domenica 25 gennaio 2015

La nostra vera natura



“Realizzarsi significa anzitutto fare pace con se stessi,
senza perdere il gusto e la passione per la vita.”
(Dugpa Rimpoche)

“In uno dei suoi discorsi brevi, il Buddha afferma che i cavalli si dividono in quattro categorie: eccellenti, buoni, mediocri e pessimi. Secondo il sutra (discorso o insegnamento del Buddha) il cavallo eccellente si muove prima ancora di sentire sulla schiena il colpo di frusta: l’ombra della frusta o il più piccolo richiamo del cavaliere sono sufficienti per farlo avanzare. Il cavallo buono si muove alla minima frustata. Il cavallo mediocre non si sposta finché non sente dolore, e il cavallo pessimo aspetta che il dolore gli penetri fin dentro le ossa.

Nel suo libro “Mente zen, mente di principiante” Shunryu Suzuki afferma che quando si ascolta questo sutra si vorrebbe essere sempre il cavallo eccellente; ma in realtà, durante la meditazione, non ha proprio importanza che voi siate il cavallo migliore. Suzuki precisa che, in effetti, è il cavallo più scadente il praticante migliore. Attraverso l’esperienza ho capito che la pratica non ha nulla a che vedere con l’essere il cavallo eccellente o quello buono, mediocre o pessimo. La pratica consiste nello scoprire la nostra vera natura, e nel parlare e nell’agire in conformità con essa. Qualunque sia la nostra natura, sono la nostra ricchezza e la nostra bellezza ciò a cui gli altri sono sensibili.

Un giorno dissi a Chogyam Trungpa Rinpoche che non riuscivo a praticare nella maniera giusta. Avevo appena iniziato le pratiche vajrayana e avrei dovuto praticare le visualizzazioni, ma proprio non ci riuscivo. Provavo e riprovavo ma non visualizzavo un bel niente. Mi sentivo una specie di impostore, perché la pratica non mi veniva naturale. Ero molto avvilita, perché tutti gli altri sembravano avere ogni sorta di visualizzazioni e procedevano senza problemi. Rimpoche mi disse:

“Diffido sempre di quelli che affermano che va tutto bene. Credere che va tutto bene, in genere, è una forma di arroganza. Se una cosa ti riesce troppo facile, ti rilassi: vuol dire che non stai facendo un vero sforzo, e quindi non saprai mai cosa significa vivere fino in fondo la condizione umana.” Così mi incoraggiò dicendo che finché si hanno tali dubbi la pratica sarà corretta. Quando si comincia credere che tutto vada a gonfie vele e ci si sente orgogliosi e superiori agli altri, allora… attenzione!

Dainin Katagiri Roshi una volta ha raccontato la sua esperienza di sentirsi il cavallo peggiore. Quando si recò negli Stati Uniti era un giovane monaco di quasi trent’anni. Da molto tempo era monaco in Giappone, dove tutto era così preciso, chiaro e pulito. Negli Stati Uniti i suoi discepoli erano hippie con i capelli lunghi e sporchi, che andavano in giro scalzi e vestiti come straccioni. Non gli piacevano. Era più forte di lui: non poteva sopportarli quei tipi! I loro modi erano per lui un’offesa totale.

Raccontò: “E così, per tutto il giorno, davo insegnamenti sulla compassione, e la sera tornavo a casa e piangevo dalla disperazione, perché mi rendevo conto che non provavo neanche un briciolo di compassione. Dato che i miei discepoli non mi piacevano, dovetti lavorare molto più duramente per aprire il mio cuore.” Come suggerisce Shunryu Suzuki nel suo libro, questo è un punto decisivo: siccome scopriamo di essere un cavallo peggiore, siamo spinti a impegnarci più seriamente. […]

Non dobbiamo essere duri con noi stessi quando pensiamo, durante la pratica, che la nostra meditazione, il nostro oryoki o il nostro modo di vivere appartengano alla categoria del cavallo peggiore. Possiamo invece guardare con compassione il senso di inadeguatezza, usarlo come sprone per continuare a impegnarci nello sviluppo interiore, nella ricerca della nostra vera natura. In tal modo, non solo scopriremo la nostra natura autentica, ma impareremo anche a comprendere gli altri, perché, nel più profondo del cuore, quasi tutti hanno la sensazione di essere il cavallo peggiore.

Può darsi che vi considererete più arroganti o che consideriate arrogante qualcun altro. Ma chiunque abbia sperimentato anche solo un attimo di arroganza, sa che essa non è altro che una specie di maschera, che si indossa quando ci si sente il cavallo peggiore ma ci si sforza di dimostrare il contrario. Suzuki Roshi afferma che la meditazione e l’intero processo di scoperta della nostra vera natura sono un errore continuo, e che ciò, anziché motivo di sconforto e depressione, in realtà devono servire da incitamento.

Quando vi accorgete di essere caduti, usate il vostro errore come uno sprone a rialzarvi, non con i sensi di colpa ma con l’orgoglio per tutto ciò che vi capita, orgoglio per la persona che siete proprio come siete, per la vostra bontà, la vostra bellezza o la vostra indegnità. Comunque vi consideriate, siatene orgogliosi e fate di questo orgoglio uno sprone. Il lignaggio Karma Kagyu del buddhismo tibetano, nel quale vengono istruiti i discepoli di Chogyam Trungpa, è talvolta definito “lignaggio dei guai” perché i suoi saggi e venerati maestri ne hanno combinate di tutti i colori.

Il primo di questi maestri fu Tilopa, che era veramente matto da legare. Il suo principale discepolo era Naropa, un tipo così intellettuale e concettuale che gli ci vollero 12 anni, durante i quali venne sottoposto da Tilopa a prove di ogni genere, come fargli passare sopra un carro, per cominciare a risvegliarsi. Era talmente concettuale che quando gli si parlava di qualcosa diceva: “Oh sì, ma di sicuro dicendo questo vuoi intendere quest’altro!” Era fatto così.

Il suo discepolo principale fu Marpa, famigerato per il suo pessimo carattere. Aveva frequenti accessi di collera, picchiava le persone e le insultava. Era anche un ubriacone. Inoltre, era famoso per la sua incredibile testardaggine. Rinpoche raccontava di lui che aveva iniziato a studiare il Dharma perché sperava di fare tanti soldi portando in Tibet i sacri testi indiani e traducendoli in tibetano. Il suo discepolo fu Milarepa, che era niente di meno che un assassino! Divenne discepolo di Marpa perché era terrorizzato dalla prospettiva di finire all’inferno per i crimini che aveva commesso.

Il discepolo di Milarepa fu Gompopa, dal quale ha preso il nome Gampo Abbey. Poiché tutto gli riusciva facile, era un arrogante. La notte precedente il suo primo incontro con Gompopa, Milarepa disse ad alcuni discepoli: “Domani arriverà qualcuno che è destinato a diventare il mio principale discepolo. Colui che lo condurrà da me acquisterà grandi meriti.” Così appena Gompopa entrò nel villaggio, una vecchietta lo riconobbe e gli corse incontro dicendo: “Milarepa mi ha detto che stavi arrivando e che diventerai il suo discepolo prediletto, e voglio che sia mia figlia a portarti da lui!”

Gompopa pensò: “Devo proprio essere un tipo speciale!” e tutto orgoglioso se ne andò da Milarepa, sicuro che sarebbe stato accolto con molti onori. E invece Milarepa lo fece sistemare in una grotta, e andò a trovarlo solo dopo tre settimane. In quanto al discepolo principale di Gompopa, il primo Karmapa, l’unica cosa che sappiamo di lui è che era estremamente brutto. Si dice che somigliasse ad una scimmia.

Si racconta anche che lui e altri tre importanti discepoli di Gampopa vennero espulsi dal monastero perché una volta si erano ubriacati e avevano cantato, ballato e infranto le regole monastiche. Allora, possiamo farci coraggio. Sono questi i saggi seduti di fronte a noi, i saggi ai quali ci prostriamo. Possiamo venerarli come esempio della nostra saggezza innata di esseri illuminati, ma forse è anche giusto venerarli come persone confuse, disorientate e piene di nevrosi, esattamente come noi.

Sono buoni esempi di persone che non si sono mai arrese e non hanno avuto paura di essere se stessi. E grazie a ciò hanno scoperto le loro più vere caratteristiche e la loro vera natura. Il fatto è che la nostra vera natura non è un qualche ideale al quale dobbiamo elevarci. È ciò che siamo in questo preciso istante, ciò con cui possiamo fare amicizia e che possiamo onorare.” (Pema Chodron, Senza via di scampo: la via della saggezza e della gentilezza amorevole, Feltrinelli)

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Sharatan