lunedì 28 aprile 2008

Il vaso di Pandora


Esiodo narra che gli dei e gli eroi ebbero la stessa origine ma, inizialmente, il genere umano era costituito di soli maschi. Questa stirpe di esseri maschili era costituita di Titani che - secondo gli orfici – sono gli antenati colpevoli del genere umano. Il loro nome era ricavato da un beffardo gioco di parole, in cui si univa la derivazione di “titainein” cioè tendersi e “tisis” cioè punizione. I Titani avevano azzardato, con temerarietà, un’ambiziosa impresa ed erano stati sconfitti: infatti nella primigenia guerra tra Saturno e Giove erano rimasti fedeli a Saturno e dopo la sconfitta, erano stati incatenati e gettati negli abissi. Per questo c’era ostilità tra la loro stirpe e Giove. Giapeto, uno dei dodici Titani, aveva avuto quattro figli tra cui Atlante e Menezio - che erano stati sconfitti da Giove - e i due gemelli Prometeo ed Epimeteo. I due fratelli, che erano inseparabili, avevano dapprima mantenuto la neutralità, poi Prometeo, prevedendo la vittoria di Giove, si era alleato al vincitore. Finchè nell’Olimpo era regnato il padre Saturno, tra gli Dei e gli uomini c’era stata una perfetta armonia, ma la vittoria di Giove aveva cambiato le cose, perché questi voleva mantenere la sua supremazia divina anche sulla stirpe umana. Fu quindi fatta un’assemblea per decidere la parte che di ogni vittima sacrificale dovesse toccare agli Dei e la parte che sarebbe toccata ai mortali. Della spartizione fu incaricato Prometeo, il cui nome significa “il preveggente” o “colui che vede prima” e il Titano fece due mucchi di cui uno più grande, ricoperto di grasso ma pieno di ossa ed uno più piccolo ricoperto dalla pelle, che nascondeva le parti migliori dell’animale. Così Prometeo, pieno di rancore per l’umiliazione della sua stirpe, voleva beffarsi di Giove e favorire gli esseri umani. Giove scelse il mucchio più grande ma si adirò per la beffa e così non volle donare il fuoco agli uomini. Prometeo allora ascese al fuoco dell’Olimpo e rubò alcune scintille del fuoco divino, portandole in dono agli uomini. Giove punì Prometeo incatenandolo ad una cima del Caucaso e mandò un’aquila a mangiargli il fegato. Ogni giorno l’organo ricresceva e nuovamente veniva divorato, in un supplizio senza fine. Anche gli uomini dovevano essere duramente puniti - narra Esiodo - e Giove disse: «Essi riceveranno da me, in cambio del fuoco, un male di cui gioiranno, circondando d’amore ciò che costituirà la loro disgrazia. » Quindi Giove ordinò a Vulcano di plasmare una bellissima fanciulla con terra ed acqua e di introdurvi voce e forza e di infondergli la vita. Tutti gli dei le donarono i loro doni e Mercurio le infuse un cuore infido ed ingannevoli parole. La fanciulla, bella come una dea, fu chiamata Pandora che significa “fornita di tutti i doni”. Giove donò alla fanciulla un bellissimo vaso e la inviò come sposa al Titano Epimeteo. Questi, il cui nome significa ”che capisce solo dopo”, era stato avvisato dal fratello Prometeo di diffidare dei doni di Giove, ma sedotto dalla grazia di Pandora, dimenticò ogni prudenza e accettò di sposarla. Pandora, in prossimità delle nozze, si incuriosì del contenuto del meraviglioso vaso e non resistette alla tentazione di aprirlo. Dal vaso uscirono tutte le malattie, le sofferenze e le fatiche che Giove vi aveva racchiuso; con le malattie entrò nel mondo anche la morte e quando Pandora riuscì a richiuderlo, nel vaso era rimasta solo Elpis, la Speranza. Esiodo conclude che, da Pandora «viene la stirpe funesta delle donne / che abitano fra gli uomini, grande malanno per i mortali» (Teogonia, 590 s.).
Nel mito si riflette tutta la misoginia ed il moralismo della cultura greca, terrorizzata dalla figura femminile, in cui l’unica controparte alla donna onorata è la figura della folle Baccante seguace di Dioniso. La vita della donna greca trascorreva tra le mura di casa; poteva partecipare solo alle feste familiari e per il resto doveva occuparsi dei bambini e della tessitura. Molte donne greche sono morte senza lasciare traccia del loro nome, infatti esse avevano pochissimi diritti e non potevano avere delle proprietà personali, ed erano sottoposte tutta la vita, alla tutela di un parente di sesso maschile (tutore, marito, padre o fratello). Tradizionale in Omero è la scissione della figura femminile in «moglie legittima» (kouridíe álochos) e concubina, secondo un assunto che appare poi canonizzato, e che appare duro a morire ancora oggi. Solo Platone affermò che le donne avrebbero dovuto essere educate come gli uomini e considerate delle pari, ma già in Aristotele troviamo la tesi dell’inferiorità naturale della donna, che ancor prima che dalla psichiatria ottocentesca, avrà un robusto sostegno dalla biologia e dalla psicologia antiche. Solo nell’antica Sparta le donne trascorrevano la maggior parte del loro tempo all’aria aperta, impegnate in esercizi ginnici come i coetanei maschi: ma non si deve dimenticare che tale pratica, per esplicita testimonianza, aveva come fine riconosciuto la generazione di figli più forti e più sani. Euripide fa dire a Medea: «l’uomo, quando si è stufato di vivere con quelli di casa, se ne va fuori e pone fine alla nausea che ha in cuore, recandosi da un amico o da un coetaneo. Noi invece siamo obbligate a guardare a un’unica persona. Dicono che noi trascorriamo la vita senza rischi in casa, mentre loro combattono con la lancia, ma si sbagliano: vorrei essere schierata in battaglia tre volte, piuttosto che partorire una sola volta!»
Sebbene siano trascorsi migliaia di anni, ancora oggi molte donne sono ancora schiave e la stessa parola emancipazione, rivela l’antica pratica giuridica di concedere libertà ad uno schiavo, emancipandolo alla vita libera. L’odierna società consumistica, come l’antica civiltà greca, non riesce ancora a riconoscere alla donna, quei diritti che le sono connaturali e legittimi. La figura femminile viene vista ancora con sospetto e paura e per questo angariata con violenze e sopprusi di ogni genere, come appare quotidianamente dalle pagine dei giornali. Le violenze sono infide perché perpetrate da parte di figure conosciute: amici, padri, fratelli o mariti e viene consumata con le complicità di chi, pur vedendo o sospettando, preferisce volgere il capo dall’altra parte.
Ma ora vorrei concludere con una versione diversa della storia di Pandora, nella quale parlano altre fonti. La Grande Dea Madre, Gea non voleva generare solo piante insensibili o animali irragionevoli per cui volle essere madre di un essere capace di pietà e mitezza; per questo fece uscire dal suo ventre l’uomo. Allora Giove disse che l’uomo andava differenziato dagli Dei immortali e poi reso perfetto. Per questo mise sulla terra lo sciame delle malattie e la morte, per rendere l’uomo diverso dagli Dei, che sono immortali. Nella sua opera di perfezionamento dell’uomo venne ancora in suo soccorso la Madre Terra, che fece emergere dal suo seno la bellissima fanciulla Pandora, “ricca di ogni dono” e che ha un nome che viene dato alla Terra stessa, di cui essa è fatta. Pandora, che viene detta anche Anesidora cioè “colei che manda su i doni” e che è un altro nome della Dea Madre. Così la grande Dea Madre offrì agli uomini una fanciulla con la sua immagine, affinchè essi la potessero amare facilmente. Così l’uomo fu definitivamente perfezionato tramite il dono dell’amore da cui deriva la compassione, in cui s'intrecciano indissolubilmente la bontà e la mitezza.
Buona erranza.
Sharatan ain al Rami

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