sabato 4 giugno 2016

L’intelligenza dell’anima



“Molti studiano come allungare la vita,
quando invece bisognerebbe allargarla.”
(Bertrand Russell)

L’intelligenza è sempre stata correlata con il quoziente intellettivo cioè con l’intelligenza razionale ossia con la capacità di risolvere problemi logico-strategici. Gli psicologi hanno creato dei tests che consentono di misurare il quoziente intellettivo (QI). Questo ha permesso agli psicologi di classificare gli individui in alcune categorie mentali che presentano delle crescenti capacità logico-strategiche, perciò il possesso di un alto quoziente intellettivo è stato -da sempre- correlato con il possesso di una grande intelligenza.

È avvenuto così fino al 1995 quando le ricerche di Daniel Goleman divulgate nella sua opera più famosa, “L’intelligenza emotiva,” hanno dimostrato che l’intelligenza emotiva è altrettanto importante di quella logico-strategica. Goleman ha affermato che l’intelligenza emotiva è “la capacità di motivare se stessi, di persistere nel perseguire un obiettivo nonostante le frustrazioni, di controllare gli impulsi e rimandare la gratificazione, di modulare i propri stati d’animo evitando che la sofferenza ci impedisca di pensare, di provare empatia e di sperare.”

E, in seguito, in “Lavorare con l’intelligenza emotiva” ha dimostrato che la competenza emotiva è una capacità che deve essere appresa, poiché “l’intelligenza emotiva determina la nostra capacità di apprendere le capacità pratiche basate sui suoi cinque elementi: consapevolezza e padronanza di sé, motivazione, empatia e abilità nelle relazioni interpersonali.” In sintesi, Goleman ha detto che lo sviluppo delle abilità che ci permettono di essere emotivamente intelligenti ossia di avere un alto quoziente emotivo viene determinato dal fatto che queste abilità si siano state insegnate.

D’altro lato, gli studi di Howard Gardner sulle intelligenze multiple dimostrano che esistono molti tipi d’intelligenza. Gardner ha classificato sette tipi di intelligenza come quella musicale, sportiva e spaziale, emotiva, razionale e così via. Questi sette tipi di intelligenza di base si intrecciano nei tipi umani ipotizzati da Jung. Ma, secondo alcuni studiosi, gli studi di Gardner evidenziano solo i tratti distintivi dell’intelligenza logico-strategica e di quella emotiva, ma non mostrano l’aspetto transpersonale dell'uomo.

Il quoziente intellettivo e quello emotivo non chiariscono perché, nel cervello, siano presenti tre sistemi neurali di base che governano tre funzioni diverse. La prima struttura è quella che sovrintende al quoziente intellettuale mentre l’altra governa il quoziente emotivo, ma è evidente che manca il motivo dell’esistenza della terza struttura. È chiaro che manca un terzo campo della psicologia cioè quello che indaga sull’intelligenza spirituale. Gli esseri umani sono essenzialmente degli esseri spirituali, perché le nostre aspirazioni a diventare migliori e ad oltrepassare il momento presente per cercare il senso dell'esistenza dimostrano le profonde esigenze spirituali dell'uomo.

Il fatto che queste esigenze sono presenti fin dall’origine dell’uomo è dimostrato dal fatto che la ricerca del senso della vita ha dato origine al pensiero simbolico, al linguaggio e allo sviluppo del cervello umano. Un arido conteggio del quoziente intellettivo o di quello emotivo non spiegano tutta la complessità dell'uomo, a meno che non ipotizziamo che esista un’intelligenza spirituale su cui si basa la consapevolezza umana. La psicologia occidentale si è basata sempre solo sui due processi ipotizzati da Freud, perciò l’intelligenza spirituale introduce un terzo ambito di analisi nella psicologia occidentale.

Freud definì un processo primario che associò all’Es e la mente degli istinti e delle emozioni, perciò a tutti gli impulsi del corpo e al subconscio. Al processo secondario invece associò l’Io con la sua mente cosciente e razionale, e poi dichiarò che il processo secondario è superiore al primario. In seguito, alcuni dei suoi seguaci diedero il primato ora all’uno e ora all’altro processo ma, la cosa è rimasta in questo modo. La struttura del quoziente emotivo viene associata all’impianto neurale associativo mentre il quoziente emotivo è associato all’impianto neurale seriale: e questa scissione vede il Sé isolato al centro.

Questo modo di pensare viene confermato dal dissidio che sembra esserci tra sentimento e ragione, in cui vediamo una frattura che sembra insanabile. Se escludiamo il tentativo di Jung di conciliare la scissione con l'ipotesi dell'esistenza di un Sé transpersonale che sa conciliare le tendenze che contrappongono la ragione e il sentimento, ipotizzando una terza struttura che sa integrarle e conciliarle. L’ipotesi dell'esistenza di un terzo tipo di intelligenza si basa sulla presenza di un terzo sistema neurale nel cervello cioè di un sistema che è basato su delle oscillazioni neurali sincrone che unificano i dati che vengono elaborati dal cervello. 

Questo è il processo terziario che integra e unifica le due tendenze contrapposte della natura umana. I modelli psicologici del passato ipotizzavano solo due “strati psicologici” cioè una personalità esterna cosciente e razionale e una personalità interna fatta di associazioni mentali, di motivazioni e impulsi inconsci e di reazioni nervose. Il processo terziario introduce l’ipotesi di un terzo strato, cioè afferma l'esistenza di un nucleo centrale del Sé. Comunemente il Sé viene raffigurato come un fiore di loto a sei petali in cui ogni petalo rappresenta uno dei sei tipi di personalità o funzioni ipotizzate dagli studiosi. 

Questi sei tipi si basano sui sei tipi di Jung che seguono sei principi fondamentali cioè introversione, estroversione, pensiero, sentimento, percezione e intuito. I principali aspetti della personalità umana sono distribuiti sui petali del loto e ogni petalo del loto, in profondità, possiede uno strato relativo al principio primario cioè quello che è collegato alle pulsioni e motivazioni inconsce. Nella parte più profonda di questo strato vi sono tutti gli stati di coscienza relativi all’inconscio collettivo e agli archetipi che fanno parte della cultura in cui viviamo. 

Al centro del loto c’è lo strato terziario cioè il nucleo del Sé dal quale proviene l’energia e il potenziale che ci aiuta a fare le trasformazioni. I sei petali del loto e il centro sono quelli che - nell’induismo - vengono chiamati i sette chakra dello yoga. L’intelligenza spirituale che nasce in questo luogo è l’intelligenza dell’anima perciò è la parte che è collegata alla saggezza che va oltre l’ego ovvero la mente cosciente. Ogni cultura ha un suo concetto relativo al concetto di intelligenza, ma il quoziente spirituale non viene da canoni culturali o religiosi. 

Questo tipo d’intelligenza è antica quanto l’uomo, ma la scienza non riesce a misurarla, perché i dibattiti scientifici si dilungano sul modo e sul ruolo delle cose ma qui siamo nell’ambito di ciò che non può essere misurato perché dovremmo misurare il quoziente di consapevolezza spirituale. Ma le difficoltà non hanno fermato gli studiosi e nel 1997, il neurofisiologo V.S. Ramachandran e il suo staff dell’Università della California ha fatto ricerche sull’esistenza di “un centro divino” nel cervello umano: il centro è stato situato tra i collegamenti neurali nei lobi temporali. 

Durante le ricerche fatte con esplorazioni diagnostiche PET, si è registrato che le aree neurali suddette si illuminavano ogni volta che i soggetti venivano coinvolti in discorsi su argomenti religiosi o spirituali. Una simile attività dei lobi temporali era già stata registrata ma, per anni, fu collegata alle visioni mistiche degli epilettici e dei soggetti che avevano assunto sostanze psichedeliche come l’LSD. La novità è che Ramachandran è stato il primo studioso che ha registrato questa attività cerebrale in soggetti che non avevano quei disturbi e che non avevano assunto sostanze psichedeliche. 

Lo studio di Ramachandran non prova certo l’esistenza di Dio, ma prova l’esistenza di connessioni cerebrali deputate ad aiutarci nella ricerca del significato della vita. Negli anni ’90 del Novecento, anche il neurologo austriaco Wolf Singer ha lavorato sul problema delle connessioni del cervello. La sua ricerca ha dimostrato che, nel cervello, esiste un meccanismo che viene indotto dai neuroni che ha lo scopo di indurli a unificare e dare un senso a quello che viviamo, perciò il meccanismo ha lo scopo di integrare le nostre esperienze. 

Prima di questi studi, si credeva vi fossero solo due forme di organizzazione neurali nel cervello. La prima forma di organizzazione è rappresentata dai collegamenti neurali seriali che sono alla base del quoziente intellettivo. Questi fasci neurali connessi in serie permettono al cervello di seguire le regole, di pensare in modo logico e razionale e di procedere per fasi graduali. La seconda forma di organizzazione neurale è quella che usa la rete di organizzazione neurale parallela in cui vediamo che centinaia di migliaia di neuroni sembrano connessi in modo casuale ad altri enormi fasci di nervi. Questa è la struttura complessa su cui si fonda l’intelligenza emotiva che è basata sulle emozioni che riconoscono le ricorrenze e fondano le abitudini.

La ricerca di Singer sulle oscillazioni neurali unificanti è la prova che esiste un terzo tipo di pensiero cioè il pensiero unificante che sorge e accompagna l’intelligenza spirituale, e che sovrintende alle sue funzioni. Nessuno sviluppo seriale o parallelo del cervello dovrebbe aiutarci a capire il senso della vita se non ci fosse qualcosa che ci rende capaci di modificarla, perciò l’intelligenza spirituale è collegata alla struttura che è in grado di “riprogrammare” la nostra vita. In effetti l’intelligenza spirituale sovrintende a tutte le trasformazioni, e il quoziente spirituale è il fattore che ci rende sensibili ai problemi esistenziali e che ci permette di risolverli, o almeno, di conciliarli con la nostra vita.

Questa forma di intelligenza ci offre il senso profondo delle lotte della vita, perché è il punto in cui la nostra creatività raggiunge il suo apice. La nostra parte spirituale è la voce della nostra coscienza, perché è la verità più intima nascosta nella nostra anima. Per questo motivo non è detto che un’alta spiritualità si ritrovi solo nelle persone molto religiose. Se è vero che lo spirito non ha ristrettezza di vedute, che non è esclusivo o geloso, che non è fanatico, che non ha pregiudizi e che non ama le separazioni, perciò è anche vero che essere molto spirituali non significa necessariamente che dobbiamo essere religiosi.

A livello personale possiamo essere egoisti, materialisti, cinici, ambiziosi, disperati, crudeli e anche altro di peggio. Ma è anche vero che possiamo concepire le miglior virtù transpersonali come la bontà, la bellezza, la perfezione, la generosità, l'amore, l'ottimismo etc. La parte più bella dell'uomo proviene dall’intelligenza spirituale, perché è lo spirito che ci aiuta a superare l’Io immediato per raggiungere gli strati più profondi dell’essere. La verità è che non usiamo spesso la nostra parte migliore perché abbiamo una grande povertà d’immaginazione. Viviamo una vita assurda e frenetica in cui non troviamo il tempo per meditare su quello che va oltre “il prendere e lo spendere” perciò non riflettiamo abbastanza sul lato più sacro e sublime del mondo, e di noi stessi.

Buona erranza
Sharatan

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