“Si lotta in continuazione, inutilmente.
Lotti per cose che accadrebbero
comunque naturalmente. Lotti inutilmente.
Desideri cose che sarebbero tue,
se non le desiderassi.”
(Osho)
Esistono alcune difficoltà lungo il sentiero della meditazione: la prima è l'ego. La società, la famiglia, la scuola, la chiesa, tutti coloro che ti circondano fanno in modo che tu divenga egoista. Perfino la psicologia moderna si fonda sul rafforzamento dell'ego. La psicologia e l'educazione moderne pensano che se una persona non ha un ego solido non sarà in grado di lottare nella vita, luogo in cui esiste una competizione tale che, se fossi un umile, verresti messo in disparte, non riusciresti mai a farti avanti.
Hai bisogno di un ego d'acciaio, molto forte, per vivere in un mondo tanto competitivo, solo così puoi avere successo. In qualsiasi campo - può essere il mondo degli affari, la politica, una professione qualsiasi - devi avere una personalità capace di imporsi, e gli ingranaggi di tutta la nostra società funzionano per produrre nel bambino quel tipo di personalità. Fin dalla più tenera infanzia, iniziamo a dirgli: «Sii il primo della classe», e quando il bambino diventa il primo della classe, tutti lo elogiano. Cosa fate? Nutrite il suo ego fin dai primi passi.
Gli date un'ambizione: «Puoi diventare il presidente del paese, puoi diventare primo ministro». E il bambino inizia il suo viaggio nella vita con queste idee, e il suo ego si ingrossa sempre più, con ogni suo successo. L'ego è il male più grave che abbia colpito l'umanità, sotto tutti i punti di vista. Se hai successo, il tuo ego si ingrossa, e questo è un pericolo, perché in questo caso dovrai rimuovere una grossa pietra sul tuo sentiero, perché diventerà un ostacolo.
Viceversa, se l'ego è piccolo, se non hai avuto successo, se hai dimostrato di essere un fallimento, il tuo ego diventerà una ferita. In questo caso farà soffrire, creerà un complesso di inferiorità, e anche così creerà un problema. perché sai di essere un fallimento, sai di non farcela: questa è diventata l'idea fissa nella tua mente. Hai fallito in ogni situazione, e la meditazione è qualcosa di così vasto... non potrai mai farcela.
Quindi, se l'ego è grosso ti sarà di impedimento. E se è molto piccolo ti segnerà come una ferita, e sarà anche in questo caso un ostacolo. In ogni situazione umana l'ego è uno dei problemi da affrontare a priori. Nel ventre della madre ogni bambino è profondamente estatico. Certo, ne è inconsapevole, non ne sa nulla. E così unito alla sua beatitudine che non esiste nessuno in lui in grado di riconoscere quell'estasi.
La beatitudine è il suo essere, e non esiste distinzione alcuna tra colui che conosce e la cosa conosciuta. Ovviamente, il bambino non è consapevole di essere estatico. Si diventa consapevoli solo quando si perde qualcosa. È così; è difficilissimo conoscere qualcosa se non la si è perduta, perché quando non la si è persa, si è così partecipi che non esiste distanza: l'osservatore e la cosa osservata sono fusi l'uno nell'altra; la cosa conosciuta e colui che conosce sono un'unica entità.
Ogni bambino vive immerso in uno stato di beatitudine profonda, anche gli psicologi lo ammettono: sostengono che l'intera ricerca religiosa non è altro che un modo per ritrovare il ventre della madre. Usano quel fatto per criticare la religione, ma per me non è affatto una critica. È la semplice verità. Certo, la ricerca della religione è una ricerca del ventre. La ricerca della religione è una ricerca per rendere questa intera esistenza un ventre.
Il bambino è in profonda sintonia con la madre. Il bambino non è mai fuori fase con la madre: non sa di esserne separato. Se la madre è in salute, lo è anche lui; se la madre è malata, lo è anche lui. Se la madre è triste, lo è anche lui; se la madre è felice, lo è anche lui. Se la madre balla, il bambino balla; se la madre sta seduta in silenzio, il bambino è in silenzio. Il bambino non ha ancora limiti propri: questa è beatitudine allo stato puro, ma dev'essere perduta. Quando il bambino nasce, viene improvvisamente balzato fuori da questo equilibrio.
All'improvviso si trova sradicato dalla terra, dalla madre. Perde i suoi ormeggi senza però sapere chi egli sia. Quando era nel ventre della madre, non era necessario che lo sapesse. Non gli serviva: era ogni cosa, in quanto non esisteva distinzione alcuna. Non esisteva un "tu", per cui non si poneva il problema di un "io". La realtà era indivisa. Era advaita allo stato puro, pura non-dualità. Ma quando viene al mondo, il cordone ombelicale viene tagliato e il bambino inizia a respirare per conto proprio; all'improvviso tutto il suo essere diventa una ricerca per conoscere chi egli sia.
È naturale. Ora inizia ad acquistare coscienza dei propri confini, del suo corpo, dei suoi bisogni. A volte è felice, a volte è triste, a volte si sente appagato, a volte è insoddisfatto; a volte ha fame e piange, e non vede comparire la madre; altre volte è allattato al seno della madre, e di nuovo gode di quella intima unione. Ma ora sorgono in lui molti stati d'animo, e col tempo inizierà a percepire la separazione. È avvenuto un divorzio, quel matrimonio si è rotto.
Egli era sposato in forma assoluta, con la madre; ora sarà sempre separato. E deve scoprire chi egli sia. Per tutta la vita, si continua a ricercare ciò che si è: è la ricerca fondamentale. Come prima cosa il bambino diventa consapevole del "mio", quindi di "me", poi di "te", e infine dell'"io". Si procede sempre così. È un processo ben preciso, segue sempre questo ordine. Come prima cosa, egli diventa consapevole del "mio". Osservalo, perché anche tu sei costruito così, il tuo ego è strutturato in questo modo.
Come prima cosa il bambino diventa consapevole del "mio": questo giocattolo è mio, questa è mia madre. Inizia a possedere. Come prima cosa entra in gioco il possessore; la possessività è un elemento fondamentale. Per questo tutte le religioni invitano a diventare non-possessivi, perché con il possesso ha inizio l'inferno. Osserva un bambino: è molto geloso, è possessivo, tutti i bambini cercano di sottrarre tutto agli altri, e al tempo stesso proteggono i propri giocattoli. Inoltre, certi bambini sono violenti, assolutamente indifferenti ai bisogni altrui.
Se un bambino sta giocando e ne arriva un altro, vedrai subito un Adolf Hitler, un Gengis Khan, un Nadir-Shah: si aggrapperà ai suoi giocattoli, sarà pronto a lottare, a scagliarsi sull'altro bambino. Sorge un problema di territorio, di dominio. Come prima cosa entra in gioco il possesso, questo è il veleno base. E il bambino inizia a dire: "Questo è mio". Una volta che il "mio" è entrato in gioco, si entra in competizione con chiunque. Una volta che il "mio" ha fatto la sua comparsa, la tua vita si trasforma in competizione, in lotta, in conflitto, in violenza, in aggressività. La fase successiva è "me".
Quando hai qualcosa che puoi rivendicare come tuo, all'improvviso grazie a quella rivendicazione, sorge l'idea di essere il centro di quei possessi. I possessi diventano il tuo territorio, e attraverso quei possessi sorge una nuova idea: "mio". E quando ti assesti nel "me", riesci a vedere con chiarezza di avere dei confini, e quanti si trovano al di fuori di quei confini sono "tu", "l'altro": l'altro acquista evidenza, e a questo punto le cose iniziano ad andare in frantumi. L'universo è uno solo, è un'unità. Nulla è diviso.
Ogni cosa è collegata a tutte le altre; si tratta di un'incredibile interrelazione. Tu sei collegato alla terra, sei collegato agli alberi, alle stelle; e le stelle sono collegate a te, agli alberi, ai fiumi, alle montagne. Ogni cosa è interconnessa. Nulla è separato, nulla può esserlo. Non può affatto esistere una separazione. Ad ogni istante respiri - inspiri, espiri - e in continuazione esiste un ponte che ti collega all'esistenza. Mangi, e l'esistenza entra in te; defecando, diventa concime: la mela sull'albero, domani entrerà a far parte del tuo corpo, e una parte del tuo corpo verrà espulsa come concime, e diventerà nutrimento per l'albero... è un processo continuo di “dare e prendere”.
Non ci si arresta neppure per un istante. Quando il processo si ferma, sei morto. Cos'è la morte? Separazione. Essere uniti è vivere, essere fuori dall'unità significa essere morti. Per cui, più pensi: "Sono separato", meno sarai sensibile, più sarai morto, ti trascinerai, spento. E più ti senti collegato, più questa intera esistenza è parte di te e tu ne sei parte. Quando comprendi che noi siamo connessi gli uni agli altri, ecco che all'improvviso la visione cambia.
In questo caso questi alberi non sono alieni, stanno continuamente preparando nutrimento per te. Quando inspiri, immetti ossigeno nel tuo organismo, quando espiri, espelli anidride carbonica; gli alberi inspirano anidride carbonica ed espirano ossigeno: esiste una continua comunione. Noi siamo in sintonia. La realtà è una unità, e con l'idea di "me", "te", usciamo dalla realtà. E quando in noi prende piede una concezione errata, l'intera visione della vita viene stravolta... "Me", e quindi "te", e alla fine sorge in quanto riflesso, l'"io". L'"io" è la forma di possessività più sottile e più cristallizzata. Una volta che si esprime l'"io", si è commesso un sacrilegio.
Quando dici "io", ti stacchi radicalmente dall'esistenza, non è una rottura reale, altrimenti moriresti; ma nelle tue idee tu sei completamente staccato dalla realtà. D'ora in poi vivrai lottando in continuazione con la realtà. Lotterai contro le tue stesse radici. Lotterai contro te stesso. Ecco perché Buddha dice: «Lasciati andare alla deriva». Puoi farlo solo se abbandoni l'idea dell'"io", altrimenti non ce la farai. La lotta persisterà. Ecco perché diventa tanto difficile il primo passo nella meditazione. Se vi dico di stare semplicemente seduti in silenzio, non potrete mai farlo; ed è una cosa semplicissima.
Tutti pensano che sia la cosa più semplice; non dovrebbe essere necessario insegnarlo. Dovrebbe essere sufficiente sedersi, per essere in silenzio. Ma non lo puoi fare, perché l'"io" non può concederti neppure un solo istante di rilassamento. Se ti concedesse un momento di rilassamento, riusciresti a vedere la realtà. E quando si arriva a conoscere la realtà, si dovrà lasciar cadere l'"io". In quel caso non può durare. Per cui, l'"io" non ti concede mai un attimo di vacanza. Anche se vai sulle colline, in vacanza, neppure là l'"io" ti permette un istante di riposo.
Prendi con te la radio, la TV, porti con te tutti i tuoi problemi e ti tieni occupato. Sei andato fin là per rilassarti, ma persisti nel tuo comportamento senza cambiare nulla, non ti rilassi. L'"io" non si può rilassare. Esiste attraverso la tensione. Produrrà tensioni nuove, nuove preoccupazioni; non smetterà mai di produrre nuovi problemi, non ti concederà riposo alcuno. Basta un solo minuto di riposo e l'intera costruzione fondata sull'"io" inizierà ad andare in pezzi, perché la realtà è così bella rispetto alle brutture dell'"io".
Si lotta in continuazione, inutilmente. Lotti per cose che accadrebbero comunque naturalmente. Lotti inutilmente. Desideri cose che sarebbero tue, se non le desiderassi. Di fatto, desiderandole le perdi. Ecco perché Buddha dice: «Scorri con la corrente. Lascia che ti conduca all'oceano.» "Mio", "me", "tu", "io": questa è la trappola. E questa trappola crea infelicità, nevrosi, pazzia. E questo è il problema: il bambino deve attraversare questo processo, perché non sa chi egli sia e ha bisogno di una identità, forse falsa, ma di certo migliore di un'assoluta mancanza di identità.
Ha bisogno di una identità: deve sapere con esattezza chi egli sia, per cui si crea un falso centro. L'"io" non è il tuo centro reale. E un falso centro: utile, fatto per crederci, prodotto da te, ma non ha nulla a che vedere con il tuo vero centro. Il tuo centro reale è il centro di ogni cosa. Il tuo vero Sé, è il Sé di ogni cosa. Al centro, l'intera esistenza è unità: così come là dove nasce la luce, il sole, tutti i raggi sono uniti. Più ti allontani, più quei raggi si allontanano l'uno dall'altro. Il tuo centro reale non è solo il tuo centro, è il centro del Tutto. Ma noi abbiamo creato piccoli centri privati, fatti in casa, manufatti da noi.
Ne esisteva la necessità, in quanto il bambino nasce senza confine alcuno, senza la minima idea di chi egli sia: è una necessità dettata dal bisogno di sopravvivere. Come potrebbe, altrimenti? Gli si deve dare un nome, un'idea di chi egli sia. Certo, questa idea viene dall'esterno: qualcuno ti dice che sei bello, altri che sei intelligente, altri che sei vivace. E tu collezioni ciò che la gente dice. E da tutte quelle frasi raccogli un'immagine di te. Non guardi mai dentro di te, non guardi mai chi sei. Questa immagine sarà falsa, perché nessuno potrà mai sapere chi sei, e nessun altro potrà mai dire chi sei.
La tua realtà interiore non è disponibile ad altri che non sia te stesso. La tua realtà interiore è impenetrabile ad altri che non sia te stesso. Solo tu puoi essere nel tuo centro. Il giorno in cui scopri che la tua identità è falsa, raccogliticcia, frutto di opinioni altrui e da te collezionate... una volta, pensaci: siedi in silenzio e pensa a chi sei. Sorgeranno molte idee. Continua a osservare da dove spuntano e ne scoprirai la fonte. Qualcosa proviene da tua madre, e sono la maggior parte, l'ottanta se non il novanta per cento. Qualcosa proviene da tuo padre, qualcosa dai tuoi insegnanti, qualcosa dai tuoi amici, qualcosa dalla società.
Limitati a guardare: riuscirai a suddividere le varie fonti. Nulla è frutto del tuo sentire, neppure l'uno per cento. Che identità è mai questa, se tu non hai dato il benché minimo contributo? E tu sei il solo che avrebbe dovuto dare forma a tutta la tua personalità. Il giorno in cui scopri questo, la religione acquista importanza. Il giorno in cui scopri tutto questo, inizi a cercare una tecnica, un metodo che ti aiuti a entrare nel tuo essere; a conoscere con esattezza, nella realtà, dal punto di vista esistenziale, chi sei.
Non ti accontenti più di una collezione di immagini prese dall'esterno, non vuoi più che gli altri riflettano la tua realtà: vuoi affrontarla direttamente, nella sua immediatezza; vuoi entrare nella tua natura, e sentire da lì. Perché chiedere a qualcun altro? E a chi potresti chiederlo? Gli altri sono ignoranti per ciò che concerne loro stessi, quanto lo sei tu di te stesso. Non si conoscono: come potrebbero conoscere te? Guarda come vanno le cose, come continuano a funzionare, come succedono: una cosa falsa conduce a un'altra.
Tu sei praticamente raggirato, ti lasci imbrogliare. Sei preso in giro da persone che possono non averlo fatto consapevolmente. A loro volta possono essere stati presi in giro da altri. Tuo padre, tua madre, i tuoi insegnanti, possono essere stati frodati da altri: i loro padri, le loro madri, i loro insegnanti. E a loro volta hanno raggirato te: farai la stessa cosa con i tuoi figli? In un mondo migliore, dove la gente sarà più intelligente, più consapevole, si insegnerà ai bambini l'idea che questa identità è falsa: «È necessaria, noi te la diamo, ma solo per un periodo di tempo provvisorio, in attesa che tu, in prima persona, scopra chi sei.»
Non sarà la tua realtà. E prima scoprirai chi sei, meglio sarà. Prima potrai mettere da parte questa idea, meglio sarà, perché da quel momento soltanto sarai realmente nato, e sarai realmente vero, autentico. Diventerai un individuo. Le idee che raccogliamo dagli altri ci forniscono una personalità, e ciò che arriviamo a sapere dall'interno ci fornisce una individualità. La personalità è falsa, l'individualità è reale. La personalità è acquisita, imprestata; la realtà, l'individualità è autentica, nessuno te la potrà mai dare.
Nessuno potrà mai dire chi sei. Per lo meno una cosa nessun altro potrà mai darti: la risposta all'interrogativo: «Chi sono?». Tu dovrai scendere, scavare nelle profondità del tuo essere. Strati su strati di identità, di identità false, devono essere rotti. E quando si entra dentro di sé c'è paura, perché sopraggiunge il caos. In qualche modo con la tua falsa identità te la sei cavata.
Ti sei adattato. Sai che ti chiami così o cosà; hai delle credenziali, dei diplomi, delle lauree, attestati universitari, dottorati, hai prestigio, denaro, una tradizione. Hai modi particolari per definirti. E possiedi un'idea, per quanto possa funzionare, ma funziona. Entrare dentro di te, significa mettere da parte questa definizione utile... sorgerà il caos. Prima di arrivare al tuo centro, dovrai superare una fase molto caotica. Ecco perché si ha paura.
Nessuno vuole entrare dentro di sé. La gente continua a insegnare: “Conosci te stesso”; noi li ascoltiamo, senza mai sentirli. Non ci facciamo mai caso. Si intuisce che lasciando libero il caos ci si perderà in esso, se ne resterà invischiati. E a causa della paura di quel caos, continuiamo ad aggrapparci a tutto ciò che esiste all'esterno. Ma in questo modo sprechiamo la nostra vita. (Osho B. Rajneesh, La meditazione prima e ultima libertà, Mediterranee ed.)
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Sharatan