domenica 29 marzo 2015

Dal dolore alla meditazione



“Io ricevetti il dono della sofferenza e divenni poeta.”
(Henrik Ibsen)

“Si può dire che dolore e pace sono i due punti estremi della traiettoria che l’uomo percorre nel corso della sua evoluzione interna, da quando comincia ad acquistare una vera coscienza di se stesso fino a quando giunge ad unirsi in modo volenteroso con la Vita universale, ad inserirsi armonicamente nei ritmi cosmici. Durante la maggior parte del lungo pellegrinaggio sulla via evolutiva il dolore è, in qualche misura, inevitabile.

Esso ha funzioni utili, anzi preziose e necessarie. Tali funzioni sono molteplici; ma ve ne sono quattro principali e particolarmente benefiche. Nei primi stadi della evoluzione umana - ma in qualche misura anche in quelli successivi - soltanto, o soprattutto, il dolore vale a scuotere l’uomo da un passivo adagiamento, dalle comode “routines”, dalla sua fondamentale pigrizia mentale e morale, dal suo ristretto egocentrismo.

Il “buon dolore”, nelle sue numerose e svariate forme, lo induce, lo obbliga a “svegliarsi”, a suscitare le proprie energie latenti, a volere e a mettere in valore i suoi “talenti.” La seconda funzione benefica del dolore è in un certo senso inversa della prima: è quella di svincolare l’uomo da attaccamenti eccessivi a cose o persone; di affrancarlo dalla schiavitù in cui lo tengono i suoi istinti, le sue passioni, i suoi desideri; di impedirgli di commettere nuovi errori e nuove colpe. Questa è dunque una funzione purificatrice e liberatrice.

La terza funzione del dolore, collegata con la precedente, è quella di indurre l’uomo a disciplinarsi, a dominare le incomposte energie istintive, emotive, mentali che si agitano in lui; a ordinarle ed organizzarle, in modo che esse divengano costruttive e non distruttive; a trasformarle, incanalarle, utilizzarle per attività feconde, e benefiche, per fini elevati ed umanitari. Ciò richiede un’energica e assidua “azione interna”; ma i mirabili risultati che se ne ottengono compensano ampiamente della fatica.

Il possesso di sé, il senso di sicurezza e di potenza nel proprio reame interiore danno profonde e durevoli soddisfazioni. E l’ordine significa armonia e bellezza. Infine il dolore induce, obbliga al raccoglimento, alla riflessione, alla meditazione. Esso ha il prezioso e necessario ufficio di richiamarci dalla vita volta all’esterno, dispersa e dissipata, superficiale e materialistica che troppo spesso conduciamo. Il dolore ci scuote, ci fa “rientrare in noi stessi”; arresta la nostra corsa affannosa; ci fa volgere lo sguardo al di dentro e verso l’alto.

Così noi cominciamo veramente a pensare, a porre a noi stessi i grandi problemi della vita, a cercar di trovarne la giustificazione, di comprenderne il significato, di intuirne lo scopo e la mèta. Allora cominciamo a creare il silenzio in noi stessi, a “interrogare”, a pregare, a invocare. Allora comincia il colloquio, il “dialogo” interno con un Principio, una Realtà superiore, con la nostra Anima profonda, con Dio. Riguardo al dolore occorre però fare una riserva e prevenire eventuali esagerazioni.

Il riconoscimento delle preziose funzioni del dolore non deve indurci a sopravalutarlo, a farne un culto, fino a non tentar di alleviarlo o peggio ad infliggerlo agli altri (o anche a noi stessi), quando ciò non sia veramente necessario o sicuramente utile. Si può dire, un po’ paradossalmente, che il dolore ha valore se ed in quanto porta alla propria eliminazione, al proprio superamento. In altre parole il dolore non è fine a se stesso, ma un mezzo per produrre certi effetti, per insegnare certe lezioni.

Quando esso ha assolto queste funzioni, possiamo e dobbiamo dirgli “grazie” e poi lasciarlo indietro risolutamente. La valutazione del dolore non deve renderci sospettosi e diffidenti della gioia. Questa ha, al pari del dolore, alte e necessarie funzioni. Anzitutto essa è “dinamogena”; il suo primo dono è quello di risvegliare ed accrescere le nostre energie, di attivare persino il ricambio organico, di elevare il nostro tono vitale; essa può considerarsi veramente come un efficace mezzo di cura.

La gioia scaccia le nebbie della depressione, ci libera dalla paura e soprattutto dal malsano “impietosimento di noi stessi”. La gioia poi è “comunicativa”: si effonde, s’irradia sugli altri beneficandoli, creando fra noi e loro rapporti armonici e fecondi. Perciò la gioia, lungi dall’essere qualcosa di cui farsi scrupolo, costituisce un vero e proprio dovere verso gli altri.” (Roberto Assagioli)

giovedì 26 marzo 2015

Cyberspazio



“Qual è la principale ricchezza dell’umanità?
È la sua intelligenza, la sua memoria, la sua immaginazione,
e le sue forze mentali e spirituali.”
(Pierre Lévy, L'intelligenza collettiva)

Pierre Lévy è un filosofo francese famoso come studioso dell’impatto delle nuove tecnologie sulla società. Nel suo saggio “L’intelligenza collettiva: per un’antropologia del cyberspazio” del 1994 ha ipotizzato la nascita di un nuovo tipo di realtà, lo sviluppo di una nuova prospettiva sociale, culturale e politica. Lévy afferma che reti di comunicazione e le memorie digitali ingloberanno, nel prossimo futuro, tutti i messaggi che circolano sul pianeta perciò il cyberspazio diverrà come un cantiere aperto.

Tutte le teorie politiche e sociali si scontreranno nel cyberspazio perciò l’intelligenza collettiva potrà essere solo uno dei tanti percorsi possibili. Il cyberspazio potrebbe anche diventare come lo scenario terrificante e inumano che viene presentato nei libri di fantascienza dove sono descritte la schedatura delle persone, il trattamento dei dati in archivi misteriosi, le implosioni sociali, la cancellazione delle memorie e le guerre dei cloni impazziti e così via.

Ma, tuttavia, lo stesso mondo virtuale può diventare anche un luogo di cultura, di bellezza, di spirito e di sapere che eleva e delizia l’umanità. Si potrebbero svelare delle galassie di linguaggio inedito, reinventare dei nuovi legami sociali, perfezionare la democrazia e aprire agli uomini degli itinerari di sapere che sono ancora sconosciuti. Ma affinché avvenga occorre che noi investiamo con intelligenza sui vantaggi di questo cantiere.

Ciberspazio è una parola che fu usata per primo dallo scrittore di fantascienza, William Gibson, nel romanzo “Neuromante” scritto nel 1984. Il cyberspazio narrato nel romanzo ci mostra un universo di reti digitali in cui si intrecciano dei conflitti, delle avventure e delle realtà politiche, economiche e sociali che hanno fondato la cultura cyber. Il cyberspazio designa il modo con cui si navigherà nella conoscenza e nella relazione sociale che è resa possibile.

Questi contesti nuovi sono l’ipertesto, il multimedia interattivo, i videogiochi, la simulazione e la realtà virtuale, l’iper-realtà, la vita artificiale, e così via. Nel futuro questi dispositivi sfrutteranno sempre più il carattere molecolare dell’informazione perciò nasceranno degli strumenti ibridi che uniranno dei media tradizionali come il telefono, la televisione, i libri, i giornali,e così via ai nuovi media.

Il cyberspazio è un campo aperto, vasto e ancora indeterminato che sarà votato sempre più a contenere e interfacciare tutti i dispositivi che sapranno creare, registrare, far comunicare e simulare la realtà. Stiamo inseriti nel secondo diluvio, dice Lévy, perché dopo il diluvio dell’acqua da cui ci salvammo con l'arca, ora affrontiamo il diluvio dell’informazione e il cyberspazio sarà sempre più come navigare nell’arca per sfuggire al diluvio dell'informazione.

È bene essere coscienti, perché altrimenti non avremo gli strumenti per orientarci e per saper filtrare l’informazione cioè non sapremo come affrontare il diluvio. Il rapporto con il sapere è cambiato perché viviamo nell’epoca in cui un piccolo gruppo di persone non può controllare l’insieme delle informazioni. Il controllo è divenuto impossibile anche per un gruppo importante di persone.

Dobbiamo imparare a costruire un rapporto con la conoscenza tutto nuovo, perché dicono che possiamo avere accesso a tutta la conoscenza ma questo non è vero: questo è il vero messaggio del cyberspazio. Dobbiamo imparare a selezionare l’informazione perciò diventa necessario parlare dell’intelligenza collettiva. Noi e il gruppo di cui facciamo parte, anche se siamo inseriti in un piccolo gruppo, possiamo diffondere le nostre idee e possiamo condividere la conoscenza.

Ogni volta che ci connettiamo facciamo appello alla conoscenza degli altri e alla loro capacità di navigare nel cyberspazio delle informazioni. Perciò tutti gli altri ci aiutano a trovare le coordinate, ci aiutano a trovare i riferimenti nuovi e, tutti insieme, contribuiamo a rendere più trasparenti le conoscenze che sono disponibili.

Ogni volta che inseriamo un documento nel web facciamo due azioni. In primis, aumentiamo le informazioni disponibili. E, in secondo luogo, mettiamo a disposizione un nuovo punto di vista perciò offriamo ai navigatori un nuovo nesso tra le informazioni. Cyberspazio è il moltiplicarsi di tanti punti di vista diversi. Se abbiamo paura che nasca il Grande Fratello di Orwell dobbiamo rigettare l’appiattimento delle idee, dobbiamo stimolare la circolazione delle idee. Dobbiamo stare attenti affinché non nascano mai più dei padroni del pensiero.

Essenzialmente, dice Lévy, si persegue un progetto umanista nella sua essenza, perché stiamo affrontando una nuova fase di ominazzione poiché il processo di formazione del genere umano non si è ancora concluso. In questa fase però possiamo pensare in modo collettivo a questa nuova avventura e influire su di essa. Tutte le ricchezze dell’uomo sono legate alla sua intelligenza, alla sua memoria, alla sua immaginazione e alle sue risorse spirituali. Come dobbiamo gestire bene le risorse finanziarie, le risorse ecologiche dobbiamo gestire bene anche le risorse di competenze e di intelligenza umana.

Questo progetto di civilizzazione fa parte dalle nuove possibilità che i tempi offrono e inizia proprio con la costruzione dell’intelligenza collettiva. Ma cos’è l’intelligenza collettiva? Lévy spiega: “In primo luogo bisogna riconoscere che l’intelligenza è distribuita dovunque c’è umanità e che questa intelligenza, distribuita dappertutto, può essere valorizzata al massimo mediante le nuove tecniche, soprattutto mettendola in sinergia.”

Questa intelligenza, dice Lévy, è tipica dell’umanità perché rappresenta la dimensione collettiva dell’intelligenza umana. Noi possediamo un’intelligenza collettiva perché siamo esseri umani, e questa forma di intelligenza è composta dalla memoria collettiva e dall’immaginario collettivo. Noi siamo qui e siamo quello come siamo proprio grazie all’esistenza delle istituzioni, delle tecniche, dei linguaggi, dei sistemi di simboli e dei mezzi di comunicazione che usiamo come esseri umani.

Tutto questo costruisce il livello dell’intelligenza collettiva perciò anche l’intelligenza individuale è totalmente infiltrata dall’intelligenza collettiva. E non ci illudiamo di non farne parte perché non saremmo intelligenti se non avessimo il linguaggio e se non fossimo allevati dentro una certa cultura. Inoltre, dice Lévy, l’intelligenza collettiva umana è diversa dall’intelligenza collettiva animale.

Un formicaio è intelligente ma la singola formica non è intelligente. Se vogliamo che la singola formica divenga più intelligente delle altre formiche dobbiamo aspettare che tutta l’intelligenza collettiva delle formiche si sia evoluta. Invece, l’uomo singolo può essere più intelligente della collettività degli uomini di cui fa parte.

Contrariamente a ciò che avviene per l’intelligenza collettiva degli animali, per gli esseri umani nel lavorare nelle organizzazioni e nell'agire nei gruppi si vedono deperire incredibilmente le risorse in forma di competenza e di intelligenza dei singoli. Se esaminiamo l’intelligenza delle persone inserite nella folla vediamo delle persone appiattite, relegate nella mediocrità e inesistenti.

La folla, dice Lévy, è più stupida dell’animale malgrado sia formata da esseri che singolarmente sono molto intelligenti. Nei sistemi burocratici la folla è sempre meno intelligente del capo perché gli esecutori devono essere meno intelligenti di chi li dirige, poiché i sottoposti devono fare errori. Ma questo non avviene perché i singoli non sono intelligenti, ma perché esiste una qualità di competenze che la burocrazia non valorizza mai. Partecipare alla burocrazia è un’esperienza che non rende mai felici le persone perché la burocrazia non valorizza l’intelligenza del singolo.

È invece vero che, se il singolo vive in una cultura ricca diventa più intelligente, perché la cultura amplia e arricchisce sempre lo spirito del singolo. Non trascuriamo il vantaggio dell’esistenza della dimensione olografica nell’intelligenza collettiva di cui anche l’arricchimento personale fa parte. Se una persona partecipa all’intelligenza collettiva deve vivere un’esperienza di emancipazione, non deve sentirsi rinchiuso in una condizione di unificazione oppure di costrizione personale.

Finalmente possiamo perseguire un progetto di emancipazione che nasce con l’illuminismo, ma non lo possiamo coltivare con l’ingenuità e avere eccessiva fiducia nell’evoluzione scientifica e tecnica come gli illuministi. C'è anche un’etica dell’intelligenza collettiva e l'etica è il riconoscimento e la valorizzazione delle qualità umane, perciò possiamo condividerle per farne beneficiare tutta l’umanità.

Buona erranza
Sharatan

martedì 24 marzo 2015

Burattini



“La ricchezza non proviene più dal controllo
delle frontiere ma dal controllo dei flussi.
Ormai domina l’industria, nel senso ampio
di trattamento della materia e dell’informazione.”
(Pierre Lévy, L’intelligenza collettiva)

Perché le persone fanno scelte che non condividiamo? Perché si sbaglia a scegliere? Se alla domanda risponde un maestro spirituale dirà che avviene perché le persone non sono ancora consapevoli. Se alla domanda risponde un politico dirà che le persone sbagliano perché non sono orientate a fare la scelta giusta. I politici dicono sempre che la società è diventata troppo complicata perciò i cittadini devono essere guidati verso le scelte più vantaggiose.

Siccome sono libertaria e critica penso che, nel primo caso c'è la libertà di cercare l’illuminazione, se la vogliamo. Il secondo caso dimostra che la politica si attrezza sempre per trovare il modo di aiutarci a decidere come preferiscono le autorità. Molte aziende e governi usano tecniche per influenzare chiamate "nudge regolation". Nudge significa “leggera spinta” o “pungolo” oppure “spinta gentile” perché si impiegano tecniche persuasive elaborate con l'aiuto di esperti della comunicazione, di sociologi, di antropologi e di neuroscienziati.

Il nudging usa le tecniche della pubblicità perché crede negli stessi assiomi. Usa i suoni ripetitivi e accattivanti, impiega i colori vivaci perché più adatti ad attrarre l’attenzione ma, soprattutto, usa i livelli subliminali del nostro cervello. La "spinta" sfrutta il potere pervasivo e persuasivo dei messaggi semplici e ossessivi che solo in apparenza sembrano innocui poiché si insinuano nel subconscio per condizionare i nostri comportamenti.

L’uso di questi mezzi così sottilmente insidiosi è pericolosa perché l'influenza sull’opinione personale riduce la libertà di scelta. Di fatto si riduce l’autonomia delle persone e si limita la libertà, perché le persone vengono spinte ad agire sempre più inconsapevolmente. Noi stessi offriamo gli strumenti per aiutarli a trasformarci in burattini mossi a distanza da burattinai occulti.

Ogni volta che lasciamo delle tracce che rivelano il nostro status, le nostre preferenze, i nostri sogni o altro, forniamo informazioni sulla nostra identità personale. I dati sono usati per creare dei comportamenti tipici che aiutano gli studiosi a creare varie tipologie sociologiche. Così vengono ideate le strategie più utili a promuovere un certo tipo di comportamenti “raccomandabili” e si è dissuasi dall'uso di altri tipi di comportamento.

Si è provato che si possono promuovere comportamenti virtuosi come quelli che mirano all'incentivo al risparmio energetico, al riciclo dei rifiuti, alla cura per la nostra salute e così via. Queste strategie positive sono usate in Inghilterra da David Camerun, in Germania dalla Cancelliera Merkel, e negli Stati Uniti da Obama. Per agire sui cittadini di quei paesi si sono usati dei metodi che strutturano le informazioni in funzione della creazione di contesti decisionali creati con una “architettura delle scelte.”

Usando queste tecniche le scelte sono influenzate lavorando sul modo con cui ci vengono fornite le informazioni. Per capire come accade facciamo un esempio. Una persona deve scegliere se fare o meno un intervento chirurgico in cui la statistica indica 3 morti su 10 pazienti. La scelta del paziente sarà uguale se il medico lo informa di 7 casi su 10 di buon esito, oppure se parla dei 3 morti per rischi post-operatori?

La casistica è la stessa, ma cambia la prospettiva perciò sarà diverso anche il contesto in cui avviene la scelta. La scelta viene condizionata dal modo con cui è data l’informazione. L’architetto delle decisioni è quello che deve studiare il modo modo migliore per organizzare il contesto in cui si attuano le scelte. Il modo con cui sarà strutturato il messaggio diventerà la “spinta gentile” o il “pungolo” che spingerà la scelta.

La questione della regolamentazione si basa sul concetto che le persone, in maggioranza, agiscono in modo inconsapevole, irrazionale, distratto e passivo. La tecnica si basa su una mentalità e su atteggiamenti politici di tipo paternalistico. Gli architetti delle scelte credono che la gente non sa scegliere in autonomia, perciò decidono di decidere per noi, e poi dicono che lo fanno per il nostro stesso bene.

Nel caso che l'orientamento paternalismo sia morbido le mosse sono più dolci, indulgenti, leggere e velate. Usando degli incentivi positivi e delle sanzioni più tenui non si bloccano totalmente le scelte sgradite. Nei casi di posizioni più dure, il "pungolo" diventa più duro e pesante perché si usano maggiormente le proibizioni e le sanzioni più severe. I comportamenti sgraditi sono proibiti con la coercizione ma entrambi usano dosi diverse di “bastone e carota.”

Poiché vediamo che esistono diversi livelli nella distribuzione delle informazioni che sfumano tra gli opposti poli degli informatori e degli informati. Vediamo tutte le sfumature che esistono tra gli estremi. Ovviamente, solo quando veniamo informati in modo completo abbiamo la possibilità di avere il contesto di comprensione che consente di fare le scelte autonome!

Ma il problema è nato quando anche gli scienziati hanno capito che l’uomo non agisce in modo razionale, e che non sceglie in base alla sua vera convenienza. E poi anche il Premio Nobel per l'Economia, Herbert Simon, ha riconosciuto che la razionalità della mente umana viene limitata dalle informazioni che possiede.

Avendo dimostrato che il comportamento umano cade in preda di molti errori di cognizione, sono intervenuti gli architetti delle scelte per esercitare le "sollecitazioni" che influenzano le nostre decisioni. La parte paternalistica del fenomeno è entrata in conflitto con la libertà del singolo, perciò siamo "spinti" verso ciò che le autorità vogliono per il loro tornaconto.

Il paternalismo è basato sul presupposto che l'uomo non sappia scegliere secondo i suoi interessi, perciò la strategia di regolare le scelte viene eseguita in modo soffice oppure più duro. Nel primo caso abbiamo uno scenario in cui le scelte sono possibili, ma alcune sono “promozionate” tramite strategie mirate. Nel secondo caso, si viene obbligati a usare solo alcuni comportamenti. Ma, nelle due opzioni, è sempre il soggetto regolatore che riconosce di conoscere ciò che è meglio per il soggetto regolato.

Ma questo mette in rilievo il paradossale della gestione del regolamentare. In primo luogo, proprio mentre stanno crescendo sempre più l'uso di queste tecniche, in Europa, non si riflette abbastanza e non si discute mai di questo problema. In secondo luogo, la politica predica di voler diventare più partecipata e meno paternalistica, ma sta usando sempre di più i metodi paternalistici.

In terzo luogo, mentre aumentano le pratiche paternalistiche cresce ancor più la richiesta del loro impiego per la regolamentazione. Questi sono i punti dolenti della questione, secondo gli studiosi critici sull'uso di queste tecniche. Il problema scottante è capire quale margine di manipolazione può usare una tecnica che vuol regolamentare. In realtà la politica del "pungolo" potrebbe diventare una pratica troppo invasiva?

Fino a quale punto possiamo essere “pungolati” senza sentirci costretti? Alcuni dicono che questa tecnica possiede una contraddizione intrinseca e insanabile poiché, se è vero che viene usata a fin di bene perché non è usata in modo assolutamente trasparente? Le autorità obiettano che possono perseguire meglio i loro obiettivi se i soggetti restano inconsapevoli. Io credo che solo la consapevolezza potrà impedirci di diventare come dei burattini.

Buona erranza
Sharatan

domenica 22 marzo 2015

Organismi informazionali



“La società dell’informazione è come un albero
che ha sviluppato i suoi lunghi rami in modo molto
più ampio, rapido e caotico, di quanto non abbia fatto
con le sue radici concettuali, etiche e culturali.”
(Luciano Floridi)

Gli studiosi di psicologia sociale confermano, soprattutto negli Stati Uniti, una tendenza a ricercare il “nuovo” in ogni campo. La tendenza è stata avviata, nel recente passato, con espressioni tipo: “nulla sarà più come prima” molto ripetute. Abbiamo visto ovunque l’imporsi di una mentalità che acclama e auspica il nuovo basandosi sul presupposto che solo la novità possa indurre una svolta positiva alle situazioni.

Questa tendenza è stata definita “neo-ismo” ossia amore per il nuovo cioè amore per tutto quello che crediamo essere una novità. Se la novità sia veramente tale, oppure sia presunta come tale è una questione che andrebbe analizzata con attenzione. Gli studiosi evidenziano che una società insoddisfatta e incerta come la nostra ha bisogno di coltivare l’idea che un movimento politico, un’ideologia o un semplice prodotto commerciale presentato come prodotto innovativo possano migliorare una situazione che è sentita come una realtà insoddisfacente.

Non è difficile vedere la pubblicità di prodotti che sono presentati come "innovativi" e che si promette “rivoluzioneranno il vostro modo di guidare, di lavare i capelli, di fare una merenda golosa… e così via." Con il tempo si è imposta la convinzione che l'innovazione, solo perché è ritenuta tale, possa indurre una trasformazione positiva. Se è vero che le innovazioni scongiurano il rischio di restare immobili, il modo con cui affrontiamo la novità fa la differenza.

Gli storici dicono che nutriamo molte idee errate sulle rivoluzioni e sulla loro utilità reale per il miglioramento della società. Di solito i rovesciamenti politici che avvengono durante le rivoluzioni prevedono delle azioni molto violente e molto veloci. Ma sospettiamo che un’azione violenza comporta una reazione altrettanto violenta poiché l’uso della violenza comporta l’inasprimento dei conflitti.

Le azioni violente ed i colpi di mano necessari al rovesciamento dell’ordine precedente comportano un agire troppo veloce e poco riflessivo. Gli storici avvisano che non si creano affatto dei miglioramenti delle condizioni delle persone dopo delle rivoluzioni politiche come quella francese, bolscevica o cinese. Tutte queste rivoluzioni non hanno prodotto ciò che promettevano, come si vide nei fatti storici successivi.

Luciano Floridi afferma che attualmente stiamo affrontando la rivoluzione tecnologica, una rivoluzione molto più impattante di quelle passate. La rivoluzione attuale riguarda l’informazione e segue altre grandi trasformazioni concettuali, come avvenne con quella copernicana, con quella darwiniana e con quella freudiana. Queste idee portarono nuove forme di pensiero che mutarono la nostra comprensione del mondo.

Copernico aiutò a cambiare la mente umana quando affermò che la Terra non è al centro dell’universo. Darwin ci disse che l’uomo non è il perno dell’evoluzione e Freud dimostrò che la mente umana non è cosciente perché possiede anche una parte inconscia e nascosta. L’uomo ha dovuto adeguare la sua mente a queste nuove concezioni, perciò la sua comprensione si è ampliata quando ha recepito le loro idee innovative.

Floridi avvisa che oggi siamo nel cuore della rivoluzione più importante, ovvero nella rivoluzione che coinvolge l’informazione che riceviamo. La visione che emerge da questo modo nuovo di vedere il mondo è quella che viene fondata sul riconoscimento del fatto che gli uomini non sono delle entità isolate. Gli uomini sono “inforg” ossia “organismi informazionali” che sono interconnessi. Sono organismi che scambiano dei contenuti informativi e che condividono con altri agenti biologici e con altri costrutti tecnici un ambiente globale che è esso stesso un ambiente fatto di informazioni: l’infosfera.

Attualmente stiamo andando dalla metafisica materialistica degli oggetti concreti e tangibili e dei processi fisici ad una prospettiva che ruota intorno ai dati informazionali ossia alle realtà intangibili. Sta prevalendo questo, perché il nostro benessere e il progresso vengono sempre più spesso legati alla gestione efficiente di un ciclo di vita sempre più connesso con l’informazione.

La rivoluzione tecnologica è inserita nel contesto delle rivoluzioni tecnico-produttive già avute nel passato. La prima rivoluzione fu l’agricoltura risalente a circa 10.000 anni prima dell'epoca moderna. La rivoluzione industriale iniziata nel sec. 17° ora lascia il passo alla terza ondata rivoluzionaria che accade nell’informazione. L’innovazione fu avviata a metà del secolo scorso, ma ora procede accelerata per l'avanzare di tecniche digitali che stanno trasformando profondamente le nostre abitudini di vita.

In queste trasformazioni viene coinvolto il modo con cui la mente elabora i suoi concetti, perciò si coinvolgono i delicati meccanismi che creano la nostra visione del mondo. Tutto il mondo di oggi ruota intorno a questo, perché tutte le nuove tecnologie sono entrate in modo pesante in molte attività umana(lavorativa, economica e ludico-esistenziale). E questo fatto produce un impatto che rende il momento diverso e importante perché i cambiamenti comportano di dover affrontare rischi e problemi.

Solitamente, dice Floridi, le persone non amano cambiare la prospettiva della loro mente, come si vede nelle lotte che affrontarono i rivoluzionari del passato. L’uomo è un animale che ama mantenere le sue abitudini, perciò si teme che non abbiamo neppure digerito le innovazioni prodotte da Copernico o Darwin. L’umanità è ancora alla prese con l'elaborazione di quelle idee perché una novità concettuale, etica e culturale impone di sviluppare una consapevolezza sempre più avanzata.

Ma quale tipo di consapevolezza avanzata il mondo attuale ci richiede? Ci richiede di sviluppare la mente che sa capire quello che ancora non sappiamo definire, perché si deve agire quando il futuro non è ancora fissato. Dobbiamo comprendere le caratteristiche di questo fenomeno. Dobbiamo capire come l’informazione agisce sul mondo e sull’uomo, e dobbiamo cercare di influenzare il futuro a nostro vantaggio. La questione centrale è legata a chi avrà l’accesso, a quale tipo di informazioni e a quale tipo di condizioni, ma anche quanto sarà ampia, in futuro, la libertà di poter esprimere le nostre opinioni.

Tutte questo è molto importante e le condizioni che interverranno definiranno quello che offriranno le infosfere future. Avremo infosfere con scenari benefici, universali e cosmopoliti, o avremo infosfere in cui si concretizzerà il rischio di disgregazione, diseguaglianza, sfruttamento e oppressione senza confini e senza limiti. Il modo con cui si orienterà il futuro dipenderà dalla consapevolezza che interverrà su questo.

Floridi sta lavorando alla nascita di una nuova branca filosofica: la filosofia dell’informazione. Il filosofo scrive che "la tecnologia disvela, trasforma e controlla il mondo, a volte disegnando e creando nuove realtà nel corso di questi processi. Essa tende a stimolare nuove idee, a modellare nuovi concetti e a causare problemi inediti, spesso modificando valori e prospettive critiche” perciò può essere “una forza trainante per l’innovazione intelligente, esercitando una profonda influenza su come concettualizziamo, interpretiamo e trasformiamo la realtà”.

È evidente, dice il filosofo, che la tecnologia può diventare un rischio oppure una opportunità. A noi spetta il compito di scongiurarlo. Diventa necessaria una “indagine critica della natura dell’informazione concettuale e dei principi basilari dell’informazione, incluse le sue dinamiche” e “l’elaborazione di metodologie teoretiche-informazionali e computazionali applicabili ai problemi filosofici” in oggetto.

La domanda di base sarà: “Cos’è l’informazione?” e sarà affiancata dal perenne quesito che riguarda la natura della mente. La nuova filosofia dovrà indagare in un campo vasto e difficile e, negli anni futuri, dovrà seguire quattro direttive precise che vengono elencate come le forme preferenziali per conoscere: semantica, intelligenza, natura e valori di quello che studiamo. L’impresa è difficile ma non possiamo sottrarci perché tutto questo sta già accadendo.

Buona erranza
Sharatan

giovedì 19 marzo 2015

La Via di mezzo



“Nel mio cuore, tante cose...
che vadano secondo
il muoversi del salice.”
(Bâsho)

“Essere felici o infelici dipende dai semi che abbiamo nella coscienza. Se sono forti i nostri semi di compassione, comprensione e amore, quelle qualità saranno in grado di manifestarsi dentro di noi. Se sono forti invece i semi dell'ira, dell'ostilità e della tristezza, staremo molto male. Per comprendere una persona dobbiamo essere consapevoli del genere di semi che ha nella coscienza deposito, tenendo presente che lei non è l'unica responsabile di quei semi. Della loro qualità sono corresponsabili i suoi antenati, i genitori e la società.

Quando lo comprendiamo siamo in grado di provare compassione per quella persona. Grazie alla compassione e all'amore sapremo come innaffiare i meravigliosi semi nostri e degli altri: riconosceremo i semi della sofferenza e sapremo trovare il modo di trasformarli. Se una persona viene a chiederci consiglio, la dobbiamo osservare in profondità per vederne i semi che giacciono nella parte più interna della sua coscienza. Darle solo un consiglio o un insegnamento generico non l'aiuterà realmente.

Se guardiamo in profondità possiamo riconoscere la qualità dei semi che ha in sé: questo è detto “osservare le circostanze.” Dopo di che le possiamo raccomandare uno specifico sentiero di pratica nel quale poter nutrire i semi positivi e trasformare quelli negativi. Se abbiamo la sensazione di non poter aiutare una persona è solo perché non abbiamo ancora osservato con acutezza i suoi aspetti. Tutti hanno dentro qualche seme di felicità: in alcuni sono deboli, in altri sono forti.

Potresti essere il primo, da molti anni, a toccare i semi di felicità nel tuo amico. La nostra possibilità di essere d'aiuto sta nella capacità che abbiamo di vedere e di innaffiare questi semi salutari. Se vediamo soltanto avidità, ira e orgoglio vuoi dire che non abbiamo osservato ancora abbastanza a fondo. Il filosofo francese Jean Paul Sartre ha detto: “L’uomo è la somma dei suoi atti”. Ognuno di noi è una collezione di azioni, e le nostre azioni sono insieme la causa e il risultato dei semi contenuti nella coscienza deposito.

Quando facciamo qualcosa, la nostra azione è una causa (karma-hetu). Quando porta a un risultato, quello è un effetto (karma-phala, azione-frutto). Ogni atto che compiamo con il corpo, con la parola e con la mente getta semi nella nostra coscienza, che poi vengono conservati e mantenuti in vita nella coscienza deposito. Esistono tre generi di azioni: quelle della mente o pensieri, quelle della parola e quelle del corpo. Il pensiero precede gli altri due generi di azioni. I nostri pensieri nocivi da soli possono fare tremare l'universo, anche se non abbiamo ancora fatto nulla né abbiamo parlato in modo da arrecare danno.

Gli effetti che hanno sugli altri le parole che diciamo sono detti “azioni della parola.” Dipende dalla nostra personale felicità e dalla qualità dei semi che abbiamo nella coscienza deposito se le nostre parole generano sofferenza o innaffiano i semi dell'amore. La locuzione “azioni del corpo” invece, si riferisce ai nostri atti fisici sia dannosi sia benefici. I semi di tutti e tre i generi di azioni sono contenuti nell'ottava coscienza, la coscienza deposito.

Molti praticanti buddhisti recitano ogni giorno i Cinque Richiami alla Memoria. La quinta recita: “Le mie azioni sono i miei soli beni. Non posso sfuggire alle conseguenze delle mie azioni. Le mie azioni sono il terreno su cui poggio i piedi.” Quando moriamo, ci trasformiamo da una forma di esistenza in un'altra e ci lasciamo alle spalle i nostri beni e le persone care: a venire con noi sono soltanto i semi delle nostre azioni. La coscienza non trattiene solo le azioni della mente: anche i semi delle nostre azioni verbali e corporee si trasferiscono da questo mondo a un altro insieme alla coscienza deposito.

Per sapere se una persona è felice è sufficiente guardare i semi che ha nella coscienza deposito. Se vi conserva forti semi di infelicità, ira, discriminazione e illusione soffrirà molto ed è probabile che con le proprie azioni innaffi gli stessi semi negli altri. Se possiede in sé semi robusti di comprensione, compassione, capacità di perdono e di gioia, è capace non solo di provare vera felicità ma anche di innaffiare i semi della felicità negli altri. La nostra pratica quotidiana è riconoscere e innaffiare i semi salutari in noi stessi e negli altri. La felicità nostra e altrui dipende da questo.

Ecco quattro pratiche che si riferiscono al retto sforzo, che è parte del Nobile Ottuplice Sentiero insegnato dal Buddha come via di liberazione. La prima pratica di retto sforzo è impedire che si manifestino i semi non salutari non ancora manifesti. “Non salutari” significa che non conducono alla liberazione. Se vengono innaffiati, questi semi nocivi si manifestano e si rafforzano. Se invece li abbracciamo con la nostra consapevolezza presto o tardi si indeboliscono e ritornano alla coscienza deposito.

La seconda pratica di retto sforzo è aiutare i semi non salutari già sorti nella nostra coscienza mentale a tornare alla coscienza deposito. Di nuovo, la chiave sta nella consapevolezza: se possiamo riconoscere un seme nocivo quando si manifesta nella coscienza mentale saremo in grado di evitare di caderne preda. La terza pratica di retto sforzo è trovare modi di innaffiare i semi salutari conservati nella coscienza deposito che non sono ancora usciti allo scoperto e aiutarli a manifestarsi nella coscienza mentale.

La quarta pratica è mantenere a livello di coscienza mentale il più a lungo possibile le formazioni che già sono nate dai semi salutari. La nostra pratica di retto sforzo è nutrita dalla gioia. Se innaffiamo ogni giorno i semi della felicità, dell'amore, della lealtà e della riconciliazione ci sentiremo pieni di gioia e questo spingerà quei semi a rimanere più a lungo e a rafforzarsi. È importante che sappiamo mantenere costante la pratica.

C'è una storia sul Buddha che illustra questo aspetto. Il Buddha chiese al monaco Sona: “È vero che prima di farti monaco eri un musicista?” Sona rispose di sì. Il Buddha gli chiese: “Che cosa succede se una corda del tuo strumento è troppo allentata?” Sona disse: “Quando la pizzichi non ne esce alcun suono”. Il Buddha chiese: “Che cosa succede se la corda è troppo tesa?” Sona rispose: “Si rompe.” Allora il Buddha disse: “La pratica della Via è uguale. Conserva la tua salute. Sii felice. Non forzarti a fare cose che non puoi fare.”

Per sostenere la pratica dobbiamo conoscere i nostri limiti psicologici e trovare un equilibrio tra sforzo e riposo. Non dovremmo forzarci a praticare: la pratica dovrebbe essere piacevole, gioiosa, nutriente e risanante. Allo stesso tempo dovremmo stare attenti a non perderci nei piaceri dei sensi. La quadruplice pratica del retto sforzo rientra nella Via di mezzo fra i due estremi.” (Thich Nhat Hahn, La via della trasformazione, Mondadori)

martedì 17 marzo 2015

Tigre e Dragone



Nell’antica Cina i matrimoni venivano combinati dalle famiglie perciò gli interessati non potevano esprimere la loro volontà. I matrimoni erano dettati dalla convenienza e la possibilità di scegliere un buon partito era legata alle possibilità economiche della famiglia. Perciò la bella Tai Yin Nu quando fu arrivata a diciassette anni fu costretta ad accettare il matrimonio con un uomo scelto dalla famiglia.

La scelta dei genitori era caduta sul ricco ma volgare bettoliere del paese che, Tai Yin Nu accettò in marito obbligata dalla pietà filiale. D'altro conto, disse sua madre, come poteva sperare di meglio? Era una ragazza bella ma molto povera. La madre cercava di consolarla dicendole che la ricchezza del marito l’avrebbe confortata meglio dell'amore.

Non le sarebbe mancato mai nulla, anzi avrebbe avuto il benessere e forse l’amore sarebbe arrivato con il tempo. E se non fosse nata la passione, con il tempo, sarebbe nato l'affetto. Ma il matrimonio si rivelò un completo disastro, e il tempo non portò miglioramenti. All'inizio il bettoliere fu ammaliato dalla sposa. Nei primi mesi non faceva che seguirla e tenderle agguati amorosi e non perdeva occasione per buttarsi addosso alla bella moglie.

Ma lei non riuscì mai ad amarlo e neppure lui seppe darle l'affetto che aveva auspicato sua madre. Tai Yin Nu aveva fatto un matrimonio molto infelice. Nel giro di pochi mesi il marito fu assorbito di nuovo dalla sua attività e la trascurava. Si tratteneva fino a tardi nella sua taverna, ma gestiva gli affari con disinteresse. Essendo sempre svogliato e annoiato esagerava nel bere.

Una volta che si era ubriacato andava a sfogarsi a casa, sulla giovane moglie, e la maltrattava. Il suo amore, se mai c'era stato dell'amore da parte sua, si era completamente dissolto. Il desiderio o il capriccio si erano raffreddati subito dopo la nascita di loro figlio. Il bimbo era l’unica gioia di Tai Yin Nu. Era la cosa più bella che suo marito gli avesse mai dato perciò adorava il suo bambino.

Invece il bambino era una seccatura per il padre che se ne disinteressava, e poi l'uomo morì. Erano ormai sposati da sette anni quando l'uomo fu ucciso da una cirrosi dovuta alle sue sbronze. La povera vedova non potè far altro che prendere in mano la situazione e mettersi alla guida dell’attività di famiglia. Fu così che scoprì che il morto, durante la malattia che l'aveva condotto alla tomba, aveva trascurato troppo i suoi affari.

Alla fine le risultarono molti debiti da pagare. Nella taverna molti uomini gli ronzavano intorno, ma lei era fredda e insensibile con tutti i suoi corteggiatori. Non voleva più avere a che fare con gli uomini: un marito le era stato sufficiente! Ora Tai Yin Nu voleva badare solo agli affari. Il suo fascino rendeva bene, e la cassa della taverna era sempre ben piena.

Gestire l'attività si rivelò impegnativo e lei si ritrovò molto indaffarata in tante cose. Impiegava tutte le sue energie nel lavoro e trascurava il resto, compreso suo figlio. La stanchezza la rendeva brusca e troppo distratta, quasi sbrigativa con il figlio che si sentiva trascurato dalla madre. Il bambino soffriva perché la vedeva troppo poco.

La bella vedova lavorava sodo per saldare i debiti. Lavorava senza nessun aiuto per risparmiare e saldare le cose più urgenti, perciò lasciava il figlio con sua madre. La madre l'aiutava perciò Tai Yin Nu saldò tutti i suoi conti ma, poco dopo, il figlio si ammalò. Furono chiamati i medici migliori della provincia ma nessuno sembrò capirci nulla mentre il piccolo si aggravava.

Il suo male sembrava misterioso, e l'infelice madre era disperata perciò andò dall'indovino per avere un consulto. L’indovino disse che il bambino non era posseduto da nessuno spirito malvagio, ma il suo male era grave e si rischiava l'esito più fatale. L’uomo usò l’oracolo dello Yi Jing e ne ricavò un responso che raccomandava di trovare un veloce rimedio e che si doveva fare molto presto.

La donna si dichiarò disposta a fare anche l'impossibile senza badare a spese. L’indovino, allora le consigliò di andare a consultare Tai Xuan Nu, la Dama dei Grandi Misteri. La grande maestra Immortale viveva sulla montagna insieme ai suoi discepoli perciò Tai Yin Nu chiuse la locanda, affidò il figlio alla madre e prese la via delle nuvole.

L’immortale la ricevette nel suo santuario scavato nella roccia, nel cuore della montagna, proprio nel salone dove preparava i suoi adepti alla rinascita spirituale. La Dama dei Grandi Misteri la fissò con i suoi occhi penetranti e poi le disse: ”Ti ho preparato l’intruglio di erbe che può fermare il male di tuo figlio. Ma il bimbo non guarirà finché la madre non avrà riconquistato l’armonia interiore.”

La invitò a restare qualche giorno con lei a parlare del Tao e avere dei consigli pratici su come coltivarlo. Quindi le offrì uno strano intruglio di piante per facilitare l’armonia e le donò una copia del "Trattato dei Cinque Gioielli". Passarono insieme alcuni giorni poi la bella vedova si congedò dalla grande Immortale che la incoraggiò a seguire i suoi insegnamenti. La Dama la invitò a tornare a trovarla per avere altre istruzioni.

Fu così che la nuova adepta del Tao recuperò la pace interiore e che suo figlio ritrovò la salute. Ma la donna aveva imparato bene quella lezione, infatti assunse una serva per farsi aiutare nella gestione della taverna. Dedicò una parte del suo tempo ai suoi studi, continuò a praticare gli esercizi taoisti e si impegnò a studiare il libro senza dimenticarsi di accudire anche suo figlio.

Le cose andavano molto bene. Lei ritornò molte volte da Tai Xuan Nu, la Dama dei Grandi Misteri e studiò sotto la sua guida. Approfondì la via finché la via diventò una sola cosa con lei. Ma un giorno, mentre si congedava dalla sua maestra, l'Immortale le disse: “Non è necessario che ritorni la prossima volta. Ormai le nostre strade si dividono qui. Presto io lascerò questo mondo e tu troverai un nuovo maestro.”

Due giorni dopo, uno strano personaggio entrò nella sua taverna. Le sue vesti erano vecchie e scolorite, ma i suoi tratti raffinati e la sua gestualità molto aggraziata tradivano la buona origine e la natura del letterato. L’uomo era restato seduto al tavolo, in silenzio completo mentre centellinava il liquore più pregiato della sua taverna.

Mentre sorseggiava il liquore prelibato, lo sconosciuto la occhieggiava di nascosto. Non smetteva di guardarla di nascosto, perciò l’affascinante padrona di casa si era accorta dello sguardo insistente. Ma anche lei era restata ammaliata dalla brillante luce nera degli occhi dello sconosciuto. Come mai quell'uomo sembrava così diverso? Forse era anche lui un adepto del Tao, ma lei come poteva scoprirlo?

La donna voleva conoscere l’identità del viaggiatore sconosciuto. E quando lui chiese di pagare il conto andò, di persona, al tavolo e gli chiese 5 monete di rame. Certamente quel prezzo era esagerato per un bicchiere di liquore seppure pregiato. Ma lo sconosciuto non protestò e restò imperturbabile. Trasse una borsa di pelle e mise 5 monete di rame sul tavolo e davanti a lei formò il diagramma dei Cinque Elementi.

La donna chiese se sapesse contare quelle monete. L’uomo sorrise e disse: “Ecco il nord, l’Acqua e fa uno, poi il sud, il Fuoco e fanno due. C'è l’est, il Legno e fanno tre, poi l’Ovest, il Metallo e fanno quattro. Infine il centro, la Terra e fanno cinque.” Allo strano conteggio, la bella taverniera aveva sorriso dicendo: “Sapete contare molto bene. Quale cammino seguite?”

Lui rispose: “Sono sulle tracce della Tigre Bianca. E voi?” Lei gli disse: “Sono alla ricerca del Dragone di Giada.” Lo sconosciuto sorrise mentre diceva: “Allora ci siamo finalmente trovati! Voi come vi chiamate?” Lei rispose: “Mi chiamo Tai Yin Nu, la Dama del Grande Yin. E voi?” Lo sconosciuto disse: “Io sono Tai Yang Zi, il Maestro del Grande Yang.”

Dopo quella bella presentazione entrambi risero insieme di molto gusto. Poi Tai Yin Nu lo invitò nella Camera delle meditazioni dove trovarono molte cose belle da dirsi. Seppero così di aver trovato reciprocamente il proprio maestro. Restarono sempre insieme e condivisero i più reconditi segreti della via, e si aiutarono reciprocamente nella loro ricerca.

Si dedicarono molto spesso al gioco dello Stelo di Giada e del Loto Rosso e praticarono la condensazione del Soffio del Dragone. I taoisti credono che due fornelli che si collegano uno all’altro attivano una trasmutazione alchemica che rende Immortali. Ma anche se non crediamo alle loro idee, dobbiamo credere che i due si amarono molto perché l’Amore non è forse il Tao dell’eterna giovinezza e della felicità?

Buona erranza
Sharatan

sabato 14 marzo 2015

La doppia natura dell’anima



“Io vi parlo e voi mi ascoltate. La mia parola
mira quindi a creare un effetto, ma se cerchiamo
le parole non riusciremo a trovarle. Questo mistero
ha a che fare con la ‘doppia’ natura della verità.”
(Gyalwa Renzin Gyatso, 14° Dalai Lama)

Aurobindo dice che, al di sopra dell’universo materiale ovvero sopra il piano della Materia, c’è il piano vitale o eterico che è esistente in sé. Al di sopra del piano vitale o eterico vi è il piano mentale che è esistente in sé e per se stesso. La realtà della terra mostra tre materie ordinate in scala ascendente, infatti dal piano materiale saliamo al piano eterico o vitale e, infine arriviamo nel piano mentale. Questi piani formano il triplice mondo inferiore e si sono costituiti in questo modo, nella coscienza della terra, nel corso dell’evoluzione che la terra ha affrontato.

Questi livelli esistevano in se stessi anche prima dell’evoluzione, ma essi erano al di sopra della coscienza terrestre e superiori al livello cui la terra appartiene. Nelle filosofie orientali si dice che la mente abbraccia in modo indifferenziato tutta la coscienza. Si dice che l’uomo è un essere mentale sebbene il suo vero essere mentale non sia la stessa cosa della sua mente interna. La natura segue il suo yoga e fa il suo corso in modo infallibile e inevitabile.

Il termine "yoga” significa fusione, unione e reintegrazione, perciò lo yoga della natura è la trasformazione che è la legge più segreta della natura. Una legge che prevede l’elevazione e l'ampliarsi dell’essere cosciente tramite l’unione o l’identificazione con una forma di coscienza molto più elevata e vasta: questo avviene con lo sviluppo detto "evoluzione".

Il principio dell'elevazione è impresso nella coscienza della terra e attua il fattore dinamico che stimola il lavoro che la natura compie per superare se stessa. Per questo, la prima fase dell’evoluzione fu uno stato di materia semi-cosciente che è simile a quello del vegetale. Poi la terra attraversa una fase di vita cosciente che assomiglia a quella dell'animale e, attualmente, viviamo nella forma di vita cosciente che è incarnata al livello umano.

Ma l’evoluzione, dice Aurobindo, non si è ancora conclusa infatti l’uomo è ancora un essere incompleto che deve essere migliorato. Si deve fare un'altra tappa poiché la fase finale dell’evoluzione della terra è ancora molto lontana. Lo sviluppo che avremo vedrà la manifestazione di una vita ultra-cosciente perciò, in futuro, avremo un prototipo di essere umano che è superiore al modello attuale.

Il principio di coscienza che determinerà la natura e la costruzione di questo nuovo essere è un principio spirituale superiore al livello mentale. Attualmente, il livello espressivo che l’uomo possiede è quello che si conquista con la mente: in futuro, avrà un livello Supermentale. La mente è stata l’ultima conquista della coscienza, ma sappiamo che c'è uno strumento molto più elevato con cui l’essere cosciente può esprimersi.

Esiste una mente e una consapevolezza che supera la mente individuale. In modo eccezionale questa mente fu sperimentata da molti santi e veggenti che ne ebbero i segni e ne comprovarono l’azione. Il piano di coscienza che essi provarono fu il conseguimento di una super-realtà statica che supera la mente personale ossia la consapevolezza del piano sovra-mentale.

Il primo stadio di sviluppo fu caratterizzato da un impulso muto e incosciente. Avvenne dallo sforzo di una volontà involuta perché non libera di fare e realizzare. È lo stadio del seme oscuro dell’individualità informe. Il secondo stadio di sviluppo fu motivato dal desiderio ansioso di avere ma limitato dalla sua incapacità di realizzarlo. Il germe del terzo stadio è l’Amore che cerca e che, nel contempo, può avere ed essere posseduto poiché possiede la capacità di donare e quella di saper avere.

Il fiore del quarto stadio o forma di coscienza è lo sviluppo in cui il fiore sboccia e raggiunge la perfezione. Qui vediamo il puro modello emergere perfetto come lo pensò la volontà originaria. È lo stadio della piena realizzazione illuminato dal desiderio dove avviene la fusione di possessore e posseduto. Questo accade nella fusione divina delle anime che è la condizione di base per vivere nella condizione Super-mentale.

Se pensiamo ai fatti descritti vediamo che gli stati di sviluppo sono anche delle forme di coscienza. Ma esse rappresentano anche le vie di ricerca che sono percorse dalle anime per trovare la felicità individuale e universale, dice Aurobindo. La via ascendente dalla materia oscura e muta fino alla Divina Felicità è un percorso molto lento e pieno di vicissitudini e conflitti. La Vita è un’Energia cosciente della sua forza e il segreto della vita è trovare la felicità nascosta dentro le cose.

La nostra duplicità ci impedisce di vederla, perciò non conosciamo la vera natura delle cose. La felicità è l’impulso primo, il fine ultimo e il vero senso della Vita, ma come possiamo trovare, in noi, il principio della felicità? Come si manifesta, in noi, questo superiore principio cosmico? Il principio Super-mentale si manifesta sempre per mezzo della mente: essa è la Mente onnipresente che pervade tutto il cosmo materiale, ma è nascosta dietro il “fenomeno effettivo” delle cose.

L’elemento che ci permette di percepirla è quello che viene chiamato “anima.” L’anima è il principio psichico che non è vita e che non è mente, e che non è neppure il corpo. L’essere psichico interno va pensato come quello che contiene, in sé, il fiore dell’essenza dell’essere. È vero che abbiamo una natura duplice, infatti abbiamo anche una doppia anima perché è sempre doppio ogni fenomeno cosmico che viene a riflettersi nell’organismo umano.

Abbiamo due menti poiché esiste la mente di superficie che mostra il nostro ego così come è giunto in evoluzione. La mente di superficie è la mente che fu creata da noi stessi quando emergemmo dalla materia. Poi c’è anche l’altra mente, che è anch’essa nostra. Essa è la mente subliminale che non è ostacolata dalla vita mentale normale, e che non viene limitata dalla materia. È una mente pura, vasta, potente e luminosa in cui vive l’essere mentale vero che si nasconde dietro la mente di superficie di ciò che crediamo essere “noi stessi”.

Abbiamo anche due vite diverse: la vita esteriore che è collegata al corpo fisico ed è costretta nella materia che venne formata con le evoluzioni passate. È la nostra parte che è nata e muore, e che dovrà tornare a vivere nuovamente in un corpo nuovo. Poi c’è anche l’altra mente cioè la forza mentale subliminale che non è collegata alla nostra condizione di esseri spazio-temporali.

Ricordiamo che anche la materia possiede la dualità infatti la materia possiede una materia più sottile che forma l’involucro eterico-vitale. Noi abbiamo pure una doppia anima, infatti c'è l’anima più superficiale che vive di desideri. Essa agisce per mezzo delle nostre emozioni vitali, delle nostre passioni, dei nostri sentimenti, della nostra facoltà estetica e della nostra ricerca personale di potere e di emozioni.

Poi esiste l’anima subliminale che esprime un puro potere di luce, di amore, di gioia e di raffinata essenza dell’essere. Questa è la vera anima che vive nascosta dietro l'azione dell’anima che vediamo emergere più in superficie. Se appare, sulla superficie, un riflesso di questo essere luminoso più profondo, noi diciamo che l'essere possiede l’anima, e quando il riflesso è assente, allora diciamo che l’essere non possiede ancora un’anima.

La parte esterna della anima non dimostra il nostro vero essere, infatti sono le parti più nascoste ossia i piani subliminali, che serbano la nostra più vera individualità. La parte più nascosta fonda l’individualità maggiormente vicina alla nostra forma di universalità. È in questo luogo segreto che avviene la fusione tra l’anima individuale e l’anima universale.

Nella parte subliminale dell’anima c'è una porta aperta alla forza universale e alla vita cosmica. Il livello subliminale è il luogo e il mezzo in cui accade il collegamento, ma è anche il confine tra vita individuale e vita universale. Perciò l’anima subliminale è aperta allo scambio, è disponibile a unirsi con la moltitudine di anime che la rappresentano, perciò il Super-mentale si può esprimere in tutte le operazioni della mente, della vita e della materia.

La materia si presta sempre al suo gioco e al suo sviluppo, ma l’anima di superficie non può oltrepassare i muri dell’ego che gli impediscono di entrare nella vita cosmica. Di conseguenza, per l’anima di superficie che ama vivere di capricci e desideri non può esistere una vera vita dell’anima.

Per lei esiste solo la realtà falsa costruita sulle deformazioni della mente basata sulla sua percezione errata. Il male del mondo è il fatto che l’uomo non sa trovare la sua vera anima. La conseguenza del male è il fatto che l’uomo non potendo afferrare le cose non sa trovare la vera anima del mondo. L’uomo cerca di afferrare l’essenza delle cose, dell’essere, del potere, dell’esistenza cosciente e così via, ma non riesce mai a farlo.

Se riuscisse a trovare l’essenza delle cose troverebbe l’unico essere, l’unico potere, l’unica coscienza e l’unica coscienza universale che valga la pena di avere. Tutte le contraddizioni sarebbero risolte nell'unità, nell'armonia e nell’appagamento offerto dal contatto. E, nel contempo, gli uomini troverebbe anche la loro vera anima e, con il suo aiuto, troverebbe anche il loro Sé. L’anima vera è testimone del vero Sé, e il nostro Sé autentico e il Sé vero del Mondo sono la medesima cosa.

Buona erranza
Sharatan

mercoledì 11 marzo 2015

Io se fossi Dio




Io se fossi Dio
(e io potrei anche esserlo, sennò non vedo chi!)
Io se fossi Dio,
non mi farei fregare dai modi furbetti della gente:
non sarei mica un dilettante!
Sarei sempre presente.
Sarei davvero in ogni luogo a spiare
o, meglio ancora, a criticare, appunto...
cosa fa la gente.

Per esempio il piccolo borghese, com'è noioso!
Non commette mai peccati grossi!
Non è mai intensamente peccaminoso!
Del resto, poverino, è troppo misero e meschino
e pur sapendo che Dio è più esatto di una Sweda
lui pensa che l'errore piccolino non lo conti o non lo veda.

Per questo io se fossi Dio,
preferirei il secolo passato,
se fossi Dio rimpiangerei il furore antico,
dove si odiava, e poi si amava,
e si ammazzava il nemico!

Ma io non sono ancora nel regno dei cieli,
sono troppo invischiato nei vostri sfaceli.

Io se fossi Dio,
non sarei così coglione
a credere solo ai palpiti del cuore
o solo agli alambicchi della ragione.
Io se fossi Dio,
sarei sicuramente molto intero e molto distaccato
come dovreste essere voi!

Io se fossi Dio,
non sarei mica stato a risparmiare:
avrei fatto un uomo migliore.
Sì vabbe', lo ammetto
non mi è venuto tanto bene,
ed è per questo, per predicare il giusto,
che io ogni tanto mando giù qualcuno,
ma poi alla gente piace interpretare
e fa ancora più casino!

Io se fossi Dio,
non avrei fatto gli errori di mio figlio
e sull'amore e sulla carità
mi sarei spiegato un po' meglio!
Infatti non è mica normale che un comune mortale
per le cazzate tipo compassione e fame in India,
c'ha tanto amore di riserva che neanche se lo sogna!
Che viene da dire:
Ma dopo come fa a essere così carogna?

Io se fossi Dio
non sarei ridotto come voi
e se lo fossi io certo morirei
per qualcosa di importante!
Purtroppo l'occasione di morire simpaticamente
non capita sempre
e anche l'avventuriero più spinto
muore dove gli può capitare
e neanche tanto convinto.

Io se fossi Dio
farei quello che voglio,
non sarei certo permissivo,
bastonerei mio figlio,
sarei severo e giusto,
stramaledirei gli inglesi come mi fu chiesto,
e se potessi
anche gli africanisti e l'Asia e poi gli Americani e i Russi;
bastonerei la militanza come la misticanza
e prenderei a schiaffi
i volteriani, i ladri, gli stupidi e i bigotti:
perché Dio è violento!
E gli schiaffi di Dio
appiccicano al muro tutti!

Ma io non sono ancora nel regno dei cieli,
sono troppo invischiato nei vostri sfaceli...

Finora abbiamo scherzato,
ma va a finire che uno prima o poi ci piglia gusto
e con la scusa di Dio
tira fuori tutto quello che gli sembra giusto.

E a te ragazza che mi dici che non è vero
che il piccolo borghese è solo un po' coglione,
che quell'uomo è proprio un delinquente, un mascalzone,
un porco in tutti i sensi, una canaglia
e che ha tentato pure di violentare sua figlia...

Io come Dio inventato, come Dio fittizio,
prendo coraggio e sparo il mio giudizio
e dico: Speriamo che a tuo padre
gli sparino nel culo, cara figlia!
così per i giornali diventa un bravo padre di famiglia.

Io se fossi Dio,
maledirei davvero i giornalisti e specialmente... tutti.
Che certamente non son brave persone
e dove cogli, cogli sempre bene.
Compagni giornalisti, avete troppa sete
e non sapete approfittare delle libertà che avete:
avete ancora la libertà di pensare,
ma quello non lo fate
e in cambio pretendete la libertà di scrivere,
e di fotografare.

Immagini geniali e interessanti,
di presidenti solidali e di mamme piangenti.
E in questa Italia piena di sgomento
come siete coraggiosi, voi che vi buttate
senza tremare un momento!
Cannibali, necrofili, deamicisiani e astuti,
e si direbbe proprio compiaciuti!
Voi vi buttate sul disastro umano
col gusto della lacrima in primo piano!

Sì vabbe', lo ammetto:
la scomparsa dei fogli e della stampa
sarebbe forse una follia...
ma io se fossi Dio
di fronte a tanta deficienza
non avrei certo la superstizione della democrazia!

Ma io non sono ancora del regno dei cieli,
sono troppo invischiato nei vostri sfaceli...

Io se fossi Dio
naturalmente io chiuderei la bocca a tanta gente:
nel regno dei cieli non vorrei ministri
e gente di partito tra le palle,
perché la politica è schifosa e fa male alla pelle!
E tutti quelli che fanno questo gioco,
che poi è un gioco di forze, ributtante e contagioso
come la lebbra e il tifo...
E tutti quelli che fanno questo gioco
c'hanno certe facce che a vederle fanno schifo,
che siano untuosi democristiani
o grigi compagni del piccì.
Sono nati proprio brutti o, per lo meno, tutti
finiscono così.

Io se fossi Dio,
dall'alto del mio trono
vedrei che la politica è un mestiere come un altro
e vorrei dire, mi pare a Platone,
che il politico è sempre meno filosofo
e sempre più coglione;
è un uomo tutto tondo
che senza mai guardarci dentro scivola sul mondo,
che scivola sulle parole
anche quando non sembra... o non lo vuole.

Compagno radicale,
la parola "compagno" non so chi te l'ha data,
ma in fondo ti sta bene,
tanto ormai è squalificata.
Compagno radicale,
cavalcatore di ogni tigre, uomo furbino
ti muovi proprio bene in questo gran casino
e mentre da una parte si spara un po' a casaccio
e dall'altra si riempiono le galere
di gente che non c'entra un cazzo...

Compagno radicale,
tu occupati pure di diritti civili e di idiozia
che fa democrazia
e preparaci pure un altro referendum
questa volta per sapere
dov'è che i cani devono pisciare!

Compagni socialisti,
ma sì anche voi insinuanti, astuti e tondi!
Compagni socialisti,
con le vostre spensierate alleanze
di destra, di sinistra, di centro,
coi vostri uomini aggiornati,
nuovi di fuori e vecchi di dentro!...
Compagni socialisti fatevi avanti
che questo è l'anno del garofano rosso e dei soli nascenti!
Fatevi avanti col mito del progresso
e con la vostra schifosa ambiguità!
Ringraziate la dilagante imbecillità!

Ma io non sono ancora nel regno dei cieli,
sono troppo invischiato nei vostri sfaceli...

Io se fossi Dio,
non avrei proprio più pazienza,
inventerei di nuovo una morale
e farei suonare le trombe per il Giudizio universale!
Voi mi direte perché è così parziale
il mio personalissimo Giudizio universale:
perché non suonano le mie trombe
per gli attentati, i rapimenti, i giovani drogati
e per le bombe.
Perché non è comparsa ancora l'altra faccia della medaglia.

Io come Dio, non è che non ne ho voglia.
Io come Dio, non dico certo che siano ingiudicabili
o addirittura, come dice chi ha paura, gli innominabili!
Ma come uomo, come sono e fui,
ho parlato di noi, comuni mortali:
quegli altri non li capisco, mi spavento,
non mi sembrano uguali.

Di loro posso dire solamente
che dalle masse sono riusciti ad ottenere
lo stupido pietismo per il carabiniere.
Di loro posso dire solamente
che mi hanno tolto il gusto
di essere incazzato personalmente.
Io come uomo posso dire solo ciò che sento,
cioè solo l'immagine del grande smarrimento.

Però se fossi Dio
sarei anche invulnerabile e perfetto,
allora non avrei paura affatto,
così potrei gridare, e griderei senza ritegno che è una porcheria,
che i brigatisti militanti siano arrivati dritti alla pazzia!

Ecco la differenza che c'è tra noi e "gli innominabili":
di noi posso parlare perché so chi siamo
e forse facciamo più schifo che spavento.
Ma di fronte al terrorismo o a chi si uccide c'è solo lo sgomento.

Ma io se fossi Dio,
non mi farei fregare da questo sgomento
e nei confronti dei politici
sarei severo come all'inizio,
perché a Dio i martiri
non gli hanno fatto mai cambiar giudizio.
E se al mio Dio che ancora si accalora,
gli fa rabbia chi spara,
gli fa anche rabbia il fatto
che un politicante qualunque
se gli ha sparato un brigatista,
diventa l'unico statista!

Io se fossi Dio,
quel Dio di cui ho bisogno come di un miraggio,
c'avrei ancora il coraggio di continuare a dire
che Aldo Moro insieme a tutta la Democrazia Cristiana
è il responsabile maggiore di trent'anni di cancrena italiana.

Io se fossi Dio,
un Dio incosciente enormemente saggio,
avrei anche il coraggio di andare dritto in galera,
ma vorrei dire che Aldo Moro resta ancora
quella faccia che era!

Ma in fondo tutto questo è stupido perché, logicamente...
io se fossi Dio,
la terra la vedrei piuttosto da lontano
e forse non ce la farei ad accalorarmi in questo scontro quotidiano.

Io se fossi Dio,
non mi interesserei di odio o di vendetta e neanche di perdono
perché la lontananza è l'unica vendetta
è l'unico perdono!

E allora va a finire che se fossi Dio,
io mi ritirerei in campagna
come ho fatto io...

(Giorgio Gaber & Sandro Luporini)