lunedì 29 settembre 2014

Ministri d’amore



“Quando impari ad amare te stesso, non puoi fare a meno di amare anche gli altri. Non ti risulta difficile. Quando ami, il tuo amore non ha limiti. L’amore non è qualcosa che fai. L’amore è la tua essenza. Tu, in questo momento, sei l’incarnazione dell’amore, nulla di meno.

Ovunque vai, l’amore è con te. L’amore cammina con le tue gambe, tocca con le tue mani, parla con la tua voce e vede con i tuoi occhi. Grazie a te l’amore è dappertutto. Senza di te sarebbe invisibile. Per questo sei necessario. Non per predicare o fare proseliti, ma per ascoltare, per confortare, per voler bene.

Nel tuo silenzio si sente la presenza dell’amore. Nella tua accettazione si vive la compassione dell’amore, nel tuo sorriso si manifesta la delizia dell’amore. Ciò che si esprime attraverso di te è la presenza di Cristo, l’incarnazione dell’amore divino. Io non sono l’unico Cristo. Quando ho sentito la sua chiamata ho risposto. Ora anche tu la senti e rispondi seguendo un semplice insegnamento:

“Ogni azione non amorevole deve essere perdonata, e tutto ciò che viene perdonato diventa la paziente benedizione dell’amore su un mondo imperfetto”

Siamo tutti canali attraverso i quali l’amore divino può scorrere verso gli altri. Non ci sono misteri. Non appena fai spazio al divino dentro il tuo cuore, Dio conduce qualcuno alla tua porta. Non appena fai spazio al divino nella tua comunità, Egli conduce i reietti e gli esclusi nel rifugio della tua chiesa. Tale è la via dello Spirito.

Quando offri amore, coloro che hanno bisogno di quell’amore ti troveranno. È a Dio che vengono condotti attraverso la tua presenza amorevole. C’era un tempo in cui mi sono offerto di essere una porta per te. Ora anche tu devi diventare una porta.” (Paul Ferrini, Io sono la porta, Macro)

giovedì 25 settembre 2014

Gli anni oscuri di Gesù



“La donna è la madre, il tesoro incalcolabile
che Dio vi ha dato; esse sono il più
bell’ornamento dell’universo, e da esse
nascerà tutto ciò che abiterà il mondo.”
(Isha Natha, Ms. di Hemis)

Yogananda dice che l’Intelligenza divina è presente nella più piccola particella, perché anche la vita più microscopica è dotata d’intelligenza e di coscienza di sé. Chiaramente la coscienza della formica è limitata al suo piccolo corpo mentre quella dell’elefante è maggiore, invece l’Intelligenza divina si espande in tutto il creato. L’Intelligenza universale, nelle scritture induiste, è detta katastha chaitanya e fu pienamente manifestata nell’incarnazione di Gesù Cristo e in quella di Krishna. Ma questa coscienza sublime fu manifestata pure da altri esseri divini così come si può manifestare in ogni coscienza compresi noi stessi.

Se immaginiamo di restare reclusi per anni in una stanza chiusa penseremo che tutto il mondo sia la stanza in cui siamo rinchiusi. Se immaginiamo di venire liberati avremo la sensazione che il piccolo mondo costituito da una stanza si espande fino a diventare un mondo maggiore. Se immaginiamo di salire in alto avremo una visuale maggiore che sarà più ampia con una visione aerea. Perciò una visuale si può ampliare fino al livello planetario e galattico oppure cosmica. Ebbene, la coscienza cristica è estesa oltre tutti i confini dell’universo vibratorio.

Tutto il creato è una realtà vibratoria e nella sua totalità esprime l’universo vibratorio. Yogananda dice che lo Spirito si nasconde in questa materia vibratoria così come l’olio si nasconde nell’oliva. Quando si spreme l’oliva affiorano le minuscole gocce di olio che sono le anime individuali. Lo Spirito segue un processo evolutivo perciò emerge dalla materia sotto forma di anime individuali. Lo Spirito si manifesta come bellezza, energia magnetica e chimica nei minerali e nelle gemme, mentre si manifesta come bellezza, vita, energia, movimento e coscienza negli animali.

Nell'uomo si manifesta come capacità di comprensione e di energia. Poi torna, di nuovo, all’Onnipotente quando avviene lo sviluppo dell’uomo superiore. Vediamo che ogni fase evolutiva presenta lo Spirito che si manifesta in fase crescente. L’animale è l'organismo che è stato liberato dal vincolo dell’inerzia che è tipico dei minerali. Ma è libero anche dalla staticità tipica delle piante, infatti si muove per esplorare il creato. L’uomo ha molte qualità e la libertà di muoversi, ma ha pure una coscienza di sé con cui può capire i suoi simili.

L’uomo sa proiettare la sua mente con l’immaginazione e viaggiare con il pensiero oltre gli spazi siderali. L’uomo superiore espande la sua energia vitale e la sua coscienza oltre i limiti del corpo, e sa percepirsi come una parte di tutto quello che esiste. L’uomo superiore riconquista la perduta onnipresenza dello Spirito che è stata racchiusa nell’anima sotto forma di Spirito individualizzato. La coscienza di Gesù riuscì ad ampliarsi oltre ogni limite e superò tutto l’universo vibratorio abbattendo lo spazio e il tempo.

Così l’uomo Gesù diventò il Cristo con una coscienza onnipervadente diventando uno con la coscienza cristica. Secondo le scritture indù tutte le anime che lavorano alla realizzazione del Sé possono chiamarsi, a buon diritto, “figli di Dio”. Perciò il potere di realizzare il Cristo non è esterno ma è una conquista interiore, e le dottrine di Gesù sono insegnamenti che dicono come diventare simili a Cristo.

Yogananda dice che Gesù Cristo era una manifestazione divina come è dimostrato dai saggi orientali che vollero onorare la sua incarnazione. In India c'è una lunga tradizione in cui si narra che i tre saggi erano grandi maestri indiani venuti a rendergli onore. Ma nei Vangeli non c’è traccia di rapporti tra Gesù e l'Oriente, però c'è un periodo che va dai 14 anni ai 30 anni della sua vita che sono considerati “anni oscuri” di cui non sappiamo nulla. E non è strano che una vita così notevole abbia una lacuna tanto vistosa, chiede Yogananda?

In realtà sappiamo che, in India, questo periodo è documentato, e questi testi rivelano ciò che i Vangeli omettono. Una trascrizione di questi testi è stata fatta da Nicolas Notovich. Notovich era nato in Crimea nel 1858 da genitori ebrei, ma suo fratello si era convertito alla religione greco-ortodossa. Nicolas era giornalista, studioso di storia politica ed esperto di religioni. Durante gli anni ’70 del sec. 19., viaggiò nei Balcani, in Asia centrale, andò in Persia e arrivò in India nel 1887.

Visitò il Tempio d’oro di Amristar, nel Punjab, andò a Rawalpindi e raggiunse il Ladakh. Arrivò a Kargil viaggiando a dorso di pony insieme ai portatori e alle guide locali. A Mulbeck visitò due monasteri e vide la grande statua rupestre del Buddha Matreya scolpita nel 700 d.C. arrivando fino al piccolo monastero sulla collina. Mentre parlava con l’abate, Notovich vide che c’era una base comune tra la dottrina del Buddha e il cristianesimo.

Nel continuare a parlare con il suo ospite, l’abate disse: “Noi rispettiamo anche colui che voi riconoscete come il Figlio del Dio Uno. Lo spirito di Buddha era davvero incarnato nella sacra persona di Issa che, senza aiuto del fuoco o della spada, disseminò nel mondo la conoscenza della nostra grande e vera religione. Issa è un grande profeta, uno dei primi dopo 22 Buddha. Le sue azioni e i suoi scritti sono annotati nei nostri libri.”

Quando Notovich chiese di vederli, rispose che gli originali erano a Lhasa, in Tibet, ma i più grandi monasteri ne avevano delle copie. Purtroppo la sua gompa era piccola perciò lui non l’aveva. Incuriosito dal colloquio, Notovich si mise alla ricerca dei manoscritti, e da Mulbeck va a Leh, poi prosegue fino al monastero di Hemis che era uno dei maggiori monasteri del Laddakh.

Durante un’escursione a cavallo, si fratturò una gamba perciò fu ospitato nel monastero di Hemis, dove fu curato e trattato con cortesia. Il soggiorno prolungato gli permise di vedere i testi sulla vita del Buddha Issa che predicò la sacra dottrina in India e tra i figli di Israele. L’abate gli mostrò due grandi volumi rilegati tradotti in tibetano sulla base degli originali in pali. I monaci gli tradussero le parti che Notovich annotò con cura notando che: “I vari manoscritti che mi venivano letti dal lama buddista del monastero di Hemis […] possono essere stati, in realtà, l’opera di san Tommaso, così come gli abbozzi di scene storiche possono essere tracciati dalla sua mano o sotto la sua indicazione.”

Quando Notovich torna in occidente fa leggere il libro ricavato dalle note, ma tutti gli consigliano di non pubblicarlo per non avere noie. Nel 1890 Notovich pubblica il libro in Francia con il titolo “La vie inconnue de Saint Issa.” All'edizione francese seguirono altre edizioni in varie lingue, ma lo scalpore delle sue rivelazioni causano un rovente dibattito tra gli studiosi cristiani. Molti dicono che la vita in India di Gesù è solo un imbroglio. In realtà, Notovich non era stato il primo testimone dei codici sulla vita sconosciuta di Gesù.

Prima di lui, nel 1812, c'è la testimonianza di Meer Izzut-ooolah era stato in Ladakh e aveva trascritto appunti pubblicati in persiano. Meer Izzut-ooolah faceva parte della Compagnia delle Indie Orientali e governava su mandato del parlamento britannico. Viaggiava perché era incaricato di raccogliere informazioni sulle forze militari del regno di Bokhara.

Le sue note dicono che c’erano delle raffigurazioni di Gesù Cristo nei monasteri tibetani, e che i lama dicevano che alcune parti della Bibbia erano state rivelate ai tibetani. Nel 1922 il monaco indù, Swami Abhedananda, un discepolo del grande maestro del Vedanta, Swami Ramakrishna, era stato a Hemis e aveva letto i testi sul santo Issa. Aveva visto il manoscritto originale custodito a Lhasa, in Tibet, e afferma che era scritto in lingua pali. Con l’aiuto di un lama anziano aveva tradotto delle parti del testo annotandole in bengali.

Un’altra conferma sugli scritti è quella del 1925 di Nicholas Roerich che viaggiò nel Laddakh e nel Kashmir raccogliendo notizie e leggende su Gesù Cristo. Ne “Il cuore dell’Asia” dice che i lama di Hemis gli confidarono che erano costretti a nasconderli nei posti più segreti, perché molti testi erano stati rubati o distrutti. Sappiamo che, già dal 1890, la chiesa missionaria in India aveva incaricato alcuni missionari di trovare e distruggere i vangeli tibetani. Da allora molti cercavano, compravano, confiscavano o rubavano i manoscritti su Issa. Ma cosa contenevano di tanto sconvolgente quegli scritti?

Il resoconto di Roerich dice che a 13 anni Gesù era partito per l’India: il sutra intitolato Natha Namavali dice che Gesù chiamato Isha Natha era giunto in India a 14 anni. Il Vangelo degli Ebrei dice che Gesù aveva viaggiato attraverso la Siria e la Caldea (Mesopotamia) ed era giunto in India con una carovana di mercanti. A quei tempi c’era una via commerciale tra Gerusalemme e il Sindh che passava da Damasco e da Kharax che è all’incrocio tra il Tigri e l’Eufrate passando da Nisibis e Babilonia. La carovana di Gesù seguì quel percorso.

C'erano anche altre vie commerciali che collegavano tutta la zona usate anche per le migrazioni dai Greci di Alessandro Magno, dagli israeliti, dai Kassiti, dagli Ariani, dai Sumeri, dagli Assiri e da tanti altri popoli. La civiltà indù era antica e ricca di cultura e anche le vie che andavano dall’Egitto all’India erano molto trafficate. La prima destinazione di Gesù fu il Sindh, poi attraversò il Punjab e il Rajputana e arrivò nell’Orissa.

Negli appunti di Notovich si fa menzione che entrò in contatto con i seguaci dello Jainismo che predicano la vita pura, la non violenza, la nobiltà dell’azione e di pensiero, la gentilezza nei confronti di tutti gli esseri viventi e una dieta vegetariana. I maestri iainisti gli chiesero di fermarsi da loro, ma Gesù volle proseguire per l’Orissa. Le fonti dicono che restò 6 anni nel tempio di Jagannath a Puri, in Orissa, ma in quel periodo visitò anche Varanasi (Benares) e altre città sante.

Varanasi è la città sacra degli indù e qui Gesù fu iniziato alla lettura dei Veda. Il suo primo sermone pubblico avvenne a Varanasi dove la gente affluiva per pregare, bagnarsi nel Gange e meditare. Nel sermone parlò delle dottrine del Padre unico, solo Giudice e spirito Eterno e che è l’unica e indivisibile anima dell’universo davanti alle genti più umili.

I bramini si sdegnarono perché predicava alla gente di casta inferiore, ma Gesù restò disgustato dalle loro parole e lasciò Jagannah per andare nel luogo in cui era nato il Buddha Sakyamuni. Arrivò a Kapilavastu, in Nepal, e fu ricevuto dai buddisti. Visse con loro assistendo ai riti, alle preghiere e alle meditazioni fino ad afferrare completamente tutte le dottrine del Buddha.

Conseguì la padronanza dei Sutra, del Vinaya, dell’Abhidharma e cominciò a fare sermoni come un grande Maestro. I monaci lo riconobbero come maestro di grande levatura o Arhat, e lo videro come un Boddhisattva. Gesù restò per 6 anni tra i buddisti poi volle partire anche se i monaci gli chiesero di restare. Lasciato il Nepal tornò verso occidente predicando tra le genti, ma quando gli chiedevano di fare dei miracoli rispondeva che tutto l’universo creato è un miracolo.

Il miracolo accade ogni giorno anche se non lo vediamo, perciò la cecità ci priva di una delle gioie maggiori. Consigliò di percepire Dio nel cuore e non con gli occhi, e invitò a cercare la suprema beatitudine per mezzo della purificazione dell’anima. Lungo il viaggio di ritorno passò per il Punjab viaggiando con una carovana facendo miracoli e guarigioni tra coloro che incontrava. Quando i mercanti seppero che andava in Persia gli donarono un cammello bactriano.

In Persia, i sacerdoti zoroastriani ne ebbero paura e proibirono alla gente di ascoltare i suoi sermoni. Ma tutti lo accolsero con gioia e andavano ad ascoltarlo. E, verso l’anno 22 d. C., quando aveva circa 29 anni ritornò in Israele dopo essere stato lontano dalla sua patria per quasi 19 anni. Ma non senza aver soggiornato dai fratelli esseni abitanti in Egitto per informarli degli insegnamenti ricevuti in Oriente.

Buona erranza
Sharatan

martedì 23 settembre 2014

Avatara



“O Bharata, ogni volta che la virtù (dharma) declina
e il vizio predomina, Io M’incarno come un Avatar.
Di era in era Io Mi manifesto in forma visibile
per distruggere il male e ristabilire la virtù.”
(Shri Krishna, Bhagavad Gita, IV, 7-8)

L’induismo insegna che ogni anima è emersa dalla Coscienza Cosmica e che affronta l’esperienza della discesa nello stato vibratorio leggermente inferiore di Luce Cosmica o stato di Vivasvat. Dopo questa esperienza, essa perde la consapevolezza di essere Spirito che è rinchiuso nella Luce Cosmica perciò resta imprigionata nel corpo astrale. L’anima viene illusa e diventa sempre più limitata perciò s’identifica con la coscienza umana. Questo è lo stato del Manu (uomo originario) dell’anima che discende nella materia.

L’anima discende entrando nel canale specifico del senso intuitivo perciò diventa schiava delle percezioni dell’ego che è lo stato di Ikshvaku (da Ikshan, discernimento). Poi l’anima scende nei potenti stati della percezione dei sensi, e sperimenta lo stato del Rajarishi ossia lo stato di identificazione con i sensi. Poiché l'anima rimane per molto tempo in questo livello, s’identifica con il corpo e dimentica la fusione originale con lo Spirito.

Yogananda dice che l’anima nel suo stato di inconsapevole illusione scende dallo splendido palazzo cosmico e inizia a vagare nei bassifondi del materialismo. Ne consegue che ogni materialista che voglia risalire allo Spirito deve fare una risalita nel senso opposto. Chi vuole ascendere deve abbandonare l’identificazione con i sensi, le abitudini materiali che lo offuscano, deve ridestare la coscienza finché arriverà ad abbracciare la Luce Cosmica.

Solo così potrà raggiungere lo Spirito con cui l’anima avrà l’eterna e beata fusione. Quando lo Spirito scende e rinasce nella materia, a causa dell'illusione passa attraverso diversi stati: Coscienza cosmica, energia, gas, liquido, solido, materia macrocosmica, universo, materia microcosmica e, infine, forma umana. Quando l’anima esce dallo Spirito viene bloccata nel corpo però lo Spirito resta sempre libero anche quando è chiuso e si manifesta come materia.

Solitamente l’uomo s’identifica con il suo piccolo mondo rappresentato dai suoi sensi, dai suoi pensieri e dai suoi possessi. Ma uno yogi rinuncia a tutti gli attaccamenti interni ed esterni, e inizia ad ascendere dal piano dei possessi oggettivi. Egli sa liberare i suoi sensi dagli automatismi della percezione e sa liberarsi dall’influsso della mente subcosciente. Perciò uno yogi può liberarsi dal karma che ha accumulato nelle vite passate e può proiettarsi verso la supercoscienza.

Perciò così l’anima smette di vagare nei meandri della materia e si realizza come immagine perfetta dello Spirito pur restando a dimorare nel corpo fisico. Un essere realizzato, nelle sue estasi, vede che la Coscienza Cosmica si manifesta nelle forme più variegate e molteplici dell’essere. Egli sa leggere sulla tela dell’etere cosmico, e può vedere che la Luce Cosmica si proietta nel cosmo trasformandosi in paesaggi, laghi, esseri umani, animali, fiori, insetti e così via. Così si può vedere come, in ogni materia organica e inorganica, sia restato intrappolato lo Spirito.

L’illusione ci impedisce di vedere che lo Spirito tutto pervade, perciò chi lo vede diventa l'essere libero dall'illusione della materia, pur vivendo nella materia. Le sacre scritture induiste dicono che, fare un cammino spirituale è come camminare sulla lama di un rasoio, e anche la Bibbia chiama questo faticoso percorso, la strada che è stretta e dritta. Ebbene, l'avatara è il maestro che ha saputo fare il ritorno nello Spirito.

Costui ha saputo unire l’anima racchiusa nel suo corpo, allo Spirito Universale che pervade il creato. Questo essere ha perduto ogni attaccamento al suo involucro fisico, perciò è stato assorbito dallo Spirito. Chi sa diventare una piccola onda smarrita nell’oceano diventa come un cerchio senza periferia. Egli diventa un'immagine vivente del nostro Padre trascendente, e se l’anima compie questa evoluzione diventa un atavara.

L'avatara è un essere che è sceso in terra per fare un compito preciso, e che manifesta delle qualità divine. Il nome avatara viene dalla radice “tr” che indica un movimento di discesa a cui è anteposto il prefisso ”ava“ che rende l’idea di qualcuno che sta scendendo. Questo tipo di manifestazione divina viene descritto da Krishna nella Bhagavad Gita. Krishna rivela che il motivo della venuta di un avatara è dovuto al fatto che la virtù sia decaduta perciò abbia prevalso l’ingiustizia.

La missione dell'avatara è necessaria se il Supremo vuole aiutarci perciò viene a ristabilire la virtù offuscata. Quando insorgono le condizioni karmiche che richiedono la Presenza Divina, vuol dire che è necessario che sia dato un nuovo giro di chiave alla ruota cosmica. Questo avviene soprattutto quando è necessario creare una nuova forma manifestata, un nuovo modo di pensare e di sentire. La novità viene incarnata dall’avatara che mostra il modello perfetto che va emulato.

La nuova forma s'incarna nell'avatara che mostra come deve essere quello che sta nascendo. In questo modo si va a dare un giro di chiave alla ruota dell'evoluzione, e Ishvara usa l'avatara per dare la spinta necessaria a rimetterla in moto. Questo è il motivo della discesa dell'avatara che è sempre il prodotto dell'evoluzione personale di esseri umani che vissero nei tempi antichi.

I futuri avatara vissero nei mondi precedenti al nostro e risalirono tutta la scala evolutiva umana. Cominciarono a vivere allo stadio minerale poi divennero vegetali quindi animali e infine uomini. Risalendo la scala evolutiva giunsero nella gerarchia degli esseri spirituali che superano l'uomo. Ma riuscirono a superare quel livello giungendo a Ishavara, perciò si fusero con la Coscienza Cosmica. Essi divennero la pura consapevolezza che sa di essere fatta della stessa sostanza di Dio, e che sa che sempre lo è stata perché è nata dall’Uno.

Egli sa che l'Uno vive in ogni cosa vivente perciò vive anche in noi. Ma la consapevolezza suprema si ottiene solo quando diventiamo Uno con l’Uno. Ma questo percorso richiede il lavoro di tante vite perciò dietro all'avatara c’è un lungo percorso sempre in salita. L’uomo che aspira alla Divinità deve sviluppare le qualità che sono necessarie.

La prima qualità richiesta è la totale devozione al Signore, la shakti, che va unita alla perfetta conoscenza, la jnana. Infatti Krishna insegna ad Arjuna che la conoscenza e la devozione formano una mente che sa “penetrare entro il Mio essere.” La devozione consente di mantenere un saldo centro interno anche quando l’uomo individualizzato si manifesta come Ishavara. L'ascesa è impossibile senza devozione per il Divino e senza l’amore per ogni forma di vita.

Un avatara è una forma divina che si mostra sulla terra ma deve conquistare il potere di attivare un puro centro interiore. Intorno a quel centro interno si potrà magnetizzare la forma divina poiché, dal centro, la forma divina si deve sentire attratta. L’avatara deve sentire il Divino dentro di sé, e deve capire quanto amore è necessario per sacrificarsi e limitarsi nella forma materiale, ma quel sacrificio è fatto volentieri per amore dell'umanità.

Un sacrificio d’amore dona una forza che può magnetizzare ogni cosa, perché l'amore è la maggiore forza magnetizzante. L’avatara sente una profonda devozione perciò ha la certezza che quest’ascesa si può fare con “bahuni janmani” ossia con molte nascite, così come insegna Krishna. E dopo aver raggiunto Ishavara, l’avatara si è liberato da ogni tipo di karma perciò sceglie di ritornare, di sua propria volontà, non perché ne ha bisogno ma perché viene spinto dall'amore.

Perciò un avatara prima d'incarnarsi come Ishvara nasce come Deva, come Naga o con le forme che sono necessarie. Nello “Yoga Vasihstha” è detto che anche Mahadeva, Vishnù e Brahma furono uomini che dovettero ascendere perciò anche gli dei guadagnarono la loro divinità. Non c'è forma di vita che sia indegna di ospitare lo Spirito perché tutte le forme hanno la stessa radice.

La manifestazione è diversa perché il Sé assume tutte le fasi dell’essere, ma il sé dell’uomo è antico, eterno e costante come lo è lo Spirito. Ogni forma di vita è un raggio della gloria divina, dice Yogananda, perciò anche il più Grande degno di rispetto deve fare la scalata. Se diventiamo degni di manifestare Dio nel mondo diventiamo dei purnavatara cioè degli avatara perfetti come Krishna e Gesù Cristo.

Il purnavatara si manifesta come il Signore Supremo dell’Universo che scende nella forma. Egli si può manifestare come vuole perciò, a suo volere, può indossare il Corpo di gloria divina che splende come tutti i soli dell’universo. E la trasfigurazione fu fatta sia da Krishna che da Gesù Cristo che si mostrarono totalmente trasfigurati di splendore ai loro discepoli.

Ma non tutti gli avatara sono così perfetti, perciò anche tra i maggiori ci sono dei tipi diversi. Solitamente l'avatara scende per offrire l'esempio perfetto a cui anche il più piccolo può paragonarsi, e da cui può trarre ispirazione per il suo miglioramento. Ma c'è anche una classe intermedia di esseri illuminati che non vanno pensati come dei maestri meno perfetti, ma che vanno visti come dei maestri diversi da quelli del primo tipo.

Questa seconda classe di manifestazione divina è detta avesha. Il termine viene dalla radice “vish” che significa penetrare, permeare, pervadere perché da l’idea di uno che viene pervaso, penetrato o permeato dallo Spirito. Ma, in questo caso, si deve avere l’idea di una entità già vivente che viene penetrata e illuminata dal Potere divino.

E il caso vede la situazione in cui l'individuo viene dominato dallo Spirito, perciò il suo ego viene totalmente sottomesso. Anche questo caso vede degli uomini che lo diventarono essendosi evoluti nei mondi passati e che avanzarono fino a fondersi con Ishvara. Costoro sono diventati degli involucri che lo Spirito può permeare per manifestarsi tramite loro.

Un avesha è una manifestazione divina in cui l'ego individuale resta, infatti l’io resta libero e la Divinità viene per adombrarlo quando è necessario che venga ispirato. La manifestazione divina, in questo caso, viene colorata e condizionata dalle qualità e dalle caratteristiche dell’ego che viene permeato. Lo Spirito si mostra mischiato a tutte le sfumature della sua razza, del suo modo di essere e di sentire, perciò assume tutte le caratteristiche dell’incarnazione in cui entra.

E questa è la differenza fondamentale tra un avatara e un avesha, sebbene la cosa non possa ragionarsi come un fatto di gradini più alti o più bassi. E se la pensiamo così, valutiamo che l’adombramento divino segue forme e modi diversi per adattarsi agli uomini, perciò il gradino più basso lo offre nell’ispirazione. L’avesha la sente molto intensamente e prosegue a sentirla per tutta la vita anzi, solitamente, si accentua nell’ultima parte di vita. Ma l’ispirazione, per come è comunemente pensata, resta troppo debole, parziale e troppo soggettiva per offrire l'idea di quello che prova un avesha.

Il potere divino gli cala dall’alto in un attimo, e da quel momento, l'io parla con una conoscenza e un’autorità che non possiede nella sua vita comune. Nello stato normale non saprebbe dire o fare quello che dice e che fa quando è permeato e adombrato dallo Spirito. E di questo tipo sono le esperienze dei profeti e dei veggenti che, in ogni tempo e paese, esprimono la Voce di Dio.

Buona erranza
Sharatan

martedì 16 settembre 2014

Gita in barca



“La tua zattera vaga su un mare agitato. Puoi rimanere a galla solo se osservi attentamente il moto ondoso, solo se rimani intensamente presente a ogni onda. Un’onda è seguita da un’altra onda, e ancora da un’altra onda, senza fine. Passano così lunghi minuti, lunghe ore, le ginocchia piegate, le braccia distese in avanti o che fanno da bilanciere sui lati, le anche che ruotano, ad attutire le salite, le discese, le chine, il rollio, il beccheggio della zattera sulle onde.

Vedi arrivare ogni onda, piccola, grande, di fronte o di lato, e ti prepari al movimento della zattera. Se sei distratto cadi. Il mare non è altro che la mente, le onde sono le emozioni e i pensieri. Quando la tua consapevolezza e la tua attenzione vengono meno, ti abbatti di schianto sulle assi della zattera.

Ma se rimani ben vigile, se la tua attenzione non viene meno, se la tua coscienza vede arrivare ciascuna onda, una dopo l’altra, la vita diventa un gioco meraviglioso. Se sei disattento, se dimentichi che le emozioni e i pensieri sono turbolenze della mente, allora sarai sballottato, trasportato dall’illusione, centrato in pieno dalla sofferenza.

Sei capace di mantenere costantemente una piena presenza di spirito davanti a tutte le tue sensazioni, a tutte le tue emozioni e a tutti i tuoi pensieri? Riesci a vedere chiaramente, per ognuno di essi, nell’istante stesso in cui emergono, la loro natura vuota e transitoria?

Osserviamo, senza interruzione, il nostro automatismo mentale, per allenarlo, fino a farlo crollare definitivamente. È proprio perché vogliamo possedere e dominare che non riusciamo a dominare e che cadiamo nella trappola della sofferenza. Il dominio della nostra vita passa per il dominio della nostra mente e questo si riassume nell’esercizio di mollare la presa.

Molla la presa. Molla la presa. Molla la presa senza sosta, istante dopo istante.

Per risalire la corrente dell’entropia mentale, colloca all’entrata della tua mente un piccolo démone portinaio che osservi tutti i pensieri, anche il più minuto, il più impercettibile. Alla luce della piena coscienza, questo genio fisionomista distingua con chiarezza i pensieri che nutrono il narcisismo, la paura, l’aggressività, l’avidità, la frustrazione, etc.

Riconosca i combustibili della tristezza, il riprendere dell’infelicità, ciò che attira le nevrosi. E riconosca anche la gioia disinteressata, la felicità dell’istante condiviso, il piacere di essere, la potenza dell’anima. Riconosca che la luce della coscienza si contenta di brillare.”(Pierre Lévy, Il fuoco liberatore, Sossella ed.)

domenica 14 settembre 2014

Interezza



La volontà di interezza è inerente a ogni cosa
ma diventa consapevole solo nell'uomo.
Per questo l'uomo vive in tensione,
e solo quando questa aspirazione è appagata
il suo stato negativo di tensione viene spazzata via.

Questa tensione simboleggia l'infinito potenziale
e al tempo stesso le infinite possibilità dell'uomo.

L'uomo non è ciò che potrebbe essere,
e finché non sarà ciò che può essere
non potrà mai sentirsi a suo agio.
Questo dis/agio è l'uomo,
e la sua salute è nell'interezza.

Il fatto che il linguaggio abbia un'unica radice
per le parole whole, holy e to heal
(interezza, sacro e guarigione)
nasconde una verità profonda.

Colui che è intero è anche guarito,
ed essere guariti significa essere interi.
Questa interezza si può conseguire solo
diventando totalmente coscienti di se stessi.

Si può penetrare l'oscurità dell'incoscio.
e trasformarla in luce.

E la meditazione è il metodo.

(Osho)

giovedì 11 settembre 2014

Colpevole!




Da La stampa.it:

"Non ha resistito alla narcosi praticata dai tecnici forestali l’orsa Daniza, in un tentativo di cattura disposta dalla Provincia autonoma di Trento in seguito all’aggressione subita da un cercatore di funghi nei boschi di Pinzolo nel giorno di ferragosto. Una morte che ha ulteriormente scatenato le polemiche sul fronte ambientalista, animalista e politico.

Da più di due settimane i forestali trentini erano impegnati nella ricerca di Daniza e dei suoi due cuccioli. Dopo vari e vani tentativi con le speciali esche di carne e pesce, ieri sera il cerchio si è stretto attorno all’orsa fuggitiva, che era munita di radiocollare.

Individuata in val Borzago, dopo aver compiuto una serie di razzie di pecore vicino ad una baita, Daniza è stata accerchiata da quattro forestali e un veterinario ed è stata colpita con una dardo munito di anestetico, una dose per un animale di 80 kg, ben al di sotto dei 106 kg di Daniza, dicono in Provincia a Trento. Qualcosa però è andato storto e il plantigrado è in breve deceduto.

Forse la morte è collegata a problemi di salute, dice il presidente della Provincia di Trento, Ugo Rossi, che ha disposto l’autopsia dopo aver informato dell’accaduto la Procura di Trento e il ministro dell’ ambiente fornendo loro tutta la documentazione sul tentativo di cattura.

«Non è la prima volta che Daniza ha subito un’ anestesia», aggiunge Rossi precisando che «anche nel caso l’orsa fosse stata catturata con una trappola sarebbe stata sottoposta ad anestesia. Dal punto di vista emotivo questa disgrazia evocherà passioni e critiche, ma noi ci siamo mossi in totale aderenza ai protocolli giuridici e medici».

La morte di Daniza, il primo orso importato in Trentino dalla Slovenia nel 2000 all’avvio del progetto Life Ursus, ha in breve provocato una raffica di reazioni. Dall’Enpa, che vuole un’ autopsia eseguita dall’Istituto zooprofilattico, è partita la richiesta di dimissioni del ministro dell’ambiente Gian Luca Galletti, che nel frattempo ha chiesto chiarimenti al presidente della Provincia di Trento, Ugo Rossi.

Anche per quest’ultimo vengono richieste le dimissioni dal segretario della Lega Nord Trentino Maurizio Fugatti. Gli animalisti parlano di `orsicidio´ e annunciano manifestazioni di protesta. Iniziative legali sono già state annunciate da più associazioni animaliste e non solo, fra cui Aidaa (che propone per il 13 settembre una giornata di lutto), Lav e Codacons. Un’indagine verrà avviata dal Corpo forestale dello Stato.

«L’uomo `feroce idiota´ ha colpito ancora», commenta lo scrittore Mauro Corona che per salvare Daniza nelle scorse settimane aveva fatto numerosi appelli sul web e tramite la stampa. Interviene anche la Diocesi di Trento: «Questa triste vicenda - dice don Rodolfo Pizzolli, delegato per la pastorale dell’ambiente e del turismo - non inficia tutto il lavoro fatto finora: in Trentino la Chiesa, ma soprattutto le amministrazioni pubbliche sono molto impegnate nella custodia dell’ambiente, del territorio e noi i risultati li vediamo continuamente».

Sul web intanto si infittiscono le prese di posizione e le accuse anche pesanti alla Provincia di Trento. Non viene risparmiato anche Daniele Maturi, il cercatore di funghi di Pinzolo, aggredito e ferito da Daniza. «Da tempo - dice - ricevo continue minacce su internet, sulla morte di Daniza preferisco non dire nulla»."


Poema per una canzone



Ho colto tre foglie d'autunno
ne ho fatto un naviglio
e il ventre del mare
ne resta macchiato di sangue.

Ho colto tre raggi di luna
per armare il naviglio
e il vestito del mare
ne resta adornato di perle.

Ho colto un gran tronco di quercia
per farne l'albero maestro
e tutto il cuore del mare
ha rimbombato al suo grido!

Ho colto tre uccelli di schiuma
e ne ho intessuto la vela
e contro la guancia del cielo
ora scivola come una lacrima.

La notte ho colto tre sogni
per attirare il naviglio
e la vita pulsante del mare
me l'ha annegato di piacere.

Il nylon del cielo e dell'onde
s'è chiuso oramai sul naviglio
non ne resta più nulla ma solo
una lacrima sanguigna a levante.

(Minou Drouet)

martedì 9 settembre 2014

Il viaggio alla Montagna delle scimmie



“La pienezza della sapienza è giungere
alla fine degli anni concessi dal Cielo
e non morire prematuramente a metà strada.”
(Chang Tzu)

Chang Tzu racconta che il principe di Wu, un giorno, prese una nave e navigò verso la Montagna delle scimmie. Quando furono arrivati in vista dell’isola, le scimmie videro la nave e corsero a nascondersi in cima agli alberi più alti. Solo una scimmia restò immobile e indifferente diversamente dalle sue compagne. La scimmia restò a dondolarsi per un po’ e poi iniziò a saltare con agilità da un ramo all’altro.

Quando il principe di Wu vide che faceva quelle acrobazie, prese il suo arco e scoccò una freccia per ucciderla. Ma la scimmia era veloce e, mentre saltava, afferrò la freccia con la mano. Dimostrò una tale destrezza da suscitare l’ammirazione dei nobili dignitari che erano al seguito del principe. Invece il principe reagì male, infatti era così arrabbiato che ordinò ai suoi arcieri di lanciare le loro frecce contro l’animale.

Mentre la scimmia cadeva morta a terra, trafitta da un nugolo di frecce, il signore di Wu si rivolse all’amico Yen Pu’i che lo accompagnava e gli disse: “Hai visto? A quella scimmia è costato caro il fatto di avere ostentato la sua bravura. E lo sai perché gli fu fatale? Perché aveva una fiducia esagerata nella sua bravura e pensava che nessuno l’avrebbe potuta battere. Sicuramente tra i suoi simile era imbattibile, ma le cose sono diverse quando ci si trova a trattare con gli uomini. Non bisogna fare troppo affidamento sui nostri talenti e sulle nostre capacità quando si tratta con gli esseri umani!”

Quando tornarono a corte il nobile Yen Pu’i decise di diventare il discepolo di un grande saggio taoista che lo guidò verso la liberazione da tutto quello che lo rendeva un uomo eccezionale. Quel maestro gli insegnò a diventare un uomo comune che non ha alcuna qualità che lo rende superiore agli altri uomini. E ben presto, la posizione di Yen Pu’i divenne di minor rilievo, perché nessuno lo cercava più per sfruttarlo però tutti lo trattavano con grande rispetto. La verità era che tutti lo rispettavano perché lo temevano non riuscendo a capirlo.

La storia ci spiega una verità molto profonda che viene insegnata dal grande maestro del Tao. Il Tao insegna che non dobbiamo ostentare le nostre qualità ma che dobbiamo coltivarle in segreto. Solitamente si agisce in modo contrario, infatti si tende a nascondere i propri difetti e si tende a ostentare solo le cose che crediamo essere migliori. Ci si espone e si pubblicizzano troppo le nostre azioni, perché usiamo e lasciamo agire l’ottica dell’ego che si sente glorioso per le sue azioni.

La storia dimostra che così viene buttata la parte migliore e viene accresciuta la parte peggiore. L’uomo che segue la saggezza del Tao si sente un uomo ordinario perciò nessuno conosce cosa si porta dentro, in quanto egli non si mette in mostra. Chi si pubblicizza troppo non è un uomo soddisfatto di se stesso, perché è soddisfatto solo quando gli altri lo lodano e lo apprezzano. Costoro tengono troppo all’opinione degli altri che diventano lo specchio della loro autostima.

L’opinione degli altri viene ricercata più di ogni altra cosa. Se gli altri li lodano stanno bene, perché il loro ego si nutre e si accresce con le opinioni degli altri. L’ego si nutre di menzogne e false convenienze perciò ci rende schiavi degli altri. Perciò se gli altri cambiano opinione, finisce subito anche la nostra autostima. Se non sappiamo entrare in contatto con il nostro essere facciamo questo fatale errore e diventiamo mera apparenza.

Il fatto di essere una persona speciale non riguarda gli altri, perché dipende da ciò che siamo e facciamo. Non siamo degli esseri straordinari perché abbiamo la considerazione degli altri ma perché siamo degli esseri unici che non hanno bisogno di provare nulla a nessuno. Se abbiamo bisogno di provarlo è segno che non siamo sicuri del nostro valore.

Il modo più facile per togliersi tutti i dubbi è quello di cercare una conferma del nostro valore nello sguardo dell’altro. Siamo così insicuri riguardo al nostro valore che cerchiamo solo quelli che ci dicono che siamo esseri importanti. Ma questo è solo un accordo di reciproca convenienza, perché ognuno dice solo quello che vuole sentirsi dire dagli altri.

Perciò quando ci dicono che siamo importanti è perché dovremo ricambiare il complimento affermando la stessa cosa: e questo anche se fossimo convinti del contrario! Nel gioco reciproco c’è sempre un patto - certo non esplicito - di gratificarsi reciprocamente, perciò ognuno loda gli altri per essere lodato. Dobbiamo sapere questa verità, ossia dobbiamo sapere che non possiamo diventare quello che già siamo.

Se la pensiamo diversamente siamo lontani dalla verità, perché la conoscenza procede lungo due percorsi ma la via che passa dalla mente degli altri è sbagliata. La via giusta è quella che si basa sull’esperienza diretta che consiste nel conoscersi direttamente. Se non ci apprezziamo noi stessi, come possiamo chiederlo agli altri?

Se non crediamo nel nostro valore, dobbiamo cercare un surrogato, e l’ego ha la funzione di essere il surrogato dell’io. Il Tao si oppone all’inganno dicendo che dobbiamo cercare l’essere vero, altrimenti nutriremo la falsa persona beata di essere in vetrina. In quel modo siamo solo una cosa, una merce da vendere o comprare perciò ci perdiamo nella perenne ricerca di chi ci gratifica meglio.

Il taoismo si oppone a questo modo perverso di vivere, perché così sprechiamo la nostra vita. La nostra energia va dispersa e non è usata per muoversi verso il centro del nostro vero essere. Un uomo che è alla perenne ricerca di se stesso impiega la sua energia per conoscersi e migliorare se stesso. Lui non disperde l’energia per sembrare straordinario agli occhi degli altri.

Lui sa cos’è veramente e cosa vale, perciò non lo deve dimostrare e non lo vuole ostentare. Rimane in silenzio e accrescere la sua vita. Se siamo esibizionisti siamo una merce e non siamo degli individui. L’individuo è nascosto nel profondo dell’essere dove vive la potenzialità più vera e straordinaria della nostra vita. L’essere interno è come un profondo abisso in cui si deve scendere, ma in quella profondità si scende sempre da soli. E non dobbiamo preoccuparsi di ciò che gli altri pensano o credono di sapere, perché così restiamo in superficie per ascoltare un vuoto brusio, e perdiamo l’interesse di scendere verso il centro dell’essere.

Quando mandiamo qualcosa verso l’interno non facciamo che inviarla verso la fonte dell’energia perciò la rafforziamo. Se mandiamo la parte peggiore verso l’interno rafforziamo il seme peggiore, e il negativo cresce dentro di noi fino a soffocarci, perciò la parte peggiore va ammessa e va mandata verso la consapevolezza.

Se una cosa viene spinta verso la coscienza, viene espulsa all’esterno e può venire eliminata. Invece di nascondere le parti migliori dobbiamo farle scendere in profondità per farle diventare le radici profonde del nostro essere. E da esse estrarremo le forze necessarie ad accrescere l’essere. Gurdjieff dice che non si diventa uomini se non si smette di essere delle scimmie, e la caratteristica delle scimmie è quella di imitare gli altri. La scimmia vive bene quando imita ciò che vede fare, e anche noi facciamo come la scimmia quando viviamo la vita degli altri.

Se viviamo, pensiamo e ci vestiamo come gli altri ci dicono di fare, diventiamo la brutta copia dei nostri idoli, perciò non sapremo neppure quali sono i nostri gusti e bisogni. Siamo degli imitatori del sentire e dell'essere degli altri, ma questa strada non porta da nessuna parte. Se restiamo sulla superficie delle cose ci dimentichiamo di essere venuti al mondo per sviluppare i nostri talenti. Noi siamo venuti al mondo per adempiere al nostro destino, e per divenire gli esseri che sono consapevoli e che cercano di accrescere la loro comprensione.

L’esistenza non è mai un’esperienza che si ripete uguale, perciò ognuno sceglie il sentiero che gli consente di sviluppare al meglio la sua unicità. L’arte di copiare gli altri è una via facile che non richiede sviluppi di alcuna abilità, perciò possiamo diventare meglio della scimmia. La scimmia fu punita perché si stava magnificando troppo davanti alle altre scimmie, perciò sembrò beffare il principe. L’esibizione veniva fatta a esclusivo vantaggio delle compagne a cui la scimmia voleva mostrare di non aver paura di nessuno.

Lei voleva solo rinforzare un pochino il suo prestigio, ma il fatto diventò un insulto per il principe di Wu che volle ucciderla per sanare l’offesa inferta al suo onore. Anche il signore di Wu non capì di essere spinto dal suo ego. Se non fosse stato spinto dall’egocentrismo avrebbe capito che la scimmia è solo un animale perciò non può agire per le motivazioni che spingono gli uomini. Un vero sovrano deve essere flessibile e deve capire questa differenza, perciò non può uccidere una bestia credendola crudele come una persona.

Le persone agiscono con l’intenzione di ferire o di offendere, ma l'animale è innocente perché viene spinto solo dall'istinto. Anche il principe può essere cieco e può venire dominato dalla sua ira. Quella povera scimmia non face nulla di malvagio ma cercò solo di divertirsi senza uccidere o ferire nessuno. Il principe si dimostrò un uomo infantile, arrogante, testardo e violento perciò si dimostrò un pessimo governante dalla mente ottusa.

Un uomo di saggezza sa come guardare e valutare ogni lato delle situazioni. Non si può diventare saggi se non siamo in grado di vedere le sfumature del mondo, e se non sappiamo metterci nei panni degli altri. Quel principe si dimostrò molto più irragionevole di una scimmia, infatti dimostrò di essere peggiore di una bestia. Queste cose furono ben comprese da Yen Pu’i che, per questo, decise di seguire la via che dimostra il possesso della vera intelligenza e abilità.

Buona erranza
Sharatan

sabato 6 settembre 2014

Un incontro di corpo e di anima



“La comprensione libera.
(Osho)

“L’uomo è l’unica creatura in grado di reprimere le proprie energie, o di trasformarle. Nessun’altra creatura può farlo: repressione e trasformazione sono due aspetti di un unico fenomeno che è la possibilità umana di fare qualcosa rispetto a se stessi.

Gli alberi esistono, gli animali esistono, gli uccelli esistono, ma non possono fare nulla rispetto alla propria esistenza, ne sono parte: non possono porsene al di fuori e osservarla, né possono fare qualcosa. Sono talmente immersi nella propria energia che non se ne possono separare.

L’uomo può fare qualcosa, può fare qualcosa rispetto a se stesso: si può osservare da una certa distanza, può guardare le proprie energie e separarsene; a quel punto le può reprimere, oppure le può trasformare.

La repressione è solo il tentativo di nascondere particolari energie; impedire loro di esistere, non permettere loro di manifestarsi. La trasformazione è il cambiamento delle energie, il loro sviluppo verso una nuova dimensione.

C’è paura, perché senti che perderai il controllo e, una volta perso il controllo, non puoi farci nulla. Io insegno un nuovo tipo di controllo: il controllo del Sé che osserva come un testimone; non il controllo della mente manipolatrice, bensì il controllo del Sé testimone. È la forma più elevata di controllo ed è talmente naturale che non hai mai la sensazione di controllare; è una forma di controllo che accade spontaneamente con l’essere un testimone.

Se segui la repressione, puoi diventare un cosiddetto essere umano: falso, superficiale, vuoto all’interno, un vero manichino, per nulla autentico, non reale. Se segui la repressione, bensì l’indulgere, diventerai come un animale: bello, più bello degli uomini civilizzati, eppure un animale; non sarai attento e presente, non sarai consapevole, bensì ignorante per ciò che concerne la possibilità della crescita, lo sviluppo del tuo potenziale umano.

Se trasformi l’energia diventi divino. E ricorda: con divino, entrambi gli aspetti sono impliciti. La bestia, con tutta la sua bellezza è presente; non viene rifiutata e negata, esiste, ed è ricca più che mai, perché è più sveglia. Ebbene, la natura selvaggia con la sua bellezza è presente, e tutto ciò che la civilizzazione ha cercato di imporre è anch’esso presente, ma è spontaneo, non imposto!

Una volta che l’energia è trasformata, in te la natura e il divino si incontrano: la natura con la sua bellezza e il divino con la sua grazia totale. Questo significa essere saggi. Il saggio è un incontro di natura e divino, un incontro di corpo e di anima, un incontro di ciò che sta sotto e di ciò che sta sopra, un incontro di terra e di cielo.” (Osho)

giovedì 4 settembre 2014

Riflettere il mondo



"Come si forma, in sostanza, la percezione?
Si pensa che nasca perchè gli oggetti sono fuori ...
in realtà... il nostro organismo è un apparecchio
rispecchiante che ci riflette le cose incontro."
(Rudolf Steiner, Leggere occulto e ascoltare occulto)

Nel 1992 un gruppo di ricercatori dell'Università di Parma propose una ricerca alla rivista "Nature" che si rifiutò di pubblicarla perché lo studio era "privo d'interesse generale". Quei ricercatori affermavano di avere osservato dei neuroni particolari nel cervello dei macachi. Quei neuroni reagivano con scariche elettriche tipiche dell'attività motoria quando gli animali vedevano compiere delle azioni da altri soggetti. L’anomalia era stata osservata da Luciano Fatiga, Vittorio Gallese, Leonardo Fogassi che lavoravano sotto la supervisione del prof. Giacomo Rizzolatti che oggi è un gigante nel suo campo.

La scoperta era avvenuta durante una pausa di lavoro. Fatiga era un ricercatore geniale che aveva molta pratica con i nuovi macchinari, i computers e le nuove tecnologie e per la sua competenza era prezioso per il team. L’equipe di Rizzolatti aveva già scoperto i neuroni motori "canonici" che codificano i movimenti in base allo scopo. Si lavorava in questa direzione coinvolgendo dei macachi che venivano osservati durante l’esecuzione di operazioni semplici come afferrare una mela.

Durante una pausa di lavoro Fatiga, che monitorava l'animale, notò che lo strumento registrava che il cervello del macaco "sparava" una carica elettrica vedendo che un ricercatore prendeva una mela per mangiarsela. Il cervello dell'animale reagiva come se stesse compiendo lui stesso l'azione che vedeva fare dal ricercatore. Come si spiegava la stranezza? Il professor Rizzolatti è stato un pioniere nello studio delle funzioni motorie su cui lavora fin dal 1965 perciò studiò lo strano fenomeno, e nel 1992 arrivò alla scoperta rivoluzionaria. Il primo lavoro sui neuroni specchio fu pubblicato nel 1992 su "Experimental Brain Research."

La scoperta di Rizzolati e collaboratori, secondo lo scienziato Vylianur Ramachandran, è stato per la psicologia una rivoluzione copernicana come lo è stata la scoperta del DNA per la biologia. Ma qual'è la vera portata della scoperta dei neuroni specchio? Negli anni '80 gli americani studiavano il sistema motorio con la misurazione della velocità dei movimenti e con il conteggio dei muscoli che vengono attivati nel movimento. Ma il professor Rizzolatti è di opinione diversa, perciò usa l'approccio etologico e osserva gli animali in situazioni di vita normale. L'impostazione precedente era quella che ipotizzava l'esistenza di funzioni di "basso" e di "alto" profilo neurobiologico e cerebrale.

La scoperta dei neuroni specchio sconfessa completamente questa teoria e la scoperta diventa una vera bomba quando si osserva che i neuroni specchio si trovano anche nel cervello umano. Rizzolatti ed i suoi collaboratori hanno scoperto che i neuroni specchio sono dei neuroni motori che si attivano quando l'animale vede compiere delle azioni da altri soggetti. I comportamenti sembrano rispecchiarsi nel cervello di chi agisce e di chi vede agire. Si registrano anche nell'essere umano e soprattutto nella "zona di Boca" che è la zona deputata al linguaggio.

Secondo Rizzolatti, la loro funzione fondamentale è quella di consentirci di comprendere e di farci intuire lo scopo delle azioni degli altri. La conclusione fu che tutte le funzioni cognitive superiori come il linguaggio derivano dalle funzioni motorie dei primati e si sono sviluppate a partire dal sistema motorio delle scimmie. Così si sconfessò anche la teoria che, durante la crescita evolutiva, avvenga la comparsa di nuove aree deputate al pensiero astratto che ci prepara all'acquisizione del linguaggio.

Nel corso dell'evoluzione umana, i neuroni specchio ci hanno permesso di imparare per imitazione, di comunicare e di parlare mentre gli animali si devono limitare a emettere versi, stridii, urla oppure ringhiano. Dai vocalizzi degli animali deriva il linguaggio umano, infatti vediamo che la gestualità diventa il linguaggio corporeo che si esprime con la pantomima. Vediamo che le prime vocalizzazioni del lattante sono l'espressione di un proto linguaggio che, in seguito, diverrà il linguaggio della lingua madre.

Nell'evoluzione del singolo uomo vediamo il ripetersi di vari tipi di comunicazione che si svilupparono prima come linguaggio gestuale e poi come linguaggio orale. Secondo il prof. Rizzolatti una disfunzione dei neuroni specchio può influire sull'autismo in cui si soffre per l'incapacità di capire le azioni degli altri e non si riesce a comunicare con gli altri. Il loro ruolo fondamentale è quello di promuovere l'atteggiamento empatico.

Ancora una volta la scienza si affianca alla filosofia e alla fenomenologia nell'affermare che "l'essere con" equivale all'avere uno scambio armonioso con il mondo. E questa è la condizione indispensabile per l'equilibrato sviluppo degli esseri umani: l'empatia è la capacità di rispecchiare gli altri. Nella crescita successiva sarà necessario fare la differenziazione, perchè dalla nostra capacità di distinguerci dagli altri dipende la creazione dell'identità dei soggetti che si confrontano.

Già dagli anni ’70, lo psicanalista John Bowlby aveva usato le tecniche degli etologi per osservare i bambini deprivati. Bowlby aveva dimostrato che l’empatia è l’antidoto all’aggressività e che l’aggressività è il malfunzionamento dell’empatia. L’altruismo non è dovuto a calcoli di meschina convenienza ma è dovuto alla capacità di provare un coinvolgimento con il mondo affettivo degli altri. Si è provato che i delfini, gli elefanti, i canidi e i primati superiori sanno rispondere empaticamente alla sofferenza che vedono negli altri.

Questi animali mostrano atteggiamenti di dolore per risonanza con la sofferenza dell'animale del branco con cui hanno un legame affettivo. L’attaccamento che si crea tra gli esseri viventi è sempre un legame biologico, e in seguito diventa un’impronta della memoria biologica. Questo consente di sentire che il soggetto che ci coinvolge sia la figura significativa. Da quel momento la sofferenza della nostra figura significativa susciterà in noi lo stesso dolore: questa è la prova della confluenza empatica di due mondi emozionali.

Nell’animale si parla di empatia cognitiva perché avviene un’attività mentale che è costruita con delle immagini visive e sonore. Se una mamma gorilla vede il figlio che soffre perché viene preso al laccio, anch'essa si agita e soffre perché vede che il figlio si agita e soffre. Nell’empatia, il mondo interno del soggetto viene sconvolto e disorganizzato quando anche il mondo dell’altro subisce la stessa sorte. Alla base della convivenza degli animali c’è questa tendenza a sentire empaticamente gli altri.

Il fenomeno è presente in molte specie animali che mostrano una tendenza naturale a volere il benessere comune. Vediamo che gli animali soffrono e restano inebetiti per la morte di chi amano, infatti gli scimpanzé davanti alla morte di un compagno prima strillano, poi muovono il suo corpo per rianimarlo. Infine restano annichiliti dall'intensità del loro dolore, infatti c'è un rallentamento motorio, la perdita dell'appetito e della voglia di giocare: gli animali restano immobili, fissi e tramortiti dalla sofferenza.

Chiaramente questo non avviene in tutti gli animali e, anche nelle specie in cui è presente, non è sempre attivo in tutti gli individui. In molte specie animali osserviamo fenomeni di cannibalismo e atti di mobbing contro animali più deboli. Sappiamo che le gatte mangiano i gattini che percepiscono come una preda. L’empatia animale è sempre basata sullo psichismo che sa dare una motivazione in base ai movimenti che si vedono attuare. Esso percepisce la postura fisica del soggetto e quella percezione lo predispone ad attribuire un certo stato mentale all’altro.

Avere la capacità empatica implica avere un cervello che sa prescindere dal contesto in cui l’informazione è evidente per ottenere la comprensione del senso implicito nelle cose. L’empatia animale viene predisposta dai comportamenti degli altri, e dimostra che l’animale ha imparato a usare le esperienze passate per guardare il futuro. L'atteggiamento lo osserviamo anche nel gatto che ci aspetta davanti al frigo perchè sa quel posto contiene tante cose buone da mangiare.

Negli scimpanzé c’è la reazione empatica più raffinata. Lo scimpanzé riesce a mettersi nei panni di chi vede soffrire, perché lui comprende il motivo di quel dolore. Anche la caccia non è altro che l'impiego distorto dell’empatia che è deviata in atto malsano per intuire le mosse dell’animale che viene predato. Negli uomini vediamo un'empatia emotiva attiva fin dall'inizio della vita, infatti il movimento o la minima reazione dell’altro ci fanno capire il suo stato mentale. Si risponde sempre in base a quello che si riceve perciò, già dallo stato fetale, riceviamo le informazioni che ci aiuteranno a costruire una idea del mondo. E se una rotella dell'ingranaggio s'inceppa e non funziona, tutto il sistema resta perturbato.

L’empatia non è solo un’azione mentale perché la capacità empatica determina lo stile che avremo nelle nostre future relazioni. Si è osservato che, i bambini cresciuti in ambienti ostili e molto deprivati affettivamente, non sanno sentire in modo empatico gli altri uomini, perciò essi non sanno rispondere con compassione. La scienza ha scoperto che la risonanza empatica è la caratteristica che spiega l’imitazione per contagio che è visibile sia negli animali che negli uomini. È per questo che un branco lavora all’unisono, e quando un uccello vede arrivare un nemico si mette in atteggiamento di volo. Quando lo stormo lo vede, lo imita e riesce a fuggire.

Gli animali gregari usano questa strategia per limitare i danni, infatti il branco si sincronizza e mangia, beve e dorme assieme per difendersi meglio. Negli uomini quella sincronizzazione avviene con l'imitazione dell’espressione facciale. I neonati imitano le azioni degli adulti, perché “l’essere con” che è proclamato dai fenomenologi ci viene attaccato addosso fin da subito. Nell'essere uniti insieme, e nel vedere quello che proviene dal mondo nasce la capacità di riuscire a vivere e condividere il medesimo mondo.

Il cervello è stato strutturato per rispecchiare l'esterno, e la scienza ha dimostrato come accade. La scienza dimostra che, se sappiamo distaccarci dal nostro mondo personale possiamo abbracciare il mondo dell’altro e possiamo costruire una mente che comunica. L'opportunità non è offerta ai bambini che crescono soli e senza l'affetto a cui hanno diritto. Non avendo ricevuto i rudimenti del linguaggio empatico, essi non riescono a esprimersi e non provano nessuna compassione dei loro simili.

Buona erranza
Sharatan