“I saggi trovarono la connessione
dell’essere nel non-essere cercando
con riflessione nel loro cuore.”
(Nasadiyasukta 129, 1,4)
I filosofi delle Upanishad sapevano molte cose sull’origine degli dei, del cosmo e degli uomini perché le avevano imparate dagli antichi Ari che erano discesi dal nord e avevano conquistato l’India. Le Upanishad, i Brahmana e gli Aranyaka fanno parte del corpus di dottrine che sono conosciute con il nome di Veda. Il termine “veda” significa “ciò che è stato visto e realizzato dai saggi“ cioè “Conoscenza Suprema” ovvero “Scienza sacra.”
Nei testi vedici si tramandano le concezioni della sruti ossia le rivelazioni che furono ispirate direttamente ai sacri Veggenti da parte del mondo divino. L’asse centrale del loro insegnamento è la “rta” ossia l’esistenza di un grande ordine cosmico che si riflette a tutti i livelli dell’esistente. Essi appresero che l’universo, il moto degli astri, il mondo degli dei e il mondo degli uomini, lo scorrere del tempo e delle stagioni dimostra l’esistenza di un Ordine sacro che è ovunque valido.
La loro concezione dell’universo e dell’esistenza possiede una coerenza e un rigore che viene raffigurato dalla trama di uno splendido tessuto. Perciò le verità che vengono tramandate dai Veda vanno considerate il più grande dono che gli antichi Ari potessero lasciarci. Quei maestri dissero che tutto ciò che esiste, a partire dall’umile filo di erba fino alla più elevata divinità obbedisce alla grande coerenza e alla corrispondenza armoniosa del cosmo definita Sanatana Dharma, ossia Legge Eterna che dimostra le più elevate Verità.
Questi insegnamenti furono rivelati a 7 grandi Veggenti che parlavano con 7 voci sacre. Ad essi gli dei rivelarono un immenso tesoro di saggezza che fu trasmesso sul piano spirituale e che venne tramandato in modo orale per molti secoli. Quei saggi si resero consapevoli - attraverso l’introspezione - che, nel cuore dell’uomo, si nasconde un vuoto profondo, un’immobilità indescrivibile, uno stato che supera il pensiero, il sogno, la percezione e la conoscenza: questo stato dell’essere non è condizionato dallo spazio e dal tempo.
Perciò essi arrivarono alla sorgente di ogni aspetto dell’esistenza e videro che al di là di ogni forma di apparenza esiste uno stato causale, un continuum, uno stato indifferenziato di cui ogni aspetto percepibile è solo uno sviluppo visibile. Tutto l’universo è la realizzazione di un piano divino, perciò il cosmo è la materializzazione di un sogno organizzato.
Tutto il mondo visibile è percepito come la cristallizzazione del pensiero del Creatore. Tutto il cosmo è un meccanismo conscio, è la manifestazione di una volontà e non certo un meccanismo inconscio o insensato. I filosofi delle Upanishad dissero che, al di là dei substrati apparenti esiste un continuum percettibile sottinteso a ogni aspetto della realtà.
Dissero che il supporto di tutte le forme percettibili è uno spazio vuoto e assoluto che descrissero come un continuum senza limiti indifferenziato e invisibile che chiamarono etere, akasha, in cui vengono costruite tutte le suddivisioni immaginarie dello spazio relativo. Il movimento degli astri del cielo ci appare come reale perché le percezioni sensoriali sono illusorie, e non perché quel movimento sia reale.
È il movimento che crea l’apparenza della polarizzazione e del ritmo, ma tutto questo è inesistente perciò è illusorio. Il carattere del movimento è un prodotto di Maya, perciò è frutto dell'illusione. Questa interpretazione spiega la natura dell’universo che sembra esistere sebbene esso sia composto solo di energia. L’esempio classico che viene fatto è quello dello spazio interno di una giara che non è mai separato dallo spazio esterno alla giara anche se viene percepito come tale, perché non riusciamo a vedere la continuità dello spazio.
Il tempo viene paragonato ad un bastone invisibile perciò il tempo assoluto è l’eternità sempre presente e inseparabile dallo spazio. Il tempo ci appare come relativo perché il ritmo del cosmo lo fa percepire in questo modo sebbene anche il tempo sia un continuum. Anche il pensiero non viene percepito come un continuum perché non vediamo oltre l'apparenza. Ovunque esiste una continuità che non viene percepita, perché si nasconde oltre l’apparenza della realtà materiale.
I saggi veggenti dissero che il substrato dello spazio è l’esistenza, sat. Che il substrato del tempo è l’esperienza o beatitudine, ananda, e che il substrato del pensiero è la coscienza, cit. Dissero pure che, affinché qualcosa possa esistere è necessaria una forma di esistenza perciò l’esistenza precede lo spazio. Anche il tempo esiste solo in rapporto alla percezione perciò conclusero che la percezione precede il tempo.
Rivelarono che la percezione primaria, potenziale e indifferenziata è il primo principio dell’esperienza e che corrisponde alla beatitudine perfetta cioè alla gioia pura e assoluta che è la natura ultima dell’esperienza. La beatitudine assoluta venne chiamata brahman, la sorgente da cui nascono gli esseri, perché nella beatitudine assoluta gli esseri vivono e nella beatitudine assoluta gli esseri ritornano quando hanno cessato di esistere.
Poi insegnarono che non esiste esperienza senza esistenza e che non esiste esperienza senza esistenza. Perciò la beatitudine è un’esperienza che si illumina da se stessa sebbene la beatitudine sia diversa dalla sensazione. L’esistenza è una forma di beatitudine perché è uno stato liberato dall’inerzia.
E siccome la beatitudine è una forma di esistenza anch’essa è un continuum, perciò la base dell’esperienza è conosciuta come sensazione o come emozione. L’esperienza della beatitudine implica la realizzazione del tempo assoluto che è l’eternità cioè l’attimo sempre presente. L’essere che raggiunge questo stadio è liberato da ogni legame con l’azione ossia è libero dal karma perciò conosce la beatitudine di Brahma.
Il substrato del pensiero è la coscienza, perché il pensiero può esistere solo in uno spirito consapevole. Non esiste pensiero senza pensatore così come non esiste pensiero senza una qualche forma di individualità che non sia cosciente della sua esistenza. Perciò essi dissero che la coscienza è il substrato del pensiero e che la coscienza è inseparabile dalla nozione di esistenza individuale di un sé personale e durevole.
La coscienza è sempre legata all’individualità e la coscienza universale è rappresentata dal Sé, atman. L’immensità senza forma è il substrato ultimo della coscienza e viene sperimentato come vuoto, come silenzio, come un’oscurità totale della ragione che spazia oltre lo spirito e oltre l’intelligenza. Essa viene percepita dall’uomo nell’interiorità del suo essere come un vuoto che rappresenta il suo “io” più profondo.
Questo “io” è condiviso con tutti gli altri esseri ed è l’Oceano senza forma del Sé da cui emergono tutti gli esseri: è la creatura molteplice di ogni individuo. Il Sé o anima individuale è minuscolo come un piccolo granello di seme ma è vasto anche come l’intero universo. Il Sé elude ogni limite dello spazio e del tempo e forma il continuum di tutti gli esseri che compaiono come entità individuali.
L’anima è il continuum che esiste all’interno e all’esterno di tutte le cose, perciò l’io ossia l’individualità è solo un modo temporaneo, è solo un punto particolare della coscienza. L’anima individuale è un centro specifico di un punto del Sé indefinito che è costituito dal confluire di diverse correnti così come l’oggetto è solo un gruppo di energie che sono intrecciate insieme in un punto localizzato dello spazio infinito.
Il Sé può esistere indipendentemente da ogni pensiero, mentre l’io è il centro della vibrazione che costituisce il pensiero. Il Sé è il substrato di cui l’uomo può avere coscienza perché è il substrato della coscienza individuale. I saggi delle Upanishad rivelarono l’esistenza dei tre continuum di spazio, di tempo e di coscienza.
Ma ammisero che questo non potrà mai essere dimostrato, perché il substrato dei 3 elementi è un substrato causale ancora più sottile che supera ogni mezzo di percezione e si sottrae a tutti i metodi di ragionamento. Dissero che è impossibile usare i metodi del ragionamento logico in un campo che supera tutti i campi in cui si può usare la logica.
L’Immensità è un continuum di spazio-tempo-coscienza ed è lo stato ultimo e assoluto in cui vengono riunite l’Esistenza che sorge dalle forme spaziali, la Conoscenza o Coscienza che trascende il pensiero e il tempo senza limiti cioè l’Eternità che è alla base dell’esistenza e della beatitudine. Brahman fu visto come l’unità individuale di Esistenza, di Coscienza e di Eternità. E dissero che questa immensità, questo vuoto, questo sconosciuto, questo assoluto non-esistente possiede la natura più profonda di ogni cosa.
Buona erranza
Sharatan
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