“La cortesia è per l’uomo
ciò che il calore è per la cera.”
(Arthur Schopenhauer)
Nonostante le apparenze, il mondo occidentale non sta attraversando una nuova era di immoralità. Soffre piuttosto di un fenomeno diverso: una perdita di civiltà, una mancanza di buone maniere. Quello che spesso viene considerato un collasso morale in realtà non è nulla del genere. In termini “morali”, le società occidentali sono per molti aspetti migliori oggi, nel 21° secolo, di quanto non lo fossero un secolo fa.
Basti pensare (solo per fare un esempio) allo spietato sfruttamento della manodopera, all’esercito di prostitute bambine e alla violenza dei delinquenti da strada della Londra vittoriana. Ciò che è davvero accaduto, invece, è un decadimento di tutto quanto mantiene funzionante la macchina sociale; in particolare abbiamo assistito al crollo di quella tolleranza e di quel rispetto reciproco che consente ai singoli individui di vivere la propria vita in pace, in una società pluralista e complessa.
La civiltà è questione di costumi, etichetta, buona educazione e rituali informali: tutti elementi che facilitano le nostre interazioni offrendoci il modo di trattarci con rispetto e considerazione reciproci. Essa crea uno spazio sociale e psicologico nel quale gli individui possono vivere la propria vita e compiere le proprie scelte. I giovani che sputano per terra e bestemmiano sugli autobus non rappresentano che un sintomo superficiale di inciviltà.
Ben più gravi sono fenomeni quali la violazione della privacy da parte della stampa scandalistica con l’invasione di aree private che non rivestono interesse pubblico (come la rivelazione sulla vita sessuale dei politici). La nostra epoca è, in effetti, moralistica: lo è anzi in modo nauseante, il che rappresenta una componente importante del problema, in quanto il moralismo è intolleranza e l’intolleranza è uno dei peggiori atti di scortesia.in un certo senso, chiedere cortesia è chiedere molto poco.
Emerson osservava: “Dobbiamo a un essere umano la stessa cortesia che riserviamo a un quadro, al quale offriamo volentieri il vantaggio di una buona illuminazione”. La perdita di civiltà implica che il senso sociale sia stato rimpiazzato da un atteggiamento difensivo: ecco allora gruppi intenti ad alzare barricate intorno a concetti di “identità” nazionale, etnica e religiosa, gruppi che si proteggono erigendo barriere nei confronti degli altri.
Scriveva Goethe: “C’è una cortesia del cuore; essa è apparentata con l’amore. Da essa scaturisce la cortesia più naturale della condotta esterna.” Queste parole delineano un ideale. Ignorano il fatto che la civiltà può essere una maschera: essa è sempre stata aperta all’abuso e, se anche reimparassimo i nostri costumi, continuerebbe a esserlo. Questo però non cambia il concetto essenziale, e cioè che la civiltà promuove una società che si comporta bene verso se stessa, i cui membri rispettano il valore intrinseco dell’individuo e dei diritti altrui.
In genere le persone maleducate sono tali in primo luogo perché hanno una stima errata del proprio valore e, in secondo luogo, perché ritengono che il cameriere di un ristorante (probabilmente uno studente di medicina che guadagna qualche soldo per mantenersi) o l’autista di autobus (che magari nel tempo libero sta ascrivendo il romanzo destinato a vincere la prossima edizione di un premio letterario) debbano essere valutati in base alla loro occupazione - o più precisamente, in base al loro reddito che presumiamo molto modesto - e non, invece, per la loro umanità.
È qui che comincia l’insolenza: se si riduce una persona a un’etichetta o una somma di denaro, essa non sarà più fine a se stessa, ma diventerà uno strumento. D’altra parte, come sosteneva Kant, trattare chiunque alla stregua di uno strumento non è solo la scortesia suprema, ma anche il supremo errore. Nella condizione umana, il conflitto è endemico, e tuttavia vale sempre la pena di fare appello alla civiltà almeno quale strumento per gestirlo.
Anche ammettendo, e non si dovrebbe, la concezione relativistica (e cioè che certi valori si escludano reciprocamente) e anche se non avremo mai una risposta chiara su come risolvere certi dilemmi, ciò nondimeno possiamo affermare che proprio nella civiltà riposano le nostre migliori speranze di trovare e mantenere il delicato equilibrio - delicato e continuamente rinegoziabile - dal quale dipende l’esistenza stessa della società umana. (A. C. Grayling, Il significato delle cose, TEA ed.)
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Sharatan