concedere le attenuanti prevalenti, gli ha inflitto il minimo consentito dalla legge.

In soli 3 mesi, nel gennaio 2002, il governo Berlusconi potè varare un provvedimento in tema di gestione societaria, che norma la regolarità dei bilanci contabili. Nel provvedimento si parla di “falsità in bilancio, nelle relazioni o in altre comunicazioni sociali, consistente nel fatto degli amministratori, direttori generali, sindaci e liquidatori, i quali, nei bilanci, nelle relazioni o in altre comunicazioni sociali dirette ai soci o al pubblico, intenzionalmente espongono false informazioni sulla situazione economica, patrimoniale o finanziaria della società, o del gruppo al quale essa appartiene, ovvero occultano informazioni sulla situazione medesima, al fine di conseguire, per sé o per altri, un ingiusto profitto.”

Secondo il testo approvato nel 2002 si rivela indispensabile, ai fini della applicazione della pena, la prova dell’effettivo danno cagionato alla società e conseguentemente, in caso di mancata prova di danno, il reato si trasforma da delitto in contravvenzione. In ogni caso è prevista la condizione di procedibilità solo per querela da parte della società. Per chiunque non sia esperto di società di capitali, si specifica che, il danno conseguente alle false comunicazioni sociali si evidenzia soltanto nel corso degli esercizi successivi, e molto spesso - pur essendo reale - si rivela di difficilissima dimostrazione, se non tramite lunghe e costosissime indagini peritali.

Valutati i ristrettissimi termini di prescrizione, di fatto si è proceduto ad una sostanziale depenalizzazione dei reati societari, in netto contrasto con le leggi comunitarie che impongono piuttosto un maggiore rigore in merito, così da garantire la verità dei bilanci e quindi la sicurezza del sistema economico. Viene così ridotto l’ambito di applicazione delle norme penali in materia economica, in beffa al controllo - nell’interesse pubblico - delle attività imprenditoriali. La modifica legislativa che trasforma il reato da reato di pericolo (perseguibile a prescindere dall’esistenza di un danno) a reato di danno (punibile solo nel caso di prova del danno medesimo), in aggiunta alla riduzione delle pene e dei ridotti termini di prescrizione, di fatto sconvolge tutti i principi del diritto penale dell’economia sanciti da oltre un secolo.

Il professore Francesco Antolisei, considerato un maestro indiscusso nella materia, dichiarò che il reato di falso in bilancio, previsto come reato di pericolo, garantiva la tutela di un fascio complesso di interessi, cioè quelli della società, dei singoli soci e dei creditori, ma anche e soprattutto garantiva "l’interesse generale dell’economia del paese, per le ripercussioni che sull’economia stessa può avere il funzionamento delle società di commercio.” Le legge fu varata indisturbata e tutt'ora è vigente.

Pinocchio è ritenuta una storia per bambini ed è un classico della letteratura, ma la storia è stato interpretata anche come un’allegoria della società ottocentesca. Ma noi siamo sicuri che la favoletta non si adatti bene anche ai nostri tempi? Quando penso che in Italia un disperato deve scontare 3 anni di carcere per un furto da 1 euro e 29 centesimi, mentre un furbo che riesce ad accantonare dei "fondi neri" falsificando i bilanci societari se la cava con una semplice multa, mi chiedo se siamo tutti pari davanti alla legge oppure se qualcuno non sia invece dispari.
Buona erranza
Sharatan

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Sharatan