Lavorare sulla natura della famiglia e della stirpe equivale ad un lavoro sacro condotto sull’origine della nostra anima: è un lavoro rischioso e richiede molta abilità e coraggio. La letteratura spirituale avverte che è una via dura per la consapevolezza individuale, e si richiede che tale conoscenza sia fatta soltanto ad un livello molto avanzato di sviluppo, perciò è rischiosa per una mentalità insicura e impreparata.
Noi apparteniamo ad una famiglia, e questa famiglia appartiene ad una stirpe, e in questa stirpe vi è un’Anima collettiva, cioè vi è un’insieme di coscienze individuali che sono contenute nella sovracoscienza. Nella realtà spirituale si crede che l’individuo muoia riportando con sé il suo spirito, cioè l’essenza dell’anima, mentre lascia una parte della sua anima individuale che arricchisce la radice della sua stirpe, cioè l’Anima familiare.
L’anima del gruppo e della famiglia si arricchisce sempre del contributo dei suoi discendenti, e conserva la memoria degli avi e degli Antenati, così da costituire un’Essenza arricchita dai temperamenti particolari dei suoi membri, fino ad avere la forma di una “personalità” familiare particolare: un'unità cui partecipano tutti. Ogni cellula del nostro corpo contiene frammenti ancestrali, cioè delle serie di informazioni che provengono dagli Antenati, e perciò tale risonanza rimane nella nostra memoria, e viene rinforzata dalle informazioni che riceviamo dai nostri familiari unite ai condizionamenti dell’educazione con la quale siano allevati.
Vi è poi una legge biologica secondo la quale, negli organismo viventi si conservano le memorie della sua evoluzione, cioè tutte le tracce di informazioni che gli provengono dalle forme che ha assunto nel corso della sua evoluzione. A questo punto capiremo perché noi non siamo mai scelti casualmente, ma siamo accuratamente selezionati per interpretare un ruolo d’attore in una rappresentazione teatrale che può essere recitata solo da noi.
Noi siamo l’attore giusto, nel posto e momento giusto, e nel ruolo migliore per interpretare il miglior contesto per l’evoluzione della nostra anima. Da questa valutazione dovrebbe venire il coraggio di proseguire il nostro viaggio, e di credere nella bellezza delle nostre radici, anche se sono dure come pietra, e aspre come erbe di campo. E’ nella sofferenza che conosciamo la vita, perché il dolore degli altri sviluppa in noi la compassione e la comprensione, delle qualità a cui farà seguito la capacità di amare anche quello che non si può concepire, perché gli avremo restituito la dignità di essere.
All’interno di ogni sistema umano esistono leggi ancestrali, che non sono scritte in alcun luogo ma che si fissano tramite lo stesso condizionamento del sistema, e nei rapporti tra sistemi diversi: se osserviamo un gruppo di umani di qualsiasi connotazione noteremo la verità di queste affermazioni. Le leggi ancestrali non scritte sono i tre pilastri regolatori dei sistemi sociali umani, e sono: la Legge di Appartenenza, la Legge di Precedenza e la Legge di Equilibrio di dare e avere.
Secondo la Legge di Appartenenza noi abbiamo il diritto di fare parte di un sistema per il solo fatto di essere entrati a farne parte: questa legge è quella del passato più remoto e risale a milioni di anni fa quando vivevamo nel branco delle società tribali. Nella memoria cellulare dell’essere umano rimane vivo il ricordo di quando il nostro corpo viveva in armonia con il cosmo, di quando l’uomo era un elemento del processo naturale, di quando la società era organizzata secondo il modello tribale che conferiva un senso e un significato ad ogni evento naturale, di cui la vita e la morte erano gli estremi di un processo.
Conseguente alla prima legge vi era il divieto di esclusione dal gruppo di uno dei membri, e se un individuo veniva escluso dalla tribù, tutti i suoi discendenti ne seguivano il destino, perché il campo cosciente del sistema, cioè il suo spirito collettivo o Anima familiare, ripeteva l’evento affinché si potesse ricordare l’esclusione e così poter recuperare e reintegrare l’escluso. L’Anima familiare non ha connotazioni etiche o remore affettive, essa vive di energie, ed è per questo che è finalizzata solo a tenere unito il gruppo, e a continuarne la vita: è per questo motivo per cui essa sacrifica sempre il singolo in favore del gruppo.
La Legge di Precedenza è una regola universale ma anche familiare secondo la quale si deve riconoscere chi è arrivato per primo rispetto a chi arriva dopo, perciò sancisce la differenza tra i piccoli e i grandi del gruppo, perché è in grado di garantire la pace, l’armonia e la forza di tutto il sistema conferendo un ordine con cui si accede ai privilegi della famiglia. Se l’ordine vien rovinato da figli che divengono genitori dei padri o dall’ordine inverso, tutto il sistema viene turbato da una progenie malata di frustrazioni, di insoddisfazioni, o della rabbia repressa di una condizione di sicurezza che non si è goduta al momento giusto, e di cui si ha carenza.
L’ultima Legge dell’Equilibrio tra dare e ricevere riguarda il fatto che i conti in sospeso, in termini di torti arrecati o ricevuti dal gruppo familiare, vanno a ricadere sui discendenti, perché “le colpe dei padri ricadono sui figli” sempre. La dinamica sia personale che collettiva vede il riconoscimento del torto fatto o subito, con una conseguente riparazione o riconoscimento di dignità di esistere della vittima, con l’onore della memoria, anche se l’individuo che attua il gesto non conosce personalmente il fatto.
Queste leggi tribali sono coerenti con la teoria dei sistemi di Ludwig von Bertalanffy, secondo il quale un sistema vivente tende a riprodursi soprattutto se la sopravvivenza del sistema viene messa in pericolo e, per questo, esso mette in campo tutte le risorse necessarie per continuare ad esistere.
Nella vita, molte delle nostre energie vengono spese per gestire dinamiche familiari, perché i nostri genitori ci richiedono, esplicitamente o implicitamente, sin da quando siamo molto piccoli di assumere le ragioni dell’uno o dell’altro spingendo così noi figli in un dilemma lacerante per la scelta impossibile. Noi non possiamo scegliere tra loro due perché li amiamo d’eguale intensità, perché anche i loro difetti per noi diventano rari, perché loro sono la nostra stessa carne: come rinnegare o abiurare ad un parte di noi senza tradire tutti noi stessi?
Saremmo costretti ad uccidere nostra madre e l’anima femminile del mondo, o il padre e l’animus del maschile che vive in noi tutti in diversa mistura, e che esiste nel mondo fuori di noi, quando entrerà in gioco la nostra sessualità adulta. Molti dei problemi del nostro presente dipendono dei pesi familiari, secondo me, occuparsene sembrerebbe logico, per non dire che lo reputo un doveroso atto di egoismo, perché è dell‘egoismo sano di colui che si prende cura personalmente della qualità della propria vita.
Molti di questi problemi, diventano dei mali che affliggono le radici, che noi dobbiamo saper riconoscere ma poi lasciare andare: dobbiamo archiviare il passato! Nelle società tribali si viveva in famiglie allargate e tutto avveniva nel gruppo, quindi non potevano avvenire dei conflitti perché la coesione della famiglia o clan era prioritaria. Visto con mentalità moderna, vi era un controllo familiare soffocante che impediva ogni libertà e ogni indipendenza dell’individuo singolo, il quale non aveva possibilità di manifestare l’espressione delle sue emozioni e delle sue preferenze: tutto era finalizzato alla bruta sopravvivenza di vita.
Una persona adulta dovrebbe essere in grado di svincolarsi dalle dinamiche che ha ereditato dai genitori, altrimenti non saprà mai essere presente a se stesso e non potrà manifestare la propria vera essenza. Tutte queste dinamiche sono inconsce, chi le mette in atto non ne è consapevole, e quando le attua si comporta passivamente, per questo è necessario avviare un lavoro di “testimone” a noi stessi, risolverle e poi lasciare andare il passato.
Noi non siamo la copia dei genitori o della famiglia, siamo noi stessi, noi siamo persone con la nostra personalità e se avessimo una mentalità moderna e un’intelligenza mediamente sviluppata, dovremmo vivere credendo che l’essere umano sia qualcosa di meglio di un cavernicolo evoluto, perciò dovremmo credere che l'uomo possa affrancarsi da ogni passato.
Buona erranza
Sharatan
Noi apparteniamo ad una famiglia, e questa famiglia appartiene ad una stirpe, e in questa stirpe vi è un’Anima collettiva, cioè vi è un’insieme di coscienze individuali che sono contenute nella sovracoscienza. Nella realtà spirituale si crede che l’individuo muoia riportando con sé il suo spirito, cioè l’essenza dell’anima, mentre lascia una parte della sua anima individuale che arricchisce la radice della sua stirpe, cioè l’Anima familiare.
L’anima del gruppo e della famiglia si arricchisce sempre del contributo dei suoi discendenti, e conserva la memoria degli avi e degli Antenati, così da costituire un’Essenza arricchita dai temperamenti particolari dei suoi membri, fino ad avere la forma di una “personalità” familiare particolare: un'unità cui partecipano tutti. Ogni cellula del nostro corpo contiene frammenti ancestrali, cioè delle serie di informazioni che provengono dagli Antenati, e perciò tale risonanza rimane nella nostra memoria, e viene rinforzata dalle informazioni che riceviamo dai nostri familiari unite ai condizionamenti dell’educazione con la quale siano allevati.
Vi è poi una legge biologica secondo la quale, negli organismo viventi si conservano le memorie della sua evoluzione, cioè tutte le tracce di informazioni che gli provengono dalle forme che ha assunto nel corso della sua evoluzione. A questo punto capiremo perché noi non siamo mai scelti casualmente, ma siamo accuratamente selezionati per interpretare un ruolo d’attore in una rappresentazione teatrale che può essere recitata solo da noi.
Noi siamo l’attore giusto, nel posto e momento giusto, e nel ruolo migliore per interpretare il miglior contesto per l’evoluzione della nostra anima. Da questa valutazione dovrebbe venire il coraggio di proseguire il nostro viaggio, e di credere nella bellezza delle nostre radici, anche se sono dure come pietra, e aspre come erbe di campo. E’ nella sofferenza che conosciamo la vita, perché il dolore degli altri sviluppa in noi la compassione e la comprensione, delle qualità a cui farà seguito la capacità di amare anche quello che non si può concepire, perché gli avremo restituito la dignità di essere.
All’interno di ogni sistema umano esistono leggi ancestrali, che non sono scritte in alcun luogo ma che si fissano tramite lo stesso condizionamento del sistema, e nei rapporti tra sistemi diversi: se osserviamo un gruppo di umani di qualsiasi connotazione noteremo la verità di queste affermazioni. Le leggi ancestrali non scritte sono i tre pilastri regolatori dei sistemi sociali umani, e sono: la Legge di Appartenenza, la Legge di Precedenza e la Legge di Equilibrio di dare e avere.
Secondo la Legge di Appartenenza noi abbiamo il diritto di fare parte di un sistema per il solo fatto di essere entrati a farne parte: questa legge è quella del passato più remoto e risale a milioni di anni fa quando vivevamo nel branco delle società tribali. Nella memoria cellulare dell’essere umano rimane vivo il ricordo di quando il nostro corpo viveva in armonia con il cosmo, di quando l’uomo era un elemento del processo naturale, di quando la società era organizzata secondo il modello tribale che conferiva un senso e un significato ad ogni evento naturale, di cui la vita e la morte erano gli estremi di un processo.
Conseguente alla prima legge vi era il divieto di esclusione dal gruppo di uno dei membri, e se un individuo veniva escluso dalla tribù, tutti i suoi discendenti ne seguivano il destino, perché il campo cosciente del sistema, cioè il suo spirito collettivo o Anima familiare, ripeteva l’evento affinché si potesse ricordare l’esclusione e così poter recuperare e reintegrare l’escluso. L’Anima familiare non ha connotazioni etiche o remore affettive, essa vive di energie, ed è per questo che è finalizzata solo a tenere unito il gruppo, e a continuarne la vita: è per questo motivo per cui essa sacrifica sempre il singolo in favore del gruppo.
La Legge di Precedenza è una regola universale ma anche familiare secondo la quale si deve riconoscere chi è arrivato per primo rispetto a chi arriva dopo, perciò sancisce la differenza tra i piccoli e i grandi del gruppo, perché è in grado di garantire la pace, l’armonia e la forza di tutto il sistema conferendo un ordine con cui si accede ai privilegi della famiglia. Se l’ordine vien rovinato da figli che divengono genitori dei padri o dall’ordine inverso, tutto il sistema viene turbato da una progenie malata di frustrazioni, di insoddisfazioni, o della rabbia repressa di una condizione di sicurezza che non si è goduta al momento giusto, e di cui si ha carenza.
L’ultima Legge dell’Equilibrio tra dare e ricevere riguarda il fatto che i conti in sospeso, in termini di torti arrecati o ricevuti dal gruppo familiare, vanno a ricadere sui discendenti, perché “le colpe dei padri ricadono sui figli” sempre. La dinamica sia personale che collettiva vede il riconoscimento del torto fatto o subito, con una conseguente riparazione o riconoscimento di dignità di esistere della vittima, con l’onore della memoria, anche se l’individuo che attua il gesto non conosce personalmente il fatto.
Queste leggi tribali sono coerenti con la teoria dei sistemi di Ludwig von Bertalanffy, secondo il quale un sistema vivente tende a riprodursi soprattutto se la sopravvivenza del sistema viene messa in pericolo e, per questo, esso mette in campo tutte le risorse necessarie per continuare ad esistere.
Nella vita, molte delle nostre energie vengono spese per gestire dinamiche familiari, perché i nostri genitori ci richiedono, esplicitamente o implicitamente, sin da quando siamo molto piccoli di assumere le ragioni dell’uno o dell’altro spingendo così noi figli in un dilemma lacerante per la scelta impossibile. Noi non possiamo scegliere tra loro due perché li amiamo d’eguale intensità, perché anche i loro difetti per noi diventano rari, perché loro sono la nostra stessa carne: come rinnegare o abiurare ad un parte di noi senza tradire tutti noi stessi?
Saremmo costretti ad uccidere nostra madre e l’anima femminile del mondo, o il padre e l’animus del maschile che vive in noi tutti in diversa mistura, e che esiste nel mondo fuori di noi, quando entrerà in gioco la nostra sessualità adulta. Molti dei problemi del nostro presente dipendono dei pesi familiari, secondo me, occuparsene sembrerebbe logico, per non dire che lo reputo un doveroso atto di egoismo, perché è dell‘egoismo sano di colui che si prende cura personalmente della qualità della propria vita.
Molti di questi problemi, diventano dei mali che affliggono le radici, che noi dobbiamo saper riconoscere ma poi lasciare andare: dobbiamo archiviare il passato! Nelle società tribali si viveva in famiglie allargate e tutto avveniva nel gruppo, quindi non potevano avvenire dei conflitti perché la coesione della famiglia o clan era prioritaria. Visto con mentalità moderna, vi era un controllo familiare soffocante che impediva ogni libertà e ogni indipendenza dell’individuo singolo, il quale non aveva possibilità di manifestare l’espressione delle sue emozioni e delle sue preferenze: tutto era finalizzato alla bruta sopravvivenza di vita.
Una persona adulta dovrebbe essere in grado di svincolarsi dalle dinamiche che ha ereditato dai genitori, altrimenti non saprà mai essere presente a se stesso e non potrà manifestare la propria vera essenza. Tutte queste dinamiche sono inconsce, chi le mette in atto non ne è consapevole, e quando le attua si comporta passivamente, per questo è necessario avviare un lavoro di “testimone” a noi stessi, risolverle e poi lasciare andare il passato.
Noi non siamo la copia dei genitori o della famiglia, siamo noi stessi, noi siamo persone con la nostra personalità e se avessimo una mentalità moderna e un’intelligenza mediamente sviluppata, dovremmo vivere credendo che l’essere umano sia qualcosa di meglio di un cavernicolo evoluto, perciò dovremmo credere che l'uomo possa affrancarsi da ogni passato.
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