“Se non riesci a trovare la verità là dove sei,
in quale luogo speri di trovarla?”
(Dogen)
Il pensiero, nella maggioranza degli uomini, non è altro che accettazione delle idee degli altri. La nostra mente, dice Aurobindo, è come una sentinella insonnolita che fa passare qualsiasi cosa abbia una pur minima somiglianza con ciò che gli sembra familiare. E l'incapacità di pensare aumenta quando si deve riflettere su concetti astratti e non consueti. Persino i più intelligenti e curiosi si accontentano di credere a “sciocchezze inconsistenti” quando si trovano ad affrontare questioni troppo elevate o molto difficili.
Quando è necessario usare un pensiero sottile e preciso è facile provare impazienza, perché non si vuole affrontare il duro lavoro che è necessario per capire. Gli uomini pensano in modo sottile solo quando affrontano questioni concrete e pratiche. Non amano il pensiero sottile adatto alle questioni sottili perché l’intelletto umano è ancora uno strumento troppo rozzo. E non è inconsueto vedere che qualcuno fa uno scarabocchio e poi è felice perché crede di aver dipinto un quadro completo. E il pensare rozzo e parziale riguarda anche una questione importante come quella della rinascita.
La rinascita, anche per chi l’accetta, è compresa in modo superficiale perciò si accetta come una teoria o come un dogma. Nella teoria della rinascita si dice che l’uomo muore e che l’anima rinasce in un nuovo corpo. In primo luogo la rinascita è reincarnazione, infatti l’anima esce da una struttura corporea ed entra in un’altra struttura. Ma la cosa curiosa è che questo modo di pensarla fa immaginare che l’anima sia come il genio che esce ed entra dalla sua lampada.
Alcuni dicono che l’anima si plasma un corpo nell’utero della madre e, quando il corpo è formato, l’anima occupa il corpo che lei stessa si è plasmato. Non si riflette mai sulla nascita dell’anima ma si riflette soltanto sulla nascita del corpo che verrà occupato dalla personalità. E qui vediamo il tallone di Achille della cosa, perché l’aspetto che ci attrae di più, nella rinascita, è avere la sicurezza della sopravvivenza della nostra personalità.
È difficile, soprattutto per chi ama molto la vita, accettare che la mente finisce quando finiscono le circostanze del corpo fisico. La mente occidentale è affascinata dal concetto di una memoria mentale che continua ad esistere, e che possa rivivere in un nuovo corpo. La dissoluzione che temiamo è la scomparsa della coscienza ossia di ciò che siamo abituati a chiamare “me stesso”. Non c'è motivo migliore per crederci, perciò la reincarnazione è un'idea molto consolatoria.
Vogliamo avere la speranza che la nostra mente e la nostra memoria possano avere una ricomparsa fisica, affinché la nostra personalità possa continuare. Gli antichi maestri non la vedevano così, infatti non erano interessati all’immortalità della personalità. I maestri buddhisti e quelli del Vedanta non cercavano di conservare la personalità. Essi credevano che la personalità fosse un composto in continua mutazione perciò non cercavano l’immortalità di una personalità fissa.
Ma anche loro sentivano una continuità nelle rinascite, perciò indagarono sulla vera origine di questa continuità. Temevano che anche il senso d'identità fosse un'ennesima beffa del gioco illusorio che crea il mondo in cui viviamo. I maestri buddhisti negano ogni forma di identità e insegnano che non esiste un sé reale e neppure la persona. Dicono che esiste solo un flusso di energia che scorre in modo incessante, e che assomiglia al corso di un fiume. Perciò la continuità della coscienza nasce dal flusso continuo di queste energie.
È la mente che crea, la mente crea se stessa e, per farlo, usa il falso senso di identità. I buddhisti non credono di avere un’identità perciò non credono neppure che la rinascita sia necessaria per l’anima. Credono che resta solo il karma, perché il karma scorre di continuo in un flusso che non trova mai nessuna interruzione. È il karma che si reincarna. perciò è il karma che crea la forma della mente. Infatti la mente muta in modo costante e continuo.
Anche i corpi fisici sono il risultato del cangiante composto di idee e di sensazioni che diciamo essere noi stessi. Un Io sempre identico non esiste, non è mai esistito e non esisterà mai. Ma finché avremo l’illusione di essere una personalità resterà anche l'ignoranza sulla questione del ritorno in nuovi corpi. E c’è anche il punto a cui non si pensa ossia il fatto che un composto si possa disgregare e non crearsi mai più: anche il letto del fiume può andare distrutto!
Ma, in questo contesto, secondo i buddhisti, siamo nel Non-Essere ossia vediamo la cessazione e la liberazione: è il momento in cui l’errore si libera anche di se stesso. I maestri del Vedanta pensavano diversamente, infatti ammettevano l’esistenza di un’identità. Ammettevano l’esistenza di un sé permanente che, però, è diverso dal composto che chiamiamo noi stessi. Costui è il Sé, è l’Uomo reale, è il Signore di tutte le apparenze mutevoli.
Se non conosciamo il vero Signore non possiamo parlare di sopravvivenza della personalità, dice Aurobindo, perché “soltanto colui che va oltre la personalità sino alla vera Persona diventa immortale”. Finché non entriamo in questo tipo di coscienza, ci sembrerà che esista solo il ciclo dell'uomo che rinasce sempre di nuovo e poi muore. Fino ad allora, vediamo solo la forma che si sussegue alla forma, ma non avremo nessuna immortalità.
Esiste un continuo e costante formarsi e un riformarsi di diverse personalità che vivono in nuovi corpi, ma la personalità è solo una nostra creazione. Essa cambia di continuo, perché c’è una forza che lavora e che spinge sempre all’azione. Ma la forza non è mai la stessa forza perciò, il senso dell’ego in cui ci identifichiamo, ci spinge ad attaccarci al corpo. Per questo motivo, secondo Aurobindo, pensiamo di essere racchiusi in un nome e in una forma.
Ma l’antico Vedanta insegnava che esiste qualcosa al di là della forza che ci spinge all’azione, infatti esiste il Maestro di essa. Il Maestro fa in modo che la forza crei, per suo conto, sempre nuovi nomi e nuove forme. Egli è il Sé, è il Purusha, Egli è la Vera Persona. Il senso dell’ego è solo l’immagine distorta che viene riflessa nel fluire continuo della mente che è collegata al corpo fisico.
Il Sé non si reincarna e non ha bisogno di farlo, perché il Sé non nasce e non muore. Il Sé non è mai nato perciò non può esistere nel corpo, piuttosto è il corpo che viene plasmato per servire il Sé. Il Sé non può essere rinchiuso in una forma, ma può prendere qualsiasi forma, e può creare tanti oggetti diversi. Tutti i corpi sono nel Sé, ma anche questo è un’illusione collegata alla nostra percezione dello spazio. I corpi sono figure e simboli che il Sé ha creato nella sua stessa Coscienza.
Al momento della morte l’anima non lascia il corpo ma se ne spoglia come se si togliesse un abito. Lo strappo violento della morte è causato dalla sensibilità dell’involucro sottile ossia dal corpo eterico cioè dal corpo psichico legato al corpo. Il corpo fisico si collega al corpo eterico con la corda del cuore, con la corda dell’energia della vita e con l’energia nervosa che è stata intessuta in ogni fibra del corpo, dice Aurobindo.
Il Signore del corpo si porta via tutto questo, e lo strappo può essere violento o dolce oppure rapido o lento. Perciò è la forza di connessione che causa il dolore che sentiamo nella morte e la sua difficoltà. Abbiamo un signore della personalità che cambia continuamente e che, di nuovo, assume nuovi corpi. Ma il Sé reale si conosce sempre al di sopra di ogni mutamento, infatti Lui l’osserva e ne gioisce, ma non vi prende mai parte. La mente e il senso dell’ego sono strumenti inferiori, perché esiste una forma essenziale che l’Uomo Reale utilizza per sostenere e per rispecchiare il mutamento senza esserne mutato.
La forma più essenziale, secondo le Upanishad, è l’essere mentale ossia è la persona mentale che diventa il comandante della vita e del corpo. È lui che sostiene il senso dell’ego come funzione della mente. Lui ci consente di avere la ferma percezione di una identità che continua nel tempo, in opposizione all’identità senza tempo del Sé. La personalità che muta di continuo non è la persona mentale, ma è un insieme di materiali della Natura, è una formazione di Prakriti, per Aurobindo.
Esso è un composto molto complesso fatto da tanti strati: c’è lo strato fisico, quello nervoso, quello mentale, e c'è anche lo strato sopra-mentale. E, all’interno di tutti gli strati, ci sono ancora altri strati ulteriori. L’essere mentale, nel riprendere la vita corporea, forma una nuova personalità che è adatta alla nuova esistenza terrena.
Prende dalla materia comune del materiale organico e inorganico, del materiale mentale del mondo fisico e, durante la vita terrestre, assorbe costantemente del materiale fresco. Getta via tutto ciò che ha usato mutando i suoi tessuti fisici, nervosi e mentali. Ma questo è solo il lavoro di superficie, perché dietro a tutto questo, c’è tutto il fermento e il lavorio delle esperienze passate che viene sempre tenuto dietro la memoria fisica perché la nostra consapevolezza non ne venga turbata.
Non devono esserci delle interferenze da parte del nostro passato, perché dobbiamo essere concentrati solo sul presente. Il retroterra del passato è il nocciolo della nostra personalità, ma è anche molto di più. È il nostro tesoro a cui possiamo fare ricorso sempre, anche a prescindere da tutto quello che ci sta intorno. E questo rapporto si aggiunge alle nostre conquiste passate e modifica il retroterra che viene preparato per affrontare le vite future.
Buona erranza
Sharatan
in una candela che lentamente scandisce la sua fine...bruciando lentamente.
RispondiEliminaIl maestro Dogen ha colto l'illuminazione della vacuità della vita mentre assisteva sua mamma che moriva...come la candela che si consumava lentamente.
Buona domenica
Dogen ebbe una dura lezione se la comprensione arrivò assistendo alla morte di chi amava. Ma avrebbe compreso in modo diverso? Comprese in quel modo perché altrimenti non ci riusciva.
RispondiEliminaMolto spesso le verità più grandi che conquistiamo sono molto "costose"
Un caro abbraccio :-)