Shneur Tzalman di Lyady era il maestro di un gruppo di iniziati mistici, ed era amico del maestro Menachem Mendel e del maestro Levi Izhak: i tre erano membri del consiglio dei saggi della loro comunità. Un giorno si riunirono insieme per discutere su come trovare il denaro per dare la dote ad una giovane orfana, poiché la giovane non poteva sposarsi. I tre mistici cabalisti non erano affatto persone astruse dai problemi materiali della comunità e si presero molto a cuore questa causa caritatevole.
La dote era una necessità a cui non si poteva ovviare in alcuna maniera, e la questione sarebbe rimasta insoluta se loro non avessero trovato una soluzione: la problematica li assorbiva profondamente, perciò si riunirono a discutere su una possibile soluzione. Alla fine il maestro Shneur Tzalman disse di avere la soluzione: “Ho deciso. Nessuno tra quelli che conosciamo può fare una buona donazione, chiederò il denaro all’unico che ha una ricchezza sufficiente per aiutarci. Andrò dall’avaro che vive nell’enorme casa ai margini della città.”
I suoi amici rimasero sbalorditi, e Menachem Mendel gli disse: “Cosa dici? Non puoi andare dall’avaro, non ti darà nulla, e non si farà sfuggire l’occasione per umiliarti.” A quelle parole, anche il maestro Levi Izhak cercò di dissuaderlo: “Maestro, non puoi lasciare che il tuo onore sia umiliato da un individuo simile. Non andare, dovresti affrontare una umiliazione sicura.” Shneur Tzalman di Lyady era deciso, e non si lasciò persuadere affatto. Allora gli chiesero di poterlo almeno accompagnare per difenderlo dal peggio.
Quando i tre santi uomini furono giunti alla porta dell’avaro, e chiesero di essere ricevuti ebbero la felice sorpresa di essere ricevuti con tutti gli onori, infatti gli vennero servite delle bevande e del cibo di prima qualità. Furono fatti accomodare in una elegante sala da ricevimento, e furono intrattenuti dall’avaro con una conversazione amabile e cortese. Dopo essersi intrattenuti il tempo necessario richiesto dalla cortesia dell‘ospitalità, Shneur Tzalman fece la sua richiesta di contributo per la dote della giovane orfana.
Alla richiesta l’avaro diventò meno cordiale, la sua voce si fece dura e aspra, ma disse che avrebbe contribuito secondo le sue possibilità, quindi uscì dalla sala per tornare subito dopo. I mistici restarono attoniti quando videro che l'uomo tornava per lanciare sgarbatamente, a Shneur Tzalman, una piccola moneta di rame mentre diceva: “Questo è tutto quello che vi dono, e adesso andatevene!” A quella sgarbata maniera, gli amici di Shneur Tzalman arsero dallo sdegno, e volevano andare a picchiare l’uomo.
Il saggio maestro riuscì a trattenerli con un gesto della mano, poi raccolse a mani giunte la piccola moneta e fece un bel sorriso all‘uomo: “Grazie per il tuo contributo. Ne sono felice, te ne ringrazio, e lo apprezzo di vero cuore.” Dopo avere ringraziato con educazione, Shneur Tzalman si affrettò a lasciare la casa dell’avaro seguito dai suoi amici sempre più sorpresi per la mite reazione dell’amico, e i rabbini avrebbero ricominciato con le lamentele per non avergli permesso di vendicarlo, quando un rumore di passi e un richiamo, li fermò.
L’uomo avaro li aveva seguiti per lanciare ancora due monete a Shneur Tzalman, dicendo che voleva aggiungerle al suo contributo, e anche questa somma era veramente misera, ma Shneur Tzalman lo ringraziò con lo stesso calore, e fece per andare. Ancora una volta l’avaro lo fermò offrendo una somma maggiore che fu accolta con la gioia dal saggio rabbino, e dopo altri richiami seguiti dai gentili ringraziamenti del sant’uomo, finalmente l’avaro consegnò una borsa con una somma generosa che diventò il totale di una dote cospicua che permetteva il matrimonio della giovane orfana.
Mentre tornavano verso casa i due rabbini, Menachem Mendel e Levi Izhak, erano veramente esterrefatti dalla donazione generosa da parte di un uomo conosciuto come avaro senza cuore, e Menachem Mendel disse a Shneur Tzalman: “Veramente non possiamo crederlo. Ma come hai fatto?” Anche Levi Izhak non potè contenersi e disse: “Sicuramente hai usato una formula d’incantesimo. Hai usato una misteriosa magia per ottenere tanto denaro?” Shneur Tzalman di Lyady sorrise e disse:”Nessun incantesimo e nessuna magia. Non era affatto necessario, io sono un cabalista. Essere un cabalista significa essere pronti ad accogliere tutto ciò che l’altro vuole donarci, e saperlo apprezzare nel momento in cui l’altro ce lo offre.”
Questa storia della tradizione chassidica insegna che spesso non siamo in grado di accogliere gli altri, perché ci facciamo condizionare dal giudizio e dall’indifferenza per il modo di ragionare e di essere dell‘altro. Siamo talmente abituati a vedere solo il livello superficiale delle persone che non sappiamo eliminare le nostre preconcezioni e le aspettative che nutriamo per onoscerli pienamente. Nell’ascoltare non siamo recettivi perché non vogliamo accettare il fatto che le persone sono costituite da luci e da ombre, e che sono come sono: nell’accettazione piena non è previsto di cambiare gli altri per farli diventare come vorremmo fossero.
Se ci pensiamo anche noi siamo degli esseri imperfetti, perciò dobbiamo migliorare, ma questo non avviene per la volontà altrui: le persone sono come sono perciò vanno accolte e rispettate per il loro essere: spesso si cade nella recriminazione perché l’altro non si comporta come noi vorremmo, perciò nasce una scissione in cui l’uno chiede all’altro ciò che non gli può dare. Un atto di maturità e di rispetto prevede che una reciproca accettazione è possibile solo se sappiamo accettare ciò che viene per come gli altri ce lo sanno offrire: questa è una delle cose più difficile da imparare, infatti vorremmo ciò che il nostro egoismo reclama e siamo disinteressati al bene dell’altro.
Per sapere accettare gli altri è necessario sapersi distaccare dall'egoismo, dobbiamo amare le cose che fanno felice l’altro e non imporre le scelte che gratificano il nostro egoismo, infatti se vogliamo ascoltare gli altri dobbiamo saper tacere. Se facciamo tacere la nostra personale gratificazione e il nostro egocentrismo ci accorgiamo che l’accettazione è la massima gioia e il maggior desiderio di ogni essere umano, poiché è così che l’uomo si sente divinamente amato.
Buona erranza
Sharatan
La dote era una necessità a cui non si poteva ovviare in alcuna maniera, e la questione sarebbe rimasta insoluta se loro non avessero trovato una soluzione: la problematica li assorbiva profondamente, perciò si riunirono a discutere su una possibile soluzione. Alla fine il maestro Shneur Tzalman disse di avere la soluzione: “Ho deciso. Nessuno tra quelli che conosciamo può fare una buona donazione, chiederò il denaro all’unico che ha una ricchezza sufficiente per aiutarci. Andrò dall’avaro che vive nell’enorme casa ai margini della città.”
I suoi amici rimasero sbalorditi, e Menachem Mendel gli disse: “Cosa dici? Non puoi andare dall’avaro, non ti darà nulla, e non si farà sfuggire l’occasione per umiliarti.” A quelle parole, anche il maestro Levi Izhak cercò di dissuaderlo: “Maestro, non puoi lasciare che il tuo onore sia umiliato da un individuo simile. Non andare, dovresti affrontare una umiliazione sicura.” Shneur Tzalman di Lyady era deciso, e non si lasciò persuadere affatto. Allora gli chiesero di poterlo almeno accompagnare per difenderlo dal peggio.
Quando i tre santi uomini furono giunti alla porta dell’avaro, e chiesero di essere ricevuti ebbero la felice sorpresa di essere ricevuti con tutti gli onori, infatti gli vennero servite delle bevande e del cibo di prima qualità. Furono fatti accomodare in una elegante sala da ricevimento, e furono intrattenuti dall’avaro con una conversazione amabile e cortese. Dopo essersi intrattenuti il tempo necessario richiesto dalla cortesia dell‘ospitalità, Shneur Tzalman fece la sua richiesta di contributo per la dote della giovane orfana.
Alla richiesta l’avaro diventò meno cordiale, la sua voce si fece dura e aspra, ma disse che avrebbe contribuito secondo le sue possibilità, quindi uscì dalla sala per tornare subito dopo. I mistici restarono attoniti quando videro che l'uomo tornava per lanciare sgarbatamente, a Shneur Tzalman, una piccola moneta di rame mentre diceva: “Questo è tutto quello che vi dono, e adesso andatevene!” A quella sgarbata maniera, gli amici di Shneur Tzalman arsero dallo sdegno, e volevano andare a picchiare l’uomo.
Il saggio maestro riuscì a trattenerli con un gesto della mano, poi raccolse a mani giunte la piccola moneta e fece un bel sorriso all‘uomo: “Grazie per il tuo contributo. Ne sono felice, te ne ringrazio, e lo apprezzo di vero cuore.” Dopo avere ringraziato con educazione, Shneur Tzalman si affrettò a lasciare la casa dell’avaro seguito dai suoi amici sempre più sorpresi per la mite reazione dell’amico, e i rabbini avrebbero ricominciato con le lamentele per non avergli permesso di vendicarlo, quando un rumore di passi e un richiamo, li fermò.
L’uomo avaro li aveva seguiti per lanciare ancora due monete a Shneur Tzalman, dicendo che voleva aggiungerle al suo contributo, e anche questa somma era veramente misera, ma Shneur Tzalman lo ringraziò con lo stesso calore, e fece per andare. Ancora una volta l’avaro lo fermò offrendo una somma maggiore che fu accolta con la gioia dal saggio rabbino, e dopo altri richiami seguiti dai gentili ringraziamenti del sant’uomo, finalmente l’avaro consegnò una borsa con una somma generosa che diventò il totale di una dote cospicua che permetteva il matrimonio della giovane orfana.
Mentre tornavano verso casa i due rabbini, Menachem Mendel e Levi Izhak, erano veramente esterrefatti dalla donazione generosa da parte di un uomo conosciuto come avaro senza cuore, e Menachem Mendel disse a Shneur Tzalman: “Veramente non possiamo crederlo. Ma come hai fatto?” Anche Levi Izhak non potè contenersi e disse: “Sicuramente hai usato una formula d’incantesimo. Hai usato una misteriosa magia per ottenere tanto denaro?” Shneur Tzalman di Lyady sorrise e disse:”Nessun incantesimo e nessuna magia. Non era affatto necessario, io sono un cabalista. Essere un cabalista significa essere pronti ad accogliere tutto ciò che l’altro vuole donarci, e saperlo apprezzare nel momento in cui l’altro ce lo offre.”
Questa storia della tradizione chassidica insegna che spesso non siamo in grado di accogliere gli altri, perché ci facciamo condizionare dal giudizio e dall’indifferenza per il modo di ragionare e di essere dell‘altro. Siamo talmente abituati a vedere solo il livello superficiale delle persone che non sappiamo eliminare le nostre preconcezioni e le aspettative che nutriamo per onoscerli pienamente. Nell’ascoltare non siamo recettivi perché non vogliamo accettare il fatto che le persone sono costituite da luci e da ombre, e che sono come sono: nell’accettazione piena non è previsto di cambiare gli altri per farli diventare come vorremmo fossero.
Se ci pensiamo anche noi siamo degli esseri imperfetti, perciò dobbiamo migliorare, ma questo non avviene per la volontà altrui: le persone sono come sono perciò vanno accolte e rispettate per il loro essere: spesso si cade nella recriminazione perché l’altro non si comporta come noi vorremmo, perciò nasce una scissione in cui l’uno chiede all’altro ciò che non gli può dare. Un atto di maturità e di rispetto prevede che una reciproca accettazione è possibile solo se sappiamo accettare ciò che viene per come gli altri ce lo sanno offrire: questa è una delle cose più difficile da imparare, infatti vorremmo ciò che il nostro egoismo reclama e siamo disinteressati al bene dell’altro.
Per sapere accettare gli altri è necessario sapersi distaccare dall'egoismo, dobbiamo amare le cose che fanno felice l’altro e non imporre le scelte che gratificano il nostro egoismo, infatti se vogliamo ascoltare gli altri dobbiamo saper tacere. Se facciamo tacere la nostra personale gratificazione e il nostro egocentrismo ci accorgiamo che l’accettazione è la massima gioia e il maggior desiderio di ogni essere umano, poiché è così che l’uomo si sente divinamente amato.
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Sharatan
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