martedì 6 luglio 2010

Nella bellezza del mondo


La nostra civiltà soffre di due eccessi caratteriali, cioè di nevrosi oppure di depressione: in realtà il malessere mentale è divenuto una condizione comune, e tale malessere è destinato ad aumentare con l’accellerazione dei fenomeni sociali e culturali, e per la massa di informazioni che siamo chiamati a fronteggiare.

Ma quante delle cose che ci riempiono gli occhi e le orecchie vale la pena di ritenere, quali sono le migliori da recepire e da applicare praticamente? Quali sono le cose che meritano la fatica di essere conservate nella mente?

Perlopiù la gente si limita ad immagazzinare immagini, concetti e parole, anche se pochi dei concetti uditi e delle immagini catturate con lo sguardo valgono veramente la pena di essere conservati. Il consiglio migliore rimane quello di staccare la spina in alcuni momenti della nostra giornata per fare un punto della situazione e placare la confusione mentale.

Sarebbe una buona pratica per la nostra vita, almeno per una piccola parte del nostro tempo libero, anche solo per poche decine di minuti, anche se sarebbe la cosa ottimale un tempo maggiore. Allora dobbiamo imparare a chiudere la porta mentale, e chiudere tutti i cinque sensi al mondo, per poter tornare in noi.

Nella psicologia Jean Piaget insegna che una condotta intelligente è costituita da due fasi essenziali. Nella prima fase si attua una assimilazione dei dati percettivi ma poi, nella seconda fase si deve operare un accomodamento dei dati immagazzinati nelle strutture mentali preesistenti, per poterle perfezionare con l’apporto dei nuovi dati conoscitivi.

Se non operiamo queste due fasi intellettive non avremo alcun ampliamento e nessun arricchimento della nostra intelligenza: il meccanismo della macchina pensante non viene mai adeguato, perciò resta desueto rispetto al mondo.

Messe le cose in questo modo ci ritroveremo a riflettere su quanto sia intelligente la nostra condotta intellettiva, di quanto siamo adeguati riguardo al mondo. E il mondo in cui viviamo dimostra di essere intelligente? Io non credo che lo sia, se veniamo forzatamente ingozzati di nozioni e di stupidità per farci divenire sempre più stupidi e passivi.

La nostra mente moderna viene manipolata con un rimpinzamento forzato di suoni e di nozioni, al punto che siamo disabituati a sviluppare una condotta intelligente di vita, sia al nostro interno che all’esterno: è per questa ragione che la nostra mente moderna sviluppa delle nevrosi o delle depressioni.

In realtà noi mangiamo non solo con la bocca ma con tutti i cinque sensi, perché i nostri occhi si riempiono di immagini, le orecchie si saturano di suoni e di rumori. Noi tocchiamo tutto quello con cui vogliamo avere contatto e connessione, perciò i nostri polpastrelli sono come dei radar percettivi che assorbono delle superfici lisce o ruvide, concave o convesse, calde o fredde, dure o morbide, etc.

Per non parlare poi dei nostri nasi che ormai sono completamente ubriacati dai fumi dei tubi di scappamento delle nostre automobili, e dagli altri miasmi che emanano le nostre città caotiche sempre più povere di verde, di alberi e di fiori dove potersi ritemprare in mezzo ad un fazzoletto di natura, e in cui portare a correre e giocare i nostri bambini.

Messe così le cose possiamo dire che l’uomo stia vivendo odiernamente in un mondo ospitale? Ovviamente la domanda è retorica perché si può rispondere solamente un No! Comunque sia, è questa la condizione in cui vive oggi l’uomo e, vivendo così la mente dell’uomo moderno, non essendo nella sua condizione naturale, si ribella e va in corto circuito, perciò diventa nevrotica oppure depressa.

E, nelle due condizioni di disagiata reazione, dimostra di non essere più intelligente anche se, poverina, qualcosa cerca pure di fare per tornare alla sua condizione equilibrata. Nella condizione di nevrosi la mente moderna cerca di tenere il passo ed arranca disperatamente per tenere un ritmo che non riesce a sostenere, perciò fallisce la performance.

Nella condizione depressa invece la mente si sente disperata perché teme, oppure sente che non può iniziare alcuna marcia, perciò neppure inizia un piccolo percorso, e si chuide in una tana buia facendo una perpetua quanto sterile incubazione mentale.

Ma, una mente così squilibrata non è quella naturale, poiché non è quella che può divenire equilibrata, come lo era quella dell’uomo arcaico che viveva in completa simbiosi con la natura, e con i suoi ritmi naturali di sviluppo, e perciò possedeva pace, amore e gioia sia nel mondo interno che in quello esterno.

Nell’alchimia cinese si afferma che l’adepto deve tener conto di tre realtà interne per potersi riequilibrare. “Hsing” è tutta la serie di disposizioni interne, o se vogliamo è la consapevolezza dei nostri talenti che sono le disposizioni caratteriali a cui dobbiamo dare sfogo e manifestazione.

Vi è poi la qualità del nostro “ch’i” che è il soffio vitale che il nostro corpo è in grado di contenere, e a cui può dare sfogo, che è poi la portata della nostra fornace interna. E’ qui che abbiamo la potenza e la capacità di dosare il calore del forno interno con cui possiamo cuocere dei buoni cibi, ed è questa l’energia che circola nell’uomo e nell’universo di cui la saggezze antica ci invita ad imparare ad impratichirci.

Così il taoismo c’invita a divenire abili fuochisti del calore a cui sottoponiamo il crogiuolo della purificazione interna per ottenere solo il raffinamento delle nostre migliori qualità, così questa sapienza antica c’invita a cucinare solo degli ottimi cibi per divenire il "pane di vita" di noi e degli altri.

Vi è infine lo “shen” che è l’obiettivo dell’intera trasformazione alchemica, che è poi il risveglio delle forze spirituali che sono vivificate dalla loro unione con la nostra Via che è il nostro Tao. Chang Po-Tuan nel classico dell’alchimia taoista Wu Zhen Pian indica un percorso così come viene praticato nella Scuola della Realtà Completa o Quan Zhen, per cui afferma:

“Nei praticanti del Tao, il ritorno al giusto equilibrio da parte della rigidità della vera conoscenza è come il solstizio d’autunno; il ritorno al giusto equilibrio da parte della flessibilità della conoscenza consapevole è come il solstizio di primavera. Il recupero del giusto equilibrio da parte della vera conoscenza e della conoscenza consapevole è come il premio della primavera e la punizione dell’autunno.”

L’alchimia taoista che è il prodotto di un continente in cui era raro trovare dei momenti di requie e di pace dai conflitti sociali e dagli sconvolgimenti politici, è in qualche modo paragonabile al nostro. Certo che l’affermazione è un pochino forte, e si potrebbe sottilizzare lungamente che l’esempio non è assolutamente calzante, poiché i contesti, le condizioni e le situazioni storiche, e perfino le mentalità, sono assolutamente non paragonabili tra di loro.

Va bene, ammetto che l’astrazione ha del funambolico mentale però, si permetta l’astrazione assoluta dai particolari detti sopra e valutiamo dall'alto: in entrambi i contesti, all’uomo si presentano delle condizioni ostili alla sua vera natura, che è stata creata per avere pace, amore e gioia.

Se ragioniamo liberamente e ariosamente con questa somma astrazione, è allora che appare come le condizioni siano perfettamente paragonabili poiché sono identiche. E chiediamoci quanto può esserci amico un mondo che ci priva dei due solstizi essenziali per il corso del Tao, cioè dei nostri solstizi di primavera e di autunno?

A questo punto devo ripetere la domanda: Quanto è amico un mondo che ci ruba i nostri due solstizi naturali, che ci priva dei premi e delle punizioni che si alternano nel loro giusto corso, che è poi il percorso con cui possiamo attuare il nostro giusto equilibrio, poiché “la medicina è foggiata su questo” e non sul mondo privo di bellezza in cui ci fanno vivere.

Buona erranza
Sharatan


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