domenica 23 novembre 2008

Trovare la natura di Bodhicitta


La natura dolorosa del Samsara, deve spingerci alla volontà di liberarcene: il “bodhicitta” è questo atteggiamento o attitudine mentale, che scaturisce da una profonda compassione, e che consiste nell’aspirazione di realizzare l’Illuminazione allo scopo di poter poi guidare anche gli altri esseri alla stessa meta. Quando si sviluppa bodhicitta in modo spontaneo e continuativo, si diviene capaci anche di aspirare al compito maggiore di “bodhicitta assoluto”.
Ma cos’è bodhicitta? E’semplicemenete la capacità di agire come “chitta” cioè mente, cuore e attitudine e anche “bodhi” cioè risvegliato, illuminato; cioè agire come un essere completamente aperto. Un tale cuore risvegliato, diceva Chogyam Trungpa, “proviene dall’essere disposto a guardare in faccia il vostro stato mentale […] Dovrete esaminare voi stessi e chiedervi quante volte avete cercato di entrare in contatto con il vostro cuore, pienamente e sinceramente. Quante volte siete fuggiti perché temevate di scoprire qualcosa di terribile riguardo a voi stessi?”
Pema Chodron racconta che la sua prima lezione di bodhicitta, la ricevette a 6 anni. Un giorno, mentre camminava furiosa contro tutti e tutto, tirando calci alle pietre che incontrava sul suo cammino, un’anziana signora, che prendeva il sole sull’uscio di casa, la guardò divertita e gli disse, sorridendo:”Ragazzina, non permettere alla vita di indurirti il cuore.” Pema dice che in quel momento capì perfettamente cosa volesse dire essere in uno stato di bodhicitta, perché dalla vita possiamo farci inaridire fino a perdere la voce del cuore, oppure possiamo far lavorare in noi le sue lezioni di crescita, fino a farci sbocciare nel petto un cuore gentile, compassionevole e misericordioso.
Il cuore risvegliato è colmo di tenerezza rispetto alle cose che incontra sulla sua strada, e se lasciamo che la vita lasci il nostro cuore tenero e generoso, allora, non avremo più bisogno di avere paura di soffrire.
Tutta la vita ci proteggiamo dal dolore, perché ci fa paura. Passiamo anni ad erigere fortezze e bastioni interni, alte mura protettive fatte di pregiudizi e preconcezioni, frutto solo della nostra paura di essere feriti. Tutto inutile, perché succede che tali muraglie vengano spazzate via come fuscelli, quando incontriamo l’avvenimento o la persona, in grado di farci affrontare con violenza noi stessi. Dovremmo invece coltivare la naturale dolcezza del nostro cuore, dovremmo coltivare momenti di vulnerabilità, il senso di fragilità, l’amore, la tenerezza, la solitudine, l’imbarazzo e tutte le sensazioni che dimostrano la nostra umanità, riconoscendogli il diritto di essere; giuste e necessarie, per risvegliare il nostro bodhicitta. Se il nostro cuore si spezza, si piega di fronte alle sofferenze della vita, allora proveremo ansia, panico, tanta rabbia e risentimento verso le cose che lo hanno lacerato. Così continueremo la catena della nostra sofferenza. Ma un cuore che prova una genuina tristezza, e non rabbia, riesce a rimanere cedevole e compassionevole.
Gli stessi concetti di “amico” e “nemico”sono del tutto relativi ed interdipendenti: una persona è amica o nemica non sempre e comunque, per sua natura, ma solo in relazione ad altro. Inoltre quando pensiamo a noi stessi e agli altri, ci appaiono le nozioni di “io” e “altri” come completamente differenti l'uno dall'altro. Ora, questa percezione è erronea.
La motivazione di bodhicitta è la compassione, cioè karuna. Essa consiste nel provare quel che prova ogni altro, il condividere le sofferenze altrui e conseguentemente - poichè nessuno vuole soffrire - è il desiderio che tutti gli esseri senzienti siano liberati dai propri dolori e problemi fisici e mentali.
La compassione è lo strumento attivo per il conseguimento dell’Illuminazione. Karuna sono le nostre azioni quando sono compiute alla luce della “saggezza discriminante”, cioè prajna: infatti, quando la nostra consapevolezza è aperta e viva, allora il nostro a agire, che si basa sulla nostra comprensione, diventa sempre più idoneo ed opportuno.
Così, più siamo consapevoli dell’altra persona, e più siamo capaci d’agire appropriatamente nel nostro rapporto con essa, rendendoci conto di cosa essa abbia bisogno davvero, e cessando d’imporre l’idea di ciò che noi pensiamo debba aver bisogno.
Il Buddha disse che non siamo mai separati dall’illuminazione, anche nei momenti più tristi e duri, in noi dorme sempre la natura dell’illuminato, possediamo sempre la mente del bodhicitta: il sole interno che nessuna nube può ottenebrare. Chi si allena a risvegliare questa natura è un guerriero di conoscenza e non di violenza, afferma Chogyam Trungpa, “che ascolta le voci del mondo.” Anche noi possiamo addestraci a risvegliare il coraggio e l’amore. Un guerriero accetta che non saprà ciò che può accadere, perciò potremmo provare tenerezza, struggimento, sofferenza ed incertezza e questo sarà il segno del risveglio del bodhicitta che dorme in noi. Come un alchimista che trasforma il piombo in oro, così ci ridestiamo alla nostra interna divinità.
Quando le nostre stesse paure destano in noi la compassione per l’essere che soffre, allora sappiamo far scaturire un luogo tenero che ci sostiene e ci conforta nei momenti bui della vita: questo è il supremo atto di coraggio che scaccia la paura. Ciò è quello che è necessario fare, in modo che le asprezze, a cui saremo sottoposti fruttino la nostra naturale evoluzione e maturazione, in modo che non ci lascino invece un pegno di amarezza e di dolore.
Il Buddha insegna che la flessibilità e l’apertura portano forza e che fuggire dall’insostanzialità dell’esistenza ci indebolisce e ci causa sofferenza. Ma potremo mai capire che familiarizzarci con la nostra tendenza alla fuga, è la chiave per risolvere tutto?
Quando riconosciamo le nostre avversioni e i nostri veri desideri, quando impariamo a conoscere senza giudicare il giusto e lo sbagliato dei nostri sentimenti, allora diventiamo obiettivi, allora facciamo crollare le mura interne e permettiamo alla nostra bodhicitta di fluire.
Buona erranza
Sharatan ain al Rami

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