giovedì 11 dicembre 2014

Oltre l’umano



“L’anello di congiunzione da tempo cercato
tra gli animali è l’essere umano.”
(Konrad Lorenz)

L’ideale di una categoria di superuomini è un pensiero che non si può condividere. Questo concetto per come viene affermato comunemente, suscita orrore e ripugnanza, in quanto è considerato diritto di pochi eletti che si ergono sulla grande massa della maggioranza. La minoranza degli eletti diverrà il faro dell’umanità, mentre la massa degli uomini comuni sarà relegata a livelli di sviluppo e stato più bassi. Un ideale così proclamato deve suscitare l'indignazione e il disgusto per la sua grettezza.

In realtà, la possibilità di superare il livello della condizione umana è di derivazione induista, ma noi conosciamo la versione di Nietzsche che la diffuse per primo. In verità va premesso che il filosofo fu colpito dalle concezioni dell’induismo che conobbe per mezzo degli scritti dell’indianista Paul Deussen che era suo grande amico. L'incompleta conoscenza o il fraintendimento delle teorie, unita alla tendenza ad estremizzare tipica del filosofo resero l’idea meno profonda, più estremizzata e più dissacrante di quanto non fosse in originale.

Il pensiero originale è diverso, perciò valutiamola nella spiegazione di Aurobindo. Aurobindo dice che il superuomo è collegato alla naturale capacità di evoluzione dell’umanità, e che non va pensato come un diritto arrogante di pochi eletti o come il predominio di una classe. Il concetto va inteso come “una chiamata che si rivolge all’essere umano per spingerlo a fare quello che nessuna specie ha fatto finora” infatti è un invito a “evolversi coscientemente nel tipo successivo e superiore, già in parte previsto nell’incessante e ciclico svilupparsi.”

Questo è il significato vero e bello da conoscere, perché è un’idea che offre buone speranze sul futuro umano. Per Aurobindo, Nietzsche era un “mistico adoratore della volontà” era uno “slavo” che idolatrava l’antichità greca che non conservava più la vera conoscenza. Il suo carattere era profondo e tormentato però riusciva a recepire delle idee luminose, ma lo splendore era offuscato dalla sua assolutezza. “Nietzsche era un apostolo che non comprese pienamente il suo stesso messaggio,” e il suo linguaggio ricordava lo stile profetico dell’oracolo di Delfi che diceva la verità, ma quella verità non era compresa correttamente da chi l'ascoltava.

Malgrado ciò, riuscì a innalzarsi al di sopra delle sue limitazioni facendo una guerra giusta contro le limitazioni mentali e morali della sua epoca. Il messaggio che udiva con il suo udito interiore fu spesso mescolato e confuso con delle idee collaterali che riuscirono a travisare le porzioni di verità che quelle idee possedevano. Il concetto di superuomo non lo capì, anzi, lo deformò fino a renderlo aberrante. Il superuomo è il destino dell'umanità perciò è una meta collettiva.

L’idea di Nietzsche mostra invece un essere titanico che possiede delle caratteristiche che lo avvicinano più all'asura cioè all'essere privo di luce divina. Nietzsche aveva una incredibile ostilità per l’idea cristiana di un dio che viene crocefisso. Il suo disprezzo per la figura del Cristo gli fa dire: “Gesù è nei suoi istinti più profondi antieroico: non si batte mai.” La causa che viene propugnata da Nietzsche vuole un eroe ideale che non ammette e non si concede nessuna debolezza. Il suo superuomo è un eroe arrogante e impietoso che rifiuta ogni dolore e ogni servizio a vantaggio degli altri.

Invece, il vero superuomo è l’immagine dell’essere che vince, perché sa innalzarsi al di sopra della morte e della sofferenza. Perciò è l’immagine dell’ascesa trionfante di una umanità che è stata completamente liberata. Se non abbiamo presente la differenza, e il collegamento del superuomo con l’evoluzione naturale dell’umanità si cade nel rischio e si fraintende. La superumanità nascerà perché la linea evolutiva è già tracciata, e il nuovo tipo di uomo sorgerà dall’umanità che viene messa duramente alla prova, ma che sarà purificata dal fuoco della sua sofferenza.

Il dio e il titano ossia il deva e l’asura sono parenti stretti malgrado siano diversi, infatti l’evoluzione non ha mai potuto fare a meno di uno a scapito dell’altro. Il dio e il titano sono gli opposti poli dell’esistenza, ma la loro natura è comune. Il dio discende dalla luce e dall’infinito, perciò è già soddisfatto e vuole prendere parte al gioco. Il titano sale dall’oscurità e dalla nebbia, perciò è in collera e vuole lottare. Le azioni del dio vengono dall’universale e tendono all’universale perché un dio nasce da un’armonia vittoriosa.

Le sue qualità si integrano armoniosamente una con l’altra perché sono pure, aggraziate, gioiose e naturali. Per un dio evolversi significa accrescere nell’intuizione, nella luce, nell’amore, nella gioia e nella padronanza. Un dio può servire governando e può governare servendo, perciò può essere audace, rapido nell’azione e anche violento, ma senza offesa e senza crudeltà. È buono, gentile e persino indulgente con se stesso, ma senza pigrizia, vizio o debolezza. Un dio crea, in sé, una totalità che è luminosa e felice e che, per simpatia, estende a tutta l’umanità.

Ma questo non esclude il potere che, per la divinità, corrisponde a saper governare se stesso e il mondo. Il suo dominio si basa sull’unità e sull’armonia, perché conosce l’essere dell’uomo e del mondo, perciò lo aiuta e lo spinge a realizzare le loro più alte possibilità con una spinta interiore divina. Egli può accogliere in sé tutte le qualità, le energie, le gioie, i dolori, la conoscenza e le speranze del mondo, e poi le restituisce, ma trasformare e arricchite in uno scambio e in un uso che è veramente sublime.

Questo tipo di regno non ha bisogno di ostentazioni e di onori, perché gli dei agiscono sempre dietro le maschere o nelle apparenze modeste. Spesso vengono beffati, osteggiati, umiliati e crocefissi. E questo avviene perché gli dei sanno che l’io va crocefisso per evolvere. Ma se non dessero l’esempio, il loro messaggio non sarebbe compreso dagli esseri umani, perciò gli dei lo mostrano. Tutto quello che c’è di più nobile nell’essere umano deve essere innalzato nel modo più sublime affinchè l'uomo sia riempito di luce, di gioia e di potere. Questa è la condizione della divinità perciò dovrebbe essere la tendenza del superuomo che verrà nel futuro, dice Aurobindo.

Il titano non comprende queste cose perché sono troppo difficili e raffinate per la sua mente. Il titano mette i suoi istinti al primo posto, perciò vuole un dominio concreto e tangibile. Il suo dominio si conferma ogni volta che schiaccia qualcuno, infatti il titano deve depredare e sfruttare per sentire che possiede le cose. Lui è figlio della separazione perché è l’esaltazione dell’io che si vuole spingere oltre i limiti. Per rinforzare il suo io, il titano deve limitare e privare gli altri, perché essendo privo del senso dell’infinito, nessun possesso esteriore è sufficiente a colmare la carenza.

La cosa essenziale per la sua crescita e la sua affermazione sono il contrasto, la lotta, la divisione e la negazione della volontà e della vita degli altri. Il titano conquista e domina divorando tutto, fagocitando, calpestando e assoggettando il mondo. Il titano deve assoggettare o cancellare l’immagine degli altri affinché la sua immagine risplenda e domini tutto il suo ambiente. Il titano venne per primo perché nacque dalla divisione e dall’egoismo, infatti ancora dimora in noi perché è il primo governatore del cielo e della terra. È lui il dio più antico, poi venne il dio che libera e armonizza.

Secondo un’antica leggenda indù si racconta che i deva ossia gli dei e gli asura ossia i titani lavorarono insieme per frullare l’oceano della vita e per trarne l’amrita cioè la pozione dell’immortalità. Una volta che l'ambrosia fu prodotta, Visnù decise di tenerla tutta per gli dei perciò la rubò agli iracondi e violenti asura. Questa cosa potrebbe sembrare ingiusta, perché è l’asura che porta il peso più pesante e fa il lavoro più duro. L’asura apre la strada e fa la guida perché precede il cammino distruggendo, plasmando e piantando.

Il dio segue e ripara, conclude e raccoglie il frutto. Perciò l’asura prepara con feroce determinazione e tormento, avanza tra mille ostacoli usando la forza, mentre il dio gode della vittoria e della felicità. Per questo motivo il tempestoso e oscuro titano è molto caro al dio Shiva. La leggenda narra che il dio Shiva scelse di assorbire il potente e amaro veleno che emerse, mentre lo stavano frollando, dall’oceano della vita per permettere a tutti gli altri dei di bere il nettare dell’immortalità.

Shiva fece una scelta consapevole per amore, mentre i titano scelsero per cecità e per passione e cercarono l’immortalità per egoismo personale, ma non ottennero nulla. Per questo motivo Visnù accorda ugualmente l’elisir a Shiva, e la negherà agli asura - a meno che non riescano a divinizzarsi. Cos’è dunque la superumanità se non la divinizzazione e l’assoluta perfezione di quello che c’è di più nobile nella natura umana? L’uomo è fatto a immagine di dio, però la differenza esiste.

La realtà divina è senza limiti, spontanea, assoluta, armoniosa, padrona di sé. Invece l’uomo è limitato, relativo, fatto con la fatica, discordante, deformato, padroneggiato solo con la forza e perso nella sua limitatezza e nell’insicurezza di ciò che possiede. Ma l'imperfezione tende sempre verso la perfezione, infatti l’uomo limitato tende sempre all’infinito, e benché sia relativo cerca l’assoluto in tutte le cose. È un essere artificiale in natura ma si spinge verso la naturalezza, è pieno di discordia ma tende verso l’armonia, è schiavo della natura che lo domina ma è convinto di dominarla.

Quello a cui aspiriamo deve essere ancora raggiunto, però lo avremo alla fine della nostra evoluzione. L’essere umano si trova, attualmente, in uno stato di transizione in cui deve imparare a diventare cosciente del suo proprio scopo, secondo Aurobindo. L’uomo deve imparare a trascendere la sua animalità, deve imparare a superare i suoi istinti e deve dominare le sue passioni devastanti. L’essere umano deve trascendere se stesso, ma questo non vuol dire che si deve aspirare ad una “altezzosa, forte, brillante, egoistica cultura dell’io che vuole dominare, dal suo trono, un’umanità resa schiava.”

Buona erranza
Sharatan

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Sharatan