mercoledì 26 giugno 2013

Il nettare degli immortali



Il nome Wang significa “re” ma, per ironia del destino, un nome così altisonante fu dato ad un contadino che viveva in una misera casa al centro di un piccolo terreno nella valle del fiume Wei. Il poveraccio faticava duramente su una terra sassosa che gli dava uno stentato raccolto con cui viveva con grande difficoltà. Non poteva sfamarsi sempre in modo soddisfacente, perciò pensava che il Dio del destino lo avesse in odio.

Malgrado la sua miseria, Wang era un uomo molto generoso che accoglieva i mendicanti e che offriva una briciola anche ai passeri del cielo. La sera Wang si addormentava stremato dalla fatica, e una notte gli apparve in sogno un passero che gli disse che la fortuna stava girando finalmente in suo favore.

Gli disse di uscire di casa, perché gli Otto Immortali si erano messi in viaggio e stavano arrivando vicino alla sua casa. Wang si svegliò sentendo che un uccello stava beccando alla sua porta, perciò si alzò, corse alla porta e la spalancò per guardare fuori. Alla luce della luna vide che otto sagome scure si stagliavano nella notte, e che avanzavano silenziosamente.

Guardando meglio e contando, verificò che c'erano otto ombre sul sentiero del villaggio. Wang indossò la casacca, il mantello, afferrò la borsa e il bastone e si lanciò sulle orme delle ombre misteriose. Mentre procedeva con passi felpati, Wang pensava alle parole del passero. Considerò che i misteriosi viandanti potevano essere gli Immortali, ma potevano essere anche dei ladri notturni in cerca di un bottino.

Wang temeva di essere all'inseguimento di pericolosi banditi, perciò si teneva a distanza di sicurezza. Poi la nube che copriva la luna si dissolse. e la luce offrì una migliore visione, Wang osservò meglio il gruppo riconoscendo Zhang Guo Lao che apriva il corteo in groppa alla sua mula bianca.

Poi veniva Li Tieguai che camminava zoppicando e appoggiandosi alla sua stampella di ferro. Wang riconobbe facilmente i due immortali più famosi, perciò continuò a seguire il gruppo con più fiducia, ma con la prudenza di prima. Pensava che gli Otto stavano tornando nel Regno degli Immortali dove tutti vivono nella gioia.

Di quel regno si diceva che fosse sempre in festa, e che tutti i suoi abitanti fossero giovani e felici, perciò la spensieratezza e la gioia erano unite alla perenne giovinezza. Camminando nella notte, il gruppo arrivò alle sponde del fiume Wei, perciò Zhang Guo Lao tirò le redini alla sua mula, e disse:

“Ohhhh! Vai piano bella mia! Cammina piano, altrimenti schizziamo di fango gli abiti dei nostri compagni.” Sotto lo sguardo sbigottito di Wang, si vide la mula bianca attraversare il fiume sfiorando appena l’acqua. E poi si videro anche gli altri sette Immortali attraversare le acque impetuose del fiume senza neppure bagnarsi le vesti.

All’improvviso si sentì il mendicante zoppo Li Tieguai dire ai suoi compagni: ”Cosa ne facciamo del mortale che ci segue?” A quelle parole Wang restò immobile come se fosse diventato di sasso, infatti non capiva come avessero potuto notare la sua discreta presenza. Era stato prudente e silenzioso, ma la sua prudenza non poteva nulla contro i poteri degli Immortali.

Wang sentì che la signora protettrice dei maghi, la dama He Xiangu, rispondeva a Li Tieguai: “E cosa ne vorresti fare? Se è pronto può oltrepassare il fiume e raggiungere l’altra riva, altrimenti resterà qui. Sottoponilo alla prova e vediamo!” A quel punto il taoista zoppo fece cenno a Wang di avvicinarsi e gli disse:

“Ascoltami bene. Per attraversare il fiume senza affogare nelle acque devi esaudire tre condizioni. La prima condizione è che potrai camminare sulle acque se guarderai fisso davanti a te e se non avrai pensieri impuri. Sei in grado di farlo?” Wang fece di si con la testa, perché la prospettiva di entrare nel Regno degli Immortali gli dava la forza di fare qualsiasi cosa.

Li Tieguai dettò la seconda condizione: “La seconda condizione è che devi essere pronto a lasciare qualsiasi cosa possiedi senza avere nessun rimpianto per quello che lasci.” A quelle parole Wang gli rispose: “La seconda condizione è ancora più facile della prima, perché io possiedo molto poco. Non credo che sarà difficile da fare.” E per confermare ciò che diceva gettò nelle acque vorticose del fiume la borsa e il bastone.

A quel gesto, il viso dell’immortale zoppo si illuminò con un sorriso sarcastico, poi stappò la sua zucca e disse: “Credo che la terza condizione sia più complessa. Devi bere un sorso di questa medicina che rende puro il corpo, perciò tu diventerai più leggero di una foglia in autunno. Metti le mani a coppa!”

L’immortale zoppo versò nel palmo delle sue mani un liquido vischioso, verdastro e puzzolente. Il povero Wang conosceva le storie dei leggendari liquori che gli dei distillavano, perciò si aspettava di ricevere un meraviglioso elisir. Alla vista di quel disgustoso intruglio restò basìto, ma ugualmente portò le mani alle labbra, però lo stomaco gli si ribellò, e fu preso da un violento conato di vomito.

Il puzzolente liquido che Li Tieguai aveva versato, gli colò dalle dita cadendo a terra. Quando Wang vide che l’orribile mistura cadeva, si affrettò a lavare le mani nell’acqua del fiume per togliere il puzzo dalle dita. A quel punto l’immortale zoppo urlò sdegnato:

“Ottuso miserabile, hai gettato via il prezioso Nettare dell’Immortalità. Hai sprecato la più meravigliosa bevanda che un mortale possa desiderare. Questo elisir è stato preparato dalla Regina Madre dell’Occidente con tutta la sua cura e la sua sapienza. Sei un essere ottuso che non sa vedere oltre le apparenze, perciò non sei degno di seguirci.”

A quelle parole sdegnate, Wang si sentì morire e supplicò: “Vi prego e vi supplico. Datemi una seconda possibilità!” Ma Li Tieguai replicò sarcastico: “Credo che tu abbia già una seconda possibilità nelle tue mani. Cerca di farne un buon uso!”Dopo aver detto quelle misteriose parole, l’immortale scomparve zoppicando nella notte sulle tracce dei suoi compagni.

Dopo averlo visto scomparire, Wang si guardò le mani e vide che esse brillavano di una luce risplendente come se fossero illuminate da mille lampade di giada. Non fu necessario molto tempo perché il povero contadino comprendesse quello che l’immortale voleva dire. Le sue mani aveva acquistato un grande potere, perché erano diventate capaci di lenire i dolori e di curare le malattie.

Le sue mani da contadino erano diventate le mani di un guaritore, perciò un buon uso le fece diventare le mani di un medico famoso. Wang non aveva dimenticato il suo passato di stenti e di miseria, perciò usò il suo potere curativo con saggezza. Si faceva pagare bene dai potenti e diventò un uomo agiato che non dimenticò di aiutare la povera gente con la sua ricchezza.

Si astenne sempre da ogni pensiero egoista e praticò sempre la compassione, perciò praticò la condizione primaria che è richiesta per raggiungere la riva degli Immortali. La bonaria disposizione del suo cuore fu la sua salvezza, perché lo zoppo Ma Li Tieguai venne molte volte a controllarlo, dissimulandosi sotto false spoglie.

Per sondare il suo cuore, Ma Li implorò di essere curato dichiarandosi solo, malato e disperato. Wang lo accolse, lo rifocillò e lo curò gratuitamente: e questa fu la sua fortuna, perché se avesse agito diversamente avrebbe perso immediatamente tutti i suoi poteri. La generosità e i meriti che egli accumulò gli permisero di entrare nella via dell’eterna giovinezza.

Comunque sia, il suo nome diventò famoso come Wang, il Re dalle Dita d’Oro, e gli viene attribuita la paternità dell’agopuntura fatta con la pressione delle dita. Questa disciplina è conosciuta meglio con il nome giapponese di Shiatsu, e questa arte curativa fu la via con cui Wang riuscì a conquistare l’immortalità.

Buona erranza
Sharatan

venerdì 21 giugno 2013

La luce della materia



"Voi siete la luce del mondo ...
così risplenda la vostra luce davanti agli uomini,
perché essi ve­dano le vostre opere buone
e rendano gloria al vostro Padre che è nei cieli."
(Matteo 5, 15-16)

L'essenza della vita e della vitalità dell'organismo si vedono nell'aura che esso irradia, perché la sua aura diffonde la ricchezza delle sue qualità, e mostra concretamente queste qualità nelle sue opere. Ogni manifestazione di vita è sempre collegata ai movimenti di espansione e di irradiamento dei corpi, perciò l'aura si mostra come l'alone più o meno luminoso che circonda i viventi.

La luce che emaniamo esprime la qualità del mondo che ospitiamo internamente, perciò risolve il mistero della qualità dell'essere, in quanto si emana la luce della materia che prevale maggiormente nell'organismo. Dicendo "aura" indichiamo dei corpi diversi, perché non c'è un solo tipo di aura, ma ne esistono diverse aure prodotte dai vari corpi che ci compongono.

Le aure si compenetrano e si contengono reciprocamente, e appaiono simili a strati di cipolla che si contengono uno nell'altro formando il bulbo dell'ortaggio. Il corpo emette vari tipi di radiazioni che hanno colore diverso e con uno spessore che è più o meno sottile a seconda della sua distanza dal corpo materiale.

Ognuno possiede diversi livelli di vita che si mostrano come emanazione di radiazioni correlate alla qualità delle energie che circolano nell'organismo. Va saputo che, oltre al corpo fisico, esistono altri 6 livelli energetici, perciò ogni corpo riflette un diverso livello, perciò la nostra costituzione si esprime con 7 livelli di vita e di energia diversi.

L'aura più densa è l'aura vitale o eterica che è situata in vicinanza del corpo materiale e che mostra il livello di vitalità fisica che l'organismo possiede. Le informazioni che questa aura trasmette - in relazione al corpo stesso - sono di tipo strutturale e funzionale, infatti essa mostra la qualità del circuito elettrico, sebbene la dimostrazione venga espressa a livello extracorporeo.

L'aura eterica contiene il corpo fisico così come un guanto contiene la mano, perciò comunemente anche la sua luminosità si propaga a pochi centimetri dal corpo. La sua luce appare come un esile filo di fumo grigio, perciò la sua opacità è grigio-azzurrina con sfumature argentate.

L'aura astrale è l'emanazione che viene dalle nostre emozioni, perciò è un tipo di materia molto fluidificata che ingloba e che contiene il corpo fisico. La sua radianza si estende per circa 1 metro e mezzo dal corpo fisico e la sua forma è molto mobile e sfumata, perché essa rispecchia le emozioni e muta seguendo le passioni dell'uomo.

L'aura eterica riflette l'ego inferiore nelle qualità della personalità dell'individuo, perciò è l'aura più tumultuosa. Ogni vibrazione emozionale diventa come una tempesta nella natura affettiva interiore, perciò può esprimersi come una bufera di passioni tumultuose.

Questa aura dell'impermanenza e della trasformazione segue il ritmo delle emozioni sottili che percepiamo. Sebbene essa presenti una forma che somiglia alla sagoma del corpo, la sua forma può avere sgradevoli escrescenze e protuberanze che sono causate dal turbamento prodotto dalle emozioni negative.

Salendo vediamo l'aura mentale che riflette il nostro livello esistenziale, perciò questa guaina avvolge le guaine precedenti e il guscio dell'aura mentale si estende circa per 2 metri dal corpo. La sua forma è umanoide soprattutto nella parte superiore, perciò una disarmonia delle sue proporzioni ci mostra che esiste una tendenza disarmonica nell'essere.

Quest'aura ha un colore giallastro più o meno intenso che è correlato all'intelligenza posseduta,infatti mostra la qualità dei ragionamenti e dei processi mentali. E poi abbiamo l'aura causale che mostra la qualità del rapporto che abbiamo con il mondo delle cause, perciò essa ci mostra anche la qualità dei nostri affetti. Questo è il livello della causa prima dell'essere.

E'in questo livello che si mostra la caratteristica e la nota dominante dell'essere, infatti qui vediamo anche disarmonie o patologie specifiche che possono affliggere l'individuo. Questo livello è collegato alla realtà karmica e al bagaglio di esperienze che ci portiamo dietro dalle vite precedenti, perciò a questo livello l'energia vive l'aspetto più inconscio.

Qui sono conservate le nostra più antiche e profonde acquisizioni, infatti vi sono conservate le tendenze e le capacità con le quali o contro le quali dobbiamo agire per proseguire il nostro cammino evolutivo. In questo luogo non troviamo alcuna energia di cui si possa dire che venga subìta come fatalità, perché qui si vedono quali passi o quali punti di riferimento dobbiamo acquisire per fare i salti epocali dell'evoluzione personale.

L'aura causale ingloba tutte le altre emanazioni, perciò la sua estensione è di 2-3 metri oltre il corpo fisico. La sua forma è mobile a somiglia a quella del trapezio col lato inferiore per base, perciò la sua sagoma è una figura umana dalle spalle possenti. Con questo 5° livello energetico finisce il livello dei corpi collegati alle energie dell'ego inferiore, e inizia un progresso che supera lo stadio umano e che ascende al livello semidivino.

I livelli di radianza superiore sono mostrati da 2 aure che risultano come emanazioni di straordinaria energia d'amore, di abnegazione e che si esprimono in una volontà assoluta di amare: queste 2 aure sono l'inizio dell'ascesa nella Coscienza Buddhica o Cristica. Il livello di questa 7° aura è come l'ingresso in una immensa luce bianca percepita come un flusso costante e pulsante di benefica pioggia d'oro.

Tutte le guaine che formano l'uovo aurico sono necessarie all'uomo, infatti abbiamo bisogno di avere una solida base che gli permetta di penetrare meglio nel suolo. L'uomo deve avere solide radici che lo tengono collegano alla terra per poter gestire bene le energie che scorrono nel suolo.

Dobbiamo conoscere e saper gestire tutte le forme di energia per trovar un equilibrio interno, e per vivere in armonia con l'esterno. La radianza umana è come una emanazione che penetra nella materia e che la attraversa, perciò immaginiamo l'onda sonora che penetra e che percorre lo spazio. Da questo che si è detto, si comprende perché alcuni facilitano e altri ostacolano il flusso delle onde.

Non dobbiamo credere che sia necessario perdere il senso di noi stessi per avere un rapporto armonico con l'esterno, perché le emanazioni delle sostanze interne in continua mutazione si intrecciano all'ambiente. Tutti gli elementi che ci formano si compenetrano tra loro, e creano i nostri diversi livelli espressivi, perciò attivano le diverse modalità dell'essere.

Il mondo interiore e personale che creiamo si manifesta con una diversa luminosità, perché i legami delle guaine sottili è sempre diverso e molto personale. La qualità del dinamismo delle guaine sottili subisce un dinamismo incessante, perciò i vari strati che ci compongono mutano continuamente.

Le conoscenze spirituali dicono che l'aura non è l'elemento che costituisce l'anima o lo spirito, ma è la manifestazione dei corpi sottili che abbiamo sviluppato. L'aura è il soffio dei nostri corpi sottili, ed essa mostra il livello delle dimensioni che abbiamo creato. La cosa più importante da sapere è che i corpi sottili diventano sempre più piccoli man mano che si raffinano, perciò il corpo astrale o emozionale è più piccolo del corpo fisico che lo contiene.

Similmente, il corpo mentale è più piccolo del corpo astrale, perciò il "Corpo di Spirito Divino" è ancora più minuscolo e denso, perché la radianza del corpo è sempre inversamente proporzionale alla sua grandezza. Il ritorno verso l'interno è l'accesso agli strati o gusci che formano l'essere, perciò il nucleo profondo è il corpo più piccolo e denso.

L'accesso nei corpi o serbatoi energetici interni rivela il livello di coscienza e la radianza della materia, e mostra la realtà di coscienza che l'essere rispecchia. Ogni corpo sottile mostra una diversa parte, perciò si può gestire al meglio o al peggio le energie che ci aiutano a sviluppare una forma di coscienza che ci è propria.

L'evoluzione individuale è sempre collegata al predominio di una situazione o di una tendenza che preferiamo rispetto ad altre. L'aura mostra il livello di vita più profondo e più amato, e lo mostra in modo molto oggettivo e imparziale. Molti amano il livello astrale, perciò vivono sottoposti agli impulsi e alle emozioni senza sapersi distanziare per riflettere sulla qualità degli eventi.

Questo stato di cose crea l'umanità che vive come un bimbo capriccioso o come un adolescente egocentrico, perciò incontrare aure diverse è diventato un fatto raro. Trovare una radianza di aure mentali e causali è un caso raro, infatti vediamo sviluppi molto embrionali anche negli esseri adulti.

Durante la crescita, secondo le teorie tradizionali, ogni 7 anni sviluppiamo un'aura diversa, perciò la radianza mentale matura dovrebbe essere acquisita verso il 21° anno di età. Dalla nascita ai 7 anni, insieme al corpo fisico sviluppiamo il corpo eterico, e dai 7 ai 14 anni sviluppiamo il corpo astrale, ma gli altri corpi sottili sono forniti solo a livello potenziale.

Mentre alcuni corpo sono sviluppati naturalmente, per altri corpo dipende dalla volontà individuale il fatto che siano sviluppati o meno. Lo sviluppo delle aure e la percezione di vari livelli di coscienza sono correlati e in rapporto con lo sviluppo dei chakra, infatti ogni centro energetico che è posto lungo la colonna vertebrale è connesso in modo primariato con un corpo diverso.

E questo non significa che i chakra siano autonomi tra loro, perché la radianza dell'essere è sempre connesse al loro sviluppo complessivo. La gerarchia dei chakra governa anche le nostre energie sottili che riflettono questo, perciò non esiste una forma di energia che sia migliore o peggiore.

Ogni centro e forma di energia è utile e sacra allo stesso modo, perciò dobbiamo conoscere tutto quello che si trova nella Creazione solo per il fatto che esiste. Tutto ci deve essere utile e sacro, perché tutto ci fa partecipare alla sacralità della vita. In tutto quello che esiste c'è il medesimo Soffio di Principio di Vita, perciò questo soffio comune rende fratelli tutti gli esseri viventi.

Tutta la materia possiede lo stesso soffio vitale e nessuna materia ne è priva anche se ci sembra inanimata. La vita umana è troppo breve per diventare il termine di paragone dell'intera evoluzione. Per questo non vediamo la vita che scorre nelle pietre e nei sassi, perciò l'occhio umano non sa vedere diversamente da come è abituato. Ogni materia ha l'aura, perciò il modo di vedere e il concetto di rispetto della vita andrebbe totalmente mutato.

Chiaramente la vita fluisce diversamente attraverso le varie materie, perciò la luce del minerale, del vegetale, dell'animale e dell'uomo è diversa. Ogni regno naturale ha la sua percezione, ogni regno ha la sua emanazione e sperimenta una diversa forma di coscienza, perciò anche lo stadio umano non è il punto di arrivo finale, ma è solo un'ulteriore tappa del nostro cammino evolutivo.

Buona erranza
Sharatan

mercoledì 19 giugno 2013

Pacificazione



“La pace è lo stato meno denso che potete sperimentare in un corpo denso. Non ha altro fine che se stessa. Non ha ordine del giorno. Chi è in pace ha una grande flessibilità, grande pazienza e grande compassione. Non ha bisogno di cambiare nessuno, nessun bisogno di migliorare il mondo.

Chi è naturalmente in pace migliora il mondo per il semplice fatto di esistere. Respira la pace, parla di pace e percorre la pace. Non c’è nessuno sforzo, nessun tentativo di sistemazione. Al mondo non c’è niente di rotto.

Per guarire la percezione del dolore basta vederlo in modo diverso. Quando guardi con gli occhi dell’amore, non c’è situazione che non possa essere accettata così com’è. Non c’è ingiustizia se non negli occhi di chi osserva. Ed è chi osserva, in definitiva, a dover lasciare andare il suo dolore e guardare il mondo in modo diverso.

Le leggi del mondo sono le leggi dell’ego. Si basano sul sospetto e sulla sfiducia. Cercano di controllare il comportamento delle persone. Il controllo è denso. Più abbiamo bisogno di controllare gli altri, più il nostro destino è prevedibile e controllato.

Le leggi dello Spirito si basano sulla fiducia e sulla compassione. Si rivolgono all’amore che vive in ogni cuore, rafforzandolo. Vedono il meglio in ogni persona e lo tirano fuori. Questo è ciò che ho fatto e ciò che vi chiedo di fare. Anche voi, come me, sfiderete le leggi del mondo nel nome di una legge più alta. Perché non basta vivere in uno stato di paura. Non basta che vi rannicchiate in un angolo e vi facciate comandare da altre persone.

Dovete prendere posizione senza aver paura delle conseguenze. Ma vi prego di farlo con amore, compassione e rispetto. Fatelo sapendo che là fuori non ci sono nemici. Ogni fratello o sorella, per quanto arrabbiato, spaventato o sconvolto, merita il vostro aiuto e il vostro rispetto. E il vostro modo di agire ha lo stesso significato, se non di più, di quello che dite o non dite che fate. Le parole o le azioni adirate non servono né a voi né agli altri.

Quando agite in modo amorevole e pronunciate parole d’amore, lo Spirito risiede in voi e viene ridestato negli altri. Allora siete la luce del mondo, e la realtà fisica non è più densa come prima. Questo è il significato esatto della parola ascensione. Quando c’è l’amore, il corpo e il mondo vengono elevati. Vengono pervasi di luce, possibilità e celebrazione della bontà.

Il mondo che vedete quando c’è lo Spirito nel vostro cuore e nella vostra vita non è lo stesso mondo che vedete quando siete preoccupati dei bisogni del vostro io. Il mondo che vedete quando donate amore non è lo stesso mondo che vedete quando lo chiedete.

Se volete andare oltre il corpo, imparate ad usarlo con amore. Pensate, e parlate bene di voi e degli altri. Siate positivi, costruttivi, disponibili. Non fossilizzatevi su ciò che apparentemente manca.

Date amore in ogni occasione. Portatelo a voi stessi quando siete tristi. Portatelo agli altri quando dubitano o assumono atteggiamenti negativi. Siate la presenza dell’amore nel mondo. Ecco cosa siete. Tutto il resto non è che un’illusione.”

(Paul Ferrini – Il miracolo dell’amore: riflessioni nella mente di Cristo – Macro ed., 2007)

lunedì 17 giugno 2013

Spazio sacro



"In molte tradizioni tra cui il buddhismo tibetano, il cerchio è un potente simbolo che rappresenta la sacralità di tutte le cose. In tutte quelle tradizioni esistono rituali che si servono dell'immagine del cerchio: tracciando un cerchio intorno a se stessi, e rimanendo nel centro, si intuisce di essere al centro dell'universo. Il cerchio tutto intorno ci fa capire che siamo sempre in uno spazio sacro.

Nel buddhismo si parla di presenza mentale, di consapevolezza. La presenza mentale ci viene insegnata attraverso l'oryoki, gli inchini, il rimanere con il respiro, l'etichettare i pensieri come "pensieri". Tutto ciò comporta grande precisione, ma anche molta gentilezza. Insieme alla precisione con cui ci rapportiamo al nostro mondo c'è anche uno spazio che è sempre presente attorno a noi. Quello spazio è la gentilezza: permettiamo a noi stessi di percepire quanto il mondo sia vasto, fluido, pieno di colore e di energia. Quello spazio è il nostro cerchio.

Quando si parla di presenza mentale e di consapevolezza non ci si riferisce a qualcosa di rigido e severo, a una disciplina che ci autoproponiamo per comportarci come si deve, migliorarci, tenere la schiena più diritta e avere un odore più gradevole. Si tratta piuttosto di nutrire un sentimento di gentilezza amorevole nei riguardi delle ciotole per l'oryoki, delle nostre mani, delle altre persone, di questa stanza, di tutte le porte che attraversiamo per entrare e per uscire. Presenza mentale significa amore per ogni dettaglio della vita, il che conduce, come naturale conseguenza, alla consapevolezza: la vita comincia ad ampliarsi, e si acquista la consapevolezza di trovarsi sempre al centro del mondo.

Alcuni di voi avranno forse letto il libro "Alce Nero parla" nel quale un vecchio indiano Sioux racconta della grandiosa visione che ebbe all'età di 9 anni. Un giorno egli si era ammalato, così gravemente che tutti pensavano sarebbe morto. Rimase in comaper una settimana o più, e durante il coma gli venne predetto che il sacro stile di vita del suo popolo sarebbe stato presto travolto. Gli venne anche insegnato che cosa fare perchè no andasse perduto del tutto. Era ancora in coma quando venne portato sulla cima dell'Horney Peak, nelle Black Hills del Dakota, che gli indiani d'America considerano l'ombelico del mondo.

Ma Alce Nero racconta che, dopo essere stato sull'Horney Peak e avere ricevuto la grande visione, comprese che ogni luogo è il centro del mondo. In effetti, ovunque ci troviamo, quello è il centro del mondo. Siamo sempre al centro di uno spazio sacro, esattamente al centro del cerchio. La gente mi dice spesso: "La meditazione è una gran bella cosa, ma che rapporto ha con la vita?" Ebbene, la meditazione è in relazione con la vita nel senso che, forse grazie alla semplice pratica del prestare attenzione, cioè nutrire gentilezza amorevole verso le vostre parole, azioni e attività mentali, potete iniziare a comprendere che vi trovate sempre al centro di uno spazio sacro, uno spazio che non è altro che la vostra vita stessa.

Lo spazio sacro non è questa stanza, ma ovunque andiate, per il resto della vostra vita, sarete sempre al centro dell'universo, e il cerchio sarà sempre attorno a voi. Ogni persona che incontrate entra nel vostro spazio sacro, e non certo per caso. Tutto ciò che entra nel cerchio è lì per insegnarvi qualcosa. Attraverso la mia esperienza del buddhismo e il mio grande amore e rispetto per i maestri, gli insegnamenti e la pratica, mi sono resa conto che è un'ottima cosa aderire a un veicolo e comprenderlo sempre più profondamente. Ma così facendo ho imparato a vedere la sacralità di ogni saggezza, ho cominciato a capire che si può arrivare alla stessa verità attraverso molte strade.

La meditazione aiuta ad ampliare la nostra vita, e così non siamo più impigliati nel pensare solo a noi stessi e nel pretendere che la vita vada sempre come fa comodo a noi. Una persona egoista non riesce certo a intuire di essere al centro di un cerchio sacro, al centro dell'universo, perchè è così presa dai suoi problemi, dalle sue sofferenze, limitazioni, desideri e paure che è cieca alle meraviglie dell'esistenza. Sente solo una grande tristezza, un enorme risentimento verso tutta la vita. Che strano! La vita è un tale miracolo, eppure, per la maggior parte del tempo, non facciamo altro che provare rancore verso cose che in realtà fanno il nostro interesse.

Rimpoche parlava spesso dell'adesso. Se volete raggiungere l'illuminazione, dovete farlo adesso. Se siete arroganti e cocciuti, può drsi che abbiate bisogno di qualcuno che vi corra dietro con un randello. Ma più aprite il vostro cuore, più fate amicizia con il corpo, la parola, la mente, e con il mondo racchiuso nel vostro cerchio - la vostra situazione familiare, le persone con le quali vivete, la casa in cui fate colazione ogni giorno - più apprezzate il fatto che, per esempio, vi basta girare il rubinetto per avere l'acqua. Se avete mai provato a vivere senz'acqua, allora sì che potreste veramente apprezzarlo. Avvengono miracoli di ogni sorta. Ogni cosa è un miracolo, ogni cosa è assolutamente meravigliosa.

Adesso. Ecco la chiave. Adesso, adesso, adesso. La presenza mentale vi abitua a essere vivi e consapevoli, estremamente curiosi ... ma curiosi riguardo a cosa? Ma riguardo all'adesso, no? Sedete in meditazione e l'espirazione è adesso, il risveglio dalle fantasticherie è adesso. Anche le fantasticherie sono adesso, anche se sembra che vi trasportino nel passato e nel futuro. Più riuscite ad essere completamente nell'adesso, più sentite che vi trovate al centro del mondo, al centro del cerchio sacro.

Il nostro compito nella vita è utilizzare ciò che ci è stato dato per risvegliarci. Anche se ci fossero due persone assolutamente identiche - stesso corpo, stesso modo di parlare, stessa mente, stessa madre, stesso padre, stessa casa, stesso cibo, tutto uguale - mentre una potrebbe usare ciò che possiede per svegliarsi, l'altra potrebbe usarlo per diventare sempre più triste, arcigna e piena di rancore. Non importa che cosa vi sia stato dato, se avete un difetto fisico, siete poveri o ricchi sfondati, belli o brutti, psichicamente sani o squilibrati, se vivete in manicomio oppure in un deserto tranquillo e silenzioso. Qualunque destino vi sia toccato, può risvegliarvi o farvi addormentare.

E' questa la sfida del momento presente: come intendete sfruttare ciò che possedete, vale a dire il proprio corpo, la vostra parola, la vostra mente? Sempre riguardo all'adesso, vi rivelo qualcosa che vi sarà molto utile: l'ostacolo principale all'assunzione di una prospettiva più ampia sulla vita consiste nel fatto che le emozoni ci catturano e ci rendono ciechi. Più prendiamo coscienza di ciò, e più ci rendiamo conto che, quando ci abbandoniamo alla rabbia, all'autocommiserazione e alla bramosia, tanto da renderci infelici, in quel momento iniziamo ad isolarci, ad autoescluderci, come se fossimo seduti sul ciglio del Grand Canyon ma avessimo infilato la testa in un sacco.

La magia del momento presente sta nel fatto che potete lasciare andare le vostre preoccupazioni e aprirvi di nuovo allo spazio. Potete darlo sempre, in qualsiasi momento, ma per riuscirci bisogna che facciate amicizia con voi stessi. Bisogna che arriviate a conoscere la vostra rabbia, l'autocommiserazione, i desideri, la bramosia, la noia, e che facciate amicizia con tutte queste emozioni. Esiste una storia che si riferisce a quelli che definiamo paradiso e inferno, vita e morte, bene e male. Ebbene, la storia insegna che quelle cose in realtà non esistono se non come costruzioni della mente.

Dunque, c'è un samurai grande e grosso che va da un saggio e gli dice: "Parlami della natura del paradiso e dell'inferno!" Il roshi lo guarda dritto negli occhi e gli fa: "Perchè mai dovrei parlare con uno schifoso, rivoltante, miserabile bavoso come te?" Il samurai si fa paonazzo e gli si rizzano i capelli per la collera, ma il roshi continua imperterrito: "Un miserabile verme come te, credi proprio che potrei spiegarti qualcosa?" Ormai sopraffatto dall'ira, il samurai estrae la spada e sta per mozzare la testa al roshi, quando questi gli dice: "Ecco, questo è l'inferno!"

Il samurai, che in realtà era un uomo molto intelligente, in un attimo capisce: si rende conto di aver creato il proprio inferno personale e di esserci sprofondato fino agli occhi. Un inferno nero e rovente, talmente pieno di odio, egoismo, rabbia e risentimento da portarlo al punto di commettere un omicidio. Gli occhi gli si riempiono di lacrime, scoppia a piangere e giunge le mani davanti al roshi che gli dice:"E questo è il paradiso!" Non esistono né inferno e né paradiso, se non per il modo in cui ci mettiamo in rapporto con la vita. L'inferno non è altro che la nostra resistenza alla vita.

Quando diciamo "No" ad una situazione non c'è niente di male, ma quando montiamo le cose a dismisura e ci esaltiamo fino a sguainare la spada per tagliare la testa a qualcuno, allora tale resistenza alla vita è l'inferno. [...] Lo scopo della vita è il risveglio, è permettere che ciò che entra nel cerchio possa risvegliarvi, e non farvi addormentare. C'è un solo modo per far sì che ciò avvenga: essere aprti, curiosi, sviluppare un sentimento di simpatia per tutte le cose che vi capitano, comprendee la loro natura e lasciare che vi insegnino quello che vogliono insegnarvi.

Andrà avanti così finché non avrete imparato la lezione, a qualunque costo. Potete abbandonare la famiglia, cambiare lavoro, frequentare solo persone che vi diano sempre ragione: potete manipolare il vostro mondo e cercare di far sì che tutto fili sempre liscio fino a diventare paonazzi per lo sforzo, ma gli stessi vecchi fantasmi non vi daranno tregua finché non avrete finalmente imparato la lezione, la lezione che sono venuti ad insegnarvi. Allora, quegli stessi fantasmi vi appariranno come fedeli e generosi compagni di viaggio." (Pema Chondron - Senza via di scampo: la via della saggezza e della gentilezza amorevole – Feltrinelli)

giovedì 13 giugno 2013

Creare la luna



“Chi lotta contro la corrente discendente
della vita ordinaria che soddisfa
i bisogni della Luna è un cercatore,
una persona che riflette.”
(Georges Ivanovic Gurdjieff)

Gurdjieff dice che l’uomo possiede il corpo, l’anima, la personalità e l’essenza. Il corpo fornisce il veicolo fisico, l’anima fornisce la manifestazione e la qualità di flusso energetico. La personalità e l’essenza sono intrecciate in modo che fatichiamo a capire quello che viene dalla essenza e quello che proviene dalla personalità.

Fin verso il 17° secolo si credeva che l’anima controllasse il corpo, ma secondo Gurdjieff questo ruolo è svolto dall’essenza, e quella che veniva detta ‘anima’, in realtà è il principio energetico vitale. In passato si credeva che l’anima fosse una cosa diversa dal corpo, ma questi insegnamenti affermano che il corpo, l’anima, l’essenza e la personalità sono una unità inscindibile.

Gli insegnamenti dicono che quando muore una persona o un’altra forma di vita, perciò anche quando muore un animale, il suo principio vitale abbandona il corpo fisico e l’anima va sulla Luna. L’anima è la quantità di energia che l’uomo prende in prestito dal Serbatoio energetico Universale per il tempo della vita fisica e al momento della morte il debito si salda.

Perciò dopo la morte, il corpo fisico si decompone e ritorna Terra, mentre l’anima esce dal corpo che si decompone. L’anima è una materia estremamente rarefatta che è in contatto con la coscienza del corpo in cui è inserita, perciò se l’individuo ha una coscienza molto elevata anche la sua anima sarà molto sviluppata.

Se l’individuo non ha una coscienza elevata neppure l’anima ha molta coscienza, perciò l'anima è meno soggetta a soffrire, ma la persona non ha possibilità di plasmare neppure un nucleo di consapevolezza da fissare, conservare e portare via in sé. Per comprendere la Luna, dobbiamo capire il ruolo che la Luna esercita, e sapere cosa avverrebbe se la Luna scomparisse. Gurdjieff dice che il ruolo della Luna è primario per l’uomo sebbene quel ruolo sia svolto in modo negativo.

La Luna è l'enorme magnete che avvince a sé la Terra e l’uomo, e che si serve dell’energia che ci sottrae per controllare l’equilibrio del nostro corpo. Se la Luna non esercitasse la sua forza magnetica noi crolleremmo, e ci afflosceremmo come burattini a cui hanno tagliato i fili. La Luna è responsabile del fatto che l’uomo non sa creare un polo interno, e noi siamo molteplici perché siamo sottoposti agli influssi lunatici che rendono instabili.

Tutto quello che si riferisce all’influsso della Luna riguarda anche il suo influsso magnetico sulla vita terrestre, sulle maree, sulla vita animale e umana, ma il senso è rivolto soprattutto al livello psicologico. Se vogliamo dirigere e strutturare la nostra vita in modo da farla corrispondere allo scopo che vediamo primario, dobbiamo creare un centro di gravità dal nucleo solido e stabile.

Questo processo Gurdjieff lo definisce “creare la luna interna” perché la Luna è il centro di gravità o magnete interno che dirige e sostiene la vita. Creando un centro di gravità all'interno, non siamo più costretti a seguire gli influssi esterni, perciò ci liberiamo dell’influsso lunare. Per avviare il processo chiaramente dobbiamo conoscere bene “l’essenza dell’io permanente” e l’osservazione è utile per aiutarci a lottare contro tutto quello che ci impedisce di diventare unitari, ossia l’immaginazione, i pensieri negativi e la debolezza della volontà.

E il pericolo maggiore del lavoro è credere di poter fare tutto da soli, ma va trovato un modo per sconfiggere i sentimenti negativi che ci impediscono di credere che valga la pena di faticare così. L’abitudine fa credere che è impossibile cambiare, perciò siamo scoraggiati perché la nostra volontà non è stata sviluppata e addestrata bene. Solitamente si crede che l'essere volitivo sia chi fa tutto quello che vuole fare, ma il capriccio non sviluppa la volontà, perché la volontà non si rafforza lasciandola incontrollata.

Una natura influenzabile e mutevole mostra che non si possiede la volontà salda dalla prospettiva unitaria, e questa carenza è evidente osservandosi in modo oggettivo. Una caratteristica peculiare che si vede chiaramente ci permette di ottimizzare cambiando e modificando il macchinario. Va saputo che un piccolo cambiamento della macchina comporta una serie di cambiamenti che si verificano a catena, e che coinvolgono anche altre caratteristiche.

L’elemento più importante è conservare la giusta distinzione di noi stessi, perciò dobbiamo capire la differenza che c’è tra quello che gli altri credono che noi siamo, e quello che noi siamo realmente. La distinzione che dobbiamo conservare è quella giusta, perché se teniamo quella sbagliata si usa il termine “io” per indicare ciò che gli altri pensano di noi, e non quello che noi siamo. Se sbagliamo con il primo raffinamento l’opera si conclude a questo punto.

Una linea di lavoro può avanzare solo se abbiamo la giusta distinzione di noi stessi, e se non dimentichiamo chi siamo mentre procediamo. Nessuna direzione si può aprire, avverte Gurdjieff, se non sappiamo fare in modo giusto la prima distinzione interna, perché con la distinzione sbagliata mentiamo a noi stessi, e questo tradimento è il peggiore che possiamo fare. Un essere codardo abituato a rinnegarsi, al sorgere della minima difficoltà sceglie sempre l’intendimento sbagliato.

La prima indicazione è quella di studiare attentamente tutto quello che non comprendiamo, perché lo studio accurato di ciò che non sappiamo aumenta l'intendimento delle questioni. Non dobbiamo credere a nulla di ciò che pensiamo di essere, non dobbiamo conquistare nessuna superiorità sugli altri, perché l’io si crea solo quando vogliamo essere e conoscere.

Quello che va ricordato è che molto di ciò che crediamo di essere viene dalla falsa parte di noi e non proviene dall'essenza, perché l’essenza è il nucleo di caratteristiche del temperamento a cui apparteniamo espresso nei limiti delle capacità del corpo fisico in cui l’io vive. Sull’essenza non possiamo lavorare, perché la sua struttura proviene dal passato, perciò si lavora su quello che possiamo fare nel presente.

A livello macrocosmico, la conoscenza e l’esistenza sono i due estremi entro cui avviene l’evoluzione cosmica, perciò ugualmente avviene per lo sviluppo dell’uomo. La personalità va acquisita nella vita presente, mentre l’essenza racchiude le prerogative accumulate nelle vite passate, perciò le due parti vanno armonizzate. L’unica parte su cui possiamo agire è la personalità, ma quando ne perfezioniamo almeno una parte, il processo educativo prosegue finché coinvolge tutto l'essere compresa l’essenza.

L’essenza è timida e paurosa come un animale selvaggio perciò si nasconde nella personalità. Per questo è molto difficile toccarla, perché la personalità costruisce intorno a lei una sorta di scudo difensivo per nasconderla e proteggerla. Un principio occulto che va saputo è che le persone che hanno un’essenza molto sviluppata dipendono maggiormente dal destino, mentre coloro che hanno un’essenza poco sviluppata sono trascinate dal caso esterno.

La qualità di leggi a cui ciascuno viene sottomesso dipende dal karma personale, perciò non si può dire quale sia l’opzione migliore e ognuno deve scoprirlo da solo. Valutare se sia preferibile vivere sotto un tipo di legge oppure sotto l’altra non è facile, perché entrambi le opzioni hanno lati positivi e lati negativi.

Avviene perciò che, nell’osservare si possa giudicare che l’essenza che vediamo non sia molto buona, perché vediamo che l’essenza è meccanica e non ha l’apparato che permette di pensare, infatti l’essenza pensa tramite la personalità. È bene sapere che dobbiamo osservare senza dare giudizi su ciò che vediamo, perché l’essenza raramente agisce separata dalla personalità, perciò molte cose che crediamo essere un capriccio del destino sono dipendenti dalla personalità.

Le cose che vediamo bene sono l’attrazione per le persone affini per sentimento e carattere, perché ci uniamo a loro volentieri. Questo fenomeno non dipende dal destino, ma dipende dal fatto che le persone che hanno stessi sentimenti, stesse finalità e aspirazioni si associano per legge di causa ed effetto. Molti credono di dover cambiare l’essenza ma va lei bene così, mentre è sempre la personalità che deve essere equilibrata.

In ogni caso dobbiamo migliorare la personalità, perché l’essenza se ne avvantaggia indirettamente, come si è detto. In ogni caso e anche volendo, poche e rare persone saprebbero come cambiare l’essenza. Questo lavoro è ancora troppo difficile per l’attuale stadio evolutivo, perciò è molto più saggio sforzarci per progetti con più opportunità di successo.

Secondo Gurdjieff la vita è una macchina sottoposta a tante influenze diverse, ma questa macchina primariamente alimenta la Luna. Noi conosciamo il meccanismo che regola la vita, perciò vediamo che l'ordine delle cose non può fare eccezioni. La natura tende a conservare se stessa, perciò conserva l'equilibrio che l'ha conservata fino a ora.

Se non scendesse un nuovo influsso direttamente dall’Ottava Laterale del Sole per darci nuove forze, tutto sarebbe immutabile. Gurdjieff dice che la Luna è il maggiore nemico dell’uomo, perché ruba le energie che l'uomo accumula e le usa per placare la sua fame. Se l’uomo soggiace a lei passivamente serve l’involuzione, se vive in modo attivo serve l’evoluzione: ordinariamente abbiamo solo queste due opzioni.

Servendo la passività possiamo sperare di far carriera, e servendo l’attività avremo molto, ma nessuna prospettiva futura: in entrambi i casi siamo schiavi, perché dobbiamo obbedire a un padrone. Gurdjieff indica la terza opzione dicendo che in noi esiste la Luna, il Sole e tutto il sistema solare. E se scopriamo cos'è la Luna interna e qual è la sua azione sapremo comprendere tutto il Cosmo.

Buona erranza
Sharatan

domenica 9 giugno 2013

Allo specchio



“Quando ci guardiamo allo specchio, l’unica cosa che non vogliamo vedere è un essere umano qualunque. Vorremmo vedere una persona speciale. Che ne siamo coscienti oppure no, non siamo affatto contenti di vedere un essere umano qualunque con le sue nevrosi, contrarietà e problemi. Vogliamo vedere una persona felice, ma vediamo qualcuno che è in difficoltà. Vogliamo credere di essere compassionevoli, ma ci scopriamo egoisti.

Ci piacerebbe essere eleganti, ma l’arroganza ci rende sgraziati. E invece di un individuo forte e immortale, vediamo qualcuno che è vulnerabile alle quattro correnti di nascita, vecchiaia, malattia e morte. Il conflitto tra quello che vorremmo vedere è fonte di enorme dolore. A imprigionarci in questo dolore è il nostro sentirci speciali, in altri termini la presunzione. La presunzione è quel fondamentale “attaccamento all’Io, io, io, io, me, me, me, mio, mio, mio” che colora la totalità della nostra esperienza.

Se guardiamo attentamente, noteremo una spiccata componente di presunzione in tutto ciò che pensiamo, diciamo e facciamo. Che posso fare per stare bene? Che penseranno gli altri? Che ci guadagno? Che ci perdo? Tutte domande radicate nella presunzione. Anche il sentimento di non essere all’altezza di chi ci crediamo di dover essere è una forma di presunzione.

Ci piace vederci forti e padroni di noi, ma siamo più simili a un fragile guscio che si rompe per un nonnulla. Quindi ci sentiamo profondamente vulnerabili, nel senso negativo del termine. Questo io vulnerabile richiede protezione, corazze, concentrazione di forze e pareti divisorie. Il risultato è una condizione di penosa prigionia. Abbiamo sempre più paura di rilassarci con le cose come sono, e dubitiamo sempre di più che le cose vadano come piacerebbe a noi.

Ci vuole coraggio per andare oltre la presunzione e vedere chi siamo veramente, ma è la strada che dobbiamo percorrere: questo processo inizia con l’autoriflessione. Il grande pandit indiano Aryadeva disse che il semplice mettere in dubbio che le cose siano come appaiono può scuotere alle fondamenta l’attaccamento abituale. Questo spirito di indagine è il punto di partenza dell’autoriflessione. Potrebbe essere che questo io così compatto si riveli diverso da come appare?

Abbiamo proprio bisogno di tenere in piedi la realtà, e possiamo farlo davvero? C’è vita oltre l’orizzonte della presunzione? Domande come queste sono il punto d’accesso all’investigazione della causa del nostro dolore. La pratica dell’autoriflessione richiede di prendere le distanze e osservare la nostra esperienza senza soccombere alla forza trainante della mente abituale. Così facendo siamo in condizione di guardare senza giudizi qualunque cosa si manifesti, e ciò direttamente contro la natura della nostra presunzione.

L’autoriflessione è il filo conduttore che collega le diverse tradizioni e lignaggi buddisti, inoltre ci consente di varcare i confini della pratica formale. Lo spirito di indagine dell’autoriflessione si può applicare in ogni situazione, ogni momento. L’autoriflessione è un atteggiamento, un approccio e un tirocinio. In parole povere è fare della pratica qualcosa di autentico e valido per noi personalmente.

Se guardiamo la nostra mente abituale senza falsità e senza giudizi, vediamo oltre i suoi limiti chi siamo veramente. Oltre l’io e quello che vuole e che non vuole, oltre l’io che respinge e che pretende continuamente, c’è la nostra vera natura, il nostro vero volto. È il volto della nostra condizione naturale, libera dallo sforzo di diventare quello che non siamo. È il volto di un essere potenzialmente realizzato che dispone di saggezza, qualità e coraggio illimitati.

Vedendo tanto il nostro potenziale più profondo quanto i nostri limiti, cominciamo a capire la causa della nostra sofferenza e a fare qualcosa per porvi rimedio. Quando pratichiamo l’autoriflessione ci assumiamo la responsabilità della nostra liberazione. Questa via intransigente richiede uno spirito coraggioso e impavido. Trascendere l’ordinaria nozione di sé porta direttamente alla verità della nostra essenza di buddha, al nostro vero volto, e alla libertà dalla sofferenza.

Aderire all’ordinaria nozione di sé o io, è la fonte di tutto il dolore e la confusione che ci abitano. Il paradosso è che quando cerchiamo questo “io” tanto amato e protetto, non troviamo nulla. L’io è sfuggente e inafferrabile. Quando diciamo: “Sono vecchio” l’io diventa il corpo. Quando diciamo: “Il mio corpo” l’io diventa il proprietario del corpo. Quando diciamo: “Sono stanco” l’io si identifica con le sensazioni fisiche ed emotive. L’io è le nostre percezioni quando diciamo: “Io vedo,” e i nostri pensieri quando diciamo: “Io penso.”

Dal momento che non è possibile trovarlo all’interno o al di fuori di queste componenti, si potrebbe concludere che l’io sia ciò che è cosciente di tutto questo, il conoscitore o mente. Ma se cerchiamo la mente, non troviamo nulla che abbia forma, colore o aspetto. Questa mente che identifichiamo con noi stessi, quella che si potrebbe definire la mente egocentrica, controlla tutte le nostre azioni. Eppure nessuno l’ha mai vista, il che è un po’ inquietante, come avere in casa un fantasma tuttofare. […]

Lo strano è che non ci poniamo la domanda. Diamo per scontato che debba esserci qualcuno o qualcosa. Ma fino a oggi la nostra vita è stata gestita da un fantasma, ed è venuto il momento di dire basta. Da un lato la mente egocentrica ci ha servito, ma non ha fatto i nostri interessi. Ci ha adescato nella sofferenza del samara e ci ha schiavizzato. Se esaminiamo il rapporto ‘ schiavistico’ che abbiamo con la mente egocentrica, ci accorgiamo di come sa essere insistente e fraudolenta, istigandoci a fare cose che sortiscono conseguenze indesiderabili.

Se volete smettere di essere schiavi di un fantasma, dovete intimare alla mente egocentrica di mostrarsi. Nessun fantasma che si rispetti apparirà su richiesta! Fatelo specialmente quando sentire che sta avendo la meglio, quando vi minaccia, vi intimidisce o vi tiranneggia. Raddrizzate la schiena e sfidatela. Non siate ingenui, vaghi o arrendevoli. Quando sfidate la mente egocentrica siate decisi ma pacati, acuti, ma non aggressivi. Quando nessuna mente uscirà fuori per dire: “Eccomi!” la mente egocentrica comincerà a perdere la sua presa su di voi e il peso dei problemi si allevierà. Verificate di persona.

Quando la investighiamo direttamente, la mente egocentrica si rivela per quella che è: l’assenza di tutto ciò che crediamo che sia. Smascherare questa mente, questo io all’apparenza così compatto, è assolutamente possibile. Ma, a questo punto, cosa resta? Resta una consapevolezza aperta, intelligente, libera da un io da amare e proteggere. È la mente della saggezza primordiale che tutti gli esseri possiedono. Rilassarsi in questa scoperta è vera meditazione, e la vera meditazione porta alla comprensione suprema e alla libertà dalla sofferenza.

Cercare la mente egocentrica è molto importante. È l’unico modo per accertarsi che non può essere trovata. E se non è possibile trovarla, non è possibile neppure trovare un io: come faremo, allora, a prendere i nostri pensieri, le nostre emozioni ed esperienze in modo tanto personale? […] Possiamo scoprire la bellezza della nostra natura interiore quando smettiamo di manipolare tutto ciò che incontriamo allo scopo di rafforzare un’identità personale. Questo è l’approccio alla vita del praticante.

A pensarci, come è possibile praticare l’autoriflessione quando ci si afferra a un io? Tutto diventa personale: il nostro dolore, la nostra rabbia, i nostri difetti. Quando pensieri ed emozioni sul piano personale, ci tormentano. Osservate i pensieri e le emozioni in questo modo è come cacciare il naso in qualcosa di maleodorante: a che serve, se non ad aumentare il dolore? Non è il tipo di osservazione di cui stiamo parlando.

La prospettiva dell’assenza dell’io ci permette di gustare qualunque cosa emerga dalla coscienza. Prendiamo atto che tutto ciò che emerge è una conseguenza delle nostre azioni passate, o karma, ma non si identifica con noi. Pensieri ed emozioni sogeranno sempre. Lo scopo della pratica non è quello di sbarazzarsene. Non si può mettere fine ai pensieri proprio come non si può mettere fine alle circostanze mondane apparentemente favorevoli o avverse.

Quello che si può fare, però, è accoglierli e lavorarci sopra. A un certo livello, non sono altro che sensazioni. Quando non li solidifichiamo o giudichiamo come buoni o cattivi, giusti o sbagliati, favorevoli o sfavorevoli, possiamo metterli a frutto per progredire sul sentiero. Mettiamo a frutto pensieri ed emozioni guardandoli emergere e dissolversi. Così facendo, ne vediamo l’insostanzialità. Quando siamo capaci di vederli in trasparenza, ci rendiamo conto che non hanno potere di legarci, sviarci o distorcere il nostro senso della realtà. E non ci aspettiamo più di vederli cessare.

L’aspettativa stessa che pensieri ed emozioni debbano cessare è un fraintendimento. Questo fraintendimento si può superare con la meditazione. Nei sutra si dice: “A che serve il concime, se non a fertilizzare le piantagioni delle canne da zucchero?” Analogamente potremmo dire: “A che servono pensieri ed emozioni (di fatto tutte le nostre esperienze), se non a nutrire la nostra comprensione?” Quello che ci impedisce di farne buon uso sono le paure e le reazioni derivanti dalla nostra presunzione. Perciò il Buddha ci esortava a lasciare queste cose a se stesse.

Senza farvi intimorire o cercare di controllare alcunché, lasciate che tutto si manifesti spontaneamente senza interferire. Quando la mente egocentrica diventa trasparente per effetto della meditazione, non c’è più motivo di temerla. Ciò riduce di molto la nostra sofferenza. Si può arrivare a nutrire una vera e propria passione per la contemplazione della mente in tutti i suoi aspetti. Questo è l’atteggiamento che sta al cuore dell’autoriflessione.”

(Dzigar Kongtrul, Ora sta a voi: la pratica dell’autoriflessione nel sentiero buddista, Astrolabio, 2006)

giovedì 6 giugno 2013

Dimoriamo nell’esistenza



“Sii felice un istante. Questo istante è la tua vita “
(Omar Khayyam)

“Né i pensieri, né le emozioni rappresentano qualcosa. Sono. Passato e futuro esistono solo per i pensieri presenti. Credere al futuro e al passato (prodotti dai nostri pensieri - non ce ne sono altri) equivale ad essere la vittima dei tuoi pensieri. Presta attenzione alla qualità dei tuoi pensieri, ora. Esiste solo l’istante e la qualità della tua vita è quella del presente.

Si ha sempre un pensiero per volta. Il paragonare due pensieri, il giudicare un pensiero, il ricordare un pensiero sono altri pensieri ancora. Nel momento in cui si impossessa di noi, ogni pensiero ci sembra il più importante, il più urgente. Ma questo pensiero cede il posto a un altro, tanto che in realtà nessun pensiero è importante.

I pensieri che ci sembrano “importanti” e i sentimenti che ci sembrano “molto vivi” in un dato momento, passano in secondo piano oppure si dimenticano l’istante seguente. Osservare questo processo incessante dell’apparire e del dissolversi, dell’entrare in scena. Dovrebbe aiutarci a non credere all’importanza delle cose e a capire che la nostra mente costruisce e distrugge l’importanza in continuazione. Niente è buono in assoluto, anche il miglior pensiero: ci potrebbe far perdere l’istante!

La maggior parte dei nostri “pensieri” dipende dall’automatismo mentale. Il vero pensiero, il pensiero nobile, è percezione diretta, contemplazione, presenza, creazione, azione su se stessi, impegno profondo, trasformazione dell’essere. Il pensiero nobile non è mai un giudizio. Sappiamo che abbiamo veramente pensato quando percepiamo diversamente, quando si apre uno spazio.

Gli unici pensieri felici sono i pensieri veri. Non parlo solo di “verità oggettive”, “ universali”, “scientifiche”, ma di verità esistenziali, emozionali, della verità delle situazioni. I pensieri veri non sono né un tirarsi indietro né una scappatoia. Guardano in faccia la nostra vita, qui e ora. I pensieri veri sono percezioni.

La maggior parte dei nostri pensieri tesse un velo che ci separa dal mondo e da noi stessi. Deviano la nostra attenzione da ciò che accade qui e ora. Ci impediscono di sentire. Vogliamo sottrarci all’esperienza diretta del grande flusso perché ci farebbe rinunciare alla solitudine illusoria del nostro io e del mondo “esterno.” Eppure, dietro la nebbia dei pensieri, dei concetti, dei pregiudizi e di tutte le forme di chiacchiericcio mentale brilla la luce del risveglio.

Per orientarsi nell’esistenza occorre avere discernimento, dobbiamo imparare a guardare le cose per quello che sono. Per vedere le cose per quello che sono occorre smettere di proiettare i nostri stati mentali sul mondo. Per smettere di proiettare occorre conoscersi. Per conoscersi bisogna diventare amici di se stessi. Per diventare amici di se stessi sforziamoci di accogliere con dolcezza tutti i nostri pensieri.

Per accettare tutti i nostri pensieri occorre smettere di suddividerli in buoni e cattivi. Se vogliamo sinceramente smettere di suddividerli tra buoni e cattivi si consiglia di praticare la meditazione con costanza e disciplina. Per meditare occorre distinguere, senza giudicare, tra la piena coscienza dell’istante e la fuga nei pensieri. A questo livello il problema di orientarsi nella vita viene meno: dimoriamo da sempre nel cuore dell’esistenza.”

(Pierre Lévy - Il fuoco liberatore - Sassella, 2006)

sabato 1 giugno 2013

Amore sciamano



Gli inuit credono che un tempo la parola fosse dotata di un potere che era in grado di trasformare ciò che veniva detto in forme viventi. In virtù di quel potere, un uomo poteva diventare un animale e l’animale poteva assumere la forma di un essere umano. A quei tempi viveva tra gli inuit un grande cacciatore di foche chiamato Akuluk.

Quando Akuluk girava per il villaggio avviluppato in pelli di beluga, tutti gli sguardi lo seguivano ammirati, ma lui non era un uomo felice. Tornando dalla caccia regalava la parte migliore delle prede alla tribù e poi si ritirava nell’igloo trattenendo solo quello che gli spettava di diritto. Akuluk era molto ammirato, ma non era felice: nessuno lo aspettava e nessuno condivideva la sua vita.

Una mattina come le altre tirò fuori il kayak e gonfiò i galleggianti, poi uscì in mare sentendosi nel velo di una sottile malinconia e mentre pescava ripensava ai racconti di sua nonna. Le storie che aveva raccontato nella sua infanzia dicevano che Kannakapfaluk, la madre degli animali insegnò agli uomini che, in passato, anche le foche erano state degli esseri umani.

Quel giorno Akuluk era stranamente ansioso, perciò si preoccupò di controllare se l’arpione fosse a posto, poi lo ripose e continuò a cercare foche. La giornata era strana, infatti i pensieri di Akuluk continuavano a vagare, perciò ripensò agli sguardi che gli aveva lanciato una donna del mercato l’ultima volta che era andato, poi vide una balena boreale saltare davanti ai suoi occhi.

Intanto si era spinto lontano dalla costa ma di foche non c’era traccia, perciò andò ancora più lontano, finché giunse in vista di un isolotto che vagava solitario. I suoi acuti occhi di cacciatore videro qualcosa che si muoveva sulla banchisa, poi udì delle risate gioiose che rimbalzarono tra le rocce ghiacciate, ma era troppo lontano per capire chi fosse.

Si avvicinò cautamente pagaiando silenzioso, quindi arrivò allo scoglio dietro cui si nascose. Fu nascosto che riuscì a vedere la scena incredibile di un gruppo di foche che si issava dalle acque salendo sulla banchisa, ma poi le vide togliersi le pelli. Una volta che tutte le pelli furono lasciate, Akuluk vide tante donne-foca nude di rara bellezza che iniziarono a rincorrersi ridendo.

Akuluk guardava eccitato la bellezza dei corpi e sentiva il fascino misterioso delle fanciulle, perciò si avvicinò ancora di più. Sentiva una strana eccitazione che lo spinse a strisciare fino al posto dove erano le pelli di foca, e ne afferrò una a caso. Le donne-foca avevano percepito la presenza dell’uomo che era ormai uscito allo scoperto, perciò fuggirono in mare dopo avere ripreso le pelli e le forme animali.

Sulla banchisa restò solo una fanciulla dalla bellezza abbagliante con i lunghi capelli neri e ondulati che coprivano il corpo perfetto. Il respiro della fanciulla era ancora affannato per l’inutile fuga, ma gli occhi neri e profondi erano fissi in quelli di Akuluk che stringeva la pelle.

Per un attimo si fissarono, poi il cacciatore gli disse: “Donna io sono Akuluk, e tu non puoi tornare con il tuo popolo. Vieni con me, io avrò cura di te.” La melodiosa voce della fanciulla risuonò desolata per chiedere: “E come potrei dimenticare il mio popolo? Come poter dimentica il mare e il regno della grande Dea?”

Akuluk insistette: “Diventa la mia sposa. Resta con me per sette estati e poi ti renderò la pelle. Allora potrai scegliere. Se ne avrai voglia potrai restare oppure potrai andare dove vuoi.” A quella proposta la donna rispose: “Non mi lasci molta scelta. Sarò la tua sposa, ma trascorse le sette estati, io sceglierò e seguirò i miei desideri.”

Da quel momento Akuluk conobbe la dolcezza e la passione della fanciulla-foca. Gli piaceva molto ridere con la sua sposa e gli piaceva l’allegria delle sue danze. Intanto l’estate scorreva e lui correva veloce quando tornava a casa. L'igloo era confortevole in inverno, perciò il ritorno dalla caccia non era più verso un igloo solitario.

Ben presto nacque un figlio chiamato Ooruk che sapeva scivolare sul ghiaccio come nessun inuit sapeva fare. Il suo corpo era ricoperto da una pelle morbida e così liscia che sembrava spalmata di grasso. Anche se era leggermente più paffuto degli altri bambini inuit era agile come una giovane foca.

Mentre Akuluk andava a caccia di caribù, il suo bambino cresceva nutrito dalla pura gioia di sua madre, infatti la madre lo allevava con le sue storie affascinanti. Gli diceva che gli uomini e gli animali sono uguali, gli diceva della sensazione di avere un corpo ricoperto di pelliccia e raccontava ciò che sua madre aveva narrato a lei.

Sua madre gli insegnò a imitare il canto delle balene e insegnò come lo sciamano deve parlare per farsi comprendere dal popolo del mare. Ella gli insegnò tutto quello che sapeva sulla vita degli oceani. Disse tutto, ma non rivelò la verità su se stessa, perciò non rivelò che era una donna-foca.

Con il trascorrere degli anni la sua gioia scomparve, perciò la sua pelle si inaridì e si coprì di rughe. La donna mutava diventando solo l’ombra della splendida fanciulla che era stata. La bellezza dei capelli, degli occhi, del corpo snello e la melodiosa voce erano svanire, finché fu vista camminare barcollando, perché stava diventando cieca.

Erano passate le sette estati della promessa, ma Akuluk sembrava aver dimenticato, e teneva ben nascosta la pelle di foca nel kayak. Akuluk non si curava più di lei ma non voleva che se ne andasse. Lui voleva che restasse a crescere suo figlio. Che lei fosse felice o infelice non importava, lui la voleva con sé anche infelice, malata o morta.

Intanto era tornato a essere lui, cioè solitario e sempre lontano a cacciare i caribù. Ooruk amava teneramente sua madre e soffriva della sua sofferenza, perciò vide il deperimento che la stava uccidendo. Ogni giorno la vedeva sempre più debole, e avrebbe fatto di tutto per guarirla. Alla fine iniziò a pregare gli spiriti dell’acqua come lei gli aveva insegnato.

Iniziò a pregare con fervore Kannakapfaluk, la grande Dea madre degli animali, e si inventò un canto di richiamo per le balene. Una notte sognò che veniva un gruppo di salmoni giganti a rimproverare il padre, e che lui si pentiva. Insomma sognò, fece e pensò tutto quello che un figlio può fare per sua madre, poi si addormentò sfinito.

Quella stessa notte sentì una voce che lo chiamava, perciò uscì nella notte buia. Seguendo la voce che lo chiamava arrivò in riva al mare e si trovò davanti ad una enorme foca. L’animale comunicava uno strano linguaggio che esternamente gli era incomprensibile, ma che internamente capiva. Usando questa strana comunicazione la grande foca gli comunicò delle istruzioni.

Dopo averle ascoltate, Ooruk andò nel kayak tirato in secco, e trovò una borsa di pelle d’orso. Nella borsa c’era una pelle da foca, ma il mistero restava. Perciò portò alle narici la pelle e aspirò l’odore della madre. L'odore della pelle di foca risolse il mistero, e poi Ooruk sentì la grande foca che gli lanciava un richiamo.

Mentre la verità entrava in lui, da Ooruk uscivano calde lacrime di disperazione e dalla sua bocca sgorgò l’antico linguaggio. Corse alla riva per rassicurare la foca che aveva capito, poi portò la pelle alla madre. Lei aprì gli occhi e ringraziò la Dea Kannakapfaluk, perché suo figlio era saggio e sano, e perché lei era rimasta ancora in vita.

Il figlio poteva salvarla, infatti Ooruk la aiutò a vestirsi facendo ciò che suo padre non aveva fatto ossia restituirle la sua pelle e permettere che tornasse nel suo mondo. Ooruk la aiutò ad arrivare al mare, ma quando si abbracciarono non fu per dirsi addio. Infatti sua madre gli soffiò per tre volte nella bocca cioè una volta per ogni mondo esistente, poi insieme si lanciarono in acqua e iniziarono a nuotare.

Nuotarono a lungo nelle acque profonde fino a raggiungere il paradiso delle foche. Qui trovarono la grande foca che aveva chiamato Ooruk in sogno. La foca si dichiarò suo nonno e se lo strinse lungamente tra le pinne. Dopo averli abbracciati entrambi, la foca sentì il racconto di ciò che era avvenuto, quindi poggiò teneramente la sua fronte su quella di sua figlia e disse:

“Lo sai che non puoi tornare da Akuluk, anche se un tempo è stato buono con te. Se torni tutto ricomincerà a essere come prima. Tu saresti di nuovo la sua prigioniera. Gli uomini sono strani figlia mia, sono esseri che hanno sempre paura. Gli uomini non conoscono i legami tra i mondi, perciò cercano sempre di impadronirsi dell’altro. Essi rendono schiavi e dicono di amare.”

La vecchia foca si volse verso Ooruk e chiese: “E adesso che ne facciamo di questo piccolo uomo coraggioso?” La madre chiese triste: “Dovrà tornare indietro, non è vero?” La grande foca rispose: “Temo che sia così, figlia mia. Lui è ancora piccolo e non può imparare l’arte della trasformazione.

Tu conosci l’arte del cambiamento e sei restata sette anni in forma umana, ma lui non è maturo. Può restare solo sette giorni, poi dovremo riportarlo da suo padre.” Sette giorni nel paradiso delle foche passano in un attimo, perciò il nonno e la madre riaccompagnarono Ooruk fino alla Terra di Mezzo. Ma siccome loro conoscevano le leggi che collegano i mondi non ci furono addii strazianti, e ognuno ritornò nel suo mondo.

Ooruk restò nel mondo degli uomini dove apprese l’arte del tamburo, perciò diventò un potentissimo sciamano. Conosceva tutti i canti di richiamo degli animali, e insegnò agli uomini il modo di trattare gli animali affinché possano mandare in pace la loro anima. I nomadi inuit lo amavano e lo temevano, perché placava tutti gli spiriti con un linguaggio misterioso e irresistibile.

Ooruk, per sciamanizzare, aveva scolpito un mulinello con la forma di una foca, perciò tutti sapevano che il suo animale totem era la foca. Basta sapere che lo si vedeva spesso, al tramonto, seduto in riva al mare insieme a una foca. Molti videro che la foca cantava e lo baciava.

Buona erranza
Sharatan