martedì 30 marzo 2010

Per guardarsi nello specchio


“I piccoli insegnamenti conducono ad azioni;
bisogna seguire solo insegnamenti che siano grandi”

(Tilopa - Canto di Mahamudra)


Molti credono che la ricerca spirituale sia causa di sofferenza: in realtà la sofferenza non è nella ricerca ma è nella resistenza al cambiamento. La sofferenza nasce quando compaiono nuovi paradigmi mentali e l’individuo si scinde, egli si divide tra il vecchio schema che conosce bene e il nuovo modo che non conosce ancora, ma che ha paura di sperimentare. Una parte di noi resiste mentre l’altra vuole cooperare, ed è così che nasce il conflitto interiore: è il conflitto che genera la sofferenza: però il conflitto è un prodotto mentale, e non dello spirito.

Se, invece, l’individuo accettasse di cooperare e vedesse il cambiamento come un abbandono fiducioso al nuovo mondo che può nascere, percepirebbe la suprema liberazione dalla sofferenza. E’ la mente che manovra il conflitto perché essa è ingannatrice ed infingarda, e non vuole assumersi le sue responsabilità e allora addossa la colpa a qualcos’altro, quindi addita accusatoria gli afflati dello Spirito che vuole spiccare il volo verso l‘evoluzione superiore.

Perciò è la mente il mandante e la causa della nostra sofferenza, quindi dobbiamo costruire un Manifesto umano di Atteggiamenti contrari alla Sofferenza, delle avvertenze con cui avviare una riflessione che ci conduca fuori dal pantano mentale dei nostri pensieri, che sono i fantasmi della realtà. Gli atteggiamento positivi e amorosi verso la nostra vita funzionano come dei fili di Arianna, diventano degli intrecci e formano dei nodi a cui rivolgere la nostra meditazione, sono delle perle preziose come i grani di un antico rosario orientale.

La prima perla preziosa ci invita a lasciare andare il passato perché sono gli schemi mentali passati che causano la sofferenza: quando usiamo gli schemi passati per giudicare il presente, noi usiamo degli schemi arcaici prodotti dalle passate esperienze, quindi viviamo in base a ciò che abbiamo già sperimentato. Questo è un modo nevrotico e malsano di ripetere sempre schemi precedenti: facendo così noi lavoriamo come un meccanismo incantato o come una scimmia ammaestrata, perché è della scimmia l’abito mentale che usiamo. Ma non avviene mai che una struttura mentale vecchia possa essere adatta ad una nuova situazione, poiché i problemi che il passato ha causato non si risolvono ripetendo l’atteggiamento che ha causato l‘errore, almeno secondo Einstein.

La seconda perla di saggezza, da conservare nel cuore, è il lasciare andare ogni aspettativa sulla qualità del nostro futuro perciò, dobbiamo lasciarci andare solo all’esperienza e a quello che si manifesta al momento. L’aspettativa è un altro trucco del mentale dominante, essa è prodotta da una macchina per pensare che ha definito un tracciato obbligato in cui, a date condizioni, le conseguenze del caso sono determinabili e sono come ipotizzate per causa-effetto.

Ma è poi vero che il mondo si lascia ingabbiare negli schemi mentali delle certezze infallibili? Sappiamo noi misurare il peso di tutti gli eventi, prevedere gli altrui comportamenti, valutare il maturare di successivi avvenimenti, e poi confezionare il tutto inscatolandolo e poi scrivendoci sopra a stampatello: buono o cattivo, bello o brutto, vero o falso? Tutti ci insegnano a lavorare con categorie mentali precostituite che riguardano forme di bontà o di moralità, o di adeguato comportamento o di giusta situazione.

Questo avviene tramite l’influsso della famiglia, della società, della cultura o della civiltà, anche se in civiltà diverse molti schemi di comportamento si rovesciano veloci come capriole fatte da bambini che giocano sull’erba. E’ tutta questa struttura che ci toglie la consapevolezza del vivere la vita come processo di eventi di cui noi siamo solo uno degli elementi, di cui noi siamo parte armoniosa ed integrata. Cosa s’intende dire taoisticamente indicando di restare sciolti e naturali?

Ci vogliono dire che noi uomini dobbiamo imparare a non entrare in conflitto con noi stessi, che dobbiamo eliminare in noi ogni struttura, non dobbiamo imporci un carattere troppo duro o implacabile, non dobbiamo imporci alcuna disciplina troppo soffocante perché una dura disciplina soffoca la voglia di cambiamento. Ogni categoria mentale diventa mortale, quindi contraria alla vita perché ci chiude in una prigione di preconcezioni, mentre invece dovremmo restare sciolti e fluidi per poterci muovere bene nelle situazioni.

Non dobbiamo imprigionarci in un determinato carattere, non dobbiamo indossare degli abiti mentali che possano divenire come bare di ghiaccio per le nostre anime, non dobbiamo chiudiamoci in sepolcri che uccidono le nostre tendenze e i nostri sentimenti. Restiamo piuttosto fluidi come l’acqua che dolcemente riesce a penetrare nelle fessure più sottili delle pietre più dure; essa è dolce e flessibile ma comunque vince tutte le altre sostanze.

Viviamo attimo per attimo nel presente, viviamo con tutta la consapevolezza e con tutta la nostra sensibilità: se noi siamo consapevoli, e se non siamo protetti da corazze mentali possiamo essere vigili nell’istante: così noi immortaliamo il presente. Noi restiamo consapevoli nel momento in cui nasce una situazione, allora siamo in grado di reagire fluidamente nel momento presente, adeguandoci a ciò che ci concilia e che ci rende felici.

Così noi reagiamo senza ricorrere ad un formulario di risposte precostituite, e reagiamo con l’azione più opportuna e più efficace al momento presente senza usare il tempo e il ricordo del passato. Ma la mente si sente impreparata a lavorare così, costretta a restare sveglia e lucida e priva di ogni automatismo schematico, essa è infastidita dalla caccia agli indizi e alle tracce dei flussi degli eventi: la mente usa le abitudini perché infondono le sicurezze delle coordinate.

Se vogliamo assumere delle abitudini impariamo a essere presenti a noi stessi, ad essere svegli e consapevoli della nostra vera Essenza, impariamo a riscuoterci dall’amnesia di ciò che siamo, riconosciamoci come un’armoniosa nota dell’armonia divina. Non dobbiamo avere paura della nostra unicità, perché unici non significa essere smarriti e soli nell’universo vuoto e impenetrabile. La scioltezza richiede la naturalezza cioè la concezione che il mondo non è cattivo o estraneo ma è una continua scoperta da sperimentare Ora, Qui e Adesso! Così assaporiamo la bellezza dell’istante presente.

Nella terza perla di saggezza vi è la costruzione di uno Spazio meditativo che mette in circolazione l’energia della riflessione, che è la virtù utile ad avere armoniosi rapporti sociali, una qualità utile per percorrere serenamente tutte le strade del mondo. Nelle tecniche che curano l’anima esiste una bipartizione tra il controllo occidentale dell’equilibrio dell'individuo estroverso che va ottimizzato al buon vivere sociale, e le mentalità orientali che vorrebbero un individuo introverso e alieno agli accadimenti del mondo esteriore.

L’essere umano non può essere diviso in due parti perché le possiede entrambi, infatti l’uomo vive felicemente insieme ai suoi simili, ma conosce anche dei momenti in cui resta da solo. I momenti in cui restiamo soli con noi solo quelli fondamentali e, soprattutto, la nascita e la morte, perciò è necessario sapere stare bene da soli ma anche stare bene nel mondo esterno.

E’ questo il motivo per cui, se non sappiamo guardarci allo specchio, non sapremo stare bene con gli altri perchè non siamo centrati in noi stessi e in armonia tra esterno ed interno. Certamente non possiamo andare allo specchio, guardarci minacciosi e gridarci in faccia: “Adesso tu equilibrati e diventa estroversa e introversa! Io te lo ordino, e tu devi farlo Adesso, Qui e Ora!” Magari funzionasse così, ma non è così che succede nel mondo reale e nelle persone.

Se vogliamo possiamo lavorare su noi stessi iniziando a meditare scorrendo tra le dita le perle preziose del rosario orientale, in cui sono incisi i 3 utili consigli: dimentica il passato, abbandona le aspettative sul futuro e diventa un essere armonioso. E’ così che lo Spirito si eleva per assaporare la gioia perchè la ricerca spirituale è la ricerca della felicità.

Buona erranza
Sharatan


mercoledì 24 marzo 2010

Le 3 Leggi delle Radici


Lavorare sulla natura della famiglia e della stirpe equivale ad un lavoro sacro condotto sull’origine della nostra anima: è un lavoro rischioso e richiede molta abilità e coraggio. La letteratura spirituale avverte che è una via dura per la consapevolezza individuale, e si richiede che tale conoscenza sia fatta soltanto ad un livello molto avanzato di sviluppo, perciò è rischiosa per una mentalità insicura e impreparata.

Noi apparteniamo ad una famiglia, e questa famiglia appartiene ad una stirpe, e in questa stirpe vi è un’Anima collettiva, cioè vi è un’insieme di coscienze individuali che sono contenute nella sovracoscienza. Nella realtà spirituale si crede che l’individuo muoia riportando con sé il suo spirito, cioè l’essenza dell’anima, mentre lascia una parte della sua anima individuale che arricchisce la radice della sua stirpe, cioè l’Anima familiare.

L’anima del gruppo e della famiglia si arricchisce sempre del contributo dei suoi discendenti, e conserva la memoria degli avi e degli Antenati, così da costituire un’Essenza arricchita dai temperamenti particolari dei suoi membri, fino ad avere la forma di una “personalità” familiare particolare: un'unità cui partecipano tutti. Ogni cellula del nostro corpo contiene frammenti ancestrali, cioè delle serie di informazioni che provengono dagli Antenati, e perciò tale risonanza rimane nella nostra memoria, e viene rinforzata dalle informazioni che riceviamo dai nostri familiari unite ai condizionamenti dell’educazione con la quale siano allevati.

Vi è poi una legge biologica secondo la quale, negli organismo viventi si conservano le memorie della sua evoluzione, cioè tutte le tracce di informazioni che gli provengono dalle forme che ha assunto nel corso della sua evoluzione. A questo punto capiremo perché noi non siamo mai scelti casualmente, ma siamo accuratamente selezionati per interpretare un ruolo d’attore in una rappresentazione teatrale che può essere recitata solo da noi.

Noi siamo l’attore giusto, nel posto e momento giusto, e nel ruolo migliore per interpretare il miglior contesto per l’evoluzione della nostra anima. Da questa valutazione dovrebbe venire il coraggio di proseguire il nostro viaggio, e di credere nella bellezza delle nostre radici, anche se sono dure come pietra, e aspre come erbe di campo. E’ nella sofferenza che conosciamo la vita, perché il dolore degli altri sviluppa in noi la compassione e la comprensione, delle qualità a cui farà seguito la capacità di amare anche quello che non si può concepire, perché gli avremo restituito la dignità di essere.

All’interno di ogni sistema umano esistono leggi ancestrali, che non sono scritte in alcun luogo ma che si fissano tramite lo stesso condizionamento del sistema, e nei rapporti tra sistemi diversi: se osserviamo un gruppo di umani di qualsiasi connotazione noteremo la verità di queste affermazioni. Le leggi ancestrali non scritte sono i tre pilastri regolatori dei sistemi sociali umani, e sono: la Legge di Appartenenza, la Legge di Precedenza e la Legge di Equilibrio di dare e avere.

Secondo la Legge di Appartenenza noi abbiamo il diritto di fare parte di un sistema per il solo fatto di essere entrati a farne parte: questa legge è quella del passato più remoto e risale a milioni di anni fa quando vivevamo nel branco delle società tribali. Nella memoria cellulare dell’essere umano rimane vivo il ricordo di quando il nostro corpo viveva in armonia con il cosmo, di quando l’uomo era un elemento del processo naturale, di quando la società era organizzata secondo il modello tribale che conferiva un senso e un significato ad ogni evento naturale, di cui la vita e la morte erano gli estremi di un processo.

Conseguente alla prima legge vi era il divieto di esclusione dal gruppo di uno dei membri, e se un individuo veniva escluso dalla tribù, tutti i suoi discendenti ne seguivano il destino, perché il campo cosciente del sistema, cioè il suo spirito collettivo o Anima familiare, ripeteva l’evento affinché si potesse ricordare l’esclusione e così poter recuperare e reintegrare l’escluso. L’Anima familiare non ha connotazioni etiche o remore affettive, essa vive di energie, ed è per questo che è finalizzata solo a tenere unito il gruppo, e a continuarne la vita: è per questo motivo per cui essa sacrifica sempre il singolo in favore del gruppo.

La Legge di Precedenza è una regola universale ma anche familiare secondo la quale si deve riconoscere chi è arrivato per primo rispetto a chi arriva dopo, perciò sancisce la differenza tra i piccoli e i grandi del gruppo, perché è in grado di garantire la pace, l’armonia e la forza di tutto il sistema conferendo un ordine con cui si accede ai privilegi della famiglia. Se l’ordine vien rovinato da figli che divengono genitori dei padri o dall’ordine inverso, tutto il sistema viene turbato da una progenie malata di frustrazioni, di insoddisfazioni, o della rabbia repressa di una condizione di sicurezza che non si è goduta al momento giusto, e di cui si ha carenza.

L’ultima Legge dell’Equilibrio tra dare e ricevere riguarda il fatto che i conti in sospeso, in termini di torti arrecati o ricevuti dal gruppo familiare, vanno a ricadere sui discendenti, perché “le colpe dei padri ricadono sui figli” sempre. La dinamica sia personale che collettiva vede il riconoscimento del torto fatto o subito, con una conseguente riparazione o riconoscimento di dignità di esistere della vittima, con l’onore della memoria, anche se l’individuo che attua il gesto non conosce personalmente il fatto.

Queste leggi tribali sono coerenti con la teoria dei sistemi di Ludwig von Bertalanffy, secondo il quale un sistema vivente tende a riprodursi soprattutto se la sopravvivenza del sistema viene messa in pericolo e, per questo, esso mette in campo tutte le risorse necessarie per continuare ad esistere.

Nella vita, molte delle nostre energie vengono spese per gestire dinamiche familiari, perché i nostri genitori ci richiedono, esplicitamente o implicitamente, sin da quando siamo molto piccoli di assumere le ragioni dell’uno o dell’altro spingendo così noi figli in un dilemma lacerante per la scelta impossibile. Noi non possiamo scegliere tra loro due perché li amiamo d’eguale intensità, perché anche i loro difetti per noi diventano rari, perché loro sono la nostra stessa carne: come rinnegare o abiurare ad un parte di noi senza tradire tutti noi stessi?

Saremmo costretti ad uccidere nostra madre e l’anima femminile del mondo, o il padre e l’animus del maschile che vive in noi tutti in diversa mistura, e che esiste nel mondo fuori di noi, quando entrerà in gioco la nostra sessualità adulta. Molti dei problemi del nostro presente dipendono dei pesi familiari, secondo me, occuparsene sembrerebbe logico, per non dire che lo reputo un doveroso atto di egoismo, perché è dell‘egoismo sano di colui che si prende cura personalmente della qualità della propria vita.

Molti di questi problemi, diventano dei mali che affliggono le radici, che noi dobbiamo saper riconoscere ma poi lasciare andare: dobbiamo archiviare il passato! Nelle società tribali si viveva in famiglie allargate e tutto avveniva nel gruppo, quindi non potevano avvenire dei conflitti perché la coesione della famiglia o clan era prioritaria. Visto con mentalità moderna, vi era un controllo familiare soffocante che impediva ogni libertà e ogni indipendenza dell’individuo singolo, il quale non aveva possibilità di manifestare l’espressione delle sue emozioni e delle sue preferenze: tutto era finalizzato alla bruta sopravvivenza di vita.

Una persona adulta dovrebbe essere in grado di svincolarsi dalle dinamiche che ha ereditato dai genitori, altrimenti non saprà mai essere presente a se stesso e non potrà manifestare la propria vera essenza. Tutte queste dinamiche sono inconsce, chi le mette in atto non ne è consapevole, e quando le attua si comporta passivamente, per questo è necessario avviare un lavoro di “testimone” a noi stessi, risolverle e poi lasciare andare il passato.

Noi non siamo la copia dei genitori o della famiglia, siamo noi stessi, noi siamo persone con la nostra personalità e se avessimo una mentalità moderna e un’intelligenza mediamente sviluppata, dovremmo vivere credendo che l’essere umano sia qualcosa di meglio di un cavernicolo evoluto, perciò dovremmo credere che l'uomo possa affrancarsi da ogni passato.

Buona erranza
Sharatan

domenica 21 marzo 2010

Una via coraggiosa


“Il coraggio è il primo requisito della spiritualità.
I vili non possono essere morali.”

(Mahatma Gandhi)


Quando iniziamo a lavorare spiritualmente sulle nostre fondamenta, cioè sulle radici familiari, non possiamo ricevere dei dati e poi elaborarli come se fossero delle informazioni da riordinare: è così che funziona il mentale, ma non è questo il metodo migliore per elaborare le informazioni familiari che sono piuttosto, intessute di emozioni e di sentimenti. Questo è un lavoro che non è adatto alla mente ma è un lavoro per il cervello cardiaco, perciò si usano gli occhi del cuore.

La via del cuore è una via più dolce rispetto all’indagine mentale, ed è più adatta al caso nostro, perché qui non dobbiamo mettere ordine o prendere in mano le redini di una situazione, e neppure operare alcun cambiamento interiore: noi facciamo l'osservatore. Se facciamo amorevolmente questo duro lavoro, allora sapremo pacificare il nostro cuore per affrancarlo dai condizionamenti familiari che abbiamo ereditato. Altro pre-requisito iniziale è sospendere il giudizio su quello che andremo ad osservare anche se astenersi dal giudicare, è talmente difficile, che raramente lo sappiamo fare in modo ottimale.

Ricordiamoci allora che, in questo caso, il giudizio sarà pagato ad un prezzo molto alto soprattutto quando passeremo dal giudizio inflitto agli altri a giudicare il valore delle nostre azioni in quelle situazioni, perchè allora lo faremo con lo sguardo gelido e implacabile che riserviamo solo a noi stessi, e che agli altri non potremmo mai riservare: allora ci tratteremo più crudelmente di quanto possiamo crederci capaci.

Sospendiamo il giudizio totalmente se vogliamo raggiungere un maggiore livello di consapevolezza, sospendiamo le nostre categorie personali sui concetti di bene/male, di torto/ragione, di giusto/ingiusto, e tutti gli altri condizionamenti appresi, e lasciamo fuori dalla porta ogni abito mentale, per consentirci di vedere la realtà in modo totale, per poter comprendere fino in fondo perché una persona ha agito in un modo piuttosto che in un altro. Sospendere il giudizio davanti a quelle che ci appaiono come le peggiori ingiustizie di cui si può soffrire, è anche una prova di forza e di coraggio.

Se sospendiamo il giudizio non significa che possiamo giustificare ogni prepotenza o torto, come pure non assolveremo coloro che si sono macchiati di efferati delitti, ma significa semplicemente che sappiamo usare gli occhi del cuore per restituire la dignità umana sia alla vittima che al carnefice, poiché di entrambi sapremo comprenderne le ragioni.

Molto spesso nell’Anima familiare vi è un “non detto,” un senso implicito che fa pressione su di noi, come se ci fossero dei conti in sospeso che l'Anima familiare ci sprona a riconoscere, a risolvere e superare: questo meccanismo è funzionale all’evoluzione della razza umana e delle singole coscienze che ne fanno parte, perchè vengano ricordati gli errori e i torti degli Antenati alle generazioni future, affinchè non possano più ripeterli.

Se sappiamo riconoscere le parti irrisolte, ma anche le parti più nobili della nostra stirpe familiare, sapremo liberarci dalle emozioni e dalle azioni ripetitive che tali meccanismi alimentano in noi, sapremo affrancarci dai retaggi atavici per diventare manifestazione di noi stessi, e non saremo solo dei primati evoluti che ripetono ossessivamente degli schemi incisi dai condizionamenti.

Se sappiamo lavorare amorosamente sulle nostre radici, sapremo riconoscere il luogo da cui veniamo e riporteremo dal nostro viaggio di saggezza tanta pace, benessere e amore. Conoscere la verità ci rende sempre liberi, e noi saremo liberati dal nostro passato e dalle sue ripercussioni negative nel nostro futuro.

Per lavorare sulle consapevolezze radicali dobbiamo usare le sensazioni che sentiamo nel nostro corpo, perché è il corpo che ci fa ricordare, mettendo l'accordo tra il sentimento e l'emozione. E' il corpo che fa affiorare alla memoria quello che ci rende felici, e quello che ci rende disperati, perchè è alle sensazioni corporee che sono collegati i nostri sentimenti più profondi, cioè i sentimenti più viscerali.

Non ci viene chiesto di capire con il mentale, ma di usare la nostra carica energetica all’interno del sistema familiare per liberarla tramite la tecnica sciamanica del riconoscimento, del recupero, e della reintegrazione dei frammenti dell’Anima familiare. Questo lavoro di consapevolezza ha lo scopo di sanare schemi mentali e ferite familiari che ci rendono infelici, rabbiosi e insoddisfatti.

Per i lavori faticosi è indispensabile l’utilizzo delle vie della dolcezza, perchè esse non sono disturbate dal mentale, e perchè usano le attivazioni sensoriali e le emozioni viscerali, su cui la ragione non ha alcun controllo. E' per questo che, nella letteratura spirituale, si afferma che coloro che usano tecniche dolci e non invasive in tutte le circostanze della loro vita, riescono a raggiungere la serenità e la comprensione suprema.

Nel primo passo dolce dobbiamo "Osservare" poiché non possiamo controllare nulla nel mondo, ma possiamo solo valutare le cose, e adattarci agli accadimenti esterni. Spesso noi agiamo inconsapevolmente, e non notiamo neppure più il senso delle nostre azioni, perché è normale comportarci in un certo modo: allora accettiamo che anche gli altri possano agire in modo simile al nostro, cioè inconsapevolmente.

E' così che le persone, obnubilate dall'ipnosi, tendono a ripetere i meccanismi che sono abituati ad utilizzare. Un primo passo soddisfacente sarebbe quello di riconoscere una certa presenza di ipnosi mentale in tutti gli individui. Da questa comprensione deriverà, essendo necessaria, l’attivazione di osservazione spassionata e attiva presenza ai nostri comportamenti e ai comportamenti degli altri, per poterne valutare la vera qualità: questa è la "presenza del testimone" così come descritta da Osho.

Facendo gli testimoni imparziali diminuirà il nostro rifiuto inconscio riguardo a determinati accadimenti passati, e inizieremo a poter concepire anche ciò che ci appariva inconcepibile o inaccettabile. A volte dimentichiamo che il solo fatto che un pensiero o una concezione siano gettate fuori dal nostro recinto mentale, non significa che esse finiscano di influenzarci, ma significa solo che noi facciamo a meno di loro, e che rinunciamo al loro contributo alla nostra evoluzione, mentre loro continuano a esercitare la loro influenza.

Se avanziamo di un secondo passo sappiamo "Capire" che, se le cose della vita sono andate in un certo modo, era bene che andassero così, e che la vita contiene il bello e il brutto perché queste sono le regole del vivere; tutti fanno ciò che possono, e ognuno agisce secondo le proprie capacità comprensive: se qualcuno avesse saputo fare meglio, sicuramente l’avrebbe fatto.

Nel ricapitolare gli avvenimenti profondi, è probabile che tante situazioni di rifiuto rinascano alla nostra mente, e che giungano delle emozioni violente e dolorose. Valutiamo che queste sono emozioni che ci agitano, e che agiscono su noi come macine mentali, esse ci fanno soffrire perchè i vecchi schemi mentali non sanno adattarsi velocemente a nuove coordinate.

Questo è il rischio di fermare l’evoluzione spirituale, ed è causato dalla mancanza di coraggio del ricercatore, e per la sua incapacità di tollerare il dolore mentale che accompagna la crescente sensibilità spirituale che la nostra Anima acquisisce. Se osserviamo delle macine mentali eliminiamole perché ci impediscono ogni felicità futura, ancorandoci all'infelicità passata.

Al terzo passo dobbiamo "Accettare" ciò che è avvenuto e ciò che avviene nella vita come buono per come è, perchè le cose accadono al momento giusto e nel modo migliore per noi: esse si manifestano nel modo più opportuno per offrirci il migliore insegnamento e la massima esperienza evolutiva. Non si creda che l'accettazione possa trasformare le tragedie in commedie, perché l'accettazione non equivale alla gioia, ma essa può lenire le sofferenze della vita.

L’accettazione riguarda la suprema comprensione che ogni persona ha le proprie tematiche, che ognuno cerca di percorrere la sua via al meglio, e che ognuno ha un suo destino personale su cui agisce con il suo libero arbitrio, che è prerogativa di ogni essere umano. E’ con l’accettazione che si inizia ad amare una persona anche per le sue imperfezioni, è con l’accettazione che impariamo ad amare il difetto dell’altro, e finiamo per amarlo anche in noi stessi.

All’ultimo vi è la "Decisione" di operare un cambiamento, il quarto passo che dimostra il coraggio di cercare un cammino di evoluzione, che non prevede l’abiura dalle nostre origini ma, piuttosto, la riappriopriazione cosciente e la partenza dalle fondamenta familiari: perchè é nella Fonte che è contenuta l’Essenza e l'evoluzione dell'Anima nostra.

Quando siamo davanti alla vita, dobbiamo avere il coraggio di chiederci se la scelta che facciamo ci rappresenta, se essa costituisce la nostra vera essenza, e se una certa via ci rende felici, noi dobbiamo saperci chiedere: “Ma questa è la cosa che Io voglio?” E se la risposta è un "No!" allora non dobbiamo più pensare, ma è giunto il momento di cambiare direzione. Ci sarà sempre un’intervallo di tempo tra la presa di coscienza e la volontà di cambiare via, ci saranno dei momenti in cui ci assaliranno dei dubbi e saremo nello sconforto, ma ciò accadrà solo se ci dimentichiamo che nessun destino è fisso ed irreparabile.

Non dobbiamo dimenticare che l’azione si trasforma nell’attimo presente, e che si cambia la vita con l'esercizio di una ferma volontà, poichè nessuno è vittima di ciò che non vuole: questo è il modo per trovare il coraggio di prendere in mano la nostra vita, senza il timore di diventare il mozzo, il marinaio, il nocchiero e il capitano di noi stessi. Se facciamo l’analisi delle nostre radici, ma guidati dagli occhi del cuore e dai nostri più profondi sentimenti, sorgerà in noi la profonda convinzione che noi siamo una persona incantevole e meravigliosa, perché noi siamo meravigliosa Essenza Divina che può percorrere qualsiasi via coraggiosa il Padre abbia tracciato per noi.

Buona erranza
Sharatan


domenica 14 marzo 2010

Il potere del cuore


Nei tempi passati, delle civiltà e delle culture molto più spirituali e profonde della nostra hanno affermato che il nostro cuore è una suprema fonte di saggezza: oggi sappiamo che questo corrisponde a verità per merito di alcune ricerche scientifiche condotte negli ultimi 10 anni presso l’Institute of HeartMath di Boulder Creek, in California, che hanno rivoluzionato le concezioni scientifiche precedenti riguardo alle emozioni.

Precedentemente, gli scienziati credevano che le emozioni non fossero altro che delle espressioni mentali generate dal cervello: oggi sappiamo che le emozioni coinvolgono sia la mente che il corpo. Si è scoperto che i segnali neurologici ed ormonali che giungono tramite le strutture del corpo fino al cervello, non solo regolano le funzioni fisiologiche, ma contribuiscono pure alla percezione del mondo e all’elaborazione emozionale della nostra realtà.

Le percezioni corporee vengono trasmesse al cervello, con la stessa ampiezza di segnale ma anche con lo stesso ritmo e la stessa struttura che posseggono durante la percezione corporea stessa: tale modalità di percezione e trasmissione dimostra che il ruolo del cuore è estremamente importante per la creazione di memorie emozionali.

Il cuore, affermano gli scienziati, è ben più di una pompa infatti esso funziona anche da ghiandola ormonale, ed è un organo sensoriale e un centro di codifica e di elaborazione delle informazioni, esso possiede un suo sistema nervoso intrinseco, che è sufficientemente sofisticato da poter essere chiamato “cervello cardiaco.“

In virtù dei suoi circuiti neuronali e della sua memoria cellulare, il cuore può apprendere, può ricordare, può prendere decisioni funzionali indipendenti dal cervello craniale, cioè esso decide indipendentemente dalla razionalità. Tramite ogni suo battito, il cuore trasmette al cervello gli schemi corporei e tutte le informazioni neurologiche, ormonali, elettromagnetiche e di pressione che andranno a costituire la base neurofisiologica della nostra esperienza emozionale.

Se tutti gli organi del corpo posseggono la capacità di emettere una carica elettromagnetica all’interno di un campo d’azione ebbene, il cuore possiede il campo elettromagnetico più potente. Secondo i ricercatori Glen Rein e Rollin McCraty, dell’Institute of HeartMath, il campo elettromagnetico del cuore è migliaia di volte maggiore di quello del cervello: esso si estende fino a 1,5-2,4 metri dal corpo.

Secondo questi studiosi se usiamo tecniche di self-management mentale ed emotivo appositamente ideate, se utilizziamo delle tecniche con cui calmiamo la nostra mente, se iniziamo a spostare la nostra consapevolezza sull’area cardiaca, e se ci concentriamo su emozioni positive, allora raggiungiamo lo stadio di “emotività coerente“ che può renderci più sereni ed armoniosi.

Essi hanno dimostrato che l’impiego cosciente delle emozioni può modificare il DNA umano, perciò direi che hanno dimostrato come il potere del cuore abbia la potenzialità di fare miracoli. Gli studiosi hanno fornito la prova che un buon uso del potere del cuore ci permette di acquisire facoltà d’ordine superiore, che possiamo incrementare le nostre facoltà di apprendimento, che possiamo ottimizzare i nostri processi decisionali, e che possiamo migliorare il nostro comportamento emozionale e il nostro vivere sociale.

Il mondo tecnologico in cui viviamo soffre della sindrome dell’usurpatore spiegata dalla parabola di Gurdjieff, in cui egli paragona la condizione umana alla carrozza trascinata dai cavalli. La carrozza è il corpo fisico con struttura materiale e bisogni, i cavalli sono i nostri istinti e i sentimenti che il cocchiere, che è la mente, deve saper governare mentre il padrone della carrozza, che giace dormiente nella vettura, è la nostra Anima.

L’Anima è sopra la mente e sopra il corpo perché essa, pur essendo consapevole di queste necessità, può anche decidere di abbandonare il corpo per evadere oltre le barriere illusorie del tempo e dello spazio. L’uomo di oggi, afferma Gurdjieff, è talmente confuso che non è consapevole neppure di avere un’Anima, figuriamoci se può avviare il lavoro sacro su di essa.

Ai nostri giorni la desolazione spirituale è molto più accentuata, ma noi possiamo cominciare il miglioramento della nostra Anima (cuore), avviandone la crescita e la purificazione con l’uso di tecniche fisico-igieniche di rivitalizzazione dello Spirito di Vita. Noi possiamo liberarci da quelle che l’induismo chiama vasana, cioè di tutte le peggiori tendenze negative accumulate nella nostra mente, e così pacificare mente e cuore.

Bert Hellinger è uno psicoterapeuta tedesco che ha vissuto come missionario 16 anni presso il popolo tribale degli Zulu, in Sudafrica. Egli, durante il soggiorno, notò che gli Zulu usavano dei rituali simili alla messa cattolica, nella struttura e nella funzionalità, e notò la loro venerazione per la sacralità del cosmo, perché per il popolo Zulu: “Il sacro è ovunque!”

Dopo il soggiorno tra gli Zulu, Hellinger lasciò il sacerdozio e s'interessò di varie tecniche terapeutiche rivolte al risanamento interiore umano. E fu dopo anni di studi e ricerche che egli scoprì che vi era, all’interno di una famiglia, il ripetersi di determinate dinamiche nel corso delle generazioni successive, e che esiste il bisogno di un equilibrio tra dare e ricevere.

Egli afferma che gli esseri viventi sono in continua evoluzione, perciò nelle situazioni bisogna immergersi completamente per potere apprendere ciò che c’è da apprendere, ma poi sapere procedere oltre, in continua evoluzione, lasciando andare ciò che non ci aiuta più a crescere.

Delle persone bisogna saper vedere la loro vera essenza e non ciò che vorremmo, e l’unica prerogativa per ottenere questa consapevolezza è l’esperienza diretta e la reale percezione della nostra condizione di vita. Il raggiungimento di una tale maturità ci farà pensare il mondo per quello che è, e non per quello che ci viene raccontato dagli altri.

E' così che verifichiamo anche la nostra vera Essenza, qualora valutiamo ciò che ci piace e ciò che ci disturba o ci fa male. In questo pensiero è concepito un essere umano che non è un monolite ma un sistema complesso ed integrato, un essere in dinamica evoluzione con la realtà in cui è immerso: questo è il rapporto uomo/cosmo creduto dagli Zulu.

La nostra mente occidentale è abituata a tali assurdità da non saper ricordare le verità antiche. Essa sarà oggi confortata da tangibili prove scientifiche sul potere della volontà irradiata dallo spazio sacro del cuore, che è un potere più forte del potere mentale, così come detto dalle culture tribali: noi occidentali non crediamo nel potere del cuore, perché a malapena sappiamo barcollare nei meandri del mentale.

Buona erranza
Sharatan


giovedì 11 marzo 2010

Una zattera sull’oceano


Guardando alle persone delle epoche passate pensiamo, ingenuamente, che esse siano molto diverse da noi. Non riusciamo a comprendere, per nostra ignoranza o per ingenuità, che essi erano persone perfettamente uguali a noi: gente che aveva bisogno di una disciplina e di una guida che li rendesse capaci di manifestare i loro talenti: cioè di scoprire la loro vera essenza. Erano persone che volevano manifestare la loro più profonda spiritualità.

Il taoismo è una disciplina che può rispondere pienamente a questa esigenza, perché è un sistema di pensiero che è ancora vivo ed attuale nella sua primaria idealità, cioè conciliare cuore e mente. Malgrado noi possiamo studiarne la filosofia di vita, praticare la meditazione, apprendere il Qigong, praticare la marzialità, malgrado tutto dovremmo sempre rammaricarci per non poterne penetrare fino in fondo tutta la sua pregnanza fino ad apprezzarne la moderna vitalità.

Nel taoismo, la disciplina fisica e la ricerca filosofica sono entrambi propedeutiche alla meditazione, e la meditazione è la via fondamentale per accedere alla spiritualità: è nella meditazione che ci apriamo alla voce dello spirito, alla vera essenza e conquistiamo la fiamma della vita. Ma i metodi per giungere a quest’obiettivo sono differenti, perciò ci riesce difficile apprezzarli in uno sguardo d’insieme, che viene ulteriormente limitato dalla mancata conoscenza della lingua cinese.

Nel cinese, che è una lingua ideografica, vi sono dei segni simbolici cioè dei segni che esprimono concetti, di cui bisogna penetrare il profondo simbolismo: ad esempio l’ideogramma del Tao mostra al centro una persona che è rappresentata dalla testa con due ciuffi di capelli e, in basso, vi è il segno di una biforcazione che mostra il movimento su un sentiero, cioè una via.

Il cinese è una lingua che usa molti elementi di simmetria per esprimere i suoi concetti, come nell’espressione “Quando il sole tramonta, la luna sorge. Quando la luna sorge, il sole tramonta” con cui si esprime il susseguirsi dei cicli dell’esistenza e l’infinito ordine dei ritmi dell’alternanza: cioè il ciclico alternarsi di yin e yang. Il taoismo usa delle sfumature linguistiche a cui attribuisce particolare significato con cui dobbiamo familizzare.

Siccome, in ogni epoca, le persone cercano di definire sé stessi e di trovare la loro strada nella vita si può dire che, in ogni epoca si è cercato un Tao: per questo stesso motivo, in tutte le epoche in cui le persone che cercano le vie, faticano ad applicare una vantaggiosa pratica, la flessibilità della mentalità taoista può giungere in aiuto.

Per i taoisti, un completo sistema di vita è interamente spirituale, ma il significato di spiritualità è concepito in modo concreto, come una concezione non astratta ma radicata profondamente nel corpo e nella vita. Lo spirito, per il taoismo, pervade tutta la vita perché tutti gli aspetti della vita sono intrisi di significato spirituale, fino ai più semplici elementi della quotidianità.

Tutto deve essere fuso in un insieme coerente, a tutto ci si deve avvicinare con un approccio equilibrato secondo la dualità di fisico e mentale, di inerte e di attivo, del raffinato e del grezzo: in tutti questi aspetti dobbiamo trovare l’equilibrio, la giusta Via di Mezzo.

Se vogliamo essere taoisti, non dobbiamo subire alcuna amputazione di aspetti della nostra personalità o della nostra vita, non dobbiamo abbandonare il lavoro o trascurare i nostri affetti, non dobbiamo trascurare la nostra famiglia. Per aspirare ad una vita da moderno taoista, è sufficiente equilibrare le varie componenti della nostra personalità e dare loro un centro di gravità certo: questa integrazione il taoismo la chiama la Via del Guerriero Saggio.

Questa via è espressa dal termine “wen wu xing” il cui ideogramma rappresenta 3 caratteri, di cui il primo è la sfera culturale, il secondo è il mondo materiale e il terzo è la via pratica o il sentiero: queste sono le sfere che il Guerriero Saggio deve coltivare. Questa è l’integrazione tra le diverse sfaccettature della vita umana a cui tutti i taoisti sono chiamati a ottemperare.

Perciò il taoismo usa pratiche che riguardano il corpo, la dieta, la respirazione, l’erboristeria, gli studi filosofici e la meditazione, utilizzate come pratiche di apertura alla via del Tao. Nel taoismo si parte con semplici esercizi fisici e con elementari norme igieniche perché tutti i fattori umani sono egualmente importanti, perciò essi non vanno trascurati.

Tutti i nostri aspetti sono ugualmente importanti nella giusta pratica di nutrimento della nostra vita, perciò dobbiamo fare attenzione a ciò che mangiamo, agli esercizi fisici che pratichiamo, al modo con cui ci prendiamo cura del nostro corpo fisico, ma anche al nostro modo di pensare e alla qualità dei nostri più elevati ideali spirituali.

Se avremo la costanza di seguire una serie di pratiche taoiste questo equilibrio diventerà la nostra seconda natura e acquisteremo un occhio più elevato e illuminato dalla contemplazione del supremo equilibrio del Tao. Così vivremo più a lungo, saremo più sani e più saggi perché in grado di penetrare il significato profondo dell’esistenza.

Per vivere come un taoista non bisogna privarsi di nulla, e non bisogna fare pratiche eccentriche, non siamo discriminati in base all’età, alla razza o al sesso di appartenenza: quello che conta è la percezione personale e la bontà del risultato pratico. Essere Guerriero Saggio euivale a dire di essere un taoista: questi termini sono perfetti sinonimi.

Nel taoismo si segue la pratica come si vuole, e si accettano solo le concezioni di cui condividiamo il significato, si segue solo ciò che può essere sperimentato personalmente: si entra solo se siamo convinti della bontà delle pratiche: la via del Guerriero Saggio è la via della coltivazione del sé.

Si narra di uno studente detto il Realizzato che salì sulle montagne per studiare il Tao. Chiese al maestro, il taoista della Spiaggia dell’Oca del Sud, da quanto tempo vivesse sulle montagne. Questo è un modo assai riguardoso per la mentalità cinese, per rivolgersi ad un maestro, al fine di chiedere notizie sul suo sentiero e sulla sua filosofia.

Il Maestro della Spiaggia dell’Oca del Sud sorrise, e poi rispose che disdegnava i valori e i lussi mondani, che rifuggiva dagli onori e che amava la meditazione. Egli sedeva, meditando in solitudine, mentre la vita scorreva e mentre passavano le generazioni. Nell’udire tale risposta, un maestro taoista più esperto, chiamato Ingannatore del Pericolo, osservò che, se tutte le cose del mondo mutano e si trasformano, bisogna mutare con loro. E' necessario essere perfettamente consapevoli di tutto, e mantenersi in disparte:

“Come una zattera alla deriva sull’oceano, non importa dove mi dirigo o mi fermo. Raggiungere il Tao è una questione di moto continuo. La vera natura nasce dallo splendore profondo.” Essere taoisti significa diventare come l’Ingannatore del Pericolo, che non disdegnava nulla e che fluttuava noncurante nell’immenso oceano del Tao.

Buona erranza
Sharatan

lunedì 8 marzo 2010

La creazione del mondo


Un uomo, mentre era in viaggio, per caso entrò in paradiso. Nel paradiso concepito dagli hindù esistono alberi che soddisfano i desideri. Ti siedi semplicemente sotto uno di loro, desideri una cosa qualsiasi, e immediatamente viene soddisfatta: tra desiderio e appagamento non c’è alcun lasso di tempo. Tu pensi, e immediatamente la cosa si concretizza. Questi alberi rappresentano simbolicamente la mente. La mente è creativa, creativa con i suoi stessi pensieri.

Quell’uomo era stanco, per cui si addormentò sotto uno di questi alberi. Quando si svegliò, era molto affamato, per cui disse: “Quanto vorrei poter trovare del cibo da qualche parte!” E immediatamente il cibo apparve dal nulla, fluttuava nell’aria; erano manicaretti deliziosi. L’uomo divorò ogni cosa e quando si sentì sazio, in lui sorse un altro desiderio: “Se solo potessi avere qualcosa da bere…” e poiché in paradiso non esiste alcun proibizionismo, immediatamente apparvero vini pregiati. ...

Dopo aver bevuto, mentre si rilassava alla fresca brezza del paradiso, quell’uomo iniziò a chiedersi: “Cosa sta succedendo? Sto sognando? Oppure ci sono nei pressi dei fantasmi che si prendono gioco di me?” E subito comparvero dei fantasmi: feroci, orribili e stomachevoli. L’uomo si mise a tremare e in lui sorse un altro pensiero: “Adesso di certo verrò ucciso. Questi mostri mi uccideranno!” E fu ucciso!

Questa è una parabola antica, il cui significato è molto profondo. La tua mente è l’albero dei desideri: qualsiasi cosa pensi, prima o poi si avvererà. A volte lo spazio tra il desiderio e il suo compimento è talmente grande che ti dimentichi completamente di avere mai desiderato proprio quella cosa.

A volte passano anni, a volte addirittura delle intere incarnazioni, per cui non sei in grado di risalire alla fonte. Ma se osservi con attenzione, e in profondità, vedrai che tutti i tuoi pensieri stanno creando te e la tua vita. Essi creano il tuo inferno e il tuo paradiso. Creano la tua infelicità e la tua gioia. Creano il negativo e il positivo. Ognuno di noi è un mago; ognuno tesse e ricama un mondo magico intorno a sé… e poi ne resta intrappolato. Il ragno stesso è intrappolato nella sua tela.

Quando lo comprendi, le cose iniziano a cambiare. A quel punto puoi giocare con la vita: puoi cambiare il tuo inferno in paradiso, si tratta solo di dipingerlo partendo da un’altra prospettiva. D’altra parte, puoi amare a tal punto la tua infelicità da crearne quanta ne vuoi, a piacimento!

Ma in quel caso non ti lamenti più, poiché sai che si tratta di una tua creazione, è un tuo dipinto, non puoi renderne responsabile qualcun altro. In quel caso, l’intera responsabilità è solo tua. Allora nasce una nuova possibilità: puoi smettere di creare il mondo, puoi non crearlo più. Non è più necessario creare il paradiso e l’inferno, non è più necessario creare. Il creatore si può rilassare, può ritirarsi.

Buona erranza
Sharatan

venerdì 5 marzo 2010

L’infinito sapore dell’insapore


In occidente possediamo un termine che viene detto “sviluppo personale” e costituisce un processo di preservazione e di depurazione della persona: in questa convenzione vi è molto di quello che conosciamo come pratica taoista. Nell’uomo esiste l’alternativa tra il disperdio delle forze vitali spingendole fino all’esito esiziale, fino alla fatalità della morte oppure all’elevazione del Tao della Saggezza.

Come si può decantare un essere fisico per “conservarlo” nel suo rigoglio e, così garantire un pieno regime taoistico di vitalità? Secondo Zhuangzi, o Chuang-Tzu, l’autore del Zhuang Zhuo, un testo risalente al 370-286 a.C., noi dobbiamo sbarazzarci di tutte le attività e di tutti i saperi che non concorrono a questo effetto, e che non servono a tale finalità.

Colui che “accede alla vera comprensione di ciò che costituisce il destino” non si occupa di ciò che resta senza effetto ai fini di tutto questo: perciò fa piazza pulita di tutte quelle considerazioni che non sono buone o legittime a tale obiettivo. Se per nutrire la nostra forma fisica è necessario poter godere di beni materiali, è pur vero che possiamo godere di un eccesso di risorse e di beni materiali, senza riuscire a “garantire la nostra vitalità.”

Certamente non bisogna rinunciare alla nostra forma fisica, ma dobbiamo farlo senza che vi sia una “dissociazione della nostra forma fisica” perchè, può accadere di poter perdere malgrado tutte le nostre cure, la nostra vitalità. Zhuangzi ci avverte che nutrire la forma fisica non è sufficiente a nutrire la vitalità, essa è una condizione necessaria ma non sufficiente perchè serve ancor più, infatti nessuno elemento spirituale può essere separato dal corpo materiale. E’ questo il dilemma di come poter passare dal corpo a ciò che concepisco come “la mia vita.”

La soluzione consiste nel concepire ciò che può trascendere la forma fisica, cioè come vitalizzarla ed energizzarla, senza soffrire della dissociazione e poi, saper sperimentare tutto ciò nell’esperienza, e nell’azione reale facendo la fusione del fisico e dello spirituale. Come trovare il punto d’appoggio e come tentare un’elevazione che faccia attuare il “salto” qualitativo? Il pensiero cinese conosce uno stato transitorio del tempo che chiama il “sottile” e che non lascia i confini del tempo permanendo nel campo del fisico e del concreto.

Nel sottile vi è uno stato raffinato ed elevato, che è affrancato da ogni pesantezza, da ogni limite e da ogni opacità della forma concreta. Il pensiero cinese si è sempre molto appassionato allo studio di ciò che è sciolto e decantato, da ciò che è reso più “vivo” e più disponibile, da ciò che è meno reificato da contaminazioni: qui è la manifestazione dell'essere al massimo del suo effetto.

Nell’estetica cinese vi è l'attrazione per l’ebbrezza del vuoto, così come viene manifestato dall’infinito sapore dell’”insapore” e anche dai suoni e dalle raffigurazioni pittoriche, in cui si descrive uno stato di transizione tra il silenzio e la sonorità nella musica, tra il vuoto e il pieno nella pittura.

Nell'estetica cinese vediamo forme o suoni appena abbozzati e che quasi fuggono, sono degli elementi potenti e intensi nel loro ritrarsi. Vediamo forme appena abbozzate che appaiono in modo diffuso, forme pregnanti e pervasive, ma sono delle forme che possono emanare indefinitamente.

Lo stadio del sottile è la strategia della flessibilità e della duttilità, ed esso esiste in una manovra che deve operare a monte delle disponibilità ad essere, e che perciò ci rende relativamente inerti. Io, sapendo restare all’erta, pur nella mia placidità, divento impossibile da colpire per l’avversario e, nel contempo, per l’estrema reattività che mi è propria, il mio potenziale risulta perennemente rinnovato perciò, stando apparentemente immobile io mi ricarico.

Il mio avversario, invece, resta impacciato e bloccato dalla rigidità dei suoi piani strategici e dei suoi ordini mentali. Io, immobile, mi mantengo allo stadio agile del virtuale mentre l’altro, il mio avversario, è ridotto ad incagliarsi alle rive fangose, perciò resta impantanato nelle secche dell’attualizzazione: è così che lui mi offre una presa! E’ questo lo spirito di tutte le arti marziali cinesi: questa è la vera essenza della marzialità!

E lo Zhuangzi offre le pratiche più concrete a questa finalità di comprensione: è questa “l’essenza” o la “quintessenza” o il “fiore” o “la prima scelta” la “selezione” e “l’energia:” questo è lo "jing". Jing è un termine che è ascritto al campo fisico ma con modalità raffinata, perché originariamente designava un chicco di riso scelto e brillato, e reso il “fior fiore di.”

Jing designa, sia lo sperma umano ma anche lo spirito del vino, come pure ogni materia che è stata decantata e assottigliata fino al punto di diventare pura energia, e che riesce a dispiegarsi per comunicare ovunque il suo effetto: jing si oppone al tangibile come pure all’opaco, all’inerte, al torbido e al grossolano.

Noi occidentali pensiamo a questi concetti come a dei residui di mentalità arcaica, perciò dimostriamo di considerare il recupero di ciò che può renderci più liberi e vitali come un fattore di ottusità ma è vero l'esatto contrario. Viviamo nel rimosso di ogni nostro fondamento come se questo fosse un fattore d’intelligenza, e questo noi lo crediamo fermamente, mentre la realtà ci mostra tutt'altro. Questo viene definito intelligenza!

Noi, che ci sentiamo superiori, non sappiamo neppure valutare una teoria a seconda dei danni o dei vantaggi che essa ci procura, perciò sarebbe ormai vitale recupare la nostra vera “quintessenza” sia in senso concreto che in senso figurato. Se fossimo del partito di coloro che aspirano ad accettare tutto ciò che appare come vantaggioso e benefico, senza stare tanto a sottilizzare sulla sua provenienza allora, a questa quintessenziale intelligenza sul modo migliore di vivere, utilmente potrebbe contribuire Zhuanzgi.

Buona erranza
Sharatan

martedì 2 marzo 2010

Il Precettore della compassione


Il grande principe Mong Suen era a caccia con tutta la sua corte, e stavano cacciando in un bosco profondo. Ad un tratto, videro una cerva con il suo piccolo cerbiatto, e iniziarono a braccarli tra gli alberi perciò, velocemente, i due animali si ritrovarono accerchiati e senza via di scampo. La cerva disperata spiccò un grande salto, e riuscì a superare un fiume in secca, dal letto fangoso, mentre il suo cerbiatto, che avrebbe dovuto seguirla nella fuga, esitò troppo a lungo.

Il principe Mong Suen saltò come una tigre, e catturò il cerbiatto poi, tutto soddisfatto, lo consegnò a Qin Ba Xi, che era uno dei suoi più fedeli cortigiani, ordinandogli di conservarlo con cura e di portarlo nei giardini del suo palazzo. Allora Qin Ba Xi prese una corda, e la legò al collo del piccolo animale, poi salì sulla sua cavalcatura e prese lentamente la via del ritorno, mentre il principe Mong Suen si affrettò, al galoppo con la sua scorta, per giungere prima a destinazione.

Passarono alcune ore quindi, il principe Mong Suen mandò a chiamare Qin Ba Xi, per chiedere come avesse fatto con il piccolo cerbiatto, e come l’avesse sistemato nei suoi giardini ma, quando Qin Ba Xi fu al cospetto del principe si lasciò cadere sulle ginocchia. Qin Ba Xi chinò il capo, poi con voce calma ma sommessa disse al suo Signore: “Io Maestà vi ho sempre servito fedelmente, ma con il piccolo di cerbiatto non ho potuto farlo.

Oh mio Signore! Quando voi siete partito avanti con la vostra scorta, io ho iniziato a trascinarmi dietro il piccolo cerbiatto ma, mi sono accorto che sua madre, la cerva, ci stava seguendo da lontano e poi, quando mi sono fermato per fare abbeverare la mia cavalcatura, il piccolo stremato dalla lunga marcia si è lasciato cadere sull’erba, e allora la cerva si è avvicinata.

Ha iniziato a leccarlo, e a consolarlo dalla sua paura, lo leccava e mi guardava, e non si è allontanata neppure quando io mi sono avvicinato a loro. Ci siamo fissati a lungo, e io non ho avuto più il coraggio di separare la madre dal figlio. Allora ho sciolto la corda e ho liberato il cerbiatto, e li ho visti correre verso gli alberi, la cerva con il cerbiatto, e scomparire nel più profondo della foresta. Ora sono qui a confessare di avervi disobbedito. Ora Maestà voi sapere qual'è la mia colpa!”

Il principe Mong Suen, furibondo, colpì con il suo pugno il bracciolo della sua poltrona quindi saltò in piedi veloce come un fulmine, e urlò adirato fissando Qin Ba Xi: “Come osi confessare sfrontatamente la tua disobbedienza al mio ordine? Tu, come osi mettere in dubbio la mia volontà? Ti sei arrogato il diritto di decidere cosa fosse meglio senza ascoltare ciò che volevo io! E invece sia come io comando, che tu venga bandito dal Regno, e non avere la sfrontatezza di comparire mai più alla mia presenza. Che tu sia esiliato per sempre dal mio regno!”

Quindi Qin Ba Xi fu allontanato dal regno del principe Mong Suen, ma restò lontano solo per poco tempo, perché in tutto il paese fu proclamata la notizia che il principe Mong Suen aveva richiamato Qin Ba Xi alla sua corte, e lo aveva nominato Primo precettore e maestro privato del principe ereditario, il figlio amatissimo del principe Mong Suen. Alla cerimonia per quel prestigioso insediamento, uno dei cortigiani invidiosi di tale e tanta fortuna, si avvicinò al Sovrano e gli sussurrò insidioso:

“Vostra Celeste Maestà, questi non è quel Qin Ba Xi che vi ha sfacciatamente disobbedito facendo fuggire un cerbiatto?” Allora il principe si alzò in piedi e proclamò davanti a tutta la sua corte: “Questo che voi vedete è Qin Ba Xi a cui io devo tutta la mia riconoscenza, e che ha dimostrato compassione per un cerbiatto. E'stato così che mi ha dimostrato di essere il migliore precettore per il mio amato figlio. Mio figlio da lui potrà imparare il sentimento della compassione che è il migliore sentimento per il cuore di un regnante giusto.

Di lui ho pensato, che la compassione che ha dimostrato per il piccolo di cervo, la poteva riservare anche al figlio di un grande principe. E la compassione non è forse il sentimento più nobile che può abitare nel petto del futuro Imperatore del Celeste Impero? Perché non fu il Venerabile Lao-Tseu che disse: Essere Saggio significa conoscere gli uomini, essere Umano significa amarli …?”

Buona erranza
Sharatan