"Intrepido, fendo lo spazio con le mie ali e la fama non mi fa urtare contro mondi tratti da falsi principi, secondo i quali rimarremmo rinchiusi in una prigione immaginaria come se tutto fosse cinto da muraglie di ferro... ma fendo i cieli e all’infinito m’ergo." (Giordano Bruno)
martedì 29 aprile 2008
Il veleno di Eros
In “Al di là del bene e del male”, Friedrich Wilhelm Nietzsche, con la sua potente forza immaginativa afferma che: “Il Cristianesimo dette da bere ad Eros del veleno. Costui in verità non ne morì, ma degenerò in vizio.”
Platone - nel “Simposio” - descrisse Eros come un demone, figlio di Penia, la povertà e di Poros, l’espediente: essendo un demone e non un dio, Eros aspira al bello ma non lo possiede, per cui è disposto ad ogni trucco per poterne godere. Escogita così l’espediente di cercarlo nelle cose terrene, nella bellezza delle cose terrene, a cominciare da quella dei bei corpi, delle persone belle. Eros diviene un veicolo per l’ascesi verso il bello in sé, che è al di là di tutte le cose, ma che in diversa misura, partecipa di ognuna. Questo è Eros in Platone: un formidabile cacciatore di bei corpi e insieme di belle anime. Nel cristianesimo tale figura si ritrova, con le medesime caratteristiche, nel vizioso Don Giovanni di Kierkegaard, il quale conquista tutto senza andare oltre; infatti, egli vuole godere solo dei corpi e condanna l’anima propria e delle sue conquiste alla dannazione eterna. Ancora Platone afferma che, il corpo è una cosa caduca destinata ad ospitare l’anima; esso è la prigione dell’anima, e la vita vera inizia solo dopo che l’uomo se ne libera. Fu così creata la dicotomia tra una sessualità materiale ed un amore spirituale e psicologico, ben lontana dal concetto di mediazione tra corpo ed anima, presente nelle antiche scuole di pensiero. Per Ippocrate e per Epicuro e per i presocratici, infatti, l’anima non era separata dal corpo, ma risultava costituita da materia, in alcuni casi da atomi sottili. Raggiungere un’omogeneità ed un’armonia rimane nel pensiero dell’”uomo integrato” delle filosofie orientali che, tramite delle pratiche come lo yoga ed il Tai chi ch’an, le attualizzano. Nello yoga non è presente né l'esaltazione né la mortificazione del corpo. Quest'ultimo viene assunto in tutte le sue potenzialità, ed è utilizzato per trasformare le energie pulsionali e fisiche, al fine di distillarle e indirizzarle verso l’unione con l’Assoluto. Il Tai chi ch’an è un'antica disciplina psico-fisica, ed il suo scopo é quello di armonizzare le singole parti del corpo: la sincronia tra gli arti é a sua volta in sincronia con il respiro, esattamente come nello yoga. Entrambi le pratiche, hanno lo scopo di porre in armonia tutte le membra del corpo attorno ad un centro, in modo da fortificare l'individuo senza renderlo rigido. Nel Cristianesimo che accoglie tante pratiche stoiche, vengono inserite le tecniche dell’automartirio quali i digiuni, le fustigazioni, la castità e le pratica dell’amore cristiano, e così continua la morte di Eros. La lotta contro la carne diviene la lotta contro le tendenze diaboliche insite nella natura umana. Il Cristianesimo sostituisce l’amore per le cose terrene con l’amore per le cose celesti e lo stesso Dante non può che condannare Paolo e Francesca, vittime del “desio carnale”. Odiernamente abbiamo piuttosto la rinascita di Eros, ma in forma deviata, tramite una vera patologia narcisistica a livello di psicologia sociale. Un cercare il puro desiderio (come Narciso che si compiace dell'amore delle ninfe ma le rifiuta come oggetto d'amore), escludendo dal gioco erotico degli specchi l'altro, poiché non funzionale alla propria immagine. In tal senso, si subisce la stessa sorte della sfortunata Eco: innamorata della sua bellezza, lei che è «specchio sonoro» dell'Altro, «vox tantum atque ossa supersunt: vox manet; ossa ferunt lapidi straxisse figuram»: di Eros resta solo l’eco di una voce. L’io muore perché gli viene presclusa la sua libera potenza creatrice, ed il desiderio svanisce. La sensibilità ed il profondo sentire, quel «talento così unico per il soffrire», come lo definì Nietzsche in “La nascita della tragedia” rischia di scomparire.
Secondo la filosofia contemporanea, l’uomo non ha un corpo, ma è un corpo. Corpo ed anima non sono separati e il corpo è il veicolo per la crescita e per la grandezza dell’anima. Nietzsche diceva che il corpo é un grande saggio che ne sa più di noi. Il corpo è la “grande ragione”, che opera e si muove indipendentemente dal consenso dell’uomo. Ciò che distingue l’uomo dagli altri esseri viventi è appunto la ragione. Maurice Merleau-Ponty e Michel Foucault attingono alla “coscienza” come a qualcosa di correlato con il “corpo”, che è interpretato come qualcosa da cui l’uomo non può assolutamente prescindere, e che lo pone in contatto con il mondo esterno. La civiltà attuale preferisce pensare agli individui come esseri dotati di corpo e di passioni. E’ in corso una rivalutazione del corpo in cui l’uomo è invitato al godimento delle apparenze, all’apprezzamento della corporeità, ossia di quello che non deve essere svalutato come transitorio. L’uomo deve restare non nel corpo come “macchina”, ma nel corpo come “veicolo di comunicazione”, il corpo può essere plasmato e anche l’anima può essere plasmata. La riscoperta della corporeità ha gettato però Eros in mano alla mercificazione per cui, seppure affrancati dalla chiesa, restiamo pur sempre in un’inflazione fatale, per cui un Eros troppo facile diviene senza valore, perchè “mercificato”. Se Eros fosse vincente avrebbe ancora un po’ delle caratteristiche che gli dava Platone, cioè una tecnica ed una ricchezza espressiva ma anche un fondo di assenza e di mancanza, un carattere sfuggente che rende unico l’oggetto erotico. Erroneamente si crede che la bellezza sia dovuta solo alla proporzione della figura, dalle strutture regolari, ma nella bellezza che vede Eros esiste anche un elemento imponderabile che sfugge ad ogni calcolo e logica proporzione: un “nescio quid” elusivo. L’Eros è capacità di attrarre a sé, di sedurre l’altro. Senza dubbio tale capacità di Eros, di mantenere alta la tensione, il desiderio e l’incertezza di conoscere ed ignorare, il darsi e il negarsi, richiede una maturità ed un’educazione dei sensi adeguata. Nella nostra società si registra una spiccata propensione ai “non-binding commitments”, a impegni che non impegnano, revocabili e comunque rettificabili. I “non-binding commitments”, implicano di fatto che, accanto alla coerenza, anche il senso di responsabilità si affievolisca, proprio perchè l'individuo è disposto ad assumere, paradossalmente, solo impegni che non impegnano. In alcuni campi della filosofia contemporanea si cita spesso il termine di token persons per indicare gli individui-gettone (alla lettera: “individui - occorrenza”), che equivarrebbero pressappoco ai “replicanti” di Dick, esatte repliche di sé stessi, create per assicurare la continuità e la permanenza dell’io. Sarà dunque questa la strada per la soddisfazione di tutti i nostri desideri?
Buona erranza.
Sharatan ain al Rami
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