“Ciò che non vuoi che venga fatto a te,
non farlo al tuo prossimo; questa è tutta la Torah.
Il resto è solo commento. Va e studia!”
(Hillel)
Secondo la tradizione, Hillel visse tra il 70 a.C. e il 10 d.C., ma le uniche notizie sugli ebrei di quel periodo sono riferite da Giuseppe Flavio, un ebreo adottato dalla potente gens romana dei Flavi, che non cita mai il suo nome. Dalle fonti rabbiniche sappiamo con certezza, che Hillel fu il fondatore di una scuola di pensiero che esprime la maggior parte dei sapienti del suo tempo. A questa stirpe di grandi maestri appartennero, dal I al IV secolo d.C., i più illustri rappresentati del giudaismo che imponevano l’autorità della religione.
Nel Talmud, Hillel è chiamato Hazaqen cioè “il Vecchio” oppure HaBavli cioè "di Babilonia". Il fatto che sia chiamato “il Vecchio” non allude alla sua età, ma alla saggezza che gli ebrei e molti popoli dell'antichità associavano alle persone avanti negli anni. Questo non esclude che arrivò a tarda età, infatti la tradizione afferma che Hillel visse per 120 anni come Mosè. La sua vita viene ripartita in tre fasi, di cui i primi quarant'anni furono quelli che trascorse a Babilonia di cui era originario.
I secondi quarant'anni della sua vita sono il periodo che trascorse a studiare e interpretare i testi sacri, mentre gli ultimi quarant'anni rappresentano il periodo che Hillel trascorse insegnandone i precetti. La figura di Hillel è poco conosciuta, ma sappiamo che egli fu il più grande esperto di Sacre Scritture vissuto al tempo di Gesù. Sappiamo che fu il maestro più autorevole dei suoi tempi e che i suoi detti assomigliano molto ai concetti insegnati da Gesù.
L’arrivo di Hillel da Babilonia va conosciuto se vogliamo comprendere la sua figura, poiché la cornice storica in cui visse è la stessa in cui visse Gesù di Nazareth. Sappiamo che la comunità ebraica giunse a Babilonia in seguito alla sottomissione delle tribù del nord di Israele da parte del regno di Assiria che riuscì a conquistare i territori che si affacciavano sul mar Mediterraneo. Le genti di quelle zone furono deportate nei territori degli assiri, perciò quelle genti seguirono la sorte degli Assiri che, a loro volta, furono conquistati dai Babilonesi.
Quando nacque Hillel, gli ebrei erano a Babilonia ormai da 500 anni, perciò si ritrovarono sotto l’impero romano che aveva conquistato buona parte del mondo conosciuto allora. Si suppone che tra gli ebrei di Giudea e quelli di Babilonia ci potessero essere legami più stretti di quelli che la distanza tra le due terre ci potesse fare pensare. Ma di ciò non abbiamo nessuna conferma storica diretta, però sappiamo che entrambi i gruppi parlavano l’aramaico o l’ebraico.
Hillel il Babilonese nasce dunque verso il 70 a.C. nell’impero dei Parti che avevano conquistate le terre di Babilonia. Ma il susseguirsi di dominatori non cambiò le condizioni degli ebrei di Babilonia che erano composti da tribù nomadi originarie delle sponde del mar Caspio, in seguito stabilite nei territori dei Parti che tutti ritenevano fossero delle popolazioni rozze e barbare come quelle degli Sciti e dei Sarmati. Filone d’Alessandria include i Parti tra le razze rozze e selvagge “come i Germani” ma il suo giudizio è ingiusto, perché i tanto criticati conquistatori furono molto tolleranti con i popoli che avevano sottomesso.
Gli Ebrei continuarono a parlare l'aramaico, continuarono a praticare le loro tradizioni arcaiche e anche ad applicare il loro calendario, che - d’altro lato - era stato adottato anche dai conquistatori precedenti cioè dai Parti. Gli ebrei della diaspora babilonese vivevano e commerciavano liberamente come testimoniano le transazioni commerciali con aziende dal nome ebraico registrate negli archivi in carattere cuniforme rinvenuti a Ninive.
Si consideri che il nome di Babilonia include un territorio grosso modo corrispondente a quello dell’odierno Iraq. Gli ebrei di Babilonia mantennero un forte attaccamento per il Tempio di Gerusalemme, infatti essi mandano al Tempio il mezzo siclo dovuto per ogni figlio maschio sopra ai 20 anni, e anche l’oblazione rituale di una parte del ricavato della vendita delle primizie.
Dal filosofo greco Filone d’Alessandria contemporaneo di Hillel sappiamo che gli ebrei di Babilonia facevano lunghi e disagevoli pellegrinaggi per andare a Gerusalemme e per farvi pervenire, in occasione delle 3 ricorrenze ebraiche della Pasqua, di Pentecoste o Sukkot, e della Festa delle Capanne, le offerte dedicate al Tempio. Non sappiamo se gli ebrei babilonesi avessero già sviluppato lo studio dei testi sacri come fecero tre secoli dopo.
I legami tra gli ebrei babilonesi e quelli rimasti a Gerusalemme garantirono l’unità del giudaismo, sebbene la contaminazione con le credenze babilonesi siano molto evidenti nella letteratura apocalittica che fu molto vigorosa nel I secolo d. C. Non abbiamo dubbi che la lingua di Hillel fosse l’aramaico che si era imposto prima del dominio persiano. In quelle terre si era imposto il carattere cuneiforme, e con l’aramaico si unì il vantaggio di avere una lingua alfabetica molto semplice e comoda.
L’aramaico “imperiale” penetrò nella letteratura ebraica come si nota nei passi in questa lingua contenuti nel Libro di Esdra e in quello di Daniele. In seguito, la sua sintassi influì sull’ebraico e questo spiega la diversità dell’ebraico rabbinico noto tramite il Talmud e il Midrash che è molto diverso dall’ebraico biblico. L’influsso dell’aramaico era favorito dalla parentela tra il suo lessico e quello dell’ebraico e dal fatto che - dopo il ritorno dall’esilio di Babilonia - la forma dei suoi caratteri soppiantò l’antica scrittura ebraica che era molto simile alla scrittura fenicia.
All’epoca dell’arrivo di Hillel a Gerusalemme, l’ebraico veniva usato nella vita religiosa, mentre l’aramaico era considerato la lingua del popolo, perciò un viaggiatore che proveniva da Babilonia non aveva difficoltà a farsi capire se conosceva entrambi le lingue. E sappiamo che Hillel conservava l’accento della sua terra di origine poiché - all’inizio del suo soggiorno a Gerusalemme - fu insultato da alcuni popolani con l’epiteto di “stupido babilonese.”
La maggioranza delle massime che gli vengono attribuite testimoniano un perfetto bilinguismo, e anche il nome Hillel è nettamente ebraico, poiché significa “Egli ha lodato il Signore.”Le citazioni di questo grande maestro le ritroviamo nel Talmud come regole di purità e sappiamo che ebbero un’importanza crescente con il tempo. La formula che li introduce è sempre: “per questo Hillel giunse da Babilonia” e la citazione fa presumere che egli fosse noto ancora prima che giungesse a Gerusalemme.
Qualcuno ha evidenziato il carattere provvidenziale della sua venuta, ma la versione più attendibile della sua emigrazione fu quella che Hillel si recò a Gerusalemme per perfezionare i suoi studi delle sacre scritture. Secondo la testimonianza di un rabbino del III sec., esiste la tesi che suo fratello Shebna gli propose di entrare in commercio insieme a lui ma lui rifiutò, perché non aveva altro scopo di vita che studiare la Torah. È perciò logico che Hillel giungesse a Gerusalemme, perché era stato attratto dalla fama dei maestri che vi insegnavano.
È più attendibile pensare che avesse 20 anni e non 40 anni, all’atto del suo arrivo, e una tradizione talmudica credibile afferma che cominciò a esercitare il suo magistero intorno al 30 a.C. Se valutiamo che al suo arrivo potesse avere circa 20 anni e che esercitò per circa 40 anni, è credibile che vivesse sugli 80-90 anni perciò fu contemporaneo del re Erode che regnò dal 37 al 4 a.C. A quell'epoca le scuole babilonesi non avevano raggiunto ancora il livello dottrinale che raggiunsero 2-3 secoli dopo, perciò si pensa che Hillel venne attratto dai grandi maestri di Gerusalemme.
Uno degli aneddoti più famosi lo mostrava come un giovane brillante e privo di mezzi che si arrangiava per proseguire gli studi, infatti dicevano che un giorno che non aveva trovato lavoro per pagarsi la lezione, si arrampicò sul tetto della scuola per ascoltare i rabbini origliando attraverso il lucernario. Era un venerdì di dicembre-inizio gennaio e faceva molto freddo, infatti scese la neve e Hillel restò sotto la neve e al freddo.
Fu rinvenuto svenuto sul lucernario oltre la mezzanotte semi assiderato, ma i rabbini si affrettarono a soccorrerlo dopo aver visto la sua ombra sul lucernario, anche se era iniziato il sabato. Si narra che i presenti al fatto dissero: «Per un tale uomo vale la pena che si profani il sabato.» Questa storia ha un valore edificante e vuole affermare che nessuno può usare la scusa che è troppo povero per non studiare, poiché anche Hillel rischiò la vita per l'amore della conoscenza. L’aneddoto apocrifo è pur sempre veritiero, poiché gli attribuiva una passione smodata per lo studio.
Riguardo ai maestri presso cui approfondì la sua preparazione, sappiamo che i due maestri più illustri del suo tempo furono Shemayah e Abtalion, e che certamente presso di loro Hillel perfezionò la sua istruzione in campo religioso e dottrinario. Costoro, secondo un aneddoto del Talmud venivano talmente venerati dal popolo che, una sera, essi incrociarono una processione e il popolo abbandonò il sommo sacerdote e si mise a seguirli.
Entrambi i suoi maestri facevano parte della corrente dei Farisei che avevano la fama di fornire i più illustri interpreti delle leggi, e che avevano l’incarico di educare la gioventù ebraica. Sulla base di tutto questo si pensa che i maestri di Hillel fossero Farisei. Nell’ambiente religioso di quel tempo il grande dibattito che infiammava gli animi avveniva tra gli aristocratici Sadducei che erano seguiti dall’aristocrazie e la fazione più popolana dei Farisei.
La terza fazione cioè quella degli Esseni riservava i suoi insegnamenti solo agli iniziati, perciò restavano fuori dalle diatribe dottrinarie. I Farisei insegnavano che il successo dei cattivi e la sventura dei buoni in questo mondo non sono l’ultima decisione di Dio perché - alla fine dei tempi - gli uomini sarebbero resuscitati e i cattivi avrebbero ricevuto il castigo divino, mentre i buoni avrebbero goduto della beatitudine eterna.
La concezione farisaica era vista con scherno dagli aristocratici Sadducei che non accettavano questa resa finale dei conti da parte della giustizia divina, perciò il dibattito si infiammò tanto che la diatriba dottrinaria degenerò in uno scisma. Comunque sia andato, la lotta tra le due fazioni opposte causò l’intervento dei Romani che avevano annesso l’antico regno seleucide al loro impero. Questa nuova situazione comportò che, seppure ancora dominati da stranieri, i giudei potessero continuare a godere di una relativa indipendenza e che poterono continuare a praticare la loro religione.
Giuseppe Flavio dice che Erode governava con il consenso del potere romano, perciò osò presentarsi nel Sinedrio ordinato dalle insegne regali per imporre la sua volontà su una certa questione. E l’unico che osò tenergli testa fu proprio Shemayah cioè il maestro di Hillel. Il discorso che lo storico attribuisce al saggio Shemayah fa apprezzare la sua enorme dignità e un coraggio che gli valse la stima di Erode. Questo contesto storico chiarisce il senso di una delle massime più famose di Shemayah cioè «Ama il lavoro, fuggi il potere e non farti conoscere dalle autorità.» (Abot I, 10)
Sappiamo che certamente Hillel, a Gerusalemme, non trovò quella tranquillità che si era auspicato, ma la sua origine babilonese gli valse un trattamento di riguardo da parte di Erode. Erode era straniero, perciò aveva interesse ad attestare una sua presunta discendenza dagli ebrei babilonesi. In realtà da parte di madre, Erode era di origine nabatea e la sua famiglia non aveva ascendenze regali, perciò la sua origine "ambigua" non lo aiutava a rafforzare i suoi diritti al trono.
La scelta dell’origine babilonese che voleva accreditarsi non era certo casuale, perché gli ebrei deportati da Nabuccodonosor includevano le stirpi più pure delle tribù di Istraele. Sebbene avesse pochi o nulli diritti a regnare, poteva governare come un tiranno, in quanto Erode faceva e disfaceva sommi sacerdoti e manovrava il Sinedrio a suo capriccio avendo la protezione dei Romani. Per queste ragioni, poter essere riconosciuto come ebreo babilonese lo avrebbe aiutato ad essere accettato dal popolo.
Sicuramente, a quel tempo, Hillel era già un maestro molto stimato e conosciuto, e certamente lo sconvolgimento politico dei suoi tempi gli suggerì il famoso detto: «Siate discepoli di Aronne che amava e ricercava la pace.» (Abot I, 12) Si dice anche che, un giorno, vedendo un cranio galleggiare nell’acqua, egli disse: «Perché hai annegato altri, sei stato annegato, e coloro che ti hanno annegato finiranno anch’essi annegati.» (Abot II, 7).
Sappiamo che i Farisei si opponevano con forza a Erode, perciò la reazione del tiranno contro di loro e contro tutti quelli che li sostenevano era inevitabile. Erode non era amato dal suo popolo, e neppure lui amava il suo popolo per cui pretese un giuramento di fedeltà da parte dei sacerdoti e dei maggiori saggi, ma non lo ottenne e non ottenne neppure la fedeltà degli Esseni. Sappiamo che tra i saggi Farisei del tempo che gli si opponevano c'erano anche Hillel e Shammai, e che avevano un seguito di circa 6.000 persone.
I Farisei riscuotevano grande successo soprattutto tra le donne di corte, perciò la tensione tra Erode (che si vedeva destabilizzato) e la fazione che sosteneva i Farisei crebbe sempre più, finché si arrivò alla spietata repressione ordinata dal tiranno. Due grandi maestri giudei, nota Giuseppe Flavio, furono bruciati vivi, e poi il monarca - sempre più furioso - fece trucidare un gran numero di notabili giudei che aveva radunato nell’ippodromo di Gerico.
Hillel visse in questi tempi drammatici e il suo insegnamento che conosciamo da fonti rabbiniche, ci è noto perché si usava citare testualmente le parole dei maestri più autorevoli. Le parole dei saggi venivano citate e ripetute fedelmente affinché fossero di esempio per chi le meditava, e malgrado il fatto che, sulla figura di Hillel, siano rimasti molti apocrifi e molti avvenimenti furono rimaneggiati per vari motivi, va riconosciuto che la sua figura è quella che ha dato vita al maggior numero di tradizioni malgrado la scarsezza di materiali diretti. Come arrivò ad esserlo?
Sicuramente per aver risolto in modo brillante molti quesiti di diritto religioso. La halakhah o diritto religioso cominciava ad imporsi allora, perché tutti volevano rispettare la legge divina e l’autorità di un maestro autorevole garantiva che l’interpretazione che venisse data fosse la migliore. Hillel interpretava la Torah come un’autorità indiscussa, per questo accadde che gli “anziani di Batira” gli sottoposero un quesito a cui nessuno aveva saputo rispondere. Infatti gli chiesero se, nel caso che la Pasqua fosse caduta di sabato, fosse legittimo fare il sacrificio dell’agnello rituale.
Hillel rispose che il sacrificio dell’agnello pasquale doveva essere mantenuto anche se la festa fosse stata di sabato. Il suo parere fu accolto da tutti e il suo magistero diventò molto autorevole. In seguito, si seppe che Hillal era un Fariseo che onorava i suoi maestri, perciò si capì che aveva risolto la questione agendo in assonanza a ciò che aveva visto fare dai suoi maestri Shemayah e Abtalion. Da quel momento diventò il primo maestro e il più saggio rabbino dei suoi tempi. Ma sappiamo che lui non si vantava affatto di questo onore, ma si lamentava che la sua generazione fosse decaduta talmente da non saputo produrre qualcuno che fosse migliore di lui da additare come esempio.
La generazione di Hillel fu l’ultima di una serie di cinque generazioni in cui i maestri agivano in coppia, poiché la tradizione poneva il primo maestro a capo del Sinedrio e l’altro maestro a capo del tribunale, affinché il potere potesse essere più equilibrato. Nel caso di Hillel sappiamo che venne associato a Shammay, ma che la tensione tra di loro era molto palpabile. I loro caratteri non potevano essere più opposti, infatti i due maestri non si trovavano mai d’accordo su nulla, per questo ben presto nacquero due scuole diverse.
E se la generazione di Hillel che fu famoso per la sua mitezza diventò prevalente, quella di Shammay che fu famoso per la sua severità, si ridusse fino a scomparire. Un aneddoto ci fa conoscere la famosa pazienza di Hillel laddove si narra che, due uomini decisero di scommettere una forte cifra sul fatto di riuscire a farlo andare in collera. Uno di loro lo scomodò molte volte mentre faceva le abluzioni e lo interrogò più volte rivolgendogli quesiti assurdi e sciocchi, ma Hillel rispose con la gentilezza per cui era famoso.
Alla fine, il provocatore si arrese e gli chiese se lui fosse proprio quel Hillel che chiamavano “Nassi” e, alla risposta affermativa, il provocatore si lamentò che, per sua causa, aveva perso una forte cifra che aveva scommesso contro di lui. Hillel gli rispose che era preferibile che lui avesse perso il denaro scommesso piuttosto che Hillel avesse perso la sua pazienza. Hillel voleva significare che non agiva in quel modo per rendersi amabile, ma che agiva con amorevolezzza e pazienza, perché tentava di far amare la Torah ai suoi seguaci.
Anche Shammay predicava le stesse dottrine, infatti diceva: «Studia la Torah regolarmente, parla poco e agisci molto, accogli tutti con affabilità» ma tanti episodi ce lo mostrano mentre non riesce ad applicare le sue parole, perché non agisce secondo le sue regole. Si racconta che un pagano andò da Shammay e gli chiese quante Torah esistevano. Shammay gli rispose che esisteva la Torah scritta e la Torah orale. Allora il pagano gli chiese di convertirlo e di insegnargli la Torah orale, ma Shammay lo trattò duramente e lo congedò senza complimenti.
Il pagano allora si presentò da Hillel e gli chiese la stessa cosa. Hillel lo accontentò e gli insegnò le prime 4 lettere dell’alfabeto, e il giorno dopo gliele insegnò in ordine diverso. Ma l’uomo notò la contraddizione e ne chiese la ragione. Hillel gli rispose: «Tu ti sei fidato di me, e questo non significa forse fare affidamento sulla Torah orale?» Conosciamo anche un altro aneddoto che è molto simile a questo, in cui il pagano viene congedato con rudezza da Shammay perciò chiede a Hillel di istruirlo. Il saggio disse:«Ciò che non vuoi che venga fatto a te, non farlo al tuo prossimo; questa è tutta la Torah. Il resto è solo commento. Va e studia!» (Shabbat, 31 a)
Molti episodi evidenziano il carattere severo di Shammay che arrivò ad imporre al figlio ancora bambino il digiuno come se fosse un adulto per fargli onorare il Kippur. Fu necessario che ci fosse l’intervento dei suoi colleghi che lo costrinsero a nutrire il bimbo con le sue mani. Il temperamento di Shammay era eccessivamente duro e intransigente. Anche quando cercava di essere un uomo mite, invece la mitezza e la comprensione di Hillel era sempre autentica e spontanea, perciò Hillel gli era superiore in molti aspetti. Sappiamo pure che Shammay faceva provviste tutta la settimana per onorare degnamente lo shabbat, mentre invece Hillel faceva affidamento solo su Dio e ripeteva il versetto 20 del Salmo 68: «Sia benedetto Dio, giorno per giorno.»
Anche da altri episodi vediamo l’eccelsa levatura morale di Hillel, e non va taciuta neppure la sua superiorità intellettuale. Lo abbiamo visto essere interpellato dagli “anziani di Satira” per la sua competenza e autorevolezza, infatti la tradizione rabbinica gli attribuisce molte regole ermeneutiche di cui lui stesso sarebbe l’inventore. Queste regole vennero strutturate seguendo il procedimento di quella parte di filosofia greca conosciuta come “logica” che insegna a usare il ragionamento per strutturare dei precetti coerenti.
Dalle citazioni sappiamo che le sue prescrizioni applicano il principio del parallelismo e quello dell’assonanza dei concetti per applicare regole simili a situazioni simili. Da questo si vede come potesse trarre una stessa regola per normare delle situazioni che si presentavano con le stesse caratteristiche. Hillel riusciva a classificare le situazioni negli aspetti che le accomunavano perciò riusciva a prendere decisioni che non entrano in contraddizione tra di loro.
Purtroppo non possediamo un materiale sufficientemente unitario per approfondire la questione del suo metodo di insegnamento. Invece l’amore per lo studio è una caratteristica che è certa e che lo accomuna ai saggi dei suoi tempi, infatti sappiamo che arrivò a rischiare la vita per amore della conoscenza. Questo amore si attesta anche in molte massime: «Non dire: “Studierò quando avrò tempo”. Forse non avrai mai tempo.» Dalle sue massime emerge la convinzione che il materialismo è il maggiore nemico della conoscenza, infatti afferma: «Chi è troppo occupato con il commercio perde di vista la saggezza.» (Abot I, 6)
Da altri detti trapela l’orrore per la vanità che è sempre indegna nel saggio, e la persuasione che la vita spirituale non è certamente alla portata di tutti. Si dice Hillel si sforzò per tutta la sua vita “di far entrare gli uomini sotto le ali del cielo” (Abot di Rabbi Nathan 26, vers. B). Capita ancora oggi di poter affermare che l'esempio di Hillel mostri un maestro fin troppo “indulgente” e che questa sua indulgenza sia considerata negativa, perché egli arrivò a dire cose che forzavano anche le stesse sacre scritture.
Molti rabbini babilonesi lo accusarono di eccessiva audacia interpretativa per avere forzato e anche contraddetto la stessa parola divina. Ma Hillel evitava la severità e amava l’indulgenza, perciò quella che viene visto come una colpa è piuttosto la prova di una piena comprensione e di una grande compassione che lo spingeva a trovare la soluzione che rendesse felici tutti. Ma, soprattutto sappiamo che Hillel stava sempre dalla parte di chi cercava giustizia. Sappiamo che si identificava sempre con chi subisce l’ingiustizia perciò usava la legge con misericordia e non sacrificava mai la pietà alla cieca osservanza formale.
Una delle massime famose che gli sono attribuite dice: «Non giudicare il tuo prossimo prima di esserti messo al suo posto.» (Abot II, 5) e il grande senso di comprensione e di empatia che trapela in queste parole sembra fosse un altro tratto caratteristiche dei Farisei, mentre gli Esseni vivevano fuori dalla società e si isolavano all'interno delle loro comunità. I Sadducei erano una casta aristocratica, per cui restavano solo i Farisei a educare e guidare. Hillel dice: «Non separarti dal popolo» e «Se io non sono per me stesso, chi lo sarà? Ma se io sono solo per me stesso, cosa sarò? Se non ora, quando?»
Il ritratto di Hillel che ci resta è quello di un uomo umile e pio, non di un essere con poteri eccezionali. Sappiamo che, dopo la morte dei grandi profeti lo Spirito Santo aveva cessato di manifestarsi, e raramente avveniva che la voce celeste si facesse ancora udire. La voce celeste era detta “Bat qol” e si narra che fu sentita risuonare un giorno, nella casa di Guria di Gerico, dove sedevano Hillel e altri maestri. La voce dichiarò che tra loro c’era un uomo in cui lo Spirito Santo avrebbe potuto manifestarsi, ma che non lo faceva perché la sua generazione non ne era degna. A quelle parole, tutti si voltarono e guardarono Hillel.
Buona erranza
Sharatan
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