domenica 8 novembre 2015

I custodi del destino



“La sorte è l’alveo nel quale fluisce il tempo d’un uomo:
difficile vederne chiaramente il profilo.”
(Elémire Zolla)

Secondo Elémire Zolla ci sono molte metafore per indicare il destino e la vita. Le più comuni sono quelle che rapportano la vita al corso di un fiume, alla colata di lava di un vulcano, ad un vortice marino oppure ad una macchina da costruire e da far funzionare. La vita, per chi ha avuto una buona sorte, dimostra che vale la pena di vivere, perché è tale la vita dalla sorte chiara e sicura. Soprattutto la vita dei grandi uomini e dei santi ci appare come tale cioè come una vita che è stata impiegata per assolvere ad un destino di cui ogni tappa e ogni minimo episodio ci appare come significativo.

Una vita piena di significato è quella in cui gli avvenimenti si dispongono in un ordine che mostra il significato del destino che si deve assolvere. Le metafore che indicano il destino sono tratte dalla filatura e dalla tessitura dei tappeti, in cui la trama appare e si mostra solo quando il lavoro del tessitore si è concluso. La tradizione ci mostra molti esempi di questo tipo, infatti Plutarco elenca una serie di eventi che prepararono l’assassinio di Cesare. Egli disse che non fu un caso se Cesare venne ucciso nello stesso giorno in cui fu eretta la statua di Pompeo, e se fu ucciso nell’edificio che era stato costruito proprio per ordine di Pompeo.

Anche Giuseppe Flavio, riguardo l’omicidio di Antigono, racconta che Giuda l’Esseno si disperò quando vide che Antigono entrava nel Tempio. Giuda gridò che per lui era meglio morire, perché la verità era morta da quando la sua profezia non si era avverata. Antigono era vivo malgrado lui aveva visto che avrebbe dovuto essere ucciso mentre era a Torre di Stratone che distava ben settanta miglia dal tempio. Subito dopo, si seppe che Antigono era stato assassinato nella rocca sotterranea che veniva chiamata Torre di Strabone cioè come l’omonima città. In questi racconti si vede come, nell’antichità, si credeva che il destino sia legato all’uomo come i fiori sono legati la loro radice, dice Zolla.

Gli Ewe del Togo credono che l’uomo possiede, oltre l’anima anche uno spirito che determina il carattere e il destino. Era stata la Madre Celeste che ha inviato quello spirito mentre l’uomo sta in attesa di incarnarsi, al fine di fargli realizzare un certo destino e con una certa benedizione. Si dice che l’uomo abbia il compito di ripetere ciò che aveva già compiuto in cielo, cioè dovesse avere lo stesso lavoro e la stessa famiglia. Essi credono che l’uomo avrebbe sofferto se non avesse ritrovato, fra tutte le sue moglie, la donna che era chiamata la “donna dell’aldilà.”

Nel Ghana si dice che la madre Celeste emana un “messaggio del destino” per l’anima che sta per incarnarsi, e le fa cadere in bocca una goccia dell’acqua della vita, in cui la Madre si rispecchia. La Madre Celeste avverte l’anima che è pronta a nascere, che durante la vita dovrà perfezionare il suo spirito vitale, altrimenti dovrà tornare a reincarnarsi. Molti miti dell’Africa, dell’Australia e dell’Asia mostrano le stesse idee espresse da Platone nel “Menone” in cui si dice che, se l’anima deve rinascere tanto vale mantenerla pura. Ma, se l’uomo che non crede più a queste mitologie, si chiede Zolla, come può abbandonarsi con fiducia alla vita?

Anche gli antichi sapevano che, all’uomo serve un sostegno ideologico a cui potersi appoggiare per tollerare l’angoscia del vivere. Per questo motivo, anche nei misteri egizi e mitraici gli adepti dovevano gridare che l’adepto non era morto e che il cadavere era risorto. Vedere il disegno del destino, dice Zolla, conforta perché la vita insopportabile è quella che ha una forma che ci appare insensata. Invece la “buona vita è quella in cui gli incidenti sono del tutto pertinenti al carattere di chi li vive.” Le vicissitudini della vita sono espresse anche nel mito di Iside che deve affrontare il naufragio, la prigionia per mano dei ladroni e molte altre vicissitudini per ritrovare Osiride.

Nel mito di Iside, secondo Sinesio, si insegnava che la vita terrena non è altro che quel mito divino che si ripete continuamente nel mondo materiale. Il mito di Iside rivelava all’adepto che la vita è un percorso di ricerca, dice Zolla, perciò essa apparirà colma di una nuova luce. Vediamo che anche gli errori più rovinosi assumono un senso diverso e comprendiamo che, solo facendo quella strada piena di errori siamo giunti alla pace in cui siamo. I misteri di Iside insegnavano che esiste una guida invisibile che ci conduce lungo il cammino, e la guida poteva essere una madre ovvero la stessa dea Iside.

Secondo altri, la guida poteva essere un animale soccorritore ovvero un custode angelico oppure, come per i greci, un daimon che era insieme un genio e il destino. Per noi moderni non è facile credere che, l’uomo, oltre l’anima e lo spirito possiede anche un genio personale. La coscienza di questo fatto era molto diffusa in passato anche se le tribù d’Australiane e nelle isole andamanesi lo credono ancora. In seguito, questa idee, è restata solo nella mente degli sciamani che hanno la capacità di creare un’alleanza con gli animali. Il termine sciamano deriva dal manciù “shaman” che significa “coloro che sono invasati” e dal sanscrito “sramana” che significa “asceti.”

Nell’etimologia già si mostra che esiste un legame non solo tra l’ascesi e la fratellanza con gli animali, secondo Zolla, ma che esiste un legame anche tra la natura dell’anima dell’animale e la genialità umana. Aver raggiunto la genialità mostra che si sono superati i limiti dell’uomo comune perciò che si è raggiunto lo stato che consente di avere delle rivelazioni impenetrabili e misteriose. E si dimostra pure che il genio personale è inconfondibile e che, per gli sciamani, si esprime nel timbro e nella qualità dell’animale con cui l’uomo si sente più in sintonia e nutre più simpatia. E ci indica persino la forma di comunione più propizia alla manifestazione del proprio genio.

Si dice che gli animali dal fascino più robusto abbiano - a loro volta- un genio custode che alcuni collegano ad un’entità esterna che viene collegata al genio del luogo. Invece altri lo pensano collegano al genio della specie animale a cui l’animale appartiene, perciò si dice che solo la renna cui piace il cacciatore possa venire uccisa. Anche gli antichi popoli germanici dicevano che gli eroi avevano fede in un animale, infatti essi credevano che il soffio e il principio di estasi di Odino si mostrasse nel lupo. L’anima e la memoria più intima erano percepite sotto forma di corvo, e anche la mente più segreta era vista in forma animale.

Anche l’animale custode ovvero il genio che ci accompagna per tutta la vita che viene percepito dalla seconda vista era visto sotto forma di animale. Dell’uomo pronto e intuitivo si diceva che aveva un genio molto forte. E poi si distingueva tra il proprio genio personale e quello familiare che veniva tramandato dal padre e dal nonno insieme al nome, e la forma in cui esso appariva era quella della vergine valchiria. Spesso le figure del genio personale e dell’antenato totemico s’intrecciano nelle varie mitologie.

Invece, nell’America centrale, il genio era chiamato “nagual” cioè “spirito familiare,” ma gli europei che li cristianizzarono lo assimilarono nella figura dell’angelo custode. Gli spagnoli non compresero che il nagual era la figura di un essere tutore che era strettamente correlato con l’uomo che proteggeva al punto che, ciò che accadeva all’uno si ripercuoteva sull’altro. Il suo vero nome era “tonal” che significa calore, estate, sole perché la costellazione sotto cui si nasce è la propria costellazione cioè rappresenta il proprio destino.

La conoscenza del nagual, secondo Zolla, era trasmessa e garantita da una confraternita i cui adepti usavano le danze per propiziare le apparizioni dello spirito e che usavano una lingua segreta molto complicata e piena di metafore. In alcune immagini arcaiche dell’America centrale vediamo dei guerrieri che sono sovrastati dal loro animale custode che viene raffigurato sotto forma di giaguaro, di coccodrillo, di serpente o di uccello. Gli Inca avevano il loro custode, “fratello” o oracolo che raramente era un animale, e veniva infuso nell’amuleto che veniva messo accanto al cadavere.

Ma il genio personale non era sempre in forma animale, infatti gli sciamani d’America lo rappresentano come una fonte di potere che è perlopiù un uccello oppure un animale molto forte oppure il vento, l’acqua o una montagna dotata di un grande magnetismo cioè un luogo di potere. Poiché ogni cosa ha una forza vibratoria, allora essa può diventare una entità protettrice e può assumere la funzione di genio o di custode personale. Presso i Fox, tutte le forze divine possono avere la funzione di genio protettore, infatti lo possono essere sia il Signore del Cielo, le stelle, i morti che fanno scaturire le sorgenti, il grano che infonde l’energia del cibo, le tortore che sono la voce di Manitù, oppure i serpenti, i gufi, le volpi, i lupi e così via.

E non è neppure raro che il genio che si mostra come animale possa diventare un simulacro o un amuleto di legno, oppure un totem. Gli Australiani fanno degli oggetti sacri fatti di legno o di pietra chiamati ciuringa, in cui vengono incisi dei segni. Ognuno tiene nascosto il ciuringa che è stato inciso dal nonno per il nipote, che è consegnato al compimento della maggiore età e che viene presentato come l’animale da cui si proviene. Questo amuleto è il tramite che lega gli aborigeni al loro passato ancestrale, ai loro primi antenati e alla condizione beata in cui vivevano.

Buona erranza
Sharatan

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Sharatan