giovedì 12 settembre 2013

I falsi sentieri



“Abbandonarsi vuol dire liberarsi.”
(Dugpa Rimpoce)

Percorrere un sentiero spirituale non è una cosa semplice da affrontare con superficialità, insegna il grande lama Chogyam Trungpa, perché il sentiero spirituale è sempre molto arduo e difficile. Sebbene molti aspirino a percorrerlo, non di meno, gli aspiranti ricercatori andrebbero avvertiti sui pericoli che si presentano lungo il percorso.

Ci sono molte deviazioni che portano alla confusione, perché la spiritualità si presta facilmente ad una visione egocentrica. Si può cadere facilmente in inganno e si può credere di essere sulla strada giusta, mentre invece stiamo solo rafforzando la visione egocentrica che usa le tecniche spirituali: a questa distorsione possiamo dare il nome di materialismo spirituale.

Sono molte le forme di inganno a cui possiamo andare incontro e in cui possiamo cadere, perciò il sentiero spirituale è considerato come il processo per cui riusciamo ad aprirci una strada attraverso la confusione e gli auto-inganni per scoprire il risveglio della mente. Questo risveglio viene ostacolato dal sonno della mente e dai suoi auto-inganni.

Non si tratta di ritardare il risveglio ma si tratta di bruciare gli inganni e la confusione, e la combustione costituisce l’illuminazione. Senza il processo di combustione, lo stato di risveglio non sarebbe un prodotto autentico dell'essere, ma sarebbe il risultato di cause e di effetti, perciò sarebbe uno stato mentale di dissoluzione.

L’illuminazione non è qualcosa che possiamo produrre ma qualcosa che dobbiamo scoprire, e la tradizione buddista usa l’immagine del sole sorgente per spiegarla. Con la meditazione possiamo eliminare la confusione dell’Ego per trovare lo stato di risveglio, perché l’assenza di ignoranza, di confusione e di paranoia spalanca l’orizzonte della vita e fa scoprire un nuovo modo di essere.

L’assenza di confusione comporta che l’uomo possa sentire il senso del suo sé in modo solido e stabile. Solitamente i pensieri e le emozioni forniscono un senso di sé che è molto precario e transitorio, perché tutto è legato a ciò che accade, perciò crediamo che quello sia il nostro vero essere e cerchiamo di conservarlo.

Siamo così immersi nella confusione che ci aggrappiamo all'illusorio senso di noi stessi sebbene sia precario e instabile, perché crediamo che quello sia il nostro vero mondo e la nostra vera realtà. Ci cristallizziamo nelle abitudini anche se esse sono realtà precarie e ingannevoli, e lo sforzo per mantenere l'inganno è il prodotto dell’azione dell’Ego.

L’Ego non è in grado di proteggerci dal dolore e dalla insoddisfazione che ci accompagnano, perciò il disagio è lo stimolo per esaminare ciò che stiamo facendo. Ci sono sempre delle brecce nella autocoscienza in cui è possibile penetrare, perciò il buddismo tibetano spiega il funzionamento dell’Ego con il simbolismo del dominio dei Tre Signori del Materialismo.

Il Signore della Forma si riferisce alla nevrotica ricerca dell’agio, della sicurezza e dei piaceri fisici. La nostra epoca pianificata e tanto tecnologica riflette la volontà umana di proteggersi dagli aspetti più crudi e più duri della vita. Usiamo i prodotti di massa e gli strumenti per fare il lavoro e cerchiamo di programmare persino i cicli della vita. Tutto questo dovrebbe creare un mondo sicuro e più prevedibile, più piacevole e divertente.

Il Signore della Forma crea delle situazioni sicure per nascondere l’ansia e la preoccupazione nevrotica, ma il meccanismo cela l’ambizione dell’Ego che vuole godersela e che odia i fastidi. Temiamo i cambiamenti oppure li forziamo in modo programmato, perciò cerchiamo il nido confortevole e sogniamo un mondo che assomiglia al Paese dei Balocchi.

Il Signore della Parola usa l’intelletto per creare i concetti e le categorie, e li usa come degli strumenti per maneggiare i fenomeni. Il suo prodotto sono le ideologie ed i sistemi di idee che razionalizzano, giustificano e santificano la vita per creare delle identità, delle norme di condotta e delle interpretazioni certe dei fenomeni.

Il Signore della Favella è diverso dal Signore della Parola, perché esprime la tendenza dell’Ego di interpretare le cose minacciose o fastidiose per neutralizzarne la minaccia e trasformarle in cose positive. I concetti sono usati come filtri che schermano le percezioni dirette e le scomodità della realtà. I concetti sono cristallizzati e sono usati come mezzi e strumenti utili per eliminare dubbi, incertezze e timori.

Il Signore della Mente usa lo sforzo della coscienza per restare consapevole di sé. Questo Signore ci domina quando usiamo le discipline spirituali e le teorie psicologiche come dei mezzi per conservare l’autocoscienza, e per aggrappandoci al nostro senso del sé. Le droghe, lo yoga, la preghiera, la meditazione, le psicoterapie varie e persino la spiritualità possono essere usate dall’Ego a suo vantaggio.

Ogni tecnica anche benefica viene esaminata dall’Ego, dapprima osservata come oggetto di fascinazione, poi studiata per essere imitata. Sebbene l’Ego possa sembrare molto solido, in realtà è in grado solo di imitare, perché non sa creare o assorbire nulla essendo pieno di se stesso, dice Chogyam.

L’Ego sa imitare solo le tecniche esteriori, perciò usa i trucchi e le cose esteriori della spiritualità, poiché non sa lasciarsi permeare e trasformare. L’Ego imita in modo automatico, dal momento che per coinvolgersi totalmente nel gioco spirituale bisogna sentire l’esigenza di eliminare l’Ego, e l’ultima cosa che l'Ego desidera è quella di essere eliminato.

Tuttavia è evidente che non possiamo sperimentare quello che cerchiamo di evitare, ma possiamo solo trovare ciò che assomiglia di più a quello che vorremmo imitare o essere. L’Ego traduce tutto il mondo in termini del suo stato di salute, delle sue qualità, delle sue simpatie e preferenze.

Imitando la spiritualità, l’Ego assapora una sensazione di splendore per quello che è riuscito a imitare, perché il senso di compiutezza e di splendore creano una struttura che diventa la prova tangibile della grandezza dell'individualità. L’Egoità completa e totale, dice Chogyam, è come uno stato demoniaco.

Il Signore della Mente è il più abile a manipolare la spiritualità, ma anche gli altri Signori sanno dominare la pratica spirituale. Nel ritirarsi nella natura e nell'isolarsi dalla gente vediamo le pratiche che proteggono dai fastidi, perciò esse sono le espressioni del dominio del Signore della Forma.

E lo stesso avviene se la religione diventa un modo per razionalizzare le incertezze, e lo stesso fenomeno avviene se vogliamo avere un nido comodo, una vita sicura, un compagno affettuoso e un lavoro facile. Anche il Signore della Favella influenza la vita spirituale quando ci illude che seguire un sentiero spirituale possa sostituire le vecchie abitudini offrendo la sicurezza di una nuova ideologia religiosa.

Quando vogliamo vivere senza stare a vedere se le nostre vecchie idee siano sublimi. Se prendiamo queste cose troppo sul serio stiamo conservando la struttura del nostro vecchio Io, perciò ci facciamo dominare dal Signore della Favella. Tutti dovremmo osservarci e saper ammettere che siamo dominati da uno dei Tre Signori.

Qualcuno potrebbe anche dire: “Ma che mi importa? Questa è una condizione umana normale. Quei Signori sono troppo potenti per poter venire sconfitti, e poi con cosa dovremmo rimpiazzarli?” Il Buddha fu il primo essere che esaminò il problema e che notò la forza del dominio.

Si chiese perché mai li seguiamo così ciecamente, e perché ci lasciamo dominare da loro. Egli scoprì che essi ci dominano perché ci fanno credere che siamo degli esseri solidi. Ma fondamentalmente, tutto questo mito è una fandonia, è una grande frode ed è la vera fonte della nostra infelicità.

Ma per fare la scoperta dovette aprire una breccia nelle poderose difese che essi usavano. Non possiamo liberarci se non sappiamo aprire anche noi un varco, e se non sappiamo togliere uno dopo l’altro, tutti gli schermi che usano. Le loro difese sono fatte con il materiale della nostra mente, e la materia mentale viene usata dai Signori per creare l’illusione della solidità.

Per osservare come il fatto avvenga dobbiamo osservare la nostra esperienza personale, e lo strumento migliore che possiamo usare è la meditazione. Il Buddha scoprì che era inutile fare degli sforzi per trovare le risposte, perché quando lo sforzo della mente cessava gli venivano delle visioni intuitive.

Egli scoprì che in noi c’è una qualità sana, sveglia e autentica che si rivela quando finiscono gli sforzi della mente. Perciò egli disse che la pratica della meditazione comporta il “lasciar essere.” La meditazione è molto fraintesa, perché qualcuno la considera uno stato simile alla trance, altri la vedono come un training o come una ginnastica mentale usata per rilassarsi.

Ma la meditazione non è nulla di tutto questo, sebbene comporti il confrontarsi con gli stati nevrotici della mente. Lo stato nevrotico della mente non è difficile o impossibile da trattare, perché esso possiede un’energia, una velocità e una struttura che gli è peculiare. La meditazione insegna a lasciar essere, insegna l’andare con l’energia, il fluire con la sua struttura e con la sua velocità.

In questo modo impariamo a conoscere tutti i fattori, impariamo a entrare in rapporto con essi. Ma non nel senso di lasciarli maturare come ci piace, ma nel senso di conoscerli per come essi sono, perciò ci insegna a lavorare con la loro struttura. C’è una storia che racconta che un giorno il Buddha insegnava a meditare a un famoso suonatore di sitar.

Il musicista gli chiese come dovesse controllare la sua mente. Il Buddha gli chiese: “Tu che sei un musico molto famoso, come accordi le corde del tuo sitar?” Il musicista gli rispose: “Le accordo in modo che non siano troppo tese, ma neppure troppo lente.” Allora il Buddha gli rispose: “Anche nella meditazione non devi tendere troppo la mente, ma neppure lasciarla troppo vagare.”

La storia ci insegna che dobbiamo lasciar essere la mente senza forzarla troppo. Dobbiamo sentire il flusso dell’energia senza cercare di controllarla troppo e senza lasciarla senza controllo, perciò dobbiamo imparare come lasciar andare la struttura della mente. Questa è la giusta tecnica per meditare.

Questa è l’unica pratica utile perché il nostro modello di pensiero, il nostro modo di concettualizzare è diventato troppo incline alla manipolazione. Ci siamo abituati a imporci troppo sulla mente oppure siamo diventati eccessivamente sfrenati. La meditazione inizia dagli strati superficiali dell’Ego e dai discorsi ossessivi che occupano la mente con un chiacchiericcio continuo.

I Signori del Materialismo usano il pensiero discorsivo come una prima linea di difesa, avverte Chogyam, perciò usano i nostri pensieri come pedine che devono ingannare. E più generiamo i pensieri e più restiamo affaccendati a livello mentale, perciò diventiamo sempre più certi della nostra esistenza.

Così i Signori del Materialismo creano sempre dei nuovi pensieri e li attivano tutti assieme, perché le sovrapposizioni di piani non fanno vedere oltre quegli strati. La meditazione non deve stimolare e non deve sopprimere i pensieri, ma li deve lasciar fluire liberamente per sentire e per esprimere il fondamentale equilibrio che sorge dal risveglio della mente.

Se conosciamo la strategia dei Signori vediamo che essi suscitano i pensieri e le emozioni per distrarci dal nostro vero essere. I pensieri e le emozioni ci distraggono, ma la meditazione insegna come vedere chiaramente questo, e come lasciare che tutto sorga così come è. In questo modo i pensieri non sono più gli strumenti oppure i mezzi che sono usati per poterci ingannare o per farci divertire.

In questo modo possiamo attivare l’immensa energia non egoica. Ma se eliminiamo le emozioni, i Signori possono usare un’arma ancora più potente, cioè usano i concetti che trasformano i fenomeni in cose solide, perciò il mondo diventa una cosa solida e continua. Crediamo che il mondo inizia a esistere quando noi lo percepiamo. La meditazione insegna a vedere la trasparenza dei concetti, perciò il classificare non diventa più il modo per rendere solido il mondo.

Classificare è semplicemente l’atto della discriminazione, dice Chogyam, perché il Buddha ci ha insegnato che non abbiamo nessun bisogno di sforzarci per provare che esistiamo. Non abbiamo bisogno del dominio dei Tre Signori, non c’è alcun bisogno di sforzarci per essere liberi.

L’assenza di sforzo è già una libertà, e lo stato non egoico è il conseguimento della buddhità. Saper trasformare la materia mentale da espressione di ambizione egoica in espressione di vero equilibrio e di illuminazione diventa possibile con la meditazione, e questo è il vero sentiero spirituale.

Buona erranza
Sharatan

3 commenti:

  1. http://federica-belloni.blogspot.it/13 settembre, 2013

    Magnifico..

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  2. Magnifico... ho sempre adorato questo modo di vedere le cose..
    mio papà era buddista.. io ancora non ho trovato il mio credo, ma non mi sento molto lontana da quest'articolo..

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  3. Benvenuta Federica :-)
    ti ringrazio del tuo apprezzamento. Sei molto gentile. Non si tratta di diventare buddista, non si tratta di abbracciare nessun credo. Trovare la propria strada è fare un percorso personale di consapevolezza. Le dottrine indicano il metodo e non il risultato. Dicono che ognuno risveglia solo se stesso.

    Si tratta di capire di sei realmente e cosa ti piace fare. Chiaramente si può anche fare una scelta in cui concili le necessità concrete come fare un mestiere per vivere e seguire una vocazione per hobby. Cos'è meglio? Lo sa solo ognuno per se stesso.

    Ho dato un'occhiata al tuo blog e mi sembra veramente molto bello. Anche io adoro i fumetti. Mi piace Enki Bilal, Jean Giraud detto Moebius che è per me l'apice sommo. Mi piace anche l'Eternauta disegnato da Francisco Solano López, poi Stefano Tamburini l'autore dell'androide Ranxerox,Tanino Liberatore, Andrea Pazienza. Ma anche tanti tanti altri... Moebius, per esempio non è forse un artista al pari dei grandi pittori del passato? Io credo di si!
    Un caro abbraccio Federica :-)

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