"Intrepido, fendo lo spazio con le mie ali e la fama non mi fa urtare contro mondi tratti da falsi principi, secondo i quali rimarremmo rinchiusi in una prigione immaginaria come se tutto fosse cinto da muraglie di ferro... ma fendo i cieli e all’infinito m’ergo." (Giordano Bruno)
giovedì 26 febbraio 2009
Osservare le trasformazioni
Il concetto di energia è lo stesso sia nella fisica che nella psicologia, infatti se la fisica dimostra che, in un sistema chiuso, l’energia misurabile e quantitativa, non si crea e non si distrugge, questo processo di conservazione dell’energia, vale anche per i processi psichici. Per questo, afferma Jung, l’energia tende a conservarsi infatti, l’energia o processo energetico è sempre presente in uno o più canali percettivi e, se essa viene fatta defluire dal conscio va ad arricchire l’inconscio e viceversa.
La coscienza è quindi un sistema energetico formato da diverse densità di energia in stato di flusso o movimento continuo, e quando l’energia fluisce liberamente si ha la sensazione di interezza e benessere, mentre quando l’energia si blocca, si provano delle forme di tensione che si manifestano in sintomi. Di solito, quando reagiamo a delle esperienze spiacevoli, blocchiamo il sentimento ed impediamo a buona parte della nostra energia vitale di fluire, mentre quando siamo felici, il flusso energetico appare risvegliato e vivificato, ed i vortici energetici che si sviluppano, sono radianti e brillanti come soli in miniatura.
Quando pensiamo all’energia, dovremmo sempre pensarla come ad un processo energetico scollegato da ogni definizione di qualitativa o di quantitativa, dovremmo invece pensarla come collegata all’accadere degli eventi e non collegata alle caratteristiche qualitative e quantitative degli eventi stessi: il processo energetico è una descrizione neutra degli eventi, per cui essa non deve opporsi al corso naturale delle cose.
La teoria più completa sui processi di coscienza è quella contenuta nel taoismo ed elaborata nel “Dao de jing” e ne “Yi Ching” due testi in cui sono contenuti i temi essenziali per la comprensione di quel pensiero. I taoisti furono formidabili scienziati dei processi dell’essere e del mondo, infatti osservavano i fenomeni, prendevano nota del loro sviluppo spontaneo e non li mettevano in questione, ne tanto meno cercavano di spiegarseli.
Nel taoismo il principio universale è il Tao o Dao che significa “strada o sentiero lungo il quale si muovono tutte le cose” ed il significato del termine “Dao de jing” è “la via dell’azione” o “il corso dell’azione” che rivela proprio la concetto di vita come il formarsi ai processi evolutivi delle cose, mentre il significato di “Yi Ching” è “cambiamento” perché jing indica la trama che viene ottenuta nell’orditura di un tessuto intrecciato al telaio. Il significato generale è quindi: il processo percepito in termini di cambiamenti che avvengono in una certa trama.
Il termine Dao viene dalla stessa radice di “saggio” “re” e “sacerdote” che sono termini con cui si indicavano dei capi carismatici ed autorevoli, per cui un significato generale del termine è “il seguire la natura come somma guida”. Il trigramma del Dao è indicato da tre linee trasversali che segnano il Cielo, la Terra e l’Uomo, tagliate da una linea trasversale che indica il modo con cui il Dao si manifesta, cioè prima nel Cielo, poi sulla Terra e infine nell’uomo. Il Dao indica il flusso degli eventi e l’influenza dei vari flussi energetici nei diversi canali percettivi, per cui l’uomo saggio è colui che si attiene con successo alle vie del Dao.
Il taoismo crede che il cambiamento e la crescita costanti siano il senso di una giusta vita, ma se essi vengono interrotti, sopraggiunge l’esito contrario, cioè la stagnazione e la caduta. Se regna il Dao, ci si adatta al corso delle cose, ai processi di natura, se vince l’opposto, allora insorge un atteggiamento tirannico, che vuole imporre con la forza, un corso predeterminato alle cose: l’opposto del saggio è colui che vuole regole rigide e predeterminate.
Secondo gli “Yi Ching” le due forze polari dell’universo, sono yin e yang ed il Dao, che è una via invisibile, mantiene l’equilibrio delle due forze, in modo che esse possano rigenerarsi continuamente e rimanere in stato di mutua tensione. Nell’evolversi del Dao, si creano il mondo ed i processi evolutivi dell’uomo, come equilibrio e stato di totalità umana che si orienta ai processi evolutivi dell’essere. Il saggio cerca di creare degli equilibri e delle armonie entro sé stesso; così modifica sé stesso in base ai cambiamenti, ed evolve usando la sua consapevolezza. Egli non crea l’equilibrio con la volontà, ma cerca piuttosto di sapere e seguire ciò che accade: il Dao è un flusso creativo.
Troppo spesso noi tendiamo a volere usare i nostri canali percettivi per analizzare e categorizzare i processi evolutivi del mondo, cioè sia gli eventi che i comportamenti umani. Per comprendere il Dao, avverte Lao Tse, bisogna avere una mente da principiante, ossia bisogna percepire e vedere le cose come sono realmente, perciò la mente deve essere mantenuta aperta. Gli eventi si sovrappongono sempre alle nostre concezioni e ai nostri vecchi canali, rendendo relativo quello che ci sembrava come assoluto.
Secondo il taoismo - si afferma nei “Yi Ching”- i processi di realtà, si suddividono in creativo e ricettivo, per cui la fase creativa energizza o crea le “immagini primordiali” cioè i canali del mondo, mentre la fase ricettiva imita o ripete gli impulsi originari di tali canali. Molte concezioni affermano l’alternarsi di fasi creative e di fasi ripetitive, in cui un’impulso crea e l’altro consolida quello che il primo ha creato, e anche normalmente, quando vogliamo analizzare una situazione, tendiamo ad un’amplificazione di ciò che non comprendiamo.
Quando cerchiamo di approcciare alla realtà, accade comunemente che vogliamo sentirci artefici e responsabili della realtà stessa, iniziamo a spingere per cercare di imporre il nostro modo di vedere e le nostre idee sulle persone e sulle cose. Quando poi le cose accadono, non concediamo loro il tempo di persistere e, ignorando di concedere il tempo alla persistenza, non sappiamo comprendere dalla realtà, quello che dobbiamo amplificare in noi e neppure come fare per amplificarlo. Così dimostriamo di non avere sufficiente spirito di osservazione e siamo troppo impazienti ed ansiosi, così che il nostro lavoro evolutivo si esaurisce e diviene erratico.
Quando il taoismo fornisce gli esagrammi de “Yi Ching” offre una mappa complessiva di eventi e schemi ricorrenti, così che possiamo esaminare correttamente la realtà e possiamo intuirne i modelli impliciti che sono alla base di essa: l’opera finale è, come nell’alchimia, la trasformazione. Possiamo divenire come dei taoisti illuminati se siamo talmente affascinati dalle vie del Dao, al punto da volerne indagare fino in fondo tutti i suoi misteri, oppure possiamo essere obbligati a farlo da una vita sufficientemente piena di problemi, di traumi o paure, tali da obbligare anche l’individuo più rigido e testardo a divenire flessibile e consapevole.
Buona erranza
Sharatan
martedì 24 febbraio 2009
Discendere il corso del fiume...
Arnold Mindell è un terapeuta americano, fisico e psicologo junghiano, famoso a livello internazionale come esperto in tecniche di risoluzione dei conflitti. Mindell ha viaggiato in tutto il mondo ed ha avuto esperienze di profondo contatto con le culture e le sensibilità dei popoli “primitivi” di cui ha studiato le tecniche di guarigione e di approccio alla realtà, ricavandone tecniche che utilizza nei suoi seminari e nelle sue pratiche terapeutiche.
Egli testimonia che, in tutte quelle culture native, siano esse nordamericane, africane, oceaniche, nord europee etc., vi è un comune substrato primordiale di matrice sciamanica, fautore di un approccio olistico dell’uomo, facilitatore dell’armonia tra l’individuo, il mondo e il corso delle cose. Quell’approccio va ritrovato, egli afferma, perché l’uomo di oggi si sente sempre più esiliato sia da un rapporto profondo con sé stesso che con la terra. E’ questo senso di estraneità che nutre la nostra inquetudine moderna, e che ci spinge ad affrontare un lungo viaggio, alla ricerca di una dimensione più umana e spirituale della vita.
Il viaggio comporta la perdita di tutto il nostro vecchio bagaglio di parametri e di riferimenti, perché ormai inadeguato a rivestire il nostro nuovo essere, e necessita dell’accettazione di nuovi paradigmi. Vivere con pienezza l’esistenza, significa non volere precluderci ad alcun canale esperienzale, per cui il lavoro diventa un lavoro sia psicologico, che fisico come pure spirituale e anche visionario, soprattutto nella sua teoria dell’esperienza del “corpo che sogna”, con cui esprime una forma di sensibilità particolare insegnata dall’iniziazione sciamanica; così egli offre una completa tecnica, per affrontare l’analisi dei processi di coscienza.
Mindell parla di una psicologia orientata ai processi di realtà piuttosto che agli stati di coscienza individuali ed afferma che, scoprire il modello sottostante i processi di una data situazione individuale, ci permette di lavorare sulla natura di tale modello e sul suo modo di manifestarsi. Mindell afferma che un buon navigatore non solo osserva il corso del fiume, ma riesce a scoprire anche l’esatta natura del suo corso: l’uomo deve imparare a discendere in modo appropriato il corso del fiume della vita.
Questo approccio è una forma di taoismo modernizzato nel senso che l’operatore sui processi, afferma Mindell, cerca di capire il fluire del fiume e di aiutare i pazienti ad adattarsi a tale fluire, ma facendolo attua una sorta di viaggio avventuroso, perchè nessuno conosce il punto di arrivo al cambiamento, cioè la meta.
Come processi egli intende quell’insieme di cambiamenti nella percezione e la variazione di tutti quei segnali che un osservatore prende come punti di riferimento nel rapportarsi alla realtà. Ricordiamo che la personalità dell’osservatore determina sempre quali segnali egli coglie, di quali si accorge e con quali si identifica e perciò quelli a cui più facilmente reagisce: i processi in cui l’individuo viene coinvolto, secondo Mindell, possono essere statici oppure dinamici.
Gli antichi taoisti cinesi dicevano che il Tao, o processo del cambiamento, poteva manifestarsi tramite i tre canali di Cielo, Terra e Uomo, come la psicologia moderna, che definisce la personalità come composta di mente, materia e psiche ed afferita dal mondo esterno tramite i cinque canali sensoriali. Ma forse, dovremmo pensare più correttamente, che tali canali siano molto differenziati e più particolareggiati, a seconda delle sensibilità personali e delle elaborazioni culturali per cui, osservando i processi del mutamento, si dovrebbe osservare sé stessi con una capacità di osservazione flessibile, che non cerca di fare rientrare le cose negli schemi e nei concetti a cui siamo abituati.
I canali sensoriali umani più comuni sono la visione, la percezione corporea ed il movimento corporeo per cui, quando l’attenzione è rivolta al mondo esterno, apriamo dei canali di relazione con il mondo e usiamo tali vie di afferenza sensoriale ma, nei rapporti interpersonali, tendiamo ad usare tutti e tre i canali. Usando la “teoria dei canali” possiamo fare alcune utili distinzioni associando le componenti di personalità ai relativi canali sensoriali:
• Mente -> vedere + udire
• Corpo -> sensazioni + movimento
L’universo lo sperimentiamo nelle nostre percezioni della famiglia, della nazione e della terra, e quella che noi chiamiamo “coscienza” o “consapevolezza” è l’insieme di tutti questi concetti, vissuti disarmonicamente come elementi distinti e frazionati oppure olisticamente, cioè come un’unione armonica degli stessi.
Seppure l’invito sia sempre alla piena consapevolezza, in realtà abbiamo forti limiti nei riguardi di alcune forme di consapevolezza, infatti esistono dei canali la cui esatta natura non può essere completamente compresa e vi sono dei fenomeni di cui potremmo dare spiegazioni inconcepibili, per cui si scopre che un processo di realtà scorre come un fiume da un canale percettivo all’altro, aggira degli ostacoli, scende fino alle rapide, affrontando balze e dirupi spaventosi, fino a farci atterrare in salvo, quasi incolumi per aiuto divino. Chi osserva i processi, osserva la direzione del corso del fiume e si adatta al suo fluire, senza fatica, pagaiando sciolto ed armonioso.
Ascolta attentamente le parole, osserva i segnali inviati dal tuo corpo e usa le tue mani per maneggiare la vita, poi metti in gioco la tua intuizione per interpretare le sue risposte, scritte nelle orme delle cose e mai gridate. Ricordiamoci che, in un mondo in cui tutti ci sentiamo in continua mutevolezza e in perpetuo cambiamento, avvolti nel corso degli eventi che ci appaiono come imponderabili, ognuno crea il suo sistema di valori e allora accetta che anche gli altri costruiscano i loro: il saggio lascia che la natura gli mostri la via, il Tao, ma resta forte e saldo nei propri convincimenti.
La moderna Gestalt afferma anche che è necessario “perdere la mente per conquistare i sensi” insistendo sul perseguimento costante di elementi giocosi e leggeri e ci invita a ricercare costantemente anche lo slancio dionisiaco, poichè alimenta la gioia di vivere ed elimina il dolore dell’esistere, costretti nella carne.
La mentalità moderna è una coscienza cronologica, orientata alla centralità degli stati di coscienza individuali e alla categorizzazione predeterminata della realtà, perciò ragiona su base duale: buono/cattivo, morale/immorale, sano/malato, bello/brutto: questo rigido e miope modo di ragionare lo rende preda dell'infelicità.
I greci antichi e gli Indiani Hopi erano invece degli osservatori fluidi, orientati ai processi di realtà e non alla centralità individuale, il loro concetto di tempo non includeva il passato o il futuro, ma solo “ciò che sta iniziando a manifestarsi” e “ciò che si manifesta” come gli eventi della natura. Gli Indiani Hopi non conoscevano delle forme verbali al passato o al futuro, ma orientavano tutto al presente. Per loro, il momento di fare una cosa non era programmato in precedenza, ma avveniva quando il fenomeno sta iniziando a manifestarsi; se l’occidentale guarda l’orologio, per sapere quando fare le cose, l’indiano Hopi guarda i processi, cioè gli eventi stessi.
Chiaramente non possiamo trasformarci in indiani Hopi, però possiamo usare la nostra mente occidentale plasmata alla primarietà degli stati di coscienza e riconvertirla, orientandola agli eventi cioè ai processi, trasformandoci così in osservatori totali.
Ci saranno momenti in cui dovremo seguire dei sistemi di orientamento con schemi mentali ordinati in categorie e, in altri momenti, saranno gli eventi stessi a creare o modificare i nostri schemi mentali: sapremo così navigare dolcemente, seguendo la corrente, senza paura di incappare in gorghi o mulinelli, perché la natura pericolosa dei processi si manifesta solo quando non ne siamo consapevoli.
Buona erranza
Sharatan
domenica 22 febbraio 2009
Fermiamo il mondo dell'uomo cronologico
L’uomo occidentale è un essere cronologico, che ha bisogno di categorie per gestire i suoi processi di coscienza, anziché lasciare che essi stessi creino da sé le proprie dimensioni, per questo suo modo di pensare e perché la realtà non si fa manipolare dall’essere umano, come avvertiva saggiamente Lao tse, per l’uomo cronologico la vita è imprevedibile ed imperscrutabile.
Allora il destino bussa alla porta con problemi psicologici, crisi, rotture, trasformazioni, malattie oppure incidenti che hanno lo scopo di sconvolgere tutta la nostra vita per spingerci alla trasformazione della limitata mente cronologica.
Don Juan direbbe che è il momento in cui l’uomo deve fermare il mondo, in cui l’individuo dovrebbe seguire coscientemente queste perturbazioni e smettere di pensare il mondo usando i vecchi canali sensoriali; è il momento in cui dovrebbe saltare in alto e aprirsi a nuove modalità di coscienza.
Naturalmente non è facile cambiare i propri canali percettivi, ed il cambiamento reale avviene quando si riesce a fermare il mondo per il tempo necessario, affinchè gli stessi processi di coscienza creino i nuovi canali percettivi: così si raffinano e si arricchiscono le capacità percettive di partecipare al mondo e si eleva la nostra raffinatezza personale. E quando avviene questo salto della consapevolezza, il mondo così com’era prima non ci appartiene più, non ha più valore e significato, per questo inizia una revisione totale dei nostri valori precedenti. Deponendo l’armatura psichica, veniamo gettati fuori anche dalla nostra vecchia pelle e ci accorgiamo di restare esposti al mondo, vulnerabili e senza pelle.
La perdita dei valori consolidati coincide sempre con periodi di profondo disorientamento, ma anche questo è un passaggio necessario e, se rifiutiamo i cambiamenti dei canali percettivi, se restiamo sordi alla metamorfosi del nostro essere, se la nostra diviene una resistenza fino all’ultimo sangue, se non impariamo a vedere come relativa la nostra capacità di controllare gli eventi, rischiamo di farci uccidere da un salto che avviene nel vuoto e non in alto, perciò va accettata la possibilità di fermare momentaneamente il nostro mondo. Durante la pausa troviamo il tempo per imparare a capire il processo degli eventi ed impariamo ad abbandonare tutte le idee preconcette su come dovrebbero essere gli uomini e il mondo: sono dei paraocchi che ci limitano nell’analisi, che ci rendono unilaterali.
E’ poi facile che,in periodi di forti revisioni personali,sopraggiungano delle false guide sia esterne che interne, che sembrano offrirci indicazioni e soluzioni, ma che in realtà riescono solo ad aumentare la nostra confusione. Una delle trappole maggiori, secondo Yogananda, è permettere che l’ego, con i suoi desideri e le sue antipatie, soffochi la nostra vera voce interiore e che ci spinga verso strade senza uscita. L’uomo s'identifica con le sue caratteristiche somatiche, mentali, emotive e sociali e perde così ogni consapevolezza della grandezza del suo vero essere, avverte Yogananda, così perde l’accesso alla sua Supercoscienza e si preclude ad altre dimensioni più vaste e si chiude nella limitatezza della coscienza egoica, che percepisce solo il corpo e la personalità individuale.
L’induismo afferma che ci sono 4 livelli di coscienza, che intervengono nell’interagire con il mondo e la realtà:
• Mon -> la mente
• Buddhi -> l’intelletto
• Ahankara -> la coscienza dell’ego
• Chitta -> il sentimento del cuore (simpatie ed antipatie)
La mente riflette alla coscienza tutto ciò che sperimenta tramite i sensi, mentre l’intelletto divide e definisce. L’intelletto così crea le sue categorie e vi organizza la realtà. Ma il processo analitico dell’intelletto, separa la realtà ed il mondo in frammenti in cui perdiamo l’integrità del Tutto. Quando poi interviene l’ahankara o ego, allora il mondo viene ulteriormente suddiviso in “cosa è mio” e “cosa non è mio” facendo un’ulteriore distorsione del reale, ma senza averci ancora intrappolato nell’illusione.
La trappola scatta nell’intervenire delle reazioni emotive, conservate nel chitta, i sentimenti del cuore, il quale aumenta ancor più il nostro senso del possesso, rafforzandolo e unendo i sentimenti alla volontà di controllo. Così l’intervento di un concetto deviante di amore riesce a creare le nostre categorie di felicità/infelicità, e riesce a collegarle a tutto ciò che possiamo pienamente controllare e dirigere. Così diventiamo prigionieri delll’illusione o Velo di Maya. Se sappiamo riflettere su tali meccanismi, ne potremo sgominare il meccanismo perverso:
• La mente -> riflette
• L’intelletto -> seziona
• L’ego -> crea le identificazioni personali
• Le emozioni -> creano i sentimenti e gli attaccamenti personali
E’ tutto questo meccanismo che distorce il nostro giudizio imparziale e che riesce, non solo ad agire sui nostri comportamenti consci, ma anche ad infuenzare i nostri contenuti inconsci, creando quei tormenti inquieti che causano molte infelicità. Per questa nostra fragilità, potremmo cadere prede di false voci interiori, di false guide, soprattutto quando siamo in emergenza spirituale o quando siamo coinvolti in situazioni in cui entrano in gioco profondi sentimenti personali.
Ricordiamoci che è assai difficile restare lucidi, se siamo coinvolti con forti sentimenti di odio o d’amore nelle situazioni, perché il desiderio fa sempre interferenza con la nostra razionalità. Dobbiamo invece pensare che quando siamo travagliati dai nostri sentimenti, allora potremmo seguire una guida interna sbagliata, potremmo fare mosse azzardate o sbagliate.
Esercitiamoci sempre a ritrovare in noi la calma e la tranquillità più assoluta, rifuggiamo dai rumori e dalle confusioni della pazza folla, chiediamo alla nostra mente interiore di mantenersi calma, concentrata e piena di energia perché una mente attiva è un’arma formidabile, mentre una mente passiva è troppo ricettiva alle influenze vibrazionali subconscie e troppo schiava delle opinioni correnti della massa.
Se non restiamo ben vigili e saldi, rischiamo anche di cadere in balia di ossessioni patologiche e di monomanie personali, potremmo sviluppare solo attitudini umorali, che sono ondate irrazionali sempre negative, perché ci scuotono come una foglia in preda al vento. Diventiamo solo dei poveri esseri confusi e indifesi, smarriti nella tempesta chimica del veicolo corporeo, per cui andiamo solo dove ci porta il cuore, senza rammentarci che ci siamo asserviti in balia di una guida cieca.
Facendo ricerca spirituale facilmente si cade vittima della Sindrome del Messia, per cui tendiamo a sentirci messaggeri di una serie di messaggi o comportamenti divini, per cui diventiamo degli illuminati con lo sguardo della talpa. Diffidiamo del messianesimo nostro e altrui, diffidiamo dei falsi profeti e di tutti quelli che si proclamano illuminati dalla Luce Divina. Facciamo attenzione a conservare sempre una buona dose di ironia e non diventiamo mai schiavi di un guru umano, concedendoci però delle simpatie per le altrui forme di pensiero, soprattutto se di qualità elevata.
L’iniziazione non esiste, se non quella che ci giunge dalla vita quando ci spinge, con un colpo di frusta, ad affrontare lo specchio di noi stessi: perciò l’elevazione parte solo da noi e viene sospinta dalla nostra vera e unica guida interiore, moderata dalla voce suadente di Brahman. I maestri e le concezioni spirituali, ci offrono una serie di metodi per aiutarci a capire e crescere, ma poi bisogna imparare a diventare autonomo da ogni guru spirituale, anche se di qualità eccelsa. Essere dipendenti indebolisce la volontà ed esaurisce il flusso di energia che giunge dalla Supercoscienza. Solo elevando la nostra coscienza, con lo sforzo dell’energia dinamica, raggiungiamo quello stato di consapevolezza espansa, in cui possiamo incontrare il nostro vero guru interno.
Dobbiamo pensare in modo più coesivo e meno analitico, dobbiamo concentrarci e cercare le relazioni tra le cose e identificare dei punti di armonia. Dobbiamo pensare agli altri come tanti altri Sé e non come degli estranei, valutare che potrebbero essere degli amici sconosciuti, credere che siamo tutti parte di una realtà più vasta e che anche gli altri sono una parte della nostra natura più elevata.
Buona erranza
Sharatan
venerdì 20 febbraio 2009
Con il fiuto di un cacciatore…
La supercoscienza è la parte divina che dorme in ognuno di noi, che è presente nel nostro Sé Superiore e in tutti gli altri. E’ una grande forza intelligente che opera attraverso la coscienza universale, ma che parla ad ognuno di noi con una voce particolare. Per sapere ascoltare questa voce bisogna sviluppare l’intuizione cioè uno stato di consapevolezza fluida che è in continua evoluzione e in continuo adattamento, per venire incontro alle esigenze di ogni momento. Non accadrà che l’intuizione giunga con una voce possente che afferma grandi rivelazioni, perché essa possiede una voce flebile come un sussurro.
Bisogna avere sempre il coraggio di seguire la voce dell’intuizione che ci giunge, e di agire secondo i suggerimenti della guida intuitiva, perché così si crea un flusso di energia che schiude sempre più l’accesso alla supercoscienza. Paramhansa Yogananda afferma che seguire la guida intuitiva è uno sforzo di ragione, di volontà e di azione, unita alla consapevolezza che una coscienza superiore agisce tramite noi. All’inizio possono insorgere ostacoli e blocchi, ma questo non deve farci sospettare di essere sulla strada sbagliata perché, afferma Yogananda, non esistono ostacoli ma solo opportunità e questi ostacoli ci vengono messi sul cammino per aiutarci a sviluppare una maggiore determinazione.
E’ solo essenziale non credere di essere sempre dalla parte del giusto e, se avvertiamo che non abbiamo più chiarezza sulla direzione del nostro agire, allora è preferibile procedere con maggiore calma e prudenza e fare un passo alla volta.
Quando poi ci si trova ad interagire con gli altri, è necessario presentare con molta delicatezza e prudenza le nostre intuizioni e senza ostentare alcuna superiorità. Consideriamo sempre che potremmo sbagliare ed evitiamo di creare troppe aspettative altrui riguardo la giustezza delle nostre intuizioni, perciò Yogananda consiglia di tenere per noi i suggerimenti della guida interiore e lasciare che il nostro contatto si rafforzi con il tempo. Non trascuriamo di ascoltare i suggerimenti che provengono dagli altri, a condizione che la persona abbia la nostra stima e che le contestazioni che ci fanno siano sempre seguite dalle rispettive soluzioni.
Quando cerchiamo una guida dobbiamo procedere attenti e acuti come dei cacciatore e cercare di sentire, di percepire consapevolmente se abbiamo un blocco energetico oppure una soglia psichica che non si riesce ad oltrepassare. Dobbiamo restare calmi e distaccati e cercare di fare il silenzio interiore, cercare di percepire la voce dell’intuizione che è un dolce sussurro che giunge dal nostro cuore: per questo è molto facile ignorarla o farla tacere.
Quando ascoltiamo la nostra voce interiore, non dovremmo mai sentire alcun senso di nervosismo e di inquitudine e, se questo avviene, dobbiamo pensare che forse il nostro orecchio va solo accordato perché diventi sempre più sensibile e recettivo, affinché sia sempre più fine e raffinato. Un altro segnale da controllare è l’effetto che la guida ricevuta esercita sugli altri perché, se anche una cosa sembra giusta, ma poi crea disarmonia e discordia intorno a noi, allora potremmo avere percorso una via sbagliata.
Comunque la guida può utilizzare alcuni segnali speciali per comunicare con noi, infatti il mondo tende a restituirci quello che noi stessi inviamo, per cui individui diversi possono sviluppare segnali diversi con cui comunicare con la propria guida interiore. Per questo dobbiamo diventare consapevoli dei segnali esterni che ci possono guidare, ma poi verificarli accuratamente per vedere se essi sono attendibili: tali messaggi, se vengono analizzati con i nostri acuti sensi, possono divenire i nostri strumenti personali per ricevere la guida.
Dobbiamo sviluppare il rispetto per le verità che sono state proclamate in ogni tempo e in ogni religione, dobbiamo sviluppare il rispetto e la tolleranza reciproci, dobbiamo essere perseveranti nel seguire i nostri valori, anche se non sono quelli di voga nel mondo ordinario. Tutti coloro che si fanno guidare dal consenso generale, molto raramente riescono a trovare una vera guida, perché si lasciano facilmente infatuare da mode, mentalità e tendenze momentanee e perché sono abituati a pensare con mentalità gregaria.
Bisogna avere il coraggio di distaccarsi dagli altri e di sapere percepire da soli ciò che è vero, e per farlo basta seguire la voce della nostra intuizione. Verremo accusati di essere troppo individualisti, di avere tendenze anarcoidi, di essere egocentrici o troppo bislacchi. La verità è che dobbiamo seguire la via indicata da tanti maestri di saggezza e queste vie non sono mai di moda nel mondo ordinario. Così è! Non troviamo mai delle verità nuove che non siano state dette già da altri ma, se siamo fortunati possiamo percepire delle verità universali che si sono abbigliate con abiti diversi, per adattarsi a uomini e mentalità diverse, ma che sono poi sempre le stesse. Sono quelle che ascoltiamo quando siamo in ascolto della nostra voce interiore, quella che è in sintonia con i nostro Sé Divino.
Ma come riconoscere una vera guida? L’ascolto della voce interiore avviene nel silenzio e l’atmosfera che avvertiamo con la nostra guida, è una sensazione di calma, chiarezza e gioia e percepiamo immagini e colori brillanti e le immagini sono risplendenti e pieni di luce. Invece, con il contatto con i contenuti subconsci, sorge una forte sensazione di irrequietezza e di inquietudine, essi danno agitazione, usano immagini oscure e nebulose e usano colori deboli e spenti. La vera guida giunge accompagnata dalla gioia che sgorga dall’interno e che rifluisce all’interiorità piuttosto che fuori, in fuga da noi stessi.
Buona erranza
Sharatan
martedì 17 febbraio 2009
Una maestosità splendente di luce
La natura e gli animali esistono ma non sono in grado di modificare la loro esistenza, infatti sono immersi nella loro energia e non sono consapevoli. A loro differenza, l’uomo può osservarsi con distacco, può osservare consapevolmente il tipo di energie che utilizza e può decidere di distaccarsene, per acquisire un punto di vista che possa aiutarlo ad elevare il loro livello qualitativo.
La percezione delle nostre energie ci pone di fronte alla scelta, susseguente alla consapevolezza, che tali energie, che pure sono nostre, possono essere represse oppure trasformate. La repressione non sarà in grado di nasconderle, ma potrà impedirà loro di manifestarsi, mentre la scelta di trasformarle, potrà cambiare il tipo di qualità energetica che possediamo ed elevarci ad una dimensione superiore.
Sicuramente avremo paura di fare tale cambiamento, perché potremo perdere il controllo, e non essere più in grado di tornare alle nostre sicurezze, ma questo è un ulteriore inganno della mente che ci mostra la repressione come la via più comoda. Osho consiglia l'adozione di un particolare tipo di atteggiamento che produce una forma molto particolare di controllo, che chiama controllo del testimone e che è la forma più elevata e naturale di controllo mentale.
Usando l'ottica dell'osservatore interno, non avremo assolutamente la sensazione di essere controllati, perché affideremo il timone al nostro Sé, che è un utile alleato contro gli inganni della mente. L’aiuto offerto dal testimone interno, è una forma di controllo che piace e che ci riesce gradevole esercitare spontaneamente, perchè è pienamente conveniente ed evolutivo.
Se scegliamo di esercitare la repressione energetica, e continuare a vivere travestiti da esseri umani normali, saremo marionette, falsati della nostra vera natura e non autentici. Se impersoniamo la nostra vera natura invece, diverremmo dei veri esseri divini, in cui la nostra parte animale ed istintuale non viene repressa, ma risplende, facendoci come animali bellissimi,come maestosi esseri, attenti e presenti alla loro vera essenza interiore. Esisterà in noi il divino, ma anche la splendida e rigogliosa natura animale, risvegliata a livelli altissimi ed espressa con vigore centaurico.
Se riusciamo a reintegrarci in modo consapevole e spontaneo, godremo sia la nostra natura animale con la sua fiera bellezza, sia lo splendore della divinità con la sua somma grazia: avremo una maestosità splendente di luce. Questo significa essere saggi, perché il saggio sa conciliare la fiera naturalità con la somma divinità, sa riunire l’anima ed il corpo, sa amalgamare il cielo e la terra.
L'elevazione a questo tipo di coscienza, non deve essere attivata compiendo degli sforzi, come dicono i mistici di tutti i tempi e, anche se all’inizio essa comporterà uno sforzo, comunque l'evoluzione deve avvenire spontaneamente.
Valutiamo comunque che, anche reprimere la nostra vera indole richiede tanto sforzo ed energia, poiché rinviamo al nostro cuore le istanze che esso vuole fare uscire, come pure facciamo degli sforzi quando cerchiamo di esprimerci, e di mandare fuori la nostra energia lanciandola sugli altri. Questi sforzi energetici sono inutili o sterili,comportano tanto spreco energetico, e ci rendono infelici.
Una migliore possibilità è quella di usare un iniziale sforzo che avere una presenza attenta e una vigilanza passiva, sviluppando l’occhio del testimone interiore.
Anche questo, inizialmente, sarà un grande sforzo, perché essere vigili e passivi è complesso e difficile, ma questa strada eleva l’energia scagliandola verso l’alto, la raffina e la rafforza, producendo poi enormi risultati positivi.
All’inizio è veramente difficile farlo, per questo ci si può sforzare, ma solo all’inizio e per un tempo non eccessivo, perché maggiore sarà la nostra passività mentale e maggiore sarà la circolazione energetica e la relativa carica magnetica che sapremo attrarre.
Cominciamo allora sforzandoci di essere presenti e calmi, ricettivi a percepire la realtà ma non giudicanti, esercitiamo una mente vigile e presente, ma pienamente ricettiva, usiamo l'imperturbabilità di un taoista.
Ricordiamo che lo sforzo irrigidisce e non fa fluire l’energia, per questo essa non può elevarsi e può sedimentarsi a livelli vibrazionali molto bassi. Con la piena ricettività donata dalla consapevolezza passiva del testimone interno, senza attuare alcuno sforzo, si raggiunge la saggezza. Il momento presente è come deve essere, il mondo è come deve essere, non dobbiamo lottare contro il momento presente e non dobbiamo lottare contro il mondo esterno, ma accettiamo le persone per come sono, accettiamo le situazioni e non aggrappiamoci tenacemente ai nostri punti di vista.
Non dobbiamo fare alcuno sforzo, accettiamo che qualcosa giunga e che sia lì, allora la vediamo arrivare e la osserviamo, la valutiamo come elemento presente ma non ci facciamo coinvolgere, perché sappiamo che se reagiamo ai sentimenti negativi, gli daremo solo forza e sarà la forza della negatività, che dalla rabbia maturerà in odio, e che seminerà solo discordia e rancore. Esprimere energia in questo modo, significa agire senza consapevolezza, significa usare l’energia in modo improduttivo ed usarla ottusamente contro i nostri interessi.
Se sappiamo osservare noi stessi con lo sguardo interiore di un testimone neutrale, capace di attenzione incontaminata e pura – che osserva e basta – allora sorgerà la nostra piena consapevolezza e sarà limpida e purissima. Ci sentiremo molto più puliti, perché quelle emozioni e quei sentimenti negativi arriveranno e se ne andranno, non essendo repressi non avranno più bisogno di perseguitarci di notte e di influenzarci di giorno. Esiste la possibilità che un’emozione ci sommerga, con la sua potenza e che non riusciamo a controllarla, ma non siamo colpevoli se la forza di un’onda energetica momentaneamente ci stordisce. Quando accade ricordiamo che stiamo vibrando su livelli energetici sporchi e grossolani e chiediamoci quale vantaggio ne possiamo ricavare.
Dobbiamo invece imparare a ripulirci delle negatività, per questo ci conviene essere disponibili a fare affiorare tutte le energie che ci ribollono dentro: fatto questo avremo svuotato l’inconscio. Questa sarà la chiave di volta della trasformazione perché, quando l’incoscio è purificato da ogni scoria, allora il muro che lo difende dalla parte cosciente finalmente crolla e le due parti si reintegrano. E se riusciamo a raggiungere tale pura consapevolezza, entrare nel superconscio sarà facile come per un uccello levarsi in volo.
Buona erranza
Sharatan
sabato 14 febbraio 2009
Internet regolamentato al silenzio
Dall'intervista di Alessandro Gilioli al sen. D'Alia(PdL) pubblicata su "L'Espresso" del 10 febbraio 2009
" A. Gilioli: Io volevo parlare di questo emendamento: innanzitutto, spieghi lo scopo e l'utilità.
D'Alia: L'emendamento introduce l'articolo 50 bis al pacchetto sicurezza, che consente al ministro dell'interno, su comunicazione dell'autorità giudiziaria che procede per delitti di istigazione a delinquere o apologia di reato, attribuisce al ministero dell'interno il potere di disporre che i fornitori di connettività alla rete internet utilizzino gli strumenti di filtraggio nei confronti di quei siti o social network che contenessero, diciamo, dichiarazioni e quant'altro connesse a queste ipotesi di reato.
Cioè, è una norma che serve a cominciare a intervenire nella regolamentazione di internet e questo nasce sostanzialmente dalle vicende che hanno riguardato Facebook, della comparsa su quel social network di gruppi inneggianti a Riina, Provenzano, alle Brigate Rosse eccetera.
E poiché non vi è alcuno strumento, nell'ordinamento, che consenta un intervento immediato qualora ovviamente si ravvisi un'ipotesi di reato, cioè qualora la magistratura stia indagando, il ministro dell'interno interviene con uno strumento di natura squisitamente cautelare che serve ad evitare che vi sia una moltiplicazione di questi siti o di queste manifestazioni illecite sulla rete.
Ovviamente, tutto questo avviene con la possibilità del ricorso all'autorità giudiziaria da parte degli interessati, e comunque attraverso una procedura di natura contraddittoria anche con i gestori dei siti a cui viene notificata una diffida ad oscurare o cancellare quelle parti che sono in contrasto con le posizioni citate.
A. Gilioli: Però, senatore, mi permetta di interromperla. La contestazione che viene fatta è proprio questa: io ho letto bene il suo emendamento, non si parla di cancellare le parti ma di oscurare il sito. Allora si dice: se c'è un gruppo su facebook che incita a Provenzano piuttosto che altre cose, gli effetti del suo emendamento non sarebbero cancellare quella pagina ma oscurare l'intero sito.
D'Alia: Ma mi scusi: se il gestore del sito non si fa carico di cancellare questi soggetti dal sito, è giusto che il sito venga oscurato. Il ministero diffida il gestore, il gestore poi ha due possibilità: o ottemperare e quindi cancellare dal sito i gruppi oppure non ottemperare. Se non ottempera si rende complice di chi inneggia a Provenzano e Riina quindi è giusto che venga oscurato.
A. Gilioli: All'interno di YouTube, per esempio, ci sono diversi video che potrebbero ricadere, forse, all'interno della tipologia da lei enunciata. Se YouTube non cancella quei video viene oscurato l'intero YouTube?
D'Alia: Secondo me si, certo.
A. Gilioli: Ancora un altro caso...
D'Alia: Le faccio un esempio: se su YouTube esce un video, come è successo e peraltro ci sono state diverse polemiche, in cui quattro ragazzi picchiano un loro coetaneo disabile - peraltro, in questo caso siamo in presenza della rappresentazione di un reato non è che siamo in presenza di una apologia: c'è la diretta o la riproduzione di un film in cui viene commesso un illecito penale - è giusto che un sito lo mantenga? Io credo di no.
A. Gilioli: Un altro caso: c'è una discussione online, nei siti, nei forum. Fra utenti del forum può capitare che ci si insulti o anche che ci si minacci. Lei questo lo ritiene una tipologia...
D'Alia: Se io minaccio qualcuno, lo minaccio nella realtà o su internet sempre un reato è.
A. Gilioli: Le faccio un'altra tipologia: io sono ipoteticamente autore di un blog. All'interno del mio blog qualcuno, tra i commentatori del mio blog, mi insulta, minaccia. Io che sono il blog master e quindi ritengo che sia giusto lasciare aperto il mio blog a ogni voce, comprese quelle che mi minacciano e mi insultano, non tolgo queste voci. Anche in questo caso si rientra nella tipologia?
D'Alia: Guardi, rientrano tutte quelle ipotesi che sono previste dal codice penale nell'ambito dei delitti di istigazione a delinquere o disobbedire alle leggi. I delitti di apologia di reato, che sono previste dal codice penale o da altre disposizioni. Sono tutte ipotesi che sono ricondotte a fattispecie illecite, che sono già sanzionate nel codice penale e che quindi hanno la necessità di essere sanzionate in tutte le loro manifestazioni. Non è che cambia se io faccio un ciclostile con cui dico che Riina...
A. Gilioli: Scusi senatore, stiamo parlando dei commenti a un blog...
D'Alia: Guardi, i commenti a un blog non è che sono diversi: se in un commento a un blog io dico che le Brigate Rosse hanno fatto bene ad uccidere Moro, questa si chiama apologia di reato. Che io lo faccia sul blog, con un telegramma, su un bigliettino, con un comunicato stampa non cambia: sempre di reato si tratta e va perseguito, e va perseguito colui il quale se ne fa complice pubblicando queste porcherie, ivi compreso se è un gestore di internet tanto per essere chiari.
Io la penso in questo modo.
A. Gilioli: Senta senatore: lei è un frequentatore della rete?
D'Alia: Certo
A. Gilioli: Su facebook ci va?
D'Alia: No, su facebook vado poco perché mi indigna vedere su quel sito che si censurino le mamme che allattano i figli perché si ritiene esteticamente un fatto offensivo, antiestetico e poi si consenta a vari gruppi, ad esempio "Omaggio a Cutolo, chi è parente di pentiti infami e confidenti è pregato di non iscriversi a questo sito dedicato a Cutolo".
Io non ci vado perché questo sito che censura le mamme, come dichiara peraltro correttamente Articolo 21, e consente queste porcherie è un sito indegno, dal mio punto di vista. Con tutto il rispetto per chi vi accede.
A. Gilioli: Lei è conscio del fatto che se in Italia si chiude YouTube e Facebook siamo peggio della Birmania?
D'Alia: Guardi, io non sono per chiudere né Facebook né YouTube: io sono perché Facebook e YouTube rispettino le vittime di mafia, del terrorismo e degli stupri.
A. Gilioli: E se non le rispettano?
D'Alia: Se non le rispettano non possono avere il rispetto dello Stato.
A. Gilioli: Quindi vanno chiusi.
D'Alia: E' evidente."
Tanto per dire, quando sono apparsi i gruppi che inneggiavano alla mafia e allo stupro di gruppo in FB, mi sono chiesta a cosa servissero. Servono certamente per accontentare l'imbecillità umana, ma anche ad altro, mi sono risposta.
Metti per caso che io faccio un grande casino perchè sono fan di mafiosi, e che quello serve sia per far sapere ai mafiosi che li amo e che li abbraccerei volentieri, ma serve anche a fare dire: "Ma qui sono tutti mafiosi, bisogna porre rimedio, bisogna regolamentare tutto." E allora tu cosa mi vai a regolamentare? Ma non la mafia e la sua cultura mafiosa oltre che le azioni mafiose, ma i blogger che scrivono in rete.
E' chiaro che dei provider domiciliati sul pianeta Nettuno non li puoi toccare e quindi tu oscuri, mandi in silenzio quello che arriva in casa tua. E con l'azione di oscuramento intanto immetti il primo principio che puoi farlo e si chiama censura e immetti il secondo principio, che intanto chi non vuole avere noie, impari a stare zitto.
La rete è comunicazione, è condivisione, è crescita e risorsa per molti che non hanno possibilità di comunicare, penso ai portatori di handicap. La rete aiuta a far circolare le idee, e questo non piace.
E allora si controlla e si riduce al silenzio, si riduce la democrazia, la libertà di espressione, quella contenuta nella parte prima della Costituzione. Quella stessa che si vorrebbe ridurre ad una lista di poteri del Cavalierato a Cavallo con Doppio Feudalesimo alla Turcomanna con scappellamento a Destra. Ma una destra distante da quella europea, più simile alla Destra Birmana.
Intanto i nani non mancano e le ballerine sono ottime ed abbondanti, infatti siamo oltre la 6° di pettorale, per il resto ... ci stiamo attrezzando ed i lavori sono in corso.
Per favore, intanto fate silenzio e non disturbate i manovratori!
Sharatan
venerdì 13 febbraio 2009
Il Risveglio dell’Essere Dormiente
Una sperimentazione condotta da Joel Voss e Ken Paller della Northwestern University di Evaston, ha fornito evidenze elettrofisiologiche, sulla capacità di riconoscimento di cose che non si pensava di aver guardato consapevolmente.
Una capacità che si pensava fosse dovuta alla memoria cosciente, cioè esplicita, piuttosto che alla memoria implicita; in pratica, è possibile riconoscere un’immagine vista in precedenza in maniera del tutto inconscia e cioè senza aver avuto la consapevolezza di averla guardata. “Ma la nostra ricerca - spiega Paller - ha mostrato che, perfino nei momenti in cui le persone non erano attente, il loro sistema visivo stava immagazzinando informazioni. Questo ci dice che, quando la gente cerca di ricordare, in realtà sa di più di quello che pensa di sapere.” La ricerca conferma che, non dovremmo affidarci solo alla memoria consapevole, perchè abbiamo bisogno di sviluppare anche la nostra natura intuitiva e creativa.
Un’altro studio pubblicato su “Neuron”dal team di Marcos Frank del Dipartimento di neuroscienze della University of Pennsylvania School of Medicine (Usa), dimostra i meccanismi cellulari che governano il consolidamento, durante il sonno, delle esperienze che abbiamo avuto da svegli. Durante il riposo si scolpiscono i ricordi nella nostra mente, perché è durante il sonno, che il cervello è impegnato in operazioni delicate e complesse, come se fosse un computer che attua il consolidamento e la stabilizzazione notturna dei suoi archivi.
Così la ricerca scientifica conferma delle concezioni antiche, basate sul nostro stato di viaggiatore di altri mondi, che viviamo durante il sonno e basate sull’inconscia fonte di conoscenza che abita nel nostro essere più intimo. Queste dimostrazioni scientifiche dovrebbero spingerci tutti, ancor più risolutamente lungo il sentiero che ci fa sentire come facenti parte di una realtà più grande, e così conoscere cosa sia la migliore cosa per noi come individui.
Per percorrere questo sentiero però, dovremmo dominare il desiderio che il mondo sia come noi lo vorremmo, e invece abbracciare la consapevolezza che il mondo è così com’è. Per percorrere tale sentiero bisogna aprirsi agli stati più alti della nostra coscienza e saper diventare ricettivi alla nostra voce interna, così da riuscire a vivere meglio.
Questa via richiede lo sviluppo di un orecchio interiore che sia in grado di percepire la vera voce della nostra guida interna, tramite forme più elevate di coscienza.
La condizione essenziale è lo sviluppo dell’intuizione, cioè dell’atto di coscienza che sgorga dal nostro intimo profondo. La capacità intuitiva è la capacità di saper vedere l’essenza intima delle cose anche dietro il velo delle apparenze, ed è una facoltà latente in ognuno di noi, che può essere sviluppata coscientemente e che può giovare alla nostra vita.
L’intuizione, secondo Kriyananda, è un sentimento calmo ed impersonale, ed è la fusione perfetta del vissuto emotivo femminile e del distacco razionale maschile. Considerare l’intuizione un sentimento limitato al sesso femminile, significa ragionare con una visuale inconsapevole dei retaggi e degli stereotipi che ci vengono imposti dalla nostra cultura.
L’inconscienza non esiste, perché la Coscienza Universale Divina ha creato tutto ciò che esiste, perciò dobbiamo essere noi ad elevarci ad un livello sempre maggiore di autoconsapevolezza perché tutta la realtà,in vari gradi, partecipa alla Coscienza del Disegno Divino.
Negli stati iniziali di risveglio alla piena coscienza, siamo poco consapevoli di tutto ciò, per cui la mente subconscia e razionale può interferire con la nostra capacità intuitiva nascente ed influenzare il nostro pensiero con preconcezioni, frustrazioni e desideri inappagati, colpevoli di scelte devastanti emotivamente anche se razionalmente logiche.
Il subconscio razionale è situato vicino alla nostra supercoscienza, che è il luogo dove risiede la vera intuizione, per questo è facile che tragga in inganno. Entrambi sono delle facoltà che utilizzano la consapevolezza razionale, per questo possono confonderci, perciò dobbiamo imparare a riconoscere le rispettive voci.
Ma se entrambi queste facoltà abitano negli stessi luoghi, e anche se entrambi sanno ugualmente parlarci e condizionarci, dobbiamo invece ricordare che la loro natura è del tutto diversa, perché l’intuizione è frutto dell’essenza divina, mentre la razionalità subcosciente è prodotta dai condizionamenti culturali e sociali.
Il livello superiore di consapevolezza è quello di supercoscienza, che è lo stato che inizia nella sottile linea divisoria tra il sonno e la veglia, in quel confine che tutti abbiamo sperimentato.
Se sorprendiamo la nostra mente nell’attimo fuggente, appena prima del risveglio, sperimentiamo la vera supercoscienza.
L’intuizione e l’intensa chiarezza mentale fluiscono dalla piena supercoscienza e, poiché la supercoscienza tende sempre all’unione e vede ogni cosa come parte del tutto, essa è in grado di attirare velocemente le migliori soluzioni.
Nella supercoscienza, la soluzione è percepita come la naturale evoluzione del problema e è chiamata da Yogananda, uno stato in cui “centro ovunque e nessuna circonferenza.” Quando raggiungiamo il nostro centro interiore, percepiamo che il centro di tutte le creature è una parte della nostra supercoscienza, e che nulla esiste al di fuori di essa; se ci sintonizziamo sulla nostra supercoscienza, sulla nostra intuizione, percepiremo l’essenza di ogni problema e vedremo chiaramente la soluzione più appropriata.
Albert Einstein diceva che ogni scienziato deve conservare la sensazione di mistica sorpresa e forte reverenza davanti all’Universo, se vuole sperare di comprenderlo. Lui stesso scoprì la Legge della Relatività grazie alla folgore di un’intuizione, ma passò poi una vita nel tentativo di provarla con una concezione logica che fosse convincente per il mondo.
Per far capire le diverse sensazioni che accompagnano i vari stati di coscienza e le relative sensazioni, possiamo ricorrere alla nostra immaginazione. Se immaginiamo di affrontare un tuffo nell’acqua, di essere in un verdeggiare di alghe che fluttuano, di essere in un mondo verde e soffuso, lontani e liberi da tutte le responsabilità terrene, allora sperimentiamo la sensazione che comporta l’essere sprofondati nel mondo del subcosciente.
Se invece guardiamo dritto davanti a noi, con sguardo fiero e risoluto, con la determinazione e la volontà di essere liberi dai lacci della passività che ci tengono prigionieri, assaporando la gioia del prigioniero si libera dalle sue catene, allora possiamo comprendere lo slancio energetico offerto dalla consapevolezza che si risveglia e corre a salutare il mondo.
Se invece alziamo gli occhi al cielo, pronti a spiccare il volo per assaporare le gioie della Fusione con la Luce Divina, se lo slancio è gioioso ed irresistibile, se è accolto in modo pieno, totale e volontario, allora stiamo sperimentando la consapevolezza e l’energia donati dal Risveglio del nostro Essere Divino.
Buona erranza
Sharatan
martedì 10 febbraio 2009
Il viaggio nel corpo bardo
Stanislav Grof, uno dei padri della psicologia transpersonale, afferma che “è difficile trovare materia più universale e di maggiore rilevanza personale della morte e del morire” e indica alla fine degli anni ’60 del secolo scorso, con lo sviluppo accellerato della società industriale, l’inizio della mancanza di interesse al tema della morte e del morire, come se le società tecnologiche avessero sviluppato un massiccio rifiuto psicologico della morte.
Tale disinteresse è sorprendente se lo paragoniamo con quello che adottavano le società antiche e quelle preindustriali, in cui alla morte era riservato un posto assolutamente centrale e cruciale nella cosmologia, nella filosofia, nella religione e nella vita spirituale, come pure nei ritmi naturali della vita quotidiana.
Ogni pensiero che si collega alla reincarnazione e alle teorie dell’anima, appare come una teoria consolatoria, frutto di una mente infantile ed ingenua. La stessa religione, privilegiando l’aspetto formale ha perso ogni contatto con le fonti spirituali più profonde ed i riferimenti relativi alla vita dopo la morte e le stesse dimore di Inferno e Paradiso, come pure l’assenza di ogni guida al momento del trapasso, impediscono che essa sia vissuta come una risorsa spirituale autentica.
Dobbiamo aspettare gli anni ’70 per vedere la rinascita dell’interesse per le esperienze di pre-morte e di morte, fornite dai malati terminali e dal ritorno alla vita di sopravvissuti a esperienze di pre-morte.
Poi, negli anni ’90, i libri degli psichiatri Raymond Moody, Brian Weiss e altri esperti di reincarnazione e di ipnosi regressiva, sono divenuti bestsellers internazionali. La tanatologia ha raccolto prove impressionanti sui vissuti legati al momento del trapasso e ha registrato il profondo mutamento spirituale avvenuto nei sopravvissuti, nei “ritornati alla vita.” Ma generalmente, nelle società occidentali, manca un appoggio efficace che sappia rendere più facile la transizione.
Non mancano però dei pionieri che hanno saputo sviluppare un caldo ambiente umano ai morenti, ma il rifiuto è molto più vasto, fino a raggiungere il parossismo estremo nell'uso di parrucchieri e di chirurghi che, post-mortem, mitigano gli aspetti più “anti estetici” del cadavere, per rendere il defunto più esteticamente gradevole ai parenti e agli amici.
Anche i media, quando forniscono fredde cifre statistiche di morti per guerre e disastri, contribuiscono a creare una forte distanza emotiva dalle tragedie. Senza parlare del cinema e della televisione che forniscono spettacoli di violenza, elevando ed assuefacendo il gusto dello spettatore su una soglia di maggiore insensibilità e distanza emotiva davanti a scene di morte, omicidi, stupri ed uccisioni. E’ a causa di questa insensibilità, che i paesi industrializzati non sanno offrire adeguato sostegno ideologico e psicologico alle persone che si trovano, per vari motivi, di fronte alla morte.
Ben altro è stato invece il comportamento delle società antiche e delle civiltà preindustriali, nelle quali la morte non è assolutamente vissuta come la fine assoluta e irrevocabile di ogni cosa.
Tutte le mitologie escatologiche di queste civiltà sono unanimi nel ritenere che l’anima del defunto è sottoposta ad una serie di avventure della coscienza. Talvolta si afferma che il defunto compie un itinerario attraverso dei paesaggi fantastici, molto simili ai paesaggi terrestri. Altre volte, si incontrano degli esseri archetipi o mitologici, oppure si affrontano stati olotropici di coscienza. Nel corso di tali stati straordinari di coscienza, si affronta una gamma ancora più vasta di contenuti psicologici: problemi personali irrisolti, sequenze perinatali di morte e rinascita, tematiche transpersonali, ricordi di vite precedenti, motivi mitologici o sentimenti di unione cosmica.
In alcune culture l’anima raggiunge nell’Aldilà una dimora temporanea, come il Purgatorio cristiano o i Loka del buddismo tibetano, mentre in altre culture, l’anima arriva ad una dimora eterna come il Paradiso, il Cielo o un Regno del Sole, e altre ancora credono invece alla reincarnazione o alla trasmigrazione delle anime.
Ma tutte le culture di questo genere sono d’accordo sul fatto che la morte non sia affatto una sconfitta e che non sia affatto la fine di ogni cosa, ma che costituisce un’importante transizione.
In queste società antiche e nelle civiltà preindustriali, le esperienze collegate con la morte sono considerate come viaggi in dimensioni della realtà che meritano di essere studiate, sperimentate e profondamente conosciute. In quelle civiltà, i morenti conoscono bene tutte le cartografie escatologiche della propria cultura, siano esse mappe sciamaniche dei paesaggi funerari oppure delle particolareggiate descrizioni degli scenari e percorsi funebri, come quelli contenuti nel Libro tibetano dei morti o Bardo Thodol.
Il Bardo Thodol è un’opera meravigliosa - una vera guida all’arte del morire - che presenta il momento del decesso come una straordinaria opportunità di liberazione spirituale dai cicli delle nascite e delle morti oppure, se non si riesce a fare tale liberazione, che indica come determinare la natura dell’incarnazione successiva. Secondo il Bardo Thodol, gli stati intermedi tra una vita e l’altra- gli stati “bardo” - sono dotati di maggiore importanza che non tutta l’esistenza incarnata, per cui bisogna prepararsi molto bene a quel momento, attraverso una sistematica pratica spirituale che dura tutta la vita.
Il Bardo Thodol insegna che, alla morte, ogni uomo trova il mondo ultraterreno che è coltivato nella propria religione. Per il buddhismo non esiste un solo paradiso, ma tanti quanti sono gli esseri illuminati, perché ciascuno di essi ha la capacità di creare con la mente una “terra pura” per cui il cristiano incontra il Cristo e l’indiano il dio Vishnu.
Non bisogna stupirsi, non bisogna “accontentarsi” di queste visioni religiose, ma bisogna immergersi in una Luce più profonda e anteriore, che precede ogni forma e nella quale ogni manifestazione si discioglie. Il “Bardo Thodol” è il grande poema della luce, perché essa è il grande esorcismo alla paura della morte; infatti il morire è un nascere alla luce non uno sprofondare nella notte.
Per questo non bisogna avere paura ma bisogna “stare calmi” e seguire la luce, senza cedere a spaventi o a lusinghe ultraterrene, senza farsi terrorizzare dai personaggi che potremmo incontrare nel viaggio, senza temere il Dio della Morte.
La cosa più importante, è che le società antiche e preindustriali avevano una totale accettazione dell’esperienza della morte, ritenendola un’esperienza facente parte integrante al fenomeno della vita: per questo tali civiltà passavano il loro tempo accanto ai loro morenti, assitendoli ed accudendoli e partecipano attivamente ai riti della sepoltura. In esse le persone morivano di solito nel loro ambiente naturale o all’interno della famiglia, del clan o della tribù, circondati dal conforto e dall’affetto dei parenti e degli amici, ricevendo l'aiuto di appropriati rituali riservati al momento del trapasso.
Tali procedure e pratiche, sono dei ritualità stabilite ed attuate per assistere gli individui che stanno affrontando il passaggio finale, ed offrono una guida specifica di cui il morente può avvalersi nel viaggio postumo, come nel caso del Bardo Thodol, in cui i morenti vengono addestrati su come attuare il transito.
Nello sciamanismo vi sono delle pratiche che insegnano agli sciamani novizi a percorrere i Regni dell’Aldilà, e che insegnate durante le pratiche di iniziazione sciamanica attuate nel corso dell’apprendistato compiuto presso gli sciamani anziani.
Dopo avere avuto l’iniziazione sciamanica, lo sciamano sa entrare spontaneamente in tali stati particolari di coscienza ed è in grado di guidare gli altri membri della tribù in questi viaggi visionari. La letteratura sciamanica testimonia che i viaggi interiori sono come i viaggi nei Regni dell’Aldilà e che tali esperienze sciamaniche sono veri e propri addestramenti alla morte.
I moderni studi di tanatologia hanno dimostrato la veridicità di un’affermazione del Bardo Thodol che sembrava assurda e fantasiosa. Secondo il libro, al momento della morte entriamo nello stato di “corpo bardo” e siamo in grado di viaggiare senza ostacoli in qualunque luogo della terra, conservando le nostre percezioni sensorie. Le scoperte più recenti sugli stati di pre-morte dimostrano la capacità della coscienza, separata dalla materia di vedere ambienti vicini e lontani e di conservarne il ricordo, dimostrando la forma di coscienza sciamanica che gli indiani Irochesi chiamavano il “corpo lungo.”
Usando il nostro “corpo bardo” o “corpo lungo”, possiamo accedere a informazioni nuove, che sorpassano ogni conoscenza posseduta in vita, possiamo identificarci con altre persone, percepire lo spirito di animali e di piante, di pietre e persino di oggetti o luoghi.
In questo stato, possiamo andare oltre il tempo ed accedere all’Archivio Akashico, che contiene l’intera storia di ogni anima, la storia familiare e l’intera storia razziale ed umana narrata da quando la Creazione ebbe inizio: poichè non esiste nulla di un individuo che non sia registrato in questo stesso libro, come testimonia anche la Bibbia.
E' nell’Akasha il luogo della quintessenza di tutte le possibili forme di energia materiale, psichica o spirituale, essa contiene in sé i germi della creazione universale che fiorisce sotto l’impulso dello Spirito e della Mente Divina.
Buona erranza
Sharatan
domenica 8 febbraio 2009
Alla larga dal falso Samaritano!
La coscienza e la consapevolezza implicano il concetto di responsabilità, infatti se siamo esseri coscienti e consapevoli, dobbiamo poi saperci assumere la responsabilità dei nostri sentimenti e dei nostri comportamenti. Dobbiamo sapere che, ogni volta che proviamo un’emozione, come conseguenza, noi attiviamo una vibrazione energetica sottile, che è della stessa tonalità dell’energia emanata; per cui le emozioni positive attirano positività e le emozioni negative attirano negatività.
Questa consapevolezza ci impone di essere responsabili dei reali moventi che ci spingono all’azione, quindi dobbiamo essere molto presenti alle nostre nostre vere pulsioni interne: è essenziale perciò osservare con onestà le nostre vere motivazioni e saperle classificare per quello che sono, siano esse degne o indegne. Ma, allo stesso modo, dobbiamo essere in grado di capire quali motivazioni siano alla base dei comportamenti di coloro con cui entriamo in relazione.
Sarebbe bello se le persone fossero veramente quello che dichiarano di essere, ma questo non avviene e invece è facile che, nella vita di ogni giorno, si possano incontrare delle persone che si dichiarano essere una cosa, ma che in realtà si dimostrano essere tutta un’altra.
Per questo, se non diventiamo esseri forti e consapevoli, potremmo cadere vittime di ruoli che altri vogliono farci impersonare, di ruoli in cui gli altri mettono in gioco la loro capacità di affermare un possesso, in cui giocano una loro affermazione di potere o in cui scaricano le tensioni di tutte le parti oscure che loro non sanno gestire.
Nella vita dobbiamo anche imparare a difenderci, e dobbiamo imparare a saper rispondere adeguatamente alle strategie di coloro che vorrebbero trasformarci in burattini da manovrare con fili invisibili.
Ma dobbiamo anche essere consapevoli che spesso, i ruoli a cui gli altri ci chiamano, sono gli stessi ruoli che noi sentiamo d’impersonare, sono le note musicali che conosciamo e sulle quali sappiamo risuonare.
Per questo dobbiamo fare molta attenzione, perché siamo chiamati solo a ciò che ci rappresenta e a quello che crediamo di essere: se ti senti vittima diventa consapevole che gli altri ti possano vittimizzare, perché sei recettivo ad impersonare quel ruolo.
Se ti senti vittima ti deprezzi e svendi il tuo tesoro interno, il tuo essere, il tuo sentimento e la tua dignità, consegnandola in mano al primo che incontri per strada. E’ normale che sia così, infatti ti svendi perché pensi di valere poco: è un errore crederlo, perché ognuno di noi è un “unicum” e quindi vale molto.
L’essere chiamati al ruolo di carnefice, è un ricalco dello stesso schema solo che la rabbia è focalizzata sui torti subiti che vengono violentemente scagliati addosso al primo che passa. Se vuoi fare il cernefice, fai un grosso errore, perché bisogna chiedersi sempre come mai si possa fare del male agli altri e se sia giusto infliggare la sofferenza agli altri, ben sapendo che ci ritornerà indietro, in base alla terza legge di Newton che recita che “Ad ogni azione corrisponde una reazione uguale e contraria.”
Riconoscere coloro che fanno del male non è difficile, mentre è molto più insidioso riconoscere il Falso Samaritano, ma per analizzare questo ruolo, ci può aiutare la capacità di sapere riconoscere le vere risorse del conforto e del soccorso e, l’unico modo per capirlo, è osservare con attenzione la vera qualità dei comportamenti.
I Falsi Samaritani dichiarano di essere mossi da sentimenti di amore e di amicizia, ma poi lavorano su vibrazioni molto poco elevate. Con la scusa di volerci aiutare e consigliare e nella vigorìa del volerci confortare, iniziano ad instillare sottili dubbi, possono insinuare giudizi poco lusinghieri, possono usare dei termini meschini o volgari, ci parlano con toni di sarcasmo o con velati sottintesi, spesso usano la violenza sia pure velata o la prepotenza. Tutti coloro che usano questi metodi sono falsi Samaritani, da cui è bene tenersi alla larga.
Il Buon Samaritano è una persona che lascia all’altro lo spazio necessario per esprimersi e che mentre l’altro si confida, sa aiutarlo a fare luce e consapevolezza nella sua mente, è colui che non recrimina, non giudica e non condanna gli altri, ma che sa comprendere e confortare.
Nell’esprimere le sue opinioni, il Buon Samaritano parla con gentilezza e con delicatezza, non avanza nessuna osservazione in modo troppo diretto o personale per non ferire l’altrui sensibilità, porta esempi e citazioni in modo indiretto, così che l’altro non si senta attaccato o giudicato, ma veramente sostenuto e compreso.
Questo soccorritore vero non mette mai in evidenza le debolezze dell’altro, facendone un’arma, ma cerca di rafforzare le qualità altrui, ottenendo in cambio un rafforzamento energetico ed una gioia reciproca. Tra il vero Buon Samaritano e la persona in difficoltà si crea un ponte energetico di affetto e di fiducia, uno spazio di comunicazione, un ponte sottile che fa fluire la Gioia e Luce dall’uno all’altro.
Esistono i buoni samaritani e io ne ho incontrati, ma a buona ragione, stiamo attenti ai falsi Samaritani. Facciamo attenzione a coloro che entrano in modo violento e prepotente nella nostra vita, a coloro che fingendosi amici ci aiutano a smontarci nei momenti di difficoltà, a coloro che ci demoliscono e ci umiliano, a coloro che godono a vederci crollare.
Per difenderci è bene fare un buon allenamento alla scuola della consapevolezza, conquistare una mente lucida e consapevole, e decidere che tutti questi ruoli non ci interessano, perchè le coltivazioni energetiche infime, le motivazioni basse, sono indegne di un essere libero.
Buona erranza
Sharatan
giovedì 5 febbraio 2009
La teoria del Karma Dinamico
Considerato che amo gli approcci diversi e originali, ho trovato un’utile punto di vista con cui si potrebbe rivedere il concetto di karma. Secondo la legge del karma, se nasciamo in una categoria di intoccabili, tale condizione va accettata perché conseguenza di errati comportamenti passati, cioè dei nostri debiti karmici. Da tale condizione, in seguito, si potrà venire ricompensati con una futura vita legata ad una casta di maggiore prestigio, in virtù dell’acquisizione di meriti o crediti karmici. Io credo che questa interpretazione sia fortemente limitativa e anche profondamente punitiva, perché lavorando così sul concetto di karma, si rischia di avere un approccio miope e riduttivo.
Un primo punto di vista errato, nell’approccio suddetto, è costituito dall'eccessiva importanza che viene attribuita ai comportamenti personali a scapito di quelli spirituali, trascurando così le potenzialità evolutive offerte dall’incarnazione nel veicolo corporeo, e togliendo così ogni valore alla grande lezione evolutiva costituita dal felice scioglimento dei nodi karmici. Una seconda prospettiva errata, è contenuta nel pensare all’aspetto karmico, come ad un fattore statico e non come un elemento dinamico dell'esistenza.
Secondo Erich Fromm, la vita è un concetto dialettico, quindi dinamico e non statico. Ciò significa che egli nega il dato inamovibile dell’esistente, in favore di un nuovo passo nello sviluppo che mira alla crescita. Fromm avverte che, quando le forze tendenti alla crescita si rovesciano, esse si indirizzano al decadimento e alla distruzione: appunto perchè la vita è un processo dinamico, essa è anche un sistema aperto. Tale teoria non è affatto estranea al pensiero orientale, infatti la ritroviamo nel filosofo bengalese Prabhat Ranjan Sarkar.
La teoria, del Prama o dell'Equilibrio Dinamico, proposta da Prabhat Ranjan Sarkar, si basa su due importanti idee: la prima, in base a cui in natura esistono tre tipi differenti di forze, descrivibili rispettivamente come energia statica, energia mutativa e energia senziente; la seconda è che l'esistenza umana, sia a livello individuale che sociale, è composta dal piano fisico, mentale e spirituale. Alcuni caratteri delle tre forze sono così identificabili: forza statica con grossolanità, rudezza e staticità; forza mutativa con dinamicità; forza senziente con spiritualità, trascendenza, razionalità.
Sarkar afferma: “Il dinamismo però è tuttora in realtà la prima e l'ultima parola dell'esistenza umana. Colui che ha perduto il suo dinamismo è proprio come una pozza stagnante. In assenza di movimento uno stagno è inevitabilmente invaso dalle erbacce e diventa un pericolo per la salute. Meglio riempire di terra questo tipo di stagno. Molti filosofi del passato hanno reso questo tipo di cattivo servizio all'umanità. Alla fine hanno soltanto gettato l'umanità nelle paludi del dogmatismo, terreno fertile per innumerevoli zanzare. Essi non hanno contribuito neppure al benessere di un singolo essere umano ... Quindi il vero dovere degli esseri umani è di avere continuamente un avanzamento soggettivo; cioè essi avanzeranno psicospiritualmente verso la Coscienza Suprema, ispirati da ideali neoumanistici e contemporaneamente dovranno sforzarsi per la diffusione dei principi umanistici e stabilire così una struttura sociale basata sull'universalismo. Altrimenti i loro ritmi psicospirituali interiori non riusciranno a bene adattarsi a sentimenti ristretti come il geosentimento e ciò avrà un effetto disastroso sulla società.”
Nulla ci fa sospettare che la legge spirituale del karma possa sfuggire a tale regola, per cui potremmo cambiare il nostro punto di vista e credere che sia possibile pensare al karma come una dinamica che si spinge all’azione e alla evoluzione e non come un peso che zavorra e limita la nostra vita. Vediamo come creare questo approccio più positivo e dinamico.
Ipotizziamo che una persona possa sapere che una sua lezione karmica sia collegata con la dinamica dell’amore. Se ragioniamo alla maniera consueta, vedendo il karma come un fattore limitante e fatale, è come se usassimo un foglio di carta su cui andiamo ad ascrivere questo elemento sulla colonna del credito o su quella del debito.
Ipotizziamo che il sentirsi in credito possa significare che si crede di dovere donare quel sentimento a qualcuno ed il sentirsi in debito possa significare che noi pensiamo di dovere ricevere quel sentimento da parte degli altri: detto questo, abbiamo forse operato un’opera di consapevolezza, ma senza farla seguire da alcun tipo di azione positiva, abbiamo così una consapevolezza sterile.
Facendo questo - e noi lo facciamo quando pensiamo al karma nella maniera vecchia, alla maniera tradizionale - non facciamo altro che caricare un nostro debito o credito (vero o presunto) su una colonna, ma non usiamo il valore dinamico ed evolutivo della lezione karmica.
Potremmo invece pensare ad una dinamica karmica legata ad un fattore evolutivo, come affermano sia Erich Fromm che Prabhat Ranjan Sarkar. Potremmo invece fare un lavoro evolutivo sulla dinamica karmica, smettendo di pensare che il karma sia un fattore subito o dovuto dalla vita, ma pensando invece che il karma sia un fattore dinamico, sia un nodo esistenziale da sciogliere ed un fattore da riequilibrare.
Per tornare all’esempio del nodo karmico dell’amore, non vedendo il carico karmico come un fattore unilaterale, unico e quindi statico, ma vedendolo come compito dinamico, operiamo sicuramente una migliore evoluzione.
Potremo allora smettere di credere che l’amore sia un fatto di debiti/crediti con la vita, ma permetterci di vivere questo sentimento, in modo pieno e gioioso. Se sappiamo viverlo pienamente e se sappiamo pensarlo come un fattore da approfondire e da riequilibrare, allora finiranno le dinamiche negative dei nostri rapporti amorosi.
Se smettiamo di pensare che la vita sia una lotta in cui il karma segna vittorie o sconfitte, date ed attribuite senza speranza o redenzione, potremo anche smettere di fare dell’amore un fattore con cui andiamo a rivendicare i debiti e i crediti riguardo al nostro Karma.
Possiamo allora smettere di chiedere vendette e risarcimenti amorosi a tutti coloro che incontriamo sulla nostra strada, senza guardare se essi siano responsabili o meno del nostro dare/avere riguardo alla vita. Possiamo anche smettere di fare vendetta su tutti coloro che incrociano la nostra strada, colpevoli solo di avere incontrato un cane rabbioso in un giorno di digiuno, ma del tutto innocenti delle nostre vendette o rivalse karmiche.
Pensandola in modo nuovo, faremo un lavoro molto più profondo, perché inizieremo a lavorare sui sentimenti che il nodo karmico suscita in noi, lavoreremo per trasformare il nostro livello di consapevolezza cosciente, lavoreremo sui nostri veri sentimenti, su quello che è il nostro vero sentire, sul modo con cui quelle sensazioni di mancanza d’amore ci fanno sentire in debito o in credito nei riguardi della vita.
Lavoriamo così per operare un’alchimia interna, ma non usando il paradigma di debiti/crediti, ma usando il criterio di riequilibrio dei sentimenti. Tale lavoro sulla vera natura dei nostri sentimenti, non solo affretta la nostra evoluzione, ma opera anche enormi benefici in moltissimi campi del nostro vivere, perché gli altri diventano utili alleati con cui sperimentare il gioco della vita e non degli oscuri nemici.
Afferma Prabhat Ranjan Sarkar che la radice della schiavitù è nella mente e che si deve sempre mantenere vigile la vostra coscienza, per cui il fattore primariamente evolutivo è la nostra coscienza.
Sarkar scrive: “Bisogna spalancare le nostre proprie ali e sfrecciare in alto nell'azzurro firmamento… L'esistenza umana non è soltanto fisica, psichica o spirituale, comprende tutti e tre gli aspetti ... Quando completate tutto questo processo di ragionamento logico la risultante è la vostra coscienza risvegliata ... Mantenete la vostra coscienza sempre vigile. Sviluppate una forte mentalità razionalistica e nessuno sarà capace di imbrogliarvi … Non soltanto parlerete con più energia ma diventerete forti sotto tutti gli aspetti.”
Buona erranza
Sharatan
mercoledì 4 febbraio 2009
Realizzando personali Upanishad
Alain Daniélou afferma che tutti i sentieri che si intraprendono si fermano di fronte al fenomeno di Dio, a cui la mente umana non può dare una definizione: tutti gli sforzi per realizzare il divino sono solo “approcci” cioè Upanishad e tutti gli sforzi conoscitivi mostrano un substrato comune che non è immediatamente distinguibile, ma che è sempre presente ed è sempre valido.
Le forme di pensiero che l’uomo ha creato ed ha utilizzato, nelle varie culture e latitudini sono la dimostrazione di tali Upanishad, di tali approcci, apparentemente limitati o inadeguati, ma essenziali per la comprensione dei misteri dell’Uno. Ogni visione sembra inconcepibile rispetto alle altre, ogni versione sembra limitata, eppure in ogni concezione esiste, a ben guardare, un segno ed una traccia utili, a riprova che un approccio sincero produce sempre dei frutti.
Molto spesso, solo grazie ad approcci molteplici e forse contraddittori, arriviamo a farci un’idea dell’insieme, un’idea che difficilmente potremmo crearci se godessimo di un solo punto di vista.
Più scorci divini sappiamo conquistare attraverso cammini diversi, più ne sappiamo cogliere i differenti aspetti, più ne sappiamo poi riunire gli elementi di contraddizione, da usare come utili stimoli per elaborare dei concetti sull’origine delle cose e sullo scopo dell’esistenza.
Tutto questo sarebbe assolutamente impossibile se si facesse uso di un solo ed unico punto di vista: solo facendo uso di approcci molteplici si può concepire l’assoluta molteplicità della realtà umana. Soltanto usando degli approcci molteplici possiamo farci un’idea dell’inconoscibilità della Realtà trascendente.
Possiamo pensare che certi punti di vista siano troppo atei, alcuni forse troppo filosofici, altri troppo mistici ed altri troppo morali, ma saremmo in errore se considerassimo queste forme di pensiero come delle forme erronee di pensare: sono invece costruzioni sempre valide e metodi sempre accettabili, al fine di costruire degli adeguati punti di vista, per cercare i nostri Upanishad.
L'induismo reputa che coloro che hanno creato dei punti di vista siano dei rishi, cioè dei veggenti illuminati dall’influsso divino.
Poiché l’esistenza è sinonimo di molteplicità, riesce difficile pensare di concepire la Realtà senza un approccio che sia multiplo e multeplice, e quando ci immaginiamo che le cose abbiano solo un punto di vista, ci rendiamo ciechi alle altre parti dell’essere, perché lo escludiamo dalla nostra coscienza come inconcepibile. Quando cerchiamo una sola forma di divinità, egualmente ci rendiamo ciechi per le altre manifestazioni della divinità, siamo ottusi all’Immensità non duale del Brahman.
Quando pensiamo che si possa adorare una sola forma di divinità, stiamo fortemente limitando e mortificando quella forma divina, le stiamo imponendole dei limiti che sono nostri, simbolo della nostra mentalità ottusa e materialistica. La limitazione della divinità in modalità particolari e uniche, ha fatto del monoteismo una vera limitazione della via della conoscenza e della realizzazione metafisica. Si è creata una divinità limitata per l’incapacità di credere ad una natura molteplice ed illimitata del divino, si è creato un Dio limitato a buon uso di menti limitate,come frutto di menti capaci di pensare solo per postulati primitivi e semplicistici.
Possiamo invece pensare ad una divinità illimitata che possiede una forma illimitata di manifestazioni, e pensare che questi aspetti siano solo dei modi diversi di approcciare al divino, diversi punti di vista sul divino. Come possiamo pensare ad un’armonia che si crea con la partecipazione di tutte le note musicali,ugualmente potremmo pensare che la sorgente dell’universo sia data dalla molteplicità di manifestazioni dell’essenza divina.
Dobbiamo pensare che la molteplicità di punti di vista, di approcci all’esistenza, le varie Upanishad, facciano parte della moltitudine di vie che portano al divino, ognuna adatta per diversi individui e per diversi tipi di evoluzione. Ognuna adatta anche per lo stesso individuo a diversi livelli di consapevolezza e di evoluzione, quindi pensiamo che ogni via è sempre utile e necessaria.
Riesce estremamente difficile cogliere la mutevolezza dell’essere se assumiamo una visione monoteista ed unanime della Realtà, perché la Realtà è molto relativa e ci appare sempre troppo lontana da una visione dogmatica e monolitica.
Per questo vi è l’abbandono della religione quando vogliamo affrontare un cammino spirituale, tutto perché si va a confondere il livello dell’etica con quello della morale, tutto perché le osservanze convenzionali e l’avanzamento interiore sembrano sempre più andare in collisione, perchè si confonde la spiritualità con la religione.
Ogni forma di monoteismo ci lega troppo ad una visione culturale e sociale che non sempre si armonizza al nostro vissuto interiore. Così la religione diviene un modo per affermare un modo di essere e di vivere il mondo, come un credo assoluto che va ad imporre una concezione e una visione che preclude altri modi di vedere, di approcciare, altre realizzazioni di nostre personali Upanishad.
Così si creano dei popoli eletti, delle genti che sanno seguire le vie di Dio, come se ci fosse una via certa e sicura che porta a Dio. Così si creano delle religioni che cercano di imporre i propri dei e i propri credo, così si creano degli dei privilegiati da difendere e degli dei falsi e pericolosi da distruggere.
Nella Bhagavad Gita (IX, 23) Krishna dice:
“Anche coloro che, devoti ad altri dei, sacrificano loro pieni di fede, sacrificano in realtà a me solo, o Arjuna, in modo diverso dalla norma.” Nella Bhagavad Gita si insegna che ciò che appare come molteplice, in realtà rimanda ad una molteplicità solo apparente del Divino.
Buona erranza
Sharatan