mercoledì 31 dicembre 2008

E chi non li ha visti?



Il 2008 non si deve chiudere senza l’elenco delle cose brutte da dimenticare. Io le cose da dimenticare le ritrovo tutte nella classifica VIP, i Very Inutil People italiani del 2008, un delizioso catalogo di personaggi non esemplari dell’anno, che mi viene ispirato dall’indagine condotta da “Novella 2000” una delle più autorevoli testate gossip, che premia ogni anno, i personaggi simbolo delle cronache rosa a cui spetta la corona di Re e Regina del Gossip.

L’indagine è condotta su 350 donne (18-55 anni) che hanno dichiarato di seguire le notizie di costume e di cronaca rosa.
Simona Ventura è trionfante con il 78%, seguita da Alba Parietti (63%), terza è la premiere dame di Francia Carla Bruni (56%). Quarto posto per Valeria Marini (47%), mentre al quinto la new entry del 2008, ovvero Belen Rodriguez (35%).

Il titolo di re 2008 spetta a Fabrizio Corona (76%), seguito dall’ex sconosciuto Rossano Rubicondi (74%) e da Stefano Ricucci (66%). Quarto posto per un insospettabile Morgan (61%), mentre chiude la cinquina Gabriel Garko (54%).

Esaminando le storie che hanno appassionato di più le italiane: al primo posto (81%,) il faraonico matrimonio tra la showgirl Elisabetta Gregoraci e Flavio Briatore. Secondo posto, per la separazione tra Rossano Rubicondi e Ivana Trump (72%).

Il must 2008 è la coppia Briatore-Gregoraci, che risulta la più spiata e la più seguita coppia dell’anno. Un matrimonio a suon di vip, ma senza Naomi Campbell, ex di Briatore e sua amica (indiscrezione pubblicata sul Diva e donna). Poteva essere un problema? Sappiamo che appena prima del matrimonio, scoppia una lite furibonda tra i due promessi sposi, ma poi tutto si risolve con 50 rose rosse, che Flavio si fa portare in barca velocemente per calmare Elisabetta e le amanti del gossip, tirano un respiro di sollievo. Il matrimonio poteva saltare, ma sembra salvo e la Naomi resta a casa. Le due cose sono collegate?

Flavio aveva da poco dichiarato il suo basta allo stress dell'alta velocità, basta girare il mondo per affari, basta con i tecnici, le bizze dei campioni e le conferenze stampa a profusione. Vuole lasciare tutto per amore di Elisabetta: ha aspettato 58 anni per decidersi e il 15 giugno 2008 compie il grande passo. Anche se non lo volevamo sapere, i giornali ci informano che i menù sono tutti italiani, assaggiati personalmente dallo sposo che adora l’aglio, ma l’ha bandito per amor di Berlusconi, invitato al tour de force matrimoniale completo. E io, che speravo che l’aglio l’avesse bandito in onore della sposa, scopro così che Eli si sarebbe deliziata di un tale aroma, alitato con passione la prima notte di notte.

Rossano Rubicondi, 36 anni, di Roma, ha impalmato la 59enne miliardaria Ivana Trump, in un mega matrimonio da 500 e più invitati nella tenuta di Mar-A-Lago, in Florida, costato più di 3 milioni di dollari. Ci sono 23 anni di differenza, ma la versatile Ivana – spiega Rossano a Vanity Fair - è tonica e fresca come una ragazzina di sedici anni, con un fisico scattante e supersexy, tanto sexy che, anche da un punto di vista sessuale, al giovane ragazzo non è consentito assolutamente risparmiarsi.

Per questo, il fisicato Rossano, e per disintossicarsi da una vita di cocktail party, balli di beneficenza, e dallo stress della vita da vero vip, decide di andare in Honduras e di spaccare cocchi all’Isola dei Famosi, mentre viene deliziato dal lato B di Belen Rodriguez. Malgrado le apparenze, vai a spiegare a tutti che non è successo niente, infatti lui pensava solo all’agente immobiliare Milu Vimo, la bionda che dichiara a “Novella 2000” che loro, già dalla primavera precedente, si amavano, regalando così un’ottima informazione ai legali della Trump.
Ma il mondo è malizioso e Luxuria ha “rivelato” la presunta storia di sesso tra Belen e Rossano.
“Non voglio credere che lui abbia pensato che io e Rossano sull'Isola abbiamo fatto sesso o chissà che cosa. Con lui ci sono state coccole, solo coccole” dice Belen allo scettico Borriello “Pensavo che Marco fosse più intelligente.” rivela poi a “Chi,” commentando la chiusura con il fidanzato, dopo il rientro dall'Isola dei famosi, e dopo le foto di un post- discoteca in cui Rossano se la sta ravanando nella penombra. Dice che lei ha dormito in albergo con sua sorella, e la slinguacciata di Rossano erano altre “coccole” tra buoni amici. Sarà, ma intanto Borriello resta scettico e la lascia!

Anche la Trump è scettica, e ritiene che la propria immagine sia lesa dal comportamento di Rubicondi, che quindi rischia non solo di perdere il diritto agli alimenti da parte dell’ex moglie, ma addirittura di dover sborsare una consistente cifra alla infuriata Ivana. Povero Rossano, si affanna a dire di non chiamarlo gigolò, perché il suo successo è solo frutto dell’impegno, dichiara: “Per avvicinarsi al Jet Set internazionale basta ricordarsi che in ogni città che si rispetti esistono 5 ristoranti e 2 locali di tendenza, se inizi a frequentarli entri nel giro. Ma ci vuole una grande personalità, se sei giovane, brillante, prestante, italiano, tutti ti vogliono perché trasmetti energia. Non puoi pensare di competere con gente che spende 1.500 sterline per una cena. Ti devi fare invitare.” Quindi basta con le cattiverie sul mantenuto-gigolò!
Purtroppo Rossano non accenna a ritornare nell’ombra dopo il rientro. Simona Ventura lo presenta come la sua ultima grande scoperta e poi gli offre un microfono, ma il poverino farfuglia. La Simo gli aveva chiesto se, secondo lui, le gemelle De Vivo facessero sesso a tre, ed era una domenica pomeriggio. La classe non è acqua!

All’elanco aggiungiamo anche quelli che avrebbero dovuto risparmiarci, che tanto eravamo inguaiati lo stesso.
Rosaria Cannavò è dimenticabile per la categoria “velina e calciatore”. Rosaria è stata fidanzata con Cassano ed è ora fidanzata con il calciatore Christian Panucci. In vena di confessioni la Cannavò, con candida innocenza, dalle pagine del settimanale “Vero”dichiara di non provare alcun imbarazzo a posare nuda, pensando che non ce ne fossimo accorti. E dire che non ce la ricordiamo affatto vestita, invece nuda …
Poi dimentichiamoci, nella categoria “tronisti” del coatto del Grande Fratello, Francesco Botta, preso di mira dalla Gialappa’s per essere diventato il nuovo “uomo zerbino.” E’ autore di sogni: “magari divento tronista e trovo la donna della mia vita a Uomini e Donne…” ma sono sogni affatto originali. Di tronisti ce ne sono anche troppi, e anche migliori di lui, per cui di lui potremmo anche fare a meno.

Per la categoria “Esagerate” è quasi inarrivabile Raffaella Fico che, tanto devota a Padre Pio al GF8, uscita dalla casa, dalle pagine del settimanale Vero diceva: “Sono ancora dell’avviso di preservare la mia verginità in nome dei miei valori. Sono ancora single, anche se davvero vorrei innamorarmi, ecco potrebbe essere uno dei miei propositi per il 2009. Il punto fondamentale è questo: non ho ancora trovato la persona di cui mi sono innamorata abbastanza per donarle me stessa. Ma se dovesse arrivare, allora…”.
Ma la stessa Raffaella, che aveva dichiarato di essere vergine “Non so che cosa significhi fare sesso” nel settembre 2008
in un’intervista esclusiva al settimanale “Chi” dichiarava: “Metto all’asta la mia verginità per un milione di euro. Voglio proprio vedere se c’è qualcuno che tira fuori questa somma per avermi” aggiungendo: “Se qualcuno pagherà un milione di euro per me, sarò di certo imbarazzata. Ma con questi soldi potrò realizzare i miei sogni. Comprarmi una casa a Roma e pagarmi un corso di recitazione. Se lui non mi piacerà, manderò giù un bicchiere di vino e pazienza.”
Forse non trova offerte, perché poi dirà “Non mi presterei più ad una cosa del genere. Non è stata recepita com’era nelle mie intenzioni. Mi ha fatto male sentire certe critiche e certi commenti esagerati…”.
Ma esagerata è stata lei, e non solo per il prezzo!

Ma vorrei dimenticare anche Giusy Ferreri, come “scoperta inspiegabile” e mi chiedo perché deve essere toccata proprio a noi? Non ce la potevamo perdere? E la lista diverrebbe lunga, allora la finirò un’altra volta. Intanto che la preparo, non c’è nessuno che potrebbe spegnere la Hunziker, che in over dose di mentine, sta zompettando da mesi? Ha vinto il Premio di personaggio femminile televisivo del 2008 e potrebbe saltare anche per tutto il 2009.

Buon anno!

domenica 28 dicembre 2008

Alla ricerca del miracolo di Natale


Anche quest’anno sono rimasta delusa perché non è arrivato il miracolo di Natale. Sono anni, e dico anni che lo aspetto, ma ogni volta devo rassegnarmi al fatto che il miracolo non arriva. Ma che miracolo vorresti, ma che ti piglia, ma che pretendi? Ma che pretendo? Per quello che mi riguarda un Natale è un Natale, solo se ti porta un bel miracolo. Non dico mica grande, mi accontenterei di vedere anche un miracolo piccolo piccolo, un miracolo stupido, miserabile, minimo. Anche minimo mi andrebbe bene, tanto per sostenere la mia speranza e invece, manco quello.

E allora mi sento truffata e vorrei querelare mia madre per non avermi impedito di rimbambirmi con le scemate sulle battaglie giuste, sugli ideali superiori e su altre menate simili. Poi penso di denunciare il mio professore di filosofia (che era pure comunista!) e forse anche il professore d’italiano (uno dei peggiori per le mie idee) che mi hanno condizionata con idee balzane e fuori moda, che mi creano ossimori mentali, e che causano la lotta interiore tra il concetto del pensare e il dover vivere consapevolmente nel mondo.

Scopro sempre più che viviamo in un mondo beffardo e ironico, in cui siamo privati dei nostri migliori sogni e speranze, quando ne avremmo maggiormente bisogno. Ma io spero di superare le mie sciocche aspettative e la mia patologica speranza del miracolo di Natale, perché è un retaggio infantile, irrazionale ed allucinato. Andrebbe superato e dimenticato per il mio stesso bene, ma non mi riesce, e continuo a leggere tante notizie sperando che, da qualche parte, sia avvenuto il fantomatico miracolo.

Leggo che un team di neurologi dell'Università del North Carolina, ha scoperto il modo di risolvere l'anorgasmia, usando un chip da impiantare nel cervello per stimolare l'orgasmo. La tecnica, detta “deep brain stimulation”, finora era stata utilizzata per curare i disturbi dell'apparato uditivo e visivo, ma verrà ora usata per risolvere l’incapacità di molte donne di concedersi il piacere.
"Quando la tecnologia verrà migliorata potremo controllare più zone cerebrali. Il chip dovrà essere sottile e potrà essere acceso o spento a seconda delle necessità - ha detto il neurochirurgo Tipu Aziz coinvolto nello studio - Tra dieci anni le applicazioni saranno stupefacenti: oggi non conosciamo neanche la metà di tutte le potenzialità di questa scoperta."

Potrebbe essere un vero miracolo? Spero proprio di no, e che non tutto si possa risolvere con un piccolo interruttore da impiantare nel cervello, che accende e spegne il desiderio a comando. Circa 10 anni fa, il dottor Stuart Meloy, neurologo dell'Università del North Carolina, impiantò nel cervello di una sua paziente uno stimolatore cerebrale del piacere. La donna, in seguito, decise di farselo togliere perché non riusciva ad adeguarsi ai nuovi stimoli. Più che un miracolo mi sembra un futuro problema, perlomeno per il controllo dell’interruttore, che poi non ho ben capito dove sarebbe posizionato.

E' assodato che le storie troppo romantiche fanno male alla coppia, perché causano la nascita di troppe aspettative nei rapporti d’amore. Tutte le menate sull’amore romantico, sarebbero solo illusioni vendute per fare cassetta. Scopriamo che siamo state pasturate, per anni, con il sogno di un partner perfetto e inappuntabile, in tutto uguale ai meravigliosi amanti hollywoodiani delle commedie rosa. Beh, tali uomini non esistono in natura! Dobbiamo prenderne atto e convivere con queste verità! Questa è la fine di una grande illusione!

Con lo sguardo da merluzzo, per una vita immaginiamo uomini sempre belli, romantici, poetici, forti e fragili, ma ora tutto ci viene tolto e ne soffriamo crudelmente, perché ora dobbiamo vedere tutti i limiti e le contraddizioni della dimensione umana dei nostri morosi.
Io l’ho chiamata la Sindrome di Zorro, ed è esclusivamente un male femminile, perché compare con l’illusione gaglioffa che l’uomo incontrato sia come l’eroico giustiziere, mentre poi ci ritroviamo impelagate con l’alter ego, poco glorioso e romantico dell'eroe; cioè il goffo ed inopportuno sergente Garcia.

Non ho informazioni sul caso che gli uomini possano soffrire di similari forme illusorie, però mi risulta che essi siano molto disorientati dalle nuove immagini femminili che stanno emergendo, per cui si potrebbe ipotizzare per loro una Sindrome di Penelope, in cui molti agognano la donna di Ulisse e poi tutti si ritrovano, imbarazzanti, a corteggiare la cugina di Xena, la principessa guerriera.
Ammetto che, dopo millenni di stereotipi femminili ricettivi ed ospitali, trovarsi con una valchiria al fianco, per qualcuno possa essere molto disturbante.

Ma poi, perché ogni volta che si parla di amore e di romanticherie, tirano in ballo Pretty woman? Perché dicono che è l’ideale romantico delle donne? Io quel film non lo sopporto proprio. Io, fin da sempre, sono ostile a Pretty woman!

Il film, ormai stravisto, narra la storia di un riccone venale ed arrogante (Richard Gere) che compra 1 settimana d’amore con una prostituta (Julia Roberts) volgare e inadatta a tutto. Senza colpo ferire, basterà 1 settimana di consigli di Gere e del direttore dell’hotel in cui alloggiano (una sorta di Gil Cagnè riesumato), per trasformare l’etera in una signora di classe, di cui il suddetto Gere s’innamora perdutamente.

Per prima obiezione, conosco molte che Richard Gere se lo concupirebbero per più di 1settimana e persino gratis, sebbene non sia il mio tipo. Come secondo punto, credo che Julia Roberts sia troppo raffinata per rappresentare la prostituta volgare del film, mentre troverei una tipa sul genere di Amy Winehouse, più adatta al ruolo della protagonista.
Quindi direi al signor Gere di prendere una come Amy Winehouse e trasformala nella Pretty woman raffinata del film. A questo punto me le farei io due belle risate!

Di questi tempi, una bella scoperta sul dono della parola, sulla capacità di saper dire la cosa giusta al momento giusto, non sarebbe una scoperta appropriata al fantomatico miracolo?
Per capire meglio, leggo che secondo lo studio degli psicologi della Rice University (Usa), la capacità di scelta delle parole durante una conversazione dipende dal funzionamento di una particolare area del cervello, denominata Lifg (area frontale inferiore sinistra) e l'abilità dei pazienti di utilizzare le parole appropriate, nel corso di una conversazione, dipende dalla maggiore o minore integrità di tale area cerebrale.

Si tratta, commentano gli esperti, di una scoperta rilevante che aiuterà a comprendere meglio i problemi di linguaggio verbale che colpiscono molti pazienti. Bingo, mi dico, questa mi sembra la notizia migliore!

Sui giornali leggiamo tante dichiarazioni urlate e mirabolanti, del tutto prive di buon gusto, intelligenza, raffinatezza e buon senso, per cui avere una bella serie di sane menti brillanti, sarebbero proprio un bel miracolo natalizio, utile per il nostro paese e per noi tutti. E' proprio questo il miracolo auspicabile!
Ma si potrebbe avere fin da subito? Si potrebbe avere anche se siamo ormai adulti e anche se è già passato il Natale?

Buona erranza
Sharatan ain al Rami

sabato 27 dicembre 2008

La semplicità di un cuore vuoto



“Quando il tuo cuore è vuoto sei un buddha, sereno, silenzioso, estremamente beato, a casa.
Quando ti dico che sei un buddha lo dico veramente,
solo che ti devi riprendere dai tuoi sogni, afflizioni, dipendenze.

Devi solo penetrare profondamente al punto dove anche il sé comincia a sparire e la porta si apre all’infinito, all’immensità.
Essere un buddha è la più estrema esperienza di gioia, eternità, immortalità, libertà e liberazione.

Finché la tua vita non nasce dalla spontaneità, dal tuo cuore vuoto, sarà solo superficiale
e con ciò che é superficiale non potrai mai essere beato.

Con ciò che é superficiale continuerai a essere infelice.
Solo nella verità risiede l'inizio di una vita diversa, di gioia, di beatitudine, di danza.”

(Osho)

martedì 23 dicembre 2008

Il mio ricordo del Natale



Peccato che ai post non si possano aggiungere gli odori, ma se questo post avesse un odore, allora immaginatelo con il profumo di caffè, cioccolato, noce moscata e cannella, perché questi sono gli odori associati al mio Natale.
Natale è associato alla mia infanzia, quando mia nonna, dopo cena preparava il dolce natalizio tradizionale e mi permetteva di rimanere alzata fino a tardi per aiutarla, noi due sole, chiuse nella cucina di casa sua.

Già nei giorni precedenti iniziavano le spese per la frutta secca, il cedro, il miele, e tutte le altre cose che servivano, ma che mia nonna si ostinava ad acquistare nei “suoi” negozi, quelli di fiducia. Poi tutto veniva accumulato in attesa della settimana pre-natalizia e, in questi giorni, si procedeva alla preparazione dei dolci.

La grande notte della preparazione, vedeva il dominio assoluto di mia nonna nella sua cucina, per la ricetta che aveva i suoi segreti e le sue particolarità, perché il dolce di Natale andava gustato in famiglia, ma anche regalato ad amici e parenti, in modo che la degustazione natalizia diventasse una sorta di gara tra donne, per la ricetta e la mistura migliore.

Quando vengono fornite ricette e dosi per la cucina, soprattutto per quella tradizionale, mi viene da ridere perché sono sicura che, una donna amante della cucina, rivela solo in parte i suoi segreti culinari.

Mia nonna era così, con le sue arie svagate quando gli chiedevi una ricetta, lei che si scherniva e diceva con il suo dialetto misto siculo-arabo-italiano ”fazzu a occhiu mi fighitta, a occhiu fazzu…” e non gli tiravi fuori altro.
Ti sorrideva e ti guardava con i suoi occhi verdi innocenti e tu dovevi crederle.
Io non le credevo, ed ho sempre guardato e rubato con gli occhi la creazione delle sue ricette strane, una mescolanza di cucina siciliana e di cucina italiana, che preparava con rara maestrìa.

Solo da grande ho scoperto che era vero che lei faceva ad occhio, era quello il suo segreto. Cucinava su basi empiriche, con unità di misura basate sul bicchiere e sul cucchiaio tutte le sue proporzioni. D'altro lato era semi analfabeta, mi sono detta, come avrebbe potuto scrivere delle ricette?

Mi piaceva guardarla cucinare, ma la notte dei dolci di Natale, era la notte che io preferivo, perché non solo mi permetteva di assisterla ma anche di aiutarla, due cose che me erano rari privilegi. Mi sentivo come se mi avessero invitato nella tana di una fata benefica, ed era una sensazione meravigliosa.

Ci chiudevamo in cucina, nella sua cucina di formica color verde acqua, con la vecchia radio a transistor, che già allora era un pezzo di modernariato e iniziavano la grande mistura. Nonna accendeva l’ex stufa a legna, riconvertita a gas metano, che troneggiava al centro della stanza e che era sua fedele compagna da tempo immemorabile, e io iniziavo a rompere i gusci della frutta secca.

In questo ruolo, di sbucciatrice di noci & Co., io avevo la responsabilità basilare di vigilare che non rimanessero dei pezzi di guscio a rovinare i denti dei festeggianti, quindi mi mettevo con impegno a setacciare tutta la frutta che poi sistemavo in una grande zuppiera. Lei intanto sminuzzava le bucce di cedro, scioglieva il miele ed il cioccolato e mischiava le spezie.

Mentre saliva il caffè nella caffettiera grande, con un odore che riempiva tutta la cucina calda, si passava alla grattugia la noce moscata, si macinava la cannella e si mischiava il miele, amalgamando tutti con i restanti ingredienti. Alla mistura, la nonna non faceva mancare un'aggiunta di cognac, necessario a suo dire "per il sapore."

La vecchia cucina a legna, riciclata con bruciatore a gas, aveva un ruolo primario per il buon uso delle temperature, perché la piastra di ghisa eroga diversi livelli di calore, per cui gli ingredienti venivano sciolti con l’ausilio di una temperatura moderata, che veniva offerta dal bordo della piastra. Nonna si metteva sul bordo della piastra e scioglieva, a bassissima temperatura, dei blocchi enormi di cioccolato fondente, girando con il cucchiaio perché non si attaccasse nulla.

Io ero lì, che mi gustavo con gli occhi la padronanza con cui tagliava, sminuzzava, mischiava e confezionava le sue squisitezze, imparando così a cucinare, mentre guardavo le sue dita grassocce, che correvano agili e veloci a girare in 3 o 4 pentole in contemporanea.
Chiaramente lei, mentre faceva il dolce, aveva anche messo al fuoco perlomeno il ragù per la parmigiana di gobbi, il misto per i fegatini di pollo, sistemato a bagno il baccalà da dissalare per la vigilia di magro,e scottato in acqua acidula le acciughe sfilettate e ripulite, da insaporire successivamente con origano, aglio, olio e peperoncino, e fatte riposare in una grande pirofila di pirex.

Lei era contenta di affidarmi dei compiti di responsabilità, come la revisione dei cocci delle noci, che dimostrano la fiducia di cui godevo,del resto meritatissima per l’impegno certosino che utilizzavo nell’incarico.
Nel cucinare, mia nonna odiava assaggiare e valutava tutto annusando il vapore della cottura, ma io potevo spizzicare qualche gheriglio di noce e ripulire con le dita la pentola in cui si era sciolta la cioccolata, prima di metterla al lavaggio, mentre lei dava la forma ai dolci da passare al forno, e passa ad infornare.

Mentre infornava commentava tra sé e me, che tanto non potevo darle torto, criticava e commentava nel suo dialetto incomprensibile, che solo noi di famiglia capivamo, e che malamente traduco “Ma se ci metti la farina … ma anche una parte minima … non sai cucinare … nulla sai fare … perché solo il cacao deve tenere l’impasto … solo il cacao … la farina serve solo per spolverare la teglia… niente ostia sul fondo della teglia… che rovina il sapore del dolce … qualcuno mette la farina per risparmiare il cacao … mischinu … risparmiare per il giorno di festa … u'risparmiu t’inventi piducchiusu?”

Ma le infornate da fare erano tante, e finiva che lei parlava ed io entravo in un comatoso dormiveglia, seduta a ciondoloni su di una sedia, con il sottofondo del suo parlottare e commentare, che emergevano alla coscienza insieme agli odori dei dolci in cottura. Entravo in catalessi nella cucina caldissima e profumata.
Non so come, mi ritrovavo nel letto di zio Carmelo, vacante di zio perché ormai sposato, e sprofondavo nel sonno mentre lei mi augurava la buona notte con un bacio affettuoso in cui sentivo l’odore di caffè, cioccolato, noce moscata e cannella.

Buona erranza
Sharatan ain al Rami

domenica 21 dicembre 2008

Lo spirito del Natale


Siamo vicini al Natale e tutti parlano di regali e di shopping come se lo spirito del Natale fosse quello di spendere e di dimostrare l’affetto con il denaro e con un dono materiale. Escludendo i bambini, a cui il Natale dovrebbe portare infiniti doni e felicità, per tutti gli altri, ben diverso dovrebbe essere lo spirito del Natale, e non dovrebbe durare per un solo giorno. Se potessi fare una mia legge “ad personam” allora farei una legge sull’obbligo della spirito del Natale per tutto l’anno.

Lo spirito del Natale, per me è espresso dalla generosità. La generosità è una qualità che ingentilisce e abbellisce noi stessi, e che la psicologia definisce grandiosità, ed è una qualità che presuppone la capacità di introspezione e di empatia. Noi siamo grandiosi quando sappiamo dare più dello stretto necessario, quando sappiamo rispondere con vera ampiezza, come se fornissimo un manto di ermellino a chi ci chiede una semplice coperta.

Quando ci viene offerto un dono inaspettato, quando ci viene rivolto un sorriso, quando ci viene elargita una cortesia da uno sconosciuto: ecco che si accende una luce, allora i nostri gesti sono più morbidi e la nostra postura appare più rilassata. La generosità propria ed altrui scalda il cuore, ed apre quegli angoli che sono rimasti chiusi e silenziosi.

La nostra vita è un cerchio e tutti vogliamo essere maggiormente amati e sostenuti dal calore e dalla solidarietà dei nostri simili, tutti vorremmo che in questo cerchio circolasse una generosità ed un sostegno da inviare agli altri, e di cui vorremmo il ritorno.
Soprattutto in questi tempi di aridità e di squallore umano, dovremmo maggiormente credere nella potenza del calore e della generosità, che appare come una goccia di miele e come un balsamo per l’anima, in tempi aridi e amari.

Ci invitano invece a comperare e a consumare, in definitiva a macinare e distruggere, includendo anche tutti i rapporti umani in questa frettolosità e strumentalizzazione dei rapporti, in cui si consuma l’altro solo come essere utile, in cui nessuno spazio viene concesso alla conservazione e alla protezione del prossimo e dell’amico. Ci vuole coraggio ad essere generosi in tempi come i nostri, nei quali la paura domina l’anima delle persone.

Vi è paura di essere soli, paura di essere danneggiati, paura di essere vulnerabili, paura di essere noi stessi, paura di non avere abbastanza. Più facile avere lo sguardo dell’invidia, fare comparazioni su “quello che ho io e quello che hai tu” cercare pesi e misure delle altrui qualità, e trovare delle comparazioni che ci fanno sentire sempre più inferiori ed inadeguati: tutti i confronti mirano a renderci più insicuri e vulnerabili.

Il consumismo consuma anche la nostra stima, facendoci sentire sempre più inadeguati riguardo ad uno standard econonimo e sociale che dobbiamo inseguire senza poterlo mai raggiungere, creandoci così l’idea di una povertà di risorse personali, che è assolutamente falsa.

Non è così, perché tramite la generosità possiamo iniziare a comportarci come dei veri principi, facendo ogni giorno degli atti di piccole cortesie e di generosità, in onore del sorriso che vorremmo avere, della frase gentile che vorremmo sentire e della carezza compassionevole di cui avremmo bisogno.

Potremmo telefonare a una persona amica solo perché abbiamo bisogno di sentire la sua voce, senza chiedere nulla, dando l’immagine di una persona che possiede un cuore caldo, capace di offrire e godere dell’affetto e della simpatia.
Potremmo scrivere un biglietto nostro e non preconfezionato,per comunicare il nostro affetto, con delle parole sentite e sincere che fanno la differenza, e che non sono predefinite ed impersonali.

Allora diventa facile pensare ad un regalo di Natale, senza pensare poi di spendere chissà quali cifre, senza offrire l’immagine pidocchiosa di certe persone che ho visto economizzare su 2 euro e preparare dei regali ipocriti che io butterei subito nel secchio, una volta tornata a casa, e dopo avere cortesemente ringraziato.
Questi regali ipocriti, dovuti e striminziti, sono come il fuoco a cui si scaldava l’avaro Scrooge che “Era un fuoco meschino; meno di niente in una notte come quella. Dovette accostarvisi dappresso e quasi covarlo, prima di spremerne il menomo calore”.

Anche se non ne ricaviamo nulla, impariamo ad impersonare lo spirito del Natale, quello di Dickens, quello che vuole il Natale “come un bel giorno, un giorno in cui ci si vuol bene, si fa la carità, si perdona e ci si spassa: il solo giorno del calendario, in cui uomini e donne per mutuo accordo pare che aprano il cuore e pensino alla povera gente come a compagni di viaggio verso la tomba, e non già come ad un'altra razza di creature avviata per altri sentieri.”

Ma forse, per fare buoni frutti, questo sentimento dovrebbe durare molto più di un solo giorno.

Buona erranza
Sharatan ain al Rami

giovedì 18 dicembre 2008

E se dopo mi riaccendono?


Alla provocazione non c’è mai fine e così vedo provocatoria la notizia dell’intervento chirurgico eseguito al Cto di Torino nell’estate del 2007. L’intervento è consistito nella stimolazione corticale extradurale bilocale ed è “la prima volta al mondo che, con questa tecnica, si riporta alla coscienza un paziente in stato vegetativo permanente”. La paziente era nella stessa condizione in cui si trova Eluana Englaro. Lo ha reso noto il professore Sergio Canavero, il neurochirurgo delle Molinette che ha seguito la vicenda.
La ragazza di Gassino (Torino) aveva avuto un grave incidente automobilistico due anni fa. Dopo l’intervento, dicono i medici, la ragazza è “in grado di nutrirsi e obbedire a ordini”. Alla stimolazione è possibile affiancare, in seguito, un intervento al midollo spinale con l’utilizzo di cellule staminali. Già dopo quattro mesi , hanno spiegato i sanitari, si registravano “forti miglioramenti” e oggi la ragazza è in grado di masticare e deglutire. La famiglia ha tenuto un diario con foto e filmati che testimoniano i progressi.
Sergio Canavero, il neurochirurgo delle Molinette di Torino che nel 2007 ha operato la ragazza e ne sta valutando i progressi, traccia un parallelismo con il caso di Eluana Englaro: “Non conosco nel dettaglio il suo caso, ma in teoria, trattandosi di uno stato vegetativo permamente, anche la Englaro potrebbe essere sottoposta a stimolazione corticale extradurale bifocale - spiega Canavero - Ho detto in teoria, non per il fatto che per Eluana sono passati quasi 17 anni dall’incidente. La chiave è lo stato complessivo del corpo: se la paziente è gravemente cachettica non reggerebbe l’anestesia. Dunque questo elemento è discriminante. Tecnicamente tutti i pazienti in stato vegetativo permanente, che secondo le stime in Italia sono 2-3.000 e, possono essere sottoposti alla stimolazione. Ma una parte risponderà, l’altra no. Ritengo che circa la metà potrebbe essere operata con risvolti positivi.”

Chiamare in causa Eluana, un caso ormai definito, mi sembra una caduta di stile inopportuna e strumentale. Alla provocazione segue poi un cieco terrore per quello che ho letto. Ho il terrore, dico il terrore, di diventare un pechinese ammaestrato. Mi sale la paranoia. Metti che mi succede qualcosa e resto imprigionata nel mio corpo, impotente e assente, sospesa tra la vita e la morte. Sto lì come un burattino, sono girata e rigirata come una statua, tutta infiocchettata con tubi, fili e elettrodi.
Metti che durante il periodo di sospensione in salamoia, uno arriva e dice:”Questa qui la mettiamo a fare la ballerina classica”. Mi prendono e mi infilano nel tutù di pizzo e neanche mi posso scegliere il colore, così me lo mettono bianco. Sono impotente perché da poco rianimata, per cui sono costretta ad obbedire. Ragazzi! Già questa è una violenza, perché io adoro le arti marziali e la danza classica mi annoia terribilmente. Al minimo fatemi vedere un’incontro di pugilato. Ma no, perché da brava donnina devo essere gentile e leggiadra come un farfalla, per cui la danza classica è il meglio!
Allora hanno deciso che devo fare la danza classica, e quindi mi infilano il tutù e mi rimettono la corrente nei circuiti. Mi rianimano e devo ballare alla musica loro. Per pietà non guardatemi mentre eseguo delle giravolte che mi rendono ridicola. Mi sento un barboncino tosato per l’esposizione. Senza falsa modestia potrei anche fare la mia figura infilata nel tutù, ma per pietà, non me lo fate fare! Uccidetemi, piuttosto, con un colpo pietoso alla nuca.

Mettiamola sul ridere che è meglio, ma succede che io non voglio essere una bambolina che obbedisce ai comandi, piuttosto preferisco la morte. Non so gli altri come la pensino, ma mettersi nei panni altrui fa ragionare meglio, per cui gioco a pensare. Cosa succede se muori a metà e dopo ti riaccendono?
Ti farebbe piacere essere impotente e passivo di fronte alle scelte sulla tua vita? Ti piacerebbe sapere che la tua volontà è pari a zero, e che il tuo libero arbitrio te lo scordi? Possono fare di te quello che vogliono e richiamarti alla vita, decidendo che per te, la vita che loro vogliono: quella è la tua vera vita!
E se per te il concetto di vita, di felicità e di realizzazione fosse diverso, come fai ad affermarlo? Come lo spieghi e lo difendi? E se il tuo concetto di felicità è tanto difficile da far capire alle persone che ti amano di più, o forse diviene incomprensibile proprio per le persone che ti amano maggiormente?
Chi ti ama vuole per te, pensa per te, ambisce al tuo bene, alla tua felicità. Agisce, o dice di farlo, per renderti felice. E’ inaccettabile! Permetti che dica io cosa mi rende felice? Facciamo il gioco che io scelgo per me stesso e tu per te?

Allora il sentimento della rianimata, il pensiero di colei che viene richiamata - dell’interessata per intenderci - lo conosciamo? Lei cosa avrebbe voluto per se stessa? Vorrei tanto che ci tenessero al corrente, sull’evoluzione del sentimento, della consapevolezza e della qualità della vita di questa ragazza rianimata. Vorrei sapere cosa dirà quando potrà dire la sua opinione.
Allora mi sembra sempre più urgente la necessità di procedere alla legge sul testamento biologico, perché è una battaglia di libertà, è un indice di democrazia. Procrastinarla è pericolosissimo perché rischia di fare scatenare le fazioni pro e contro la scienza, e questo sarebbe letale per la ricerca. La scienza deve andare avanti e fare anche dei tentativi di questo tipo, perché qualcuno potrebbe giovarsene. Guai a fermare il progresso!
Il punto è un altro e la scienza non è coinvolta: il punto è che dobbiamo essere liberi di poter dire cosa vorremmo per noi stessi. Fatelo dire a noi, che su di noi, sappiamo dire, e fateci scegliere di essere felici con il nostro concetto personale di felicità. Lasciateci dire se vorremmo essere trattenuti con tutte le forze e con tutti i mezzi possibili. Lasciateci dire se vogliamo vivere ad ogni costo. Fammi dire che morire mi sta bene - quando sarà il momento e quando non potrò più godere della vita con quella intensità che è nella mia mente e del mio cuore o quando potrei soffrire troppo - accettalo anche se il mio concetto di vita è diverso dal tuo. Questa è civiltà vera, altro che lotta per la vita!
Per quanto mi riguarda, quando mi spengo, chiudete tutto e lasciatemi andare. Se mi lasciate andare, prometto che la prossima vita vi ballo “Il lago dei cigni” con un bel tutù rosso fuoco.
Buona erranza
Sharatan ain al Rami

mercoledì 17 dicembre 2008

Io e Rita la pensiamo uguale


Qualche giorno fa un’amica mi chiedeva se mi era piaciuta l’intervista di Fabio Fazio a Rita Levi Montalcini. Io per correttezza vorrei premettere che a me Fazio non piace, e sono consapevole che siamo solo in due al mondo, io e un mio carissimo amico, a non gradirlo per la banalità delle sue domande e per la sua mortale prevedibilità. Fortuna che Luciana Littizzetto compensa con verve ed intelligenza alla opacità di lui.
Anche con Rita Levi Montalcini ha ripetuto i suoi stereotipi, solo che lei possiede intelligenza e signorilità tali da avere elevare le risposta a livelli di eccellenza. E meschino lui, che ha potuto solo rimarcare qualche frasetta stupidina, tipo “secondo lei hanno tutti un cervello? Ma proprio tutti?”

Questa donna, che è ormai fragile come una preziosa carta d’india, mi ricorda il detto “In Africa quando muore un vecchio, brucia una biblioteca” e penso che, quando morirà lei, sarà come l’incendio della biblioteca di Alessandria.
Alla consegna del Nobel l’ho vista elegantissima, nel suo vestito nero essenziale, e il re Gustavo di Svezia sembrava il nipote che rende omaggio alla zia. Lei, che è una vera aristocratica di altri tempi, possiede la grazia e la signorilità di una grande donna e la mente di uno scienziato brillante. Gradevole e misurata ma incisiva come un bisturi, ha più volte scritto e ripetuto che è l’impegno che permette di superare i più grandi ostacoli e che la vita non va mai vissuta nel disinteresse per gli altri. Ha ripetuto che il cervello non invecchia, se lo usiamo sempre e che il cervello senile ha capacità ancor più meravigliose, non solo per la grande massa di conoscenze accumulate ma che perché l’anziano ha poco tempo a disposizione e un desiderio insopprimibile di fare sopravvivere le proprie idee, per cui lavora in modo intensissimo. Lei lavora con un affiatato gruppo di ricercatrici motivatissime, appassionate e orgogliose di collaborare con lei. E chi non lo sarebbe!

Dobbiamo capire il mondo che ci sta davanti e non fare mai morire la curiosità, che è la molla della sua vita, insieme alla volontà di aiutare gli altri. Ho letto che non potè andare in Africa perché il padre non volle. Che sempre suo padre, avendo una predilezione per il figlio maggiore, il maschio di casa, pensava che sarebbe divenuto famoso. Ma la sua volontà di aiutare gli altri l’ha spinta alla ricerca, eseguita con mezzi di fortuna. Educata alla scuola di Giuseppe Levi, anatomista e istologo di fama internazionale, antifascista conclamato, ha trovato in lui il maestro ideale, rigoroso e severo. Quando - in altra occasione - ha commemorato la figura del suo maestro, lei ha ricordato che il maestro si intestardiva a far studiare alla giovane studiosa la formazione delle circonvoluzioni nervose nel feto umano e lei, che riteneva il tema “molto pedestre”, produceva dei risultati scadenti. “Si capisce che tu non hai nessun talento per la ricerca” sbottò lui, ma poi le affidò comunque gli studi sullo sviluppo delle cellule in vitro, una tecnica allora sconosciuta in Italia. Lei ricambiò la fiducia vincendo il Nobel per la medicina assieme a Stanley Cohen nel 1986. Salvador Luria, Renato Dulbecco e appunto Rita Levi Montalcini, sono i 3 Nobel che provengono dalla scuola di Giuseppe Levi.

La grande donna ha detto che la sua grande molla è stata la curiosità della conoscenza del cervello umano e la grande volontà di potere tramandare i suoi messaggi e le sue conoscenze. Rimarrà di me il mio messaggio e ciò che ho potuto conoscere, ha detto, rimarrà di me il contributo che ho saputo dare agli altri esseri umani. Le capacità mentali tra l’uomo e la donna sono le stesse, cambia solo il tipo di approccio mentale alle cose.
Una volta ha raccontato che doveva ringraziare suo padre per averla spinta a dimostrare di avere torto a non credere nelle sue capacità, perché questo l’ha resa più determinata e che ringraziava anche Mussolini, perché affermando che gli ebrei erano inferiori, l’aveva spinta ad impegnarsi maggiormente. Io questa la chiamo determinazione!
Quando l’opaco Fazio gli ha chiesto se avesse fatto delle scelte per amore, ha risposto con eleganza un concetto tipo “piffero! Mi ha guidato l’insaziabile curiosità”.

Ma quando ha affermato che la ricerca viene guidata dall’intuito, allora sì che ha dimostrato di parlare da donna, ma non solo perché ha negato l’immagine della donna che va dove la porta il cuore, ma perché ha dichiarato l’uso della capacità definita femminile di intelligenza intuitiva. Su questo tipo di intelligenza sarà interessante capirci meglio, ma essa è una sorta di facoltà supercosciente di sapere, un saper ascoltare una voce interna saggia ed ispirata, la saggezza che è dentro noi.
Che sia donna di levatura superiore mi sembra evidente, altrimenti non sarebbe una centenaria entusiasta per le nuove risorse e per Internet di cui è grande estimatrice, fino a dichiarare invidia per i giovano di oggi, che hanno la fortuna di potere avere a loro disposizione uno strumento di conoscenza simile, come scrive nel libro “I nuovi magellano nell’er@ digitale,” per condividere la conoscenza.
“Oggi i giovani” dice, "devono affrontare realtà drammatiche come la povertà, il razzismo, l'analfabetismo, la negazione dei diritti civili in molti paesi. Lo sviluppo tecnico e scientifico ha aperto spazi sterminati all'esplorazione, e le nuove generazioni potranno utilizzarli al meglio. Non bisogna aver paura dell'informatica, perché da sempre il progresso è portatore di cultura e di democrazia. Occorre sfruttare le potenzialità di Internet per metterle al servizio dei popoli più svantaggiati.”
Eccezionale il passaggio sul rischio di fare prevalere solo la parte emotiva del cervello, perché la componente emotiva del cervello, cioè la parte delle sole passioni non guidate dalla ragione, è responsabile di tutti gli errori e delle scelte più pericolose dell’umanità. L’emotività, governata dal sistema limbico, ci fa vedere il mondo con la parte primitiva della mente, ma questa parte va dosata, va moderata perché, sebbene il desiderio di fare del male non sia innato, l’uomo è un animale gregario, ed essendo gregario, può avvenire un pericoloso sfruttamento di tale istinto di inclusione nel gruppo; insomma dobbiamo vigilare affinchè il nostro istinto a non essere esclusi, non sia pagato dalla rinuncia al nostro libero pensiero. Detto questo, mi sembra proprio che io e Rita la pensiamo uguale.
Buona erranza
Sharatan ain al Rami

lunedì 15 dicembre 2008

Ritornare al centauro


Chirone il guaritore ferito, il mentore e il maestro degli dei, è una delle metafore più affascinanti del filosofo statunitense Ken Wilber, che usa il centauro per definire quella ricerca di significati di autorealizzazione, di libertà, d’integrazione ed autonomia, che definisce “livello centaurico di consapevolezza.”
Kilber afferma, “La nozione di ripossedere il corpo, inizialmente, può apparire a qualcuno una nozione assai bizzarra… Da quanto risulta, pochi di noi hanno perso la mente, ma molti di noi hanno perso il corpo, e mi dispiace dover dire che ciò deve essere preso alla lettera… La mia consapevolezza è quasi esclusivamente consapevolezza mentale: io sono la mia mente, ma posseggo il mio corpo. Il corpo è ridotto dal sé a una proprietà, qualcosa di “mio”, ma non “io”. Il corpo, in breve, diventa un oggetto o una proiezione, esattamente nello stesso modo in cui è successo per l’ombra. Si eleva un confine sull’organismo totale, cosicché il corpo viene proiettato come non-sé… La questione che ci riguarda fondamentalmente è la scissione dell’organismo totale, il centauro, di cui la perdita del corpo è soltanto il segno più visibile e tangibile.”

L’archetipo chironiano usato da Kilber, perde l’immagine mitologica del ferito per dare spazio al guaritore, al mentore, al maestro spirituale: dalla ferita, alla cura fino all’insegnamento. Il significato di Chirone diventa quello di “andare oltre il dolore” di abbracciare e di trascendere la nostra pena, di dare un significato alla sofferenza e di servirsene per aiutare gli altri. Chirone è più incentrato sull’amore, la compassione e la capacità di perdonare piuttosto che sulla sofferenza per la ferita. Le ferite primarie che creano la sensibilità di Chirone e che lo creano per quello che si dimostra sono il rifiuto della madre, che non lo volle perché ibrido, e il disinteresse del padre: tali ferite sono incurabili, perché ciò che non si può guarire sono proprio le ferite karmiche.

Il significato della morte di Chirone, in cui il centauro rinuncia alla sua immortalità per lenire le sofferenze di Prometeo, implica un altruistico atto di rinuncia e di sacrificio che ci riconduce all’Unico che ha compassione per le sofferenze altrui, e tutte le mitologie affermano che Chirone ebbe sollievo dalla morte. Il livello di consapevolezza centaurica è un modello della mente di tipo “esistenziale” quindi è uno “schema di approccio alla consapevolezza.”
Il modello di evoluzione della consapevolezza di Wilber è, sia olarchico, cioè con una gerarchia olistica o gerarchica del tutto che ciclico, perché descrive la vita come un doppio movimento, cioè sia verso l’interno che verso l’esterno dell’organismo.

Il modello generale dell’evoluzione umana, si descrive con l’evoluzione dalla Materia al Corpo, al pensiero, all’Anima fino allo Spirito, infatti fin dalle origini l’uomo si è evoluto inizialmente in un corpo, quindi in un ego o mente, ed ora siamo in procinto di entrare nel periodo evolutivo dei centauri, cioè nell’epoca in cui avremo la reintegrazione tra la mente ed il corpo. Wilber crede che, sebbene la maggioranza degli uomini lavori ancora a livello egoico, una minoranza di persone stia già entrando nella fase di consapevolezza centaurica. Il centauro, afferma Wilber, rappresenta la perfetta unione tra il fisico ed il mentale, perché il centauro non è un cavaliere che è esperto nell’equitazione, ma è un cavaliere che è tutt’uno con il suo cavallo. Non è una psiche separata che tenta di controllare il suo corpo, bensì un’unità psicosomatica che governa se stessa. La nostra consapevolezza reintegrata, afferma il nostro diritto alla vita e alla nostra natura più profonda, riconoscendo la percezione errata del dualismo di un Sé e di un non-Sé, che governa tutte le guerre degli opposti e che ci spinge al livello del centauro.

Veniamo spinti fuori dal nostro centauro, afferma Wilber, quando veniamo colpiti dalla paura della morte e quindi neghiamo la parte fisica, che è quella peritura. Per questo l’uomo si rifugia nel suo ego, in cui costruisce un’immagine di se stesso puramente mentale, la parte astratta del centauro.
L’uomo rinnega il corpo, lo rifuta e ridiventa il cavaliere, il controllore, l’uomo che va a cavallo ed il corpo viene ridotto al ruolo di pura bestia. “Lo batto e lo elogio, lo nutro, lo pulisco e lo curo quando è necessario. Lo sprono senza consultarlo e lo freno contro la sua volontà. Quando il mio corpo-cavallo si comporta bene, generalmente lo ignoro, ma quando diventa turbolento, il che capita molto spesso, estraggo la frusta per batterlo e riportarlo a una ragionevole sottomissione.”
La funzione terapeutica al livello del centauro è quella del recupero del corpo attuata tramite delle pratiche di respirazione e di sblocco delle tensioni energetiche.

Wilber consiglia “Un modo per iniziare a riallacciare il contatto con il proprio corpo è quello di distendersi sulla schiena, allungati su un tappeto o un materasso. Chiudete gli occhi, respirate profondamente e tranquillamente, e cominciate a studiare le vostre sensazioni corporee. Non cercate di sentire qualcosa, non forzate le sensazioni, lasciate che la vostra attenzione scorra lungo il corpo e notate se avete delle sensazioni, positive o negative nelle diverse parti del corpo…
Dopo questa fase preliminare, possiamo passare alla tappa successiva: ancora sdraiati con le braccia lungo il corpo, le gambe leggermente divaricate, gli occhi chiusi, respirate profondamente e lentamente, inspirando dalla gola verso l’addome, passando l’aria infine nello stomaco. Immaginate, se volete, che torace e stomaco abbiano all’interno un gran pallone che gonfiate completamente a ogni inspirazione… Ripetete l’esercizio sette o otto volte, mantenendo all’interno del pallone una pressione delicata ma stabile, che gonfi l’addome fino a raggiungere il bacino pelvico. Fate attenzione a quale regione è tesa, tirata, dolente o insensibile…

Nonostante questi dolori e disagi minimi, potreste iniziate a notare che la sensazione che si diffonde in tutto il pallone è una sensazione sottile di piacere e gioia. State realmente respirando di piacere e irradiando quest’ultimo in tutto il corpo… Potete ora cominciare a capire perché, secondo la teoria yoga, il respiro è una forza vitale – non in senso filosofico, ma per quanto riguarda le sensazioni. Inspirando, introducete una forza vitale che passa dalla gola all’addome, ricaricando il corpo di vita ed energia…
Tuttavia, in ciascuna delle fasi di questo esercizio, potreste anche percepire certe zone di intorpidimento, insensibilità, o inerzia da una parte, o di fermezza, tensione, rigidità o dolore dall’altra. In altre parole, avrete percepito dei blocchi (micro-confini) del flusso completo dell’attenzione alle sensazioni… Una volta localizzati tali blocchi, iniziate il processo di dissoluzione. Prima, però, cerchiamo di capire cosa significano tali blocchi e resistenze; queste aree o bande di rigidità, pressione e tensione ancorate in tutto il corpo… questi blocchi e bande di tensione sono il risultato di due gruppi di muscoli che lottano l’uno contro l’altro (attraverso un mini-confine), un gruppo che cerca di scaricare l’impulso, l’altro che cerca di trattenerlo. Questo è un controllo attivo, un “trattenersi” o inibizione…

Se scoprire dunque una tensione intorno agli occhi, state forse contenendo il desiderio di piangere. Se sentite una tensione dolorante alle tempie, forse state serrando le mascelle inconsapevolmente, per evitare di strillare, urlare o anche ridere. Una tensione alle spalle e al collo è indice di rabbia, collera o ostilità soppressa o controllata, mentre una tensione al diaframma indica che limitate e trattenete in modo cronico il respiro, nel tentativo di controllare la manifestazione di emozioni ribelli e l’attenzione alle sensazioni in generale. (Durante ogni atto di autocontrollo, molte persone trattengono il fiato.) La tensione al basso addome e alla regione pelvica, di solito, indica che avete eliminato tutta la consapevolezza della vostra sessualità, che avete irrigidito e contenuto questa area per evitare che vi circoli la forza vitale del respiro e dell’energia. Se ciò si verifica – per una qualsiasi ragione – escluderebbe anche molte sensazioni alle gambe. Una tensione, rigidità o mancanza di forza alle gambe indica generalmente mancanza di saldezza, stabilità o equilibrio in genere…

Ciò significa che tali blocchi non sono, per meglio dire non possono essere involontari. Non ci capitano per caso. Sono e devono essere qualcosa che noi facciamo attivamente a noi stessi. In breve, abbiamo creato questi blocchi deliberatamente, intenzionalmente e volontariamente, dato che sono costituiti unicamente da muscoli volontari. Fatto abbastanza curioso, non sappiamo di crearli…
Una volta verificatosi questo tipo di blocco, non possiamo rilassare questi muscoli semplicemente perché, in primo luogo, non sappiamo che li stiamo contraendo. Sembra così che tali blocchi si verifichino da soli (come un qualsiasi altro processo inconsapevole), e noi sembriamo vittime disperate, schiacciate da forze “al di là” del nostro controllo… Devo fare esattamente ciò che non avrei mai pensato di fare prima: devo cercare attivamente e consapevolmente di aumentare quella determinata tensione. Aumentandola volontariamente, rendo consapevole, invece che inconsapevole, l’attività di auto-irrigidimento. In breve, inizio a ricordare che mi stavo pizzicando da solo, che stavo letteralmente attaccando me stesso…

Ricordate che questi blocchi di tensione avevano una funzione molto significativa – inizialmente erano stati introdotti per eliminare sensazioni e impulsi che in un primo momento erano apparsi pericolosi, tabù o inaccettabili… Dobbiamo sottolineare che queste “sensazioni sepolte” non hanno pretese selvaggiamente insaziabili o orgiastiche completamente opprimenti, e neppure sono stimoli demoniaci e bestiali di eliminare il padre, la madre e tutta la stirpe. Molti spesso, sono alquanto miti, anche se possono apparire drammatiche perché sono state a lungo contenute a livello muscolare… Anche se sorge qualche emozione negativa abbastanza forte – una collera molto pronunciata – ciò non deve mettervi in stato di allarme, poiché non costituisce una parte notevole della vostra personalità…
Analogamente, quando si presenta per la prima volta un’emozione negativa sulla scena della vostra consapevolezza, potrete restare temporaneamente colpiti, anche se si tratta di una porzione del cast complessivo di emozioni.
E’ molto meglio porla di fronte a noi, che non farla girovagare dietro il sipario…
Dalla semplice riconciliazione della separazione tra la mente e il corpo, il volontario e l’involontario, il voluto e lo spontaneo, risulterà un cambiamento notevole nel proprio senso del sé e del reale. Nella misura in cui riesci a percepire i processi involontari del corpo come te, potrai iniziare ad accettare come perfettamente naturali tutti i modi delle cose che non puoi controllare.

Potrai accettare più facilmente l’incontrollabile e adagiarti facilmente nello spontaneo, avendo fiducia in un sé più profondo che va al di là del fragore della superficiale volontà e dell’ego. Imparerai che non hai bisogno di controllarti per accettarti. Infatti, il tuo sé più profondo, il tuo centauro, è al di là del tuo controllo. E’ volontario e involontario, manifestazioni entrambe perfettamente accettabili di te…

Ritornare al centauro significa capire che il benessere mentale e fisico circolano già nell’organismo totale psicofisico. “L’energia è una gioia eterna, e viene dal corpo”, disse Blake, e questa è una gioia che non dipende da ricompense o promesse esterne. Essa deriva dall’interno, ed è data liberamente nel momento presente… La consapevolezza centaurica è un profondo antidoto per il mondo dello shock futuro.”

Buona erranza
Sharatan ain al rami

venerdì 12 dicembre 2008

L’origine della natura centaurica



Il 1 novembre del 1977, l’astronomo americano Charles Kowal scoprì un piccolo pianeta con una orbita molto particolare, posizionato tra Saturno e Urano: qualche settimana dopo, lo chiamò Chirone. Dal diametro di circa 160 km e con un cammino instabile, Chirone impiega circa 50 anni per compiere una rivoluzione completa, e si presenta come un ondivago, con forti “inclinazioni” a farsi attirare verso Saturno o verso Urano.

Nel 1991, Chirone fu classificato come cometa catturata e, siccome gli astronomi non sanno se Chirone sia un asteroide oppure una cometa, per le sue misure e la sua composizione intermedia tra un corpo cometario e uno asteroideo, si è deciso di includerlo in entrambe le categorie. La sua posizione celeste, cioè le sue effemeridi, sono calcolate per il periodo compreso tra il 1500 a.C. al 4000 d.C. Il cammino irregolare di Chirone avviene su un orbita eccentrica, per cui incrocia talvolta sia l’orbita di Saturno, sia quella di Urano. Prima di essere definito una “cometa catturata”, era considerato un asteroide errante, lontano dalla “massa” della cintura di asteroidi che si trova fra Marte e Giove, che è una zona di transizione tra l’esterno e l’interno del sistema solare. Tale valore sarà assunto da Chirone con triplice significato: astronomico, astrologico e psicologico.

Mitologicamente Chirone è figlio di Urano, che si trasformò in cavallo per congiungersi con Filira, il cui nome significa “tiglio” - figlia di Oceano e Teti, le acque e terra primordiali – per sfuggire alla gelosia della moglie Era. La dea però scoprì gli amanti e Filira, piena di vergogna si nascose in una caverna, in cui diede alla luce un ibrido tra uomo e cavallo. Inorridita per avere dato alla luce un mostro, Filira rifiutò il figlio, che fu ignorato anche dal padre Urano. Chirone fu quindi adottato dal dio solare Apollo, in coerenza con l’ipotesi astronomica che fosse un astro errante attratto dal sistema solare (Apollo).

Il significato mitologico della natura centaurica è duale: cavallo nella parte inferiore e umano nella parte superiore, per questo abbiamo, il tipo centaurico che vede prevalere una potente parte istintiva e animale, incapace di controllo, amante dell’eccesso, prepotente, preponderante e prevaricatore, di indole crudele e, all’opposto, abbiamo il tipo centaurico della più elevata e pura spiritualità, di cui Chirone è sommo esempio.

Chirone fu addestrato da Apollo alla mantica e alla medicina, divenne medico, astrologo, amante di strategia militare e appassionato cacciatore. Delle raffigurazioni pittoriche antiche ce lo raffigurano coperto da un mantello stellato, in compagnia del suo cane; insieme cacciatore selvaggio e dio oscuro e misterioso. Nella sua grotta, Chirone educò molti figli di dei e di eroi: fu maestro di Achille e Giasone e padre adottivo di Asclepio, il quale fu tratto dal corpo della madre morente su ordine del padre Apollo ed affidato al centauro perché lo allevasse.

Chirone fu raffinato e sapiente, nobilissimo, elevato spiritualmente, maestro di pietà e di virtù. La sua nobiltà d’animo è dimostrata dal gesto di pietà che ebbe per i cani di Atteone. Ricordiamo che, i cani di Atteone sbranarono il loro stesso padrone, ingannati dalla sua trasformazione in cervo, da parte della dea Diana. I cani, dopo la morte del cervo, cercavano il loro padrone e andavano latrando dal dolore perché Atteone non ritornava. Chirone, piangendo la morte del discepolo Atteone, ebbe pietà della sofferenza di quegli animali, e formò con una nube un simulacro del morto, inviandolo ai cani per consolarli del loro dolore, tramite un’illusione. Questo mito dimostra la misericordia dell’illusione, qualora sia usata per lenire dolori insopportabili.

Colpito per disgrazia da una freccia di Ercole, avvelenata dal sangue dell’Idra, Chirone fu assalito da un dolore indicibile e si ritirò nella sua caverna, implorando di morire, ma la sua natura immortale glielo impediva, per cui rimase sospeso tra la vita e la morte, condannato a vivere con il suo dolore. Fu liberato quando Ercole uccise con una freccia l’aquila che dilaniava il fegato di Prometeo, perché offrì la sua immortalità per ridare la libertà al titano incatenato, che così potè ascendere all’Olimpo mentre la dea Eutanasia, la Buona Morte, liberava Chirone dalle sue atroci sofferenze.

La posizione di Chirone, nel sistema solare, è emblematica perché Chirone sta oltre Saturno-Crono (suo padre) e prima di Urano (suo nonno), letteralmente a cavallo tra l’antico mondo saturniano della necessità e della pesantezza e una futura e repentina rivoluzione uraniana, caratterizzata dalle manifestazioni elettriche della libertà e dell’ingegno inventivo.
Tra la conservazione di Saturno e la rivoluzione di Urano sta Chirone, ondeggiando astronomicamente ad incontrare ora l’una ora l’altra orbita, e oscillante psicologicamente tra le due tendenze interne.

In astrologia Chirone indica in quali ambiti avere cura di noi stessi, indica dove abbiamo bisogno di un maestro o di un terapeuta e in che modo, eventualmente, possiamo a nostra volta divenire maestri e terapeuti. La via di guarigione che ci indica è complessa e non priva di sofferenza, perché ci chiama a conoscere noi stessi senza negare la nostra intima e contraddittoria natura interiore, insieme vogliosa di cambiare, ma anche desiderosa di rimanere attaccata alla proprie abitudini: è un lavoro interno sull’asse conservazione/rivoluzione. Chirone chiede di districare quella dualità e di ritrovare l’unità del nostro essere, facendo una dolorosa separazione tra il reale e l’immaginario.

A livello medico Chirone insegna che, favorire la nascita è il primo compito della medicina, come pure aiutare a morire nel modo meno doloroso, ma consapevole e sereno, di una buona morte. L’etimologia della parola Chirone viene dal greco kheir, “mano”, e indica l’ abilità manuale cioè pratica dell’insegnamento, ed il potere maieutico del centauro offre una chiave morale, perché fa nascere le persone alla consapevolezza attraverso l’insegnamento e l’esempio.

Chirone rappresenta anche il terapeuta e il maestro spirituale di cui ognuno è alla ricerca, come pure insegna a divenire noi stessi maestri dell’arte di cui siamo carenti; l’esempio offerto è quello del Mahatma Gandhi che ebbe un Chirone in Ariete, foriero di personalità solitamente dominatrici, violente ed egocentriche, ma che seppe elevare le sue energie centauriche, fino a divenire il profeta della non-violenza. Il significato del centauro, come guaritore, è collegato anche alla ricerca di cibi naturali, di cibi biologici e di integratori naturali collegati alla salute e Chirone offre anche la metafora per il miglioramento di uno stile di vita concepito come doloroso ed insopportabile.
I centauri ci chiedono di ripristinare una determinata parte di noi che abbiamo perduto, la natura nascosta di noi, essi ci indicano la strada per ritrovare il contatto con i nostri sensi e soprattutto con il senso dell’olfatto, con il rinencefalo, il cervello olfattivo dei mammiferi primitivi.

Buona erranza
Sharatan ain al Rami

giovedì 11 dicembre 2008

…e ritorniamo a consultar le stelle


Negli ultimi 60 anni gli sviluppi della fisica hanno finalmente demolito la concezione materialistica dell’universo. Tutte le scoperte scientifiche più recenti hanno confermato la verità antica, contenuta nelle antiche conoscenze, dell’influenza cosmica sulla vita terrestre.
Sono stati verificati, a livello sperimentale, dei bruschi incrementi dei ricoveri per disturbi mentali, in coincidenza con le perturbazioni del campo magnetico terrestre, ed è provato che le sottili variazioni del campo elettromagnetico possano influenzare il sistema nervoso, poiché riescono ad alterare anche il campo elettromagnetico del corpo umano.
Si è pure dimostrato che il campo elettromagnetico, che circonda il corpo umano, origina dal cervello e dal midollo spinale come affermano le dottrine yogiche indiane. Esiste quindi una relazione generale tra l’intero complesso della specie umana e la totalità dei fenomeni elettromagnetici dovuti dal sole, dalla luna e dalle stelle.
Anche gli animali sembrano reagire alle mutazioni di tali campi magnetici, ma a livelli più specifici e sensibili; quindi tutti gli organismi terrestri sono condizionati, sia pure in modo diverso, dall’influsso del magnetismo terrestre e cosmico. La composizione e la fluidità del sangue, la felice o infausta conclusione di cure mediche, come pure l’evoluzione dei disagi psichici, dimostrano come tutti gli organismi sembrano subire le influenze del magnetismo e dei campi elettromagnetici.
Jung affermò che “l’astrologia sarà necessariamente ammessa e riconosciuta senza restrizione alcuna dalla psicologia, perché costituisce la sommatoria di tutta la conoscenza psicologica dell’umanità.” La scienza degli antichi - afferma - “derivò dagli astri, quando il genere umano li riconobbe come le forze dominanti dell’inconscio, vale a dire come dei, ovvero come le peculiari e caratteristiche qualità dello zodiaco. Cioè come una completa proiezione teorica del complesso carattere umano.”
La teoria del sincronismo spiega l’evidente influenza dei corpi astrali sul mondo terrestre; infatti qualsiasi cosa accada, in qualunque parte dell’universo è emblematica, cioè specifica e caratteristica del momento in cui avviene, per un dato organismo. Sarebbe falso pensare che tutto sia già preordinato e predefinito, perché così non avviene. Avviene invece che, le cose accadano quando sono giunte a maturazione le condizioni affinchè esse possano verificarsi e assumere un significato, e la qualità del gioco è prodotta dalla destrezza e dal buon uso della libertà del giocatore.
Il legame tra gli astri celesti e l’uomo è dimostrato dall’arcaico culto del Sole, la grande sorgente di luce e calore che fa risplendere la vita del Creato. La più antica preghiera indiana, il Gayatri, che ancora oggi viene recitata dai fedeli indù, è un grande inno e saluto al Sole o meglio all’Ineffabile Entità che usa il Sole come carro celeste. La stessa sacralità la ritroviamo nell’antico Egitto, dove il dio Amun-Ra è definito “Il Sole, dominatore fisico del firmamento, dominatore spirituale e ideale di tutto l’universo e, come tale, Re di tutti gli Dei.” Akhenaton, il faraone eretico, fu condannato alla "damnatio memoriae" a causa del ruolo primario che attribuì al dio Aton, il Sole, riducendo gli altri dei del pantheon egizio, al ruolo di divinità secondarie.
Questo primario ruolo fu riconosciuto anche dai fenici, dai persiani e dagli israeliti, i quali affermarono la potente influenza di questa luce suprema che, alla sua comparsa, offusca tutti gli altri astri.
Nello stesso modo la Luna, sua controparte femminile, passando con il suo freddo splendore, quasi un fantasma della luce solare, governa e guida le maree ed influenza la crescita della vita vegetale e animale. A livello scientifico, la polvere lunare riportata sulla Terra negli esperimenti della Nasa, si dimostrò un fertilizzante vegetale eccezionale.
La rinomata scienza caldea, scuola di medicina e di astrologia, tanto diffusa e stimata nel mondo antico, ancora oggi stupisce per le sue indicazioni mediche basate sull’influenza delle fasi lunari.
La personalità più famosa nella medicina antica: il divino Ippocrate - che il mito indica come adottato dal dio solare Apollo ed educato alla medicina e alla mantica dal centauro Chirone - ritenuto il padre della medicina, affermò che colui che ignora l’astrologia non è un medico, ma un idiota. Per questo tutti suoi discepoli furono valenti astrologi e, nella pratica sanitaria, affiancarono l’uso dei dati e degli elementi astrologici, alle loro terapie curative, in onore all’affermazione riportata nel Corpus Hippocraticus, che l’astrologia è di primaria importanza per coloro che praticano l’arte della medicina.
Riprendendo l’idea di Jung, che l’astrologia sia essenziale anche per la psicologia, si potrebbe concludere che lo studio dell’astrologia sia primario per tutti coloro che si accingono a curare il corpo e l’anima. Se è vero che, non arriviamo su questo pianeta accompagnati con un libretto di istruzioni, è invece vero che veniamo forniti di un preciso e puntale sommario personale, in cui sono simbolicamente tracciate le mappe della nostra dotazione di serie e delle nostre potenzialità personali. Questa mappa di navigazione personale, dotata di un simbolismo che ci fa capire chi siamo, possiede anche gli indici di tendenza per lo sviluppo delle nostre attitudini.
Il nostro tema natale, cioè la mappa delle posizioni che occupano i pianeti nel momento della nostra nascita, reca il riassunto delle esperienze che l’anima ha compiuto nel corso delle sue vite sul nostro pianeta, indica il progetto di vita più opportuno per la nostra evoluzione, mostra i nostri maggiori pregi e i nostri più radicati difetti, rivela quali siano le potenziali conseguenze positive o negative che potremmo mettere in campo.
Troveremo allora dei pianeti, da interpretare come rappresentazioni simboliche dei vizi o qualità umane, che si schierano sul campo di battaglia della nostra vita, bene ospitati o combattuti dal segno astrologico che li ospita, e loro stessi che si intrecciano combattendo o conciliando le reciproche tendenze, manifestando così le attitudini che sono in lotta o in conciliazione tra loro, e quindi nel nostro animo. Sembrerebbe che tutto sia indicato e che tutto sia stabilito, ma non è così, perché quello che ci racconta la nostra mappa è solo il punto di partenza, il punto da cui stiamo ricominciando e non potrebbe mai tracciare il nostro punto di arrivo.
Siamo noi che dobbiamo riprendere a giocare, siamo noi che abbiamo la mano, per cui a chiunque vi racconti che l’astrologia abbia lo scopo di essere predittiva, rispondete che il gioco della vita è sempre personale. In questo gioco, cioè nel buon uso delle opportunità che il nostro cielo ci mostra, noi dobbiamo dimostrare qualità ed eccellenza, cioè dimostrare la nostra maestrìa nell’arte della vita.
Buona erranza
Sharatan ain al Rami

giovedì 4 dicembre 2008

Un veicolo drogato di emozioni


Con una cara amica si stava parlando della grande fatica che ci comporta operare una trasformazione personale poi, proprio in quei giorni mi è capitato di leggere un'articolo sulle ragioni fisiche e biologiche della resistenza. La resistenza al cambiamento è la prima nemica da sconfiggere, per cui è opportuno conoscere il nostro personale campo di battaglia interiore, prima di scendere in combattimento, così che, se parlassi con degli appassionati di strategia militare, direi che qui siamo al livello di conoscenza della natura del terreno.
Partiamo dal presupposto che tutto nella vita può divenire motivo di assuefazione, nel senso che tendiamo sempre a ripetere dei “modelli comportamentali,” dimostrando un’attitudine umana che potrebbe sembrare negativa e che, senza dubbio, in molti casi lo diventa, ma che in realtà è insita nella nostra natura.
Il corpo umano è costituito da cellule ed è una macchina che produce proteine. Sulla superficie delle cellule si trovano delle “porte” tramite le quali le cellule traggono nutrimento ed informazioni: questi sono i recettori. I recettori funzionano con il criterio di “chiave-serratura” per cui ricavano informazioni specifiche da nutrienti specifici, e si attivano per ogni nostro sentimento: quindi abbiamo recettori che attivano la rabbia, la gioia, l’invidia, la paura, etc. e qualsiasi altro stato emozionale. Quando le sostenze chimiche arrivano alla loro porta specifica, attivano la loro “chiave di apertura” ed accedono al nucleo cellulare, in cui depositano tutte le loro informazioni. Essendo depositate nel nucleo della cellula, queste informazioni sono in grado di trasformare la natura cellulare in modo profondo.
Quando l’ambiente esterno attiva delle stimolazioni, l’individuo reagisce velocemente con una reazione, per cui l’ipotalamo si attiva e produce sostanze diverse per i diversi tipi di emozioni, rilasciando delle impronte chimiche che si riversano nel flusso sanguigno e che raggiungono velocemente tutti i tessuti, con il loro carico di agenti chimici che andranno a riaprire le porte specifiche che li connettono con il nucleo cellulare. L’odio, la rabbia, l’indegnità, la tristezza… tutto scorre nel nostro sangue, rendendo verità all’espressione carnale delle nostre emozioni, oltre che a quella mentale. Anche se tante emozioni non vengono espresse, esse sono depositate nel magazzino delle impronte chimiche fondamentali, restando a disposizione per ogni evenienza. Quando le cellule del corpo si modificano e si rinnovano, operando anche il completo ricambio dei tessuti corporei, pur tuttavia le impronte chimiche, conservate nella parte hardware del sistema, rimangono integre e non vengono mai rimosse. La natura non spreca alcuna risorsa per cui, ogni nuovo apprendimento viene introdotto e poi modificato, può essere anche abbandonato, ma non viene mai del tutto cancellato perché può riemergere, sia pure a distanza di anni.
Comunque sia la sensibilità dei recettori è estrema, perché essi si specializzano nel recepire quelle specifiche “chiavi” che sono molto più comunemente circolanti nelle nostre vene per cui, in seguito, tendono a ricercare prevalentemente, proprio quel tipo di nutrimento chimico: in questo modo diventiamo i drogati delle nostre stesse emozioni.
Ogni scarica emozionale, liberata dalle ghiandole endocrine, circolerà nel sangue e nutrirà le cellule vogliose di nutrirsi proprio di quel “sapore” chimico, per cui quando quel nutrimento cesserà, le cellule cominceranno ad avere fame in preda ad una vera e propria crisi di astinenza: allora il nostro organismo si dovrà attivare per produrre quel tipo di nutrimento. Questo spiega il nostro attaccamento alle abitudini e la ripetizione dei nostri schemi comportamentali, come pure spiega la naturale difficoltà ad abbandonare quegli schemi mentali negativi, che Freud definiva “coazione a ripetere” nell’esperienza di sofferenza nevrotica.
Cominciamo allora, ad associare le sensazioni di soddisfazione dei bisogni, con la presenza di particolari e preferenziali nutrimenti chimici, per cui avremo persone che amano solo lavori estremamente stressanti, che amano delle relazioni traumatiche, che amano il lutto o l’atteggiamento rinunciatario di fronte alle opportunità della vita, che ricercano le occasioni di rinuncia masochistica. Il corpo pretende sempre e solo, un certo tipo di sostanze chimiche, e più gliene forniamo più le sue pretese aumentano. Il ricordo della sofferenza diventa una sola cosa con la sostanza che dà piacere al corpo e, anche quando la mente non è soddisfatta del nutrimento ottenuto, essa viene tacitata dal corpo che trae sollievo dalla chimica del suo sangue. Per questo, soprattutto una mente con una forte carica emotiva e passionale, amerà un crescente aumento della dose, in una escalation di sempre maggiore quantità e qualità dell’esperienza.
Valutando che il processo di escalation è molto più veloce del suo processo inverso, detto di de-escalation, questo spiega la forte resistenza ai cambiamenti personali, perché sappiamo che il lavoro è lungo e doloroso: periglioso è il cammino della forza, direbbe uno Jedi.
Per attivare la trasformazione, e quindi la de-escalation, bisogna disintossicarsi da tutte le tossine emozionali che hanno reso dipendente il nostro corpo e la nostra mente, bisogna trovare un nuovo cibo per il nostro corpo, e quindi un nuovo ambiente emozionale di cui nutrirsi.
Nel tempo e nella costante e continua metamorfosi del nostro corpo, possiamo fare si, che le nuove cellule che produciamo, sostituiscano tutte le vecchie cellule, fino a cambiare la nostra pelle emozionale, così come fa il serpente.
Ma per operare una completa metamorfosi, la qualità delle nuove cellule che andremo a sviluppare è essenziale perché esse dovranno essere capaci di nutrirsi di una nuova linfa, della chimica della felicità, della gioia, dell’amore e dell’entusiasmo. La scelta è sempre in mano nostra, perché la forza di volontà personale fa la differenza, come fa la differenza, credere che noi siamo un vero simulacro divino, in cui vanno conservate solo le migliori cose del mondo, e da cui vanno ripulite tutte le scorie che ne offuscano la luminosità.
La nostra casa interiore va sottoposta ad una pulizia radicale, ad un vero e proprio rito purificatorio, in cui vanno svuotati armadi, gettati i vecchi panni e poi va tutto tirato a lustro, fino a risplendere.
Siccome le crisi di astinenza sono più facilmente sopportabili se usiamo molta endorfina, il segreto per affrontare più agevolmente questa rivoluzione resta sempre quello di fare anche cose che ci fanno piacere, di concederci delle coccole e delle attenzioni, e di trasformare tutta la rabbia in grinta e determinazione.
Buona erranza
Sharatan ain al Rami

lunedì 1 dicembre 2008

Alle radici del Sanathana Dharma


L’induismo possiede una caratteristica unica costituita dalla fondamentale tolleranza, basata sul pensiero che i metodi che permettono a ciascuno di realizzarsi in modo totale, sia individualmente che socialmente, sono estremamente variabili e non possono essere codificati dogmaticamente.
La verità è varia perché riflette le infinite iridescenze della realtà materiale, per questo non è mai completamente accessibile all’animo umano: per questo non siamo qualificati per decidere quale debba essere il giusto comportamento per gli altri. Per questo, in nessun momento della storia dell’India vi è stato un invasore o un dominatore che abbia distrutto la civiltà sottomessa, ma si è assistito ad un fenomeno di continuità e di tolleranza reciproca: questo atteggiamento, secondo Alain Daniélou, è il frutto dello shivaismo protostorico che ha permesso alla civiltà locale di sopravvivere.
La scoperta di statuette e sigilli appartenenti alla civiltà della Valle dell’Indo, hanno permesso di identificare la venerazione di un dio maschile, seduto in posizione yogica, e molto simile al dio dell'induismo posteriore Shiva, il culto di dee femminili, di simboli fallici, di forze della natura e di alcuni animali.
Lo shivaismo è la grande religione della Valle dell’Indo, capace di condizionare tutte le più grandi religioni viventi, ed è la più antica religione conosciuta poiché, secondo i Purana, Shiva si manifestò in India nel 6.000 a.C. e insegnò all'uomo la religione, la filosofia, l'arte e la scienza.
Daniélou afferma che il mito egizio di Osiride che giunse dall’Oriente in groppa ad un toro, che è animale veicolo di Shiva, come pure i culti di Dioniso e di Bacco, sono tutti delle ramificazioni dello shivaismo. La stessa Cina si esprime con i simboli di yin e yang, che sono simboli shivaisti, e che costituiscono la pronuncia cinese dei termini yoni e lingam, gli emblemi del principio femminile e maschile.
Furono gli Ariani provenienti dal nord, popoli imparentati con gli Iraniani e con gli Achei, che portarono, tra il 3.000 ed il 2.000 a.C. la religione vedica in India. La religione vedica presenta dei simboli e dei riti analoghi a quelli della Grecia e dell’Italia pre-romana, come pure dei caratteri riscontrabili nell’Iran avestico, ma tutte le pratiche dello shivaismo erano sconosciute ai Veda ariani, per cui i conquistatori dapprima attaccarono il culto del dio, presentandolo come un culto demoniaco ed oscuro ma poi, come per tanti altri aspetti della superiore cultura dravidica, finirono per assimilarlo e integrarlo nella religione vedica, per dare origine a quello che conosciamo come induismo, il Sanathana Dharma, cioè “l'eterno Ordine Cosmico”, la Legge Perenne che regola il ciclo cosmico.
Anche il giainismo, che propugna una dottrina atea e moralista, e che genera una religione pacifica e non violenta, origina da tempi anteriori alle invasioni ariane ed influenza fortemente il buddismo, come pure la filosofia della Grecia classica ed i movimenti fideistici del Medio Oriente, tra cui il cristianesimo. Per questo il pensiero religioso indiano non ci appare assolutamente estraneo o esotico, facendo del tutto parte di un mondo religioso indo-mediterraneo in età protostorica, a cui appartenevamo, ma di cui abbiamo perso il ricordo.
Nel pensiero religioso indiano è stata conservata la storia di una ricerca cosmologica, religiosa, mistica e filosofica, di cui noi abbiamo perso il ricordo a causa del fanatismo religioso, del settarismo, della mentalità religiosa aggressiva e colonialista, che hanno inquinato il buddismo, il cristianesimo e l’islam, in cui si persegue la fede cieca ed ingenua ed il proselitismo. Tali sentimenti hanno usurpato il posto alla ricerca della conoscenza e al rispetto per le vie della volontà divina che, prima dell’avvento delle religioni semplicistiche e fideistiche, consideravano la ricerca spirituale come un naturale e spontaneo percorso di evoluzione umana.
Gli sforzi per capire l’ordine del cosmo e il posto che l’uomo deve occupare in questo contesto, erano consueti ma si differenziavano per l’uso di mitologie dotate di linguaggi locali, in grado di adattarsi meglio alle differenti culture. Ma se i nomi erano diversi, restavano uguali i simboli che tali nomi rappresentano, per cui il Varuna induista è l’Urano greco, come Indra è Giove e Dioniso è il corrispondente greco del dio Shiva. Infatti, quando i soldati di Alessandro Magno entrarono nella città di Nysa, andarono sul monte sacro al dio Shiva (da loro chiamato Dioniso) per onorare il dio con i loro compagni di fede.
Atene, Alessandria d’Egitto, la Siria e la Palestina erano terre di transito e di incontro per genti eterogenee, tra cui molti indù. Aristossene, un discepolo pitagorico citato da Eusebio, riferisce delle discussioni tra Socrate ed un saggio filosofo indiano. La stessa scuola degli Scettici fu fondata sui principi fondamentali del giainismo, come pure il sistema di dottrine filosofiche e matematiche di Pitagora, derivanti dal sistema Sankhya, rispecchiano delle idee consuete dell’India del tempo. Le stesse idee del sistema Sankhya si ritrovano in Anassimandro, Eraclito, Empedocle, Anassagora, Democrito ed Epicuro, come pure l’influenza del pensiero indiano si ritrova nel pensiero degli gnostici e nelle concezioni neoplatoniche, come pure nel Vangelo di Giovanni di origine gnostica.
Se ne leggiamo l’incipit:”In principio era il Verbo e il Verbo era presso Dio e Dio era il Verbo. Questi era in principio presso Dio. Tutto per mezzo di lui fu fatto e senza di lui non fu fatto nulla di ciò che è stato fatto” vi ritroviamo la stessa concezione induista della creazione.
Narrano i Veda che inizialmente Dio era privo di attributi, era senza forma, senza nome, pieno, completo, beato, senza dualità. Così, per potere sperimentare Sé stesso, espresse il primo desiderio:“Io sono Uno; diverrò i molti”. Questa volontà assunse la forma di suono, così risuonò Udgitha o Pranava Mantra il mantra primordiale, il sacro Aum (ॐ) Ohm o Om cioè il mantra più sacro dell’induismo. La stessa Apocalisse è un adattamento del Bhaviskya Purana, un’antica scrittura vedica del 5.000 a.C. Storicamente sappiamo di colonie indù che vivevano nella zona dell’alto Eufrate, fino al 304, quando san Gregorio fece distruggere i loro templi e distruggerne tutte le immagini sacre, in una delle molte persecuzioni dei pagani della nascente religione cristiana.
Buona erranza
Sharatan ain al Rami