domenica 30 novembre 2014

Consapevolezze



“A chi mi chiede perché in alto io viva,
non rispondo, sorrido, il cuore in pace.
Scorrono le acque, passano i venti.
Questo è il mio mondo, diverso dal vostro.”
(Li Po)

Il filosofo Friedrich Nietzsche ha descritto tre stati attraverso cui passa la coscienza umana. Il primo stadio è quello del cammello in cui siamo come ruminanti: questa è la condizione che viviamo da bambini quando siamo formati e assimiliamo quello che è giusto per i nostri genitori. I contenuti che ci vengono inculcati sono la somma delle concezioni, dei modelli e dei valori che vengono dai nostri antenati e dalla nostra società, perciò sono il frutto del nostro passato familiare e collettivo.

I cammelli mangiano tutto quello che trovano perciò anche noi assimiliamo tutto quello che ci viene insegnato senza averne alcuna consapevolezza. Siamo inconsapevoli ma crediamo di avere una grande saggezza. Invece abbiamo accumulato solo i pregiudizi e le repressioni che provengono da coloro che ci hanno cresciuto o educato. Vivendo come cammelli si diventa disponibili e si risponde sempre “si.” Si accetta tutto senza mettere mai nulla in dibbio, perciò restando per tutta la vita come cammelli siamo bloccati e non facciamo nessuna evoluzione.

Raggiungiamo il secondo stadio se vogliamo fare il cammino della consapevolezza, quando diventiamo come leoni. È fatale trovarsi leoni se ci ribelliamo al passato che ci opprime. Un leone si ribella sempre contro quello che sente come oppressivo e come superato. Essendo come dei leoni ci sentiamo forti e sicuri se diciamo sempre “no” e se mettiamo in discussione tutto quello che abbiamo. Il leone ruggisce contro la repressione e contro i limiti del passato, perché il leone non ama i confini, vuole uscire dagli schemi e ama quello che non è comune.

Il leone supera i limiti della tradizione e va alla ricerca di nuovi orizzonti. Se diventiamo come leoni realizziamo il nostro potenziale di esseri umani, secondo Nietzsche, ma anche il leone trova dei limiti e dei rischi. Se restiamo sempre leoni rischiamo di esaurire tutte le energie per creare l’identità di quello che si ribella contro tutte le forme di autorità. Si rischia di essere prigionieri nel ruolo dell'eterno ribelle contro tutto e tutti.

Saltare dalla condizione di cammello a quella di leone richiede molto coraggio, infatti implica accettare la disapprovazione di chi non è un leone. Fare quel salto implica il trovarsi contro la gran massa dei cammelli che odia i seccatori che sono sempre dubbiosi. E la gran massa dei cammelli è sempre più grande dei leoni che sono sempre pochi. Nietzsche dice che c'è anche uno sviluppo ulteriore che viene fatto se diventiamo come bambini. Secondo lui, questo è l'arrivo dell’evoluzione della coscienza personale.

Un bambino ha superato la fase in cui risponde sempre e solo con “si” o con “no.” Un bambino ha molta fiducia nella bontà della vita perciò accetta tutto ciò che la vita gli offre. Un bambino non è passivo come un cammello ma non reagisce neppure sempre con la rabbia e la ferocia del leone. Un bambino è un essere saggio che sa che, nella vita, sa usare la forza del leone oppure sa agire come un cammello. La scelta si valuta valutando le cose per come vengono perché siamo consapevoli delle nostre capacità.

Dobbiamo tornare alla primitiva innocenza e alla fiducia nella vita, ma non è una fiducia cieca ma è una fiducia matura. Sviluppare questa saggezza richiede di avere fiducia, amore e sicurezza in noi stessi. Ma la crescita avviene solo se usciamo dal passato. L'identità che viene sviluppata in ambiti limitati o repressi non si forma come autentica. Chi viene represso sviluppa una personalità che vuole accontentare tutti, perciò diventa una persona falsa. I cammelli non si fidano e fanno tanti compromessi per vivere tranquilli, perciò sono inaffidabili e non ispirano fiducia.

Per apprezzare il senso del nostro valore dobbiamo uscire dall’influsso degli schemi mentali creati dai condizionamenti del passato. Per liberarci dobbiamo rischiare, infatti dobbiamo pensare e agire in modo nuovo. Per separci dal passato è necessario capire quello che riteniamo giusto per noi, e iniziare a fare quello che amiamo fare. Solo così diventiamo veri. Se restiamo chiusi negli schemi rigidi non dubitiamo mai di nulla, perciò resteremo sempre nel gregge.

L'aspetto positivo del cammello è quello che ci permette di sviluppare le nostre radici. La nostra eredità familiare ci struttura un senso di appartenenza, e le nostre radici restano sempre in noi. Le radici nutrono se sappiamo conservare la parte migliore che ha aiutato a formare, in modo costruttivo, la nostra personalità. Ma, se non separiamo questo, o se non sappiamo vederle nel giusto valore, diventeranno una prigione. Infatti diventeranno tutto quello che agisce, anche a nostro svantaggio, nell’inconscio più profondo.

Un leone lotta contro il vecchio ma la sua lotta usa molta rabbia contro le regole. La rabbia è utile solo se è usata per risvegliare la forza e trovare il coraggio necessario per fare il cambiamento. Nella fase iniziale della separazione sentiamo di essere soli contro tutto il resto del mondo. Per sostenerci è necessario trovare l’appoggio di altri leoni che la pensano come noi. Ma lo stato da leone si presenta anche con tante varianti, infatti c'è anche chi lo esprime in modo radicale e drammatico.

Qualcuno usa l’energia del leone per fare uno stacco netto e prendere la distanza fisica dalle persone e situazioni passate. In altri, il leone diventa più sottile o distorto, e si esprime con atti di sabotaggio e risentimento occulti. Spesso si resta inconsapevoli di fare la ribellione e si può restare inconsapevoli tutta la vita perciò il problema non è mai visto. La vera ribellione avviene contro l’infanzia in cui non ebbero cura di noi in modo giusto. E noi, invece di ribellarci contro costoro, ci scagliamo contro le autorità e contestiamo le limitazioni culturali e religiose.

Il contributo più importante del leone è quello di aiutarci a ritrovare la forza. E più diventiamo consapevoli di poter risvegliare il leone addormentato, più la guarigione sarà veloce, certa e completa. La giusta distanza ossia un giusta separazione dal problema può chiarire tutto, perciò quando facciamo la distinzione arriviamo a sentire il senso della nostra vera essenza. Così entriamo in modo spontaneo nel terzo stadio, cioé nello stato del bambino. Riscopriamo l’innocenza originale ma sarà un'innocenza che è diversa da quella che avevamo da bambini.

Abbiamo avuto il coraggio di diventare leoni ma non vogliamo restare aggrappati alla rabbia e al rancore del leone, perché siamo cresciuti e non abbiamo bisogno di quello. Sappiamo apprezzare le cose belle che abbiamo, perché abbiamo separato il brutto dal bello che abbiamo ereditato. Abbiamo risolto tutte le inconsapevolezze che vi erano collegate. Ora amiamo le radici da cui veniamo perché abbiamo la saggezza di riconoscere il bello che abbiamo: ora il passato non ci rende più suoi schiavi.

Ora sappiamo che il passaggio nei tre stadi non è un processo fisso e rigido. Sappiamo che, a volte, possiamo diventare come leoni o come cammelli, e che altre volte siamo fiduciosi come dei bambini. La cosa migliore è equilibrare il nostro vero essere. Lavoriamo duramente per fare questo, ma avere difficoltà è normale per l'essere umano che cerca di diventare migliore. Avere la consapevolezza delle nostre e delle altrui difficoltà ci fa sentire una maggiore compassione e più comprensione.

Buona erranza
Sharatan

giovedì 27 novembre 2014

Dove sei?



"Dio dice all'uomo: Dove sei?"
(Genesi, X,1)

"Dove sei? Dove siamo? Siamo sempre dentro di noi. Siamo sempre nella nostra esperienza, esattamente allo stesso posto, sempre allo stesso posto. Non siamo né il nostro corpo, né nel nostro corpo. Il corpo stabilisce semplicemente una zona privilegiata delle nostra esperienza, del nostro mondo. Hai l'impressione di 'non essere al tuo posto.'

Come se ci fosse uno spazio diviso in caselle e persone che vengono messe in queste caselle! Sarebbe quindi sufficiente trovare la propria posizione. Oppure si constaterebbe con tristezza che non c'è più posto per noi.

Ma non è affatto così.'Non sei al tuo posto' significa in realtà: 'Non sei al posto di Te' ovvero che non sei in te stesso, che non sei incarnato, che non sei nel presente.

Meditiamo per addestrarci a essere presenti. In meditazione sei seduto, immobile, e il mondo gira attorno a te come attorno a un centro. Dopo la meditazione, sei ancora in te, al centro di tutto, e il mondo continua a gravitare attorno a questo centro. Tutto ciò che ti circonda appartiene alla tua esperienza, tutte le persone e tutti i fenomeni sono in te. Sei al tuo posto: al posto di colui che è.

Tu non ti muovi mai, sei immutabile. È il mondo che ti gira attorno. Sei immutabile perchè proteggi la tua mente. Dal momento che proteggi la tua mente, il mondo spinge di tirarti e spingerti. Comincia a girare lentamente attorno a te. Il mondo è lo spettacolo meraviglioso che l'anima concede a se stessa.

Qualsiasi cosa tu faccia, che tu vinca o che tu perda, sei sempre in te stesso. Non hai bisogno di agire perché tutto è in te. Sei immobile al centro della tua anima, C'è sì un'attività, ma si tratta del movimento naturale della luce nella luce.

Dove sei? La coscienza è assolutamente immobile. Non si trova da nessuna parte nel mondo. Appartiene semplicemente al luogo dell'anima: nel presente, il presente perfettamente immobile ed eterno della luce.

Dove sei? Tu. Qui. Ora. Dove sei? Guardati! Chi stai diventando in questo momento? Dov'è la tua anima? Dov'è la tua infanzia? Dove sono le potenze del tuo essere? Dove sei stato in questi ultimi tempi? A cosa ti sei rassegnato? Quale parte di te si è addormentata? Svegliati!

Lascia stare tutte le teorie, tutti i metodi, tutte le religioni, tutte le idee: cosa accade nella tua vita, qui, ora? Dove sei? Cosa fai della tua vitaNon dimenticare mai il tuo bene più prezioso, il tuo unico bene: la tua anima. Misura l'elevatezza della tua origine e la padronanza di sé che ti impone. Non hai forse trascurato il Bambino divino? Non hai forse dimenticato la Promessa?"(Pierre Lévy, Il fuoco liberatore, Sossella ed.)


martedì 25 novembre 2014

Il viaggio dei tre dervisci



Tre dervisci che erano in viaggio s'incontrarono, e iniziarono a parlare. Il primo derviscio si presentò dicendo che lo chiamavano Viaggiatore, perché ovunque andava prendeva sempre la strada più lunga e contorta. Il secondo disse che lo chiamavano Strambo, perché nulla gli sembrava strano perciò tutto ciò che faceva sembrava strano agli altri. L’ultimo era chiamato Rubatempo perché in tutto quello che faceva cercava di risparmiare tempo, anche se i mezzi che usava spesso lo ostacolavano.

I tre decisero di proseguire insieme il viaggio ma, dopo pochi giorni, uno di loro si separò. Viaggiatore aveva visto un cartello che nominava un luogo di cui gli avevano parlato, e volle assolutamente prendere quella direzione. Arrivò in una città deserta abitata solo da leoni. La città mostrava ancora i fasti del suo passato splendore, ma avevano dimenticato di dirgli che era caduta in rovina da molti secoli. E siccome i leoni erano affamati, circondarono il derviscio e lo sbranarono.

Dopo un paio di giorni, Rubatempo si mise in testa di cercare una scorciatoia, e si ritrovò in una foresta piena di sabbie mobili dove vagò per mesi. Perciò Strambo si ritrovò a viaggiare nuovamente da solo e ben presto incontrò un uomo che gli disse: “Derviscio, non proseguire per questa strada. Più avanti c’è un caravanserraglio, ma di notte si riempie di animali selvaggi che escono dalla giungla.“

Strambo, che era attratto da tutti i fatti inconsueti, s'incuriosì e chiese: “E di giorno cosa fanno?” L'uomo gli rispose: “Suppongo che di giorno dormono e che di notte escono a caccia.” Il derviscio decise: “Bene, vorrà dire che anch'io dormirò di giorno e veglierò di notte.” Quando fu giorno, arrivò al caravanserraglio e notò che intorno c’erano molte impronte di animali. Si trovò un posto sicuro in cui dormire e, in effetti, dormì profondamente tutto il giorno.

Quando fu il crepuscolo si svegliò, e trovò un nascondiglio sicuro in cui non poteva essere visto. Non passò molto tempo che iniziarono ad arrivare gli animali selvaggi preceduti dal loro re, il leone, che arrivò per primo alla riunione. Arrivando, tutte le bestie salutavano il leone con molta deferenza. Poi iniziarono la strana riunione in cui si parlava di segreti conosciuti solo nel mondo animale.

Le parole delle bestie sono sconosciute alle orecchie umane ma il derviscio era tranquillo nel suo nascondiglio e capiva la strana lingua delle bestie. Seppe che, nelle vicinanze, c’era una caverna piena di gioielli con il tesoro di Karatash, la favolosa Pietra Nera. E seppe pure che, in quello stesso caravanserraglio, viveva un topo che custodiva uno scrigno pieno di monete d’oro.

L'animale rivelò che il topo, ogni mattina, estraeva lo scrigno dal suo nascondiglio segreto e controllava le monete di cui non poteva disfarsi, e che non poteva spendere. Un altro animale rivelò che la figlia di un famoso re sarebbe caduta in preda di una misteriosa malattia che l'avrebbe portata alla pazzia e, infine, alla morte. Ma c'era un modo con cui poteva essere guarita.

La rivelazione del rimedio fu la cosa che risuonò strana anche alle orecchie di uno come Strambo che di stranezze ne aveva sentite molte. La bestia rivelò che, nelle vicinanze, viveva un cane pastore che faceva la guardia a un enorme gregge di pecore. Ebbene, la principessa poteva essere guarita bruciando un po' del pelo che cresceva dietro le sue orecchie, e facendolo aspirare alla ragazza.

La malattia era dovuta al sortilegio fatto contro suo padre, il re, e lui aveva avuto il rimedio dalla bestia da compagnia del negromante che aveva fatto l’incantesimo. Visto che non si sapeva dove viveva la principessa e che nessuno capiva gli animali, sapere il segreto non era utile a nessuno. Gli animali parlarono tra loro fino alle prime luci dell’alba, poi la riunione finì e si dispersero.

Il derviscio restò nel suo nascondiglio e aspettò finché vide arrivare il topo custode dello scrigno. Vide che il topo spingeva una moneta d’oro e la faceva rotolare per divertirsi, poi lo vide tirare fuori lo scrigno e contare le monete d’oro. Il derviscio uscì dal nascondiglio, afferrò lo scrigno e si diede alla fuga.

Corse lontano e andò fino alla caverna di Karatash dove trovò il tesoro. Poi andò a cercare anche il cane da gregge e gli strappò qualche pelo da dietro le orecchie. Infine si rimise in viaggio lasciandosi guidare da alcuni strani segni che nessun altro avrebbe notato. Ma Strambo era abituato alle cose insolite e seguì quei segni misteriosi finché arrivò a superare i confini dell’impero.

Entrò in un regno sconosciuto e arrivò in una città dove tutti avevano un’espressione addolorata. Chiese a un uomo che passava cosa fosse avvenuto, e quello gli rispose che la figlia del re era stata colpita da un male misterioso. Il male sembrava inguaribile malgrado tutti gli sforzi dei medici di corte e dei più grandi sapienti del regno. Allora il derviscio andò a palazzo e chiese di parlare al re.

Quando fu condotto alla sua presenza disse di poter guarire la principessa. Il re disse: “Se sarai in grado di guarirla ti darò la metà delle mie ricchezze. Se fallirai ti farò impalare sul più alto dei miei minareti. A te la scelta!” Il derviscio accettò le condizioni del re e quando fu portata la principessa, bruciò i peli di cane e le fece annusare il fumo. La principessa aspirò e riacquistò subito le forze con grande gioia di suo padre.

Perciò il derviscio diventò un principe reale, ma continuò a insegnare i suoi metodi alla gente che veniva per imparare da lui. Un giorno, come era di sua abitudine, mentre passeggiava sotto mentite spoglie per non farsi riconoscere, incontrò il derviscio Rubatempo. Questi non lo aveva riconosciuto subito perché era troppo occupato a parlare con un tizio, e non voleva perdere tempo a salutare un vecchio amico.

Ma lui si fece riconoscere, lo portò a palazzo e gli raccontò la sua storia. Il derviscio Rubatempo era impaziente e ascoltò velocemente però non perse tempo a soffermarsi sui minimi particolari. Lui aveva preso già la sua decisione: “Andrò anche io nel caravanserraglio e ascolterò i segreti degli animali. Così potrò fare anche io il mio cammino, così come hai fatto tu.”

Ma Strambo gli obiettò: “Non te lo consiglio. Prima devi moderare l'impazienza, poi devi lavorare meglio sul tempo e devi imparare a capire i segni strani.” Ma l’altro tagliò corto: “Ma è una cosa assurda. Io voglio partire subito.” Senza indugio Rubatempo si fece prestare cento monete d’oro per affrontare le spese del viaggio, poi si congedò velocemente e si mise in cammino.

Quando arrivò al caravanserraglio che era già notte fonda ma non volle nascondersi e decise di entrare nel salone della riunione per fare presto. Quando gli animali lo videro entrare, lo circondarono e lo sbranarono. E così fini miseramente il suo viaggio, mentre Strambo visse felice per sempre.

Buona erranza
Sharatan

venerdì 21 novembre 2014

Tanti ritorni



“Se non riesci a trovare la verità là dove sei,
in quale luogo speri di trovarla?”
(Dogen)

Il pensiero, nella maggioranza degli uomini, non è altro che accettazione delle idee degli altri. La nostra mente, dice Aurobindo, è come una sentinella insonnolita che fa passare qualsiasi cosa abbia una pur minima somiglianza con ciò che gli sembra familiare. E l'incapacità di pensare aumenta quando si deve riflettere su concetti astratti e non consueti. Persino i più intelligenti e curiosi si accontentano di credere a “sciocchezze inconsistenti” quando si trovano ad affrontare questioni troppo elevate o molto difficili.

Quando è necessario usare un pensiero sottile e preciso è facile provare impazienza, perché non si vuole affrontare il duro lavoro che è necessario per capire. Gli uomini pensano in modo sottile solo quando affrontano questioni concrete e pratiche. Non amano il pensiero sottile adatto alle questioni sottili perché l’intelletto umano è ancora uno strumento troppo rozzo. E non è inconsueto vedere che qualcuno fa uno scarabocchio e poi è felice perché crede di aver dipinto un quadro completo. E il pensare rozzo e parziale riguarda anche una questione importante come quella della rinascita.

La rinascita, anche per chi l’accetta, è compresa in modo superficiale perciò si accetta come una teoria o come un dogma. Nella teoria della rinascita si dice che l’uomo muore e che l’anima rinasce in un nuovo corpo. In primo luogo la rinascita è reincarnazione, infatti l’anima esce da una struttura corporea ed entra in un’altra struttura. Ma la cosa curiosa è che questo modo di pensarla fa immaginare che l’anima sia come il genio che esce ed entra dalla sua lampada.

Alcuni dicono che l’anima si plasma un corpo nell’utero della madre e, quando il corpo è formato, l’anima occupa il corpo che lei stessa si è plasmato. Non si riflette mai sulla nascita dell’anima ma si riflette soltanto sulla nascita del corpo che verrà occupato dalla personalità. E qui vediamo il tallone di Achille della cosa, perché l’aspetto che ci attrae di più, nella rinascita, è avere la sicurezza della sopravvivenza della nostra personalità.

È difficile, soprattutto per chi ama molto la vita, accettare che la mente finisce quando finiscono le circostanze del corpo fisico. La mente occidentale è affascinata dal concetto di una memoria mentale che continua ad esistere, e che possa rivivere in un nuovo corpo. La dissoluzione che temiamo è la scomparsa della coscienza ossia di ciò che siamo abituati a chiamare “me stesso”. Non c'è motivo migliore per crederci, perciò la reincarnazione è un'idea molto consolatoria.

Vogliamo avere la speranza che la nostra mente e la nostra memoria possano avere una ricomparsa fisica, affinché la nostra personalità possa continuare. Gli antichi maestri non la vedevano così, infatti non erano interessati all’immortalità della personalità. I maestri buddhisti e quelli del Vedanta non cercavano di conservare la personalità. Essi credevano che la personalità fosse un composto in continua mutazione perciò non cercavano l’immortalità di una personalità fissa.

Ma anche loro sentivano una continuità nelle rinascite, perciò indagarono sulla vera origine di questa continuità. Temevano che anche il senso d'identità fosse un'ennesima beffa del gioco illusorio che crea il mondo in cui viviamo. I maestri buddhisti negano ogni forma di identità e insegnano che non esiste un sé reale e neppure la persona. Dicono che esiste solo un flusso di energia che scorre in modo incessante, e che assomiglia al corso di un fiume. Perciò la continuità della coscienza nasce dal flusso continuo di queste energie.

È la mente che crea, la mente crea se stessa e, per farlo, usa il falso senso di identità. I buddhisti non credono di avere un’identità perciò non credono neppure che la rinascita sia necessaria per l’anima. Credono che resta solo il karma, perché il karma scorre di continuo in un flusso che non trova mai nessuna interruzione. È il karma che si reincarna. perciò è il karma che crea la forma della mente. Infatti la mente muta in modo costante e continuo.

Anche i corpi fisici sono il risultato del cangiante composto di idee e di sensazioni che diciamo essere noi stessi. Un Io sempre identico non esiste, non è mai esistito e non esisterà mai. Ma finché avremo l’illusione di essere una personalità resterà anche l'ignoranza sulla questione del ritorno in nuovi corpi. E c’è anche il punto a cui non si pensa ossia il fatto che un composto si possa disgregare e non crearsi mai più: anche il letto del fiume può andare distrutto!

Ma, in questo contesto, secondo i buddhisti, siamo nel Non-Essere ossia vediamo la cessazione e la liberazione: è il momento in cui l’errore si libera anche di se stesso. I maestri del Vedanta pensavano diversamente, infatti ammettevano l’esistenza di un’identità. Ammettevano l’esistenza di un sé permanente che, però, è diverso dal composto che chiamiamo noi stessi. Costui è il Sé, è l’Uomo reale, è il Signore di tutte le apparenze mutevoli.

Se non conosciamo il vero Signore non possiamo parlare di sopravvivenza della personalità, dice Aurobindo, perché “soltanto colui che va oltre la personalità sino alla vera Persona diventa immortale”. Finché non entriamo in questo tipo di coscienza, ci sembrerà che esista solo il ciclo dell'uomo che rinasce sempre di nuovo e poi muore. Fino ad allora, vediamo solo la forma che si sussegue alla forma, ma non avremo nessuna immortalità.

Esiste un continuo e costante formarsi e un riformarsi di diverse personalità che vivono in nuovi corpi, ma la personalità è solo una nostra creazione. Essa cambia di continuo, perché c’è una forza che lavora e che spinge sempre all’azione. Ma la forza non è mai la stessa forza perciò, il senso dell’ego in cui ci identifichiamo, ci spinge ad attaccarci al corpo. Per questo motivo, secondo Aurobindo, pensiamo di essere racchiusi in un nome e in una forma.

Ma l’antico Vedanta insegnava che esiste qualcosa al di là della forza che ci spinge all’azione, infatti esiste il Maestro di essa. Il Maestro fa in modo che la forza crei, per suo conto, sempre nuovi nomi e nuove forme. Egli è il Sé, è il Purusha, Egli è la Vera Persona. Il senso dell’ego è solo l’immagine distorta che viene riflessa nel fluire continuo della mente che è collegata al corpo fisico.

Il Sé non si reincarna e non ha bisogno di farlo, perché il Sé non nasce e non muore. Il Sé non è mai nato perciò non può esistere nel corpo, piuttosto è il corpo che viene plasmato per servire il Sé. Il Sé non può essere rinchiuso in una forma, ma può prendere qualsiasi forma, e può creare tanti oggetti diversi. Tutti i corpi sono nel Sé, ma anche questo è un’illusione collegata alla nostra percezione dello spazio. I corpi sono figure e simboli che il Sé ha creato nella sua stessa Coscienza.

Al momento della morte l’anima non lascia il corpo ma se ne spoglia come se si togliesse un abito. Lo strappo violento della morte è causato dalla sensibilità dell’involucro sottile ossia dal corpo eterico cioè dal corpo psichico legato al corpo. Il corpo fisico si collega al corpo eterico con la corda del cuore, con la corda dell’energia della vita e con l’energia nervosa che è stata intessuta in ogni fibra del corpo, dice Aurobindo.

Il Signore del corpo si porta via tutto questo, e lo strappo può essere violento o dolce oppure rapido o lento. Perciò è la forza di connessione che causa il dolore che sentiamo nella morte e la sua difficoltà. Abbiamo un signore della personalità che cambia continuamente e che, di nuovo, assume nuovi corpi. Ma il Sé reale si conosce sempre al di sopra di ogni mutamento, infatti Lui l’osserva e ne gioisce, ma non vi prende mai parte. La mente e il senso dell’ego sono strumenti inferiori, perché esiste una forma essenziale che l’Uomo Reale utilizza per sostenere e per rispecchiare il mutamento senza esserne mutato.

La forma più essenziale, secondo le Upanishad, è l’essere mentale ossia è la persona mentale che diventa il comandante della vita e del corpo. È lui che sostiene il senso dell’ego come funzione della mente. Lui ci consente di avere la ferma percezione di una identità che continua nel tempo, in opposizione all’identità senza tempo del Sé. La personalità che muta di continuo non è la persona mentale, ma è un insieme di materiali della Natura, è una formazione di Prakriti, per Aurobindo.

Esso è un composto molto complesso fatto da tanti strati: c’è lo strato fisico, quello nervoso, quello mentale, e c'è anche lo strato sopra-mentale. E, all’interno di tutti gli strati, ci sono ancora altri strati ulteriori. L’essere mentale, nel riprendere la vita corporea, forma una nuova personalità che è adatta alla nuova esistenza terrena.

Prende dalla materia comune del materiale organico e inorganico, del materiale mentale del mondo fisico e, durante la vita terrestre, assorbe costantemente del materiale fresco. Getta via tutto ciò che ha usato mutando i suoi tessuti fisici, nervosi e mentali. Ma questo è solo il lavoro di superficie, perché dietro a tutto questo, c’è tutto il fermento e il lavorio delle esperienze passate che viene sempre tenuto dietro la memoria fisica perché la nostra consapevolezza non ne venga turbata.

Non devono esserci delle interferenze da parte del nostro passato, perché dobbiamo essere concentrati solo sul presente. Il retroterra del passato è il nocciolo della nostra personalità, ma è anche molto di più. È il nostro tesoro a cui possiamo fare ricorso sempre, anche a prescindere da tutto quello che ci sta intorno. E questo rapporto si aggiunge alle nostre conquiste passate e modifica il retroterra che viene preparato per affrontare le vite future.

Buona erranza
Sharatan

mercoledì 19 novembre 2014

Il cibo del cosmo



“Nell’uomo è concentrato tutto il cosmo spirituale.”
(Rudolf Steiner)

Non conosciamo le intime relazioni che ci uniscono al cosmo e ignoriamo che il destino personale è collegato con l’evoluzione cosmica, dice Rudolf Steiner. Nel corso della vita tutto quello che viviamo, sia in modo cosciente che inconsciamente, concorre a formare il nostro destino individuale. Ma per capire come avviene, si deve conoscere la differenza tra la condizione della veglia e il sonno. Solitamente la nostra attenzione resta concentrata maggiormente sul tempo in cui siamo svegli, su ciò che pensiamo, che sentiamo e che facciamo, ma il sonno svolge una funzione evolutiva essenziale che non è affatto conosciuta.

Nella vita riflettiamo maggiormente su ciò che avviene di giorno e trascuriamo ciò che accade nel sonno. Quando dormiamo, il corpo fisico e il corpo eterico restano nel letto, mentre il corpo astrale e l’io escono fuori dal corpo fisico e dal corpo eterico, e ascendono fino ai mondi spirituali. Al nostro risveglio, il corpo astrale e l’io rientrano nel corpo fisico e nel corpo eterico, e noi riprendono la nostra attività quotidiana. Di norma, passiamo circa 1/3 della vita dormendo, ma ignoriamo l'importanza del sonno se escludiamo la sua funzione di recupero dalla stanchezza.

In realtà, quando dormiamo, risaliamo al tempo precedente alla nascita, infatti torniamo nei mondi da cui scendiamo quando riceviamo un corpo fisico. Se dormiamo non siamo nel tempo in cui viviamo, ma “percorriamo a ritroso tutto il cammino attraverso il tempo” dice Steiner. Perciò, in senso spirituale, si può dire che la notte torniamo come bambini. Questo sembra strano, ma noi viviamo la vita terrena nello spazio e nel tempo, perché siamo legati alla percezione del corpo fisico.

È il nostro corpo fisico che invecchia mentre il corpo eterico “congiunge l’inizio della vita al punto in cui ci troviamo in un certo periodo della vita". Il corpo eterico è il mediatore tra l'entità animico-spirituale e il suo corpo fisico, infatti l'eterico stabilisce la congiunzione che segue lo scorrere del tempo. Si crede che il corpo astrale e l’io invecchiano insieme a noi, ma non è così che accade. Sarebbe in questo modo se quello che crediamo essere il nostro vero io, lo fosse realmente.

Ma quello che crediamo il nostro vero io non lo è, infatti il nostro vero io resta sempre all’inizio della vita. Il corpo fisico invecchia e rispecchia il vero io attraverso il corpo eterico. Noi vediamo solo l’immagine riflessa del nostro vero io, e quando il corpo invecchia, com'è giusto che sia, anche il nostro io sembra invecchiato. Ma noi vediamo solo un’immagine che viene riflessa in uno specchio appannato perciò si mostra invecchiato.

Il corpo eterico si trova nel mezzo, perciò si estende dal presente verso il vero io ma tende anche verso il corpo astrale che non scende nel piano fisico. Il corpo eterico è il corpo del tempo perché si estende, etericamente, tra il momento attuale che viene sperimentato nel corpo fisico, e il vero io che vive senza scendere nel piano fisico. Il vero io resta sempre indietro nei mondi celesti, e la vita si svolge in modo che il vero io e il corpo astrale restino sempre com’erano all’inizio della nostra vita. E questa è l’unica verità sulla percezione del tempo.

Alla morte lasciamo il corpo fisico che è ciò che sperimenta il trascorrere del tempo e lo scorrere dell'età. Ma cosa ci resta? Dopo aver lasciato il corpo fisico ci resta tutto quello che non abbiamo portato nella vita terrena. Tutto questo era restato fuori dal piano fisico, ma si è arricchito con le esperienze fatte dall’io e dal corpo astrale che percepivano il riflesso offerto dal corpo astrale. Siamo arricchiti e siamo colmati da tutto quello che abbiamo riflesso nella vita terrena. Ci sentiamo totalmente pervasi da ciò che abbiamo amato nella vita, e questo fa derivare un certo tipo di coscienza.

Dopo pochi giorni che abbiamo lasciato il corpo fisico anche il corpo eterico si separa dall’io e dal corpo astrale. Dopo la separazione sentiamo che tutto quello che credevamo importante non ha più nessun valore. Tutto quello che sentivamo come soggettivo diventa oggettivo perché iniziamo a espanderci. Diventiamo sempre più grandi e poi, come entità di pensiero, ci dissolviamo nel cosmo. Mentre l’entità di pensiero ossia il corpo eterico si perde nel cosmo, si concentra sempre più in una condizione di coscienza che è diversa da quella ordinaria.

Tre giorni dopo la morte è scomparso tutto il contenuto cosciente della vita terrena. infatti si disperde tutto quello che avevamo amato in vita e, dall'interiorità, sorge il ricordo di ciò che abbiamo vissuto in sonno. Perciò la morte disperde tutto quello che abbiamo provato nel giorno e fa riaffiorare le esperienze vissute nel sonno. Ma le nostre esperienze notturne vengono esaminate alla luce di un forte sentimento morale. E così affrontiamo la fase che gli orientali chiamano il Kamaloca ossia il Purgatorio.

Riviviamo tutta la vita a ritroso e torniamo all’inizio della vita terrena, perché la ruota della vita deve fare il giro completo per tornare al punto d’inizio. Tre giorni dopo la morte, ripercorriamo tutto il tempo vissuto nel sonno della vita terrena. Ma facendo quel percorso a ritroso subiamo gli effetti coscienti delle azioni che abbiamo compiuto, perciò valutiamo il nostro valore come esseri umani. Emerge in piena coscienza tutto il contenuto che abbiamo vissuto inconsciamente nel sonno, e ci appare in piena coscienza perché abbiamo lasciato il nostro corpo eterico.

Se pensiamo di camminare su un sentiero pensiamo ad un spazio fisico, ma lo spazio non ha significato per il mondo animico-spirituale. In quel mondo non esiste lo spazio e il tempo, perciò ripercorriamo il tempo in modo molto veloce. Ritorniamo all’inizio della vita terrena ma restiamo arricchiti da quello che abbiamo vissuto, e non solo di quello che ricordiamo della vita sullaterra. Quando si dice che ritorniamo nel mondo spirituale in realtà, si deve intendere che vi torniamo solo con la coscienza.

In verità, noi non siamo mai discesi ma abbiamo aspettato che finisse il tempo del cammino terrestre di un corpo fisico. E quando dicono che ritorniamo alla condizione originaria intendono che torniamo nella condizione di prima della nascita. Usciamo dal mondo divino ma poi torniamo portando con noi tutto quello che abbiamo conquistato fuori dal mondo divino. Solo così continua la vita, poiché continua solo se viene arricchita dalle esperienze terrene coscienti e inconsce. E quando torniamo fanciulli ritroviamo il regno dei cieli.

In quel regno abbiamo una vita in cui ci sentiamo come siamo veramente. Ci troveremo tra anime che non vissero mai, tra anime che hanno vissuto e tra anime che sono morte e che aspettano una nuova nascita. Ma troviamo anche gli esseri spirituali più cari e quelli molto elevati come angeli, arcangeli, archai e così via. Si vive un'esistenza totalmente spirituale, perché abbiamo tutto il nostro essere proteso nel cosmo. L’uomo si offre al cosmo totalmente e gli dona tutto quello che ha vissuto perché il cosmo ne ha bisogno.

Il cosmo è come un possente organismo spirituale che ha bisogno di trovare sempre del cibo. Il suo nutrimento non gli può venire dalle stelle perché esse sono disperse nello spazio, e non viene neppure dai pianeti che devono seguire il loro corso. Quell'enorme organismo vuole continuamente mangiare altro cibo, perché è enorme perciò deve trovare sempre qualcosa da assorbire per continuare a esistere nel modo giusto. E da dove gli proviene tutto il cibo che gli è necessario per sostenersi e sviluppare?

L’uomo ritorna nel mondo spirituale con ciò che ha tratto dalla sua vita e così riporta il nutrimento del cosmo. È questo il nutrimento di cui il cosmo ha bisogno dice Steiner, infatti il cosmo ci usa per vivere. Noi affriamo un destino felice oppure infelice, e lo disperdiamo nel cosmo. Quest'offerta incredibile è un fatto prodigioso che molti hanno capito poco o interpretato male. L'uomo attraversa il periodo in cui non si sente più come unità ma si percepisce come pluralità dissolta nel cosmo e inglobata dal cosmo.

Tutte le nostre qualità corrono verso una stella o una costellazione specifica, perciò ci uniamo a coloro con cui siamo in assonanza. E così avviene che tutto quello che siamo si disperde nello spazio cosmico. Tre giorni dopo la nostra morte ci resta solo quello che abbiamo sperimentato nella nostra vita notturna, e tutto quello che ci resta diventa un cibo che offriamo all'evoluzione cosmica.

Il nostro vero io emerge dall’essere che si è frantumato e affiora con la consapevolezza che siamo uno spirito tra altri spiriti. Affiora se sentiamo che viviamo un’esistenza spirituale tra entità spirituali che amiamo, e da cui siamo amati. Ma avviene questa avviene solo dopo che l'essere si è frantumato, infatti avviene quando muore l'uomo della terra e nasce l'uomo del cosmo. Ci disperdiamo nel cosmo e diventiamo il suo cibo affinché il cosmo possa vivere e avere sempre nuove forze.

Buona erranza
Sharatan

venerdì 14 novembre 2014

Addio a Oliver, Orso della Luna



Dal sito LaZampa.it, riporto il bellissimo articolo che Fulvio Cerutti ha dedicato alla morte di Oliver, l'Orso della Luna simbolo della lotta contro l'orribile pratica dell'estrazione di bile dagli orsi vivi:


"Addio a Oliver, simbolo degli Orsi della Luna e della lotta alle fattorie della bile. Era stato salvato nel 2010 dopo aver trascorso 30 anni chiuso in una gabbia. Oliver si è spento.

Era uno degli Orsi della Luna simbolo della battaglia contro le fattorie della bile. La sua storia diventa nota solo nel 2010 quando i volontari di Animal Asia aprono la sua gabbia dove aveva trascorso 30 anni della sua vita.

Un vero e proprio incubo: uno spazio freddo e angusto, con l’addome rinchiuso in una pettorina metallica arrugginita fissata per mantenere in posizione il catetere per l’estrazione della bile.

Tre interminabili decenni in uno spazio così piccolo da deformarne la testa e da impedirne la crescita delle zampe. Un inferno che spesso porta questi animali a tentare il suicidio sbattendo la testa contro le sbarre. Ma non Oliver, perché lui aveva una gran voglia di vivere.

Per raggiungere la libertà ha anche affrontato un percorso di 1500 chilometri in quattro estenuanti giorni, sopravvivendo anche a un intervento chirurgico salvavita di quattro ore portato a termine nel cassone di un camion. Oliver però voleva assaporare ciò che gli era stato negato per così tanto tempo: il gusto della libertà.

«Vedere quest’orso anziano, con la testa deformata e le zampe troppo corte, trotterellare fuori dal suo rifugio coperto verso le aree esterne della riserva, annusare l’aria, l’erba e la terra, non smette mai di ispirarmi in ciò che faccio» raccontava nell’aprile scorso Nic Field, Responsabile Veterinario per la Cina.

Oliver ha trascorso gli ultimi quattro anni e mezzo felice e sereno nel Chengdu Bear Rescue Centre dove ha potuto assaporare il gusto della libertà. Nelle ultime settimane le sue condizioni fisiche erano andate a deteriorarsi, smettendo di alimentarsi e così i responsabili del centro hanno deciso di sottoporlo ad eutanasia.


Oliver però non è morto, perché è un simbolo per tutti quelli che sostengono la battaglia contro le fattorie della bile. «Anche se era un vecchio orso, ha rifiutato di arrendersi - racconta Jill Robinson, fondatrice di Animal Asia - La sua lotta ha ispirato la nostra. La sua storia ha continuato ad essere raccontata in tutto il mondo e ha sollevato crescente consapevolezza degli orrori delle fattorie della bile. Il nostro orso ferito continuerà a ispirare il soccorso di tanti altri».

Oliver non rappresenta solo la sofferenza, ma anche la speranza. «Ogni visitatore del santuario e ogni supporter di tutto il mondo conosce la sua storia di Oliver - racconta Nic Field - Sono abbastanza sicuro che la sua eredità vivrà. Tutti noi siamo tristi per la sua morte e ci mancherà molto. Ma ci conforta sapere che insieme siamo riusciti a dargli più di quattro anni di libertà. Nonostante tutto quello che aveva passato, la sua natura tollerante e vivace ha toccato tutte le persone che lo hanno incontrato».


giovedì 13 novembre 2014

Reintegrare il sacro




“L’uomo è memoria cosmica resa corporea.”
(Rudolf Steiner)

“Non ti perdere nell’affaccendamento e nel “serio” della vita. Non ti perdere mai nelle nebbie dell’ego. Godi del tuo semplice respiro. Apprezza il meraviglioso regalo della vista, il dono dell’udito, l’affluire degli odori, la presenza misteriosa degli esseri. Immergiti nella poesia del mondo per come si offre continuamente.

Cosa ne stai facendo, in questo istante stesso in cui sto parlando, del dono straordinario della vita umana?

L’esistenza ci da tutto, assolutamente tutto, in ogni istante, perché ci fa dono dell’istante e non vi è che l’istante. Certo non possediamo niente. Ma ci viene offerto tutto in un istante. È inutile attaccarsi a qualcosa poiché l’esistenza è sempre disponibile. Attaccandoci a un oggetto o a una particolare qualità dell’esperienza, ci priviamo di tutto il resto.

Vi sono due immagini del presente. Una è infelice, poiché tutto scappa dalla sua presa, alla sua volontà di possedere. L’altra faccia del presente si manifesta con una gioia eterna e senza condizioni. Il presente felice non ha nulla da possedere poiché gli viene e gli verrà sempre offerto tutto senza contropartita.

La bellezza ti viene donata gratuitamente e la ricevi gratuitamente. Fuori dal calcolo perpetuo. La sovrabbondanza di ciò che ti viene donato in ogni istante è davvero stupefacente. Non manchi di niente.

Cerchiamo di rendere il mondo più bello, per noi e per gli altri. Questo comporta il superare la negligenza, la pigrizia, il disordine e la confusione. Possiamo sviluppare la bellezza, l’abilità e la precisione in tutti gli aspetti della nostra vita: la cucina, l’abbigliamento, l’arredamento, il linguaggio, il lavoro e le relazioni con gli altri.

Tutto ciò che facciamo deve essere ben fatto. Quanto al risultato delle nostre azioni, non ci appartiene. Recati al lavoro come se andassi al tuo primo appuntamento. Lavora come fai l’amore (e non il contrario). Lava i piatti come se contemplassi le cascate del Niagara. Fai la spesa come se fossi un re magio il giorno di Natale.

Pela le verdure come se stessi scolpendo il David. Cambia il tuo bebè come se stessi realizzando il tuo primo trapianto cardiaco. Compila la tua dichiarazione dei redditi come se stessi componendo la Messa in do Maggiore. Porta giù la spazzatura come se stessi gustando un grande Barolo.

Ciò che la vita offre di più straordinario si trova nei momenti ordinari. In qualsiasi momento. Ora. Rendi ogni secondo della tua vita più bello, più poetico, più sacro.

Vi è oggi una specie di frenesia di desacralizzazione. Riconosciamo l’aspetto positivo di questa tendenza: dissolvere ogni forma di idolatria e di feticismo. Ma non dimentichiamo che lo sforzo spirituale tende verso l’obiettivo contrario: reintegrare tutto il sacro, ogni atomo d’esistenza, ogni secondo di vita.”(Pierre Lévy, Il fuoco liberatore, Sossella ed.)


martedì 11 novembre 2014

L'Amore Divino



“Dio ti tiene sempre nel suo cuore. Questa è una cosa che devi sapere, e se non la sai, devi impararla. Dio ti ama come sei, non ti chiede di essere migliore o più saggio di come sei, non vuole che tu sia uguale a qualcun altro. Dio ti ama e ti accetta senza condizioni. Dice: “Ti amo, figlio o figlia. Resta sicuro di questo amore e sappi che sono con te.”

Se non hai questa consapevolezza del divino, devi coltivarla. Devi entrare nel tempio interiore almeno una volta al giorno. Non farlo per chiedere favori oppure oggetti materiali, chiedi invece di sentire il Suo amore nel profondo del tuo cuore. È questo amore incondizionato, che abbraccia tutto, che ti sosterrà per tutto il giorno.

È per questo che preghi: “Signore, chiedo la Tua presenza nella mia vita oggi. Possa io sentire il Tuo amore e sapere che sei con me in tutto ciò che penso, tutto ciò che dico e tutto ciò che faccio.”

Dal momento che chiedi, Egli verrà. Dal momento che Gli crei spazio nel tuo cuore, sarà con te. Dal momento che chiedi aiuto, ti guiderà. Sarà con te perché ti sei dato il tempo di stare con Lui, perché anche questo fa parte del tuo patto con Lui. Il tuo rapporto con Dio non richiede qualcosa solo da Lui. Richiede qualcosa anche da te. Non è un rapporto a senso unico.

Anche se Dio è sempre con te, non puoi sentire la Sua presenza tranne quando lo chiedi. Se tu non ti fai vedere, se non chiedi, Dio non può mostrarti a te. Conoscerlo ed essere con Lui sono una cosa sola. Non puoi conoscere Dio senza essere presente con Lui. Ecco perché ci diamo il tempo di meditare, contemplare e pregare.

Ecco perché ogni giorno, tutte le volte in cui è necessario nel corso della giornata, invitiamo Dio nella nostra mente e nel nostro cuore. San Francesco pregava: “Signore, rendimi uno strumento della Tua pace.” Non possiamo essere strumenti della pace di Dio se non ci diamo il tempo di fare esperienza di quella pace. Dobbiamo provarla innanzitutto nel nostro cuore, se vogliamo essere in grado di estenderla agli altri.

Chi cerca di guarire gli altri prima di essere guarito egli stesso è un guaritore ferito che creerà problemi a non finire a se stesso e agli altri. Non puoi dare ciò che non hai. Non fare come Don Chisciotte che cavalca il suo cavallo bianco per cercare di salvare il mondo.

Prima salva te stesso. Stabilisci prima il regno nel tuo cuore e, automaticamente, si estenderà agli altri. Allora, ovunque andrai, l’amore di Dio sarà con te e gli altri lo sentiranno e saranno attratti verso di te. Questa è la legge dell’attrazione.

La gente è attratta dalle vibrazioni dell’amore perché l’amore è ciò che desidera. Naturalmente questo non ha nulla a che fare con te come personalità o come ego. Ha a che fare con l’amore che tu incarni. Tu sei solo uno strumento.

Non è lo strumento che ha importanza, ma la musica che produce. Non sei tu o io, o san Francesco o persino Gesù a contare. È l’amore che incarniamo. Cristo è l’espressione dell’amore di Dio nel mondo. È la presenza viva in mezzo a noi. È le mani e i piedi di Dio. È la voce di Dio. È la volontà di Dio che è resa manifesta per nostro tramite.

Quindi dobbiamo essere umili. Dobbiamo attribuire il merito a Dio. Non siamo noi a guarire o consolare. È lo spirito di Dio che si muove tra di noi che guarisce e consola. Non puoi servire Dio e nutrire il tuo ego. Non puoi essere gretto o egoista ed esprimere l’amore di Dio.

Ciò di cui ha bisogno l’ego e ciò di cui ha bisogno Dio sono due cose completamente diverse. L’ego ha bisogno di apprezzamento, approvazione, lode, riconoscimento, fama e gloria. Vuole essere gonfiato perché non conosce il suo vero valore. A Dio non serve nessuna di queste cose, né esse servono al nucleo dell’essere, l'essenza presente in tutti noi che è connessa a Dio.

Il nucleo dell’essere è lo strumento puro. Gli basta essere espressione del divino in ogni momento, non ha bisogno di approvazione o di riconoscimento. La sua gioia sta nel trasmettere amore, perché capisce che dare amore vuol dire riceverlo. Di conseguenza, dare è un atto estatico e una continua benedizione per se stessi e per gli altri.

Vivere nel nucleo dell’essere vuol dire rinforzare il nucleo dell’essere negli altri. Incarnare l’amore vuol dire risvegliare la connessione con l’amore nel cuore degli altri. Ecco perché lo strumento è necessario. Non per richiamare l’attenzione su di sé, ma per annunciare la realtà sempre presente dell’amore.

Questa è la melodia che ascoltiamo e la connessione ritmica che proviamo alla presenza di un maestro spirituale. Il maestro emana amore puro. Vibra di pura gioia. Abbraccia tutti gli esseri nella sua accettazione incondizionata. Nel suo abbraccio siamo in pace. Ci sentiamo connessi al nucleo del Sé e alla nostra origine.” (Paul Ferrini, L’amore è il mio vangelo, Macro ed.)

domenica 9 novembre 2014

Un segreto ineffabile



Per percorrere la Via, qualcuno si ritira sulla vetta della montagna più inaccessibile perché preferisce sfuggire la compagnia dei propri simili. Altri, invece, scelgono sentieri più rischiosi, perché si dice che i sentieri più difficili sono quelli più veloci per avanzare. Chi sceglie il sentiero più duro non rinuncia alla vita vissuta tra gli uomini. Egli non rinnega nulla di ciò che fa parte della vita mentre percorre il sentiero: questa era la pratica usata dagli antichi saggi.

Nei tempi antichi visse un adepto del Tao che decise di percorrere la via più difficile. Prese in moglie una donna sensibile e intelligente che decise di introdurre ai segreti della trasmutazione alchemica. La coppia di alchimisti iniziò a fare le loro ricerche sotto lo stesso tetto, ma la casa in cui vivevano era molto piccola. Lo stanzino che avevano adattato a laboratorio alchemico era tanto piccolo che non c’era spazio per lavorare in due, perciò decisero di lavorare a turno.

La cosa non era negativa perché la trasformazione del mercurio in oro, e la messa a punto della pillola dell’immortalità non sono collegate all’intensità del lavoro manuale. Lavorando in solitudine, entrambi avevano più tranquillità e godevano di un maggiore raccoglimento interiore. D’altro lato si scambiavano i risultati dei loro esperimenti e, dalle loro conversazioni, fu presto chiaro che la moglie aveva progredito molto e aveva superato il marito.

Il marito, nonché maestro, non la prese troppo bene. Invece di essere felice che la moglie avesse imparato così bene sotto la sua guida, l'uomo sentì un grande dispiacere. Uno strano malessere gli penetrò nell'anima e lo fece diventare sospettoso. Iniziò a pensare che la donna gli nascondeva qualcosa, e si mise in testa di scoprire il misterioso segreto. Iniziò a spiarla di nascosto. Di notte, quando la moglie era sola nel laboratorio, il marito si nascondeva nel bosco di bambù che cresceva davanti alle finestre dello stanzino, e non la perdeva d’occhio neppure un istante.

Una sera, mentre l'alchimista era appostato nel suo nascondiglio, vide che una gran luce brillava tra le mani della moglie. A quel punto non potè dominarsi uscì dal nascondiglio come una furia, e piombò in casa urlando: “Che bella ingrata che sei! Hai scoperto la formula dell’immortalità e vuoi tenerla tutta per te! Con tutto quello che ha fatto per te. E ora mi ripaghi con la moneta dell'ingratitudine. Il tuo comportamento è veramente ignobile!”

La donna gli rispose con voce dolce e sommessa: “Ti sbagli marito mio, non ti ho nascosto nulla e non ti ho mai mentito. Ti ho detto tutto quello che sapevo, ma la sola conoscenza della formula non è sufficiente per fare la trasmutazione. L’essenza dell’arte è permettere che il Vuoto faccia l’azione dentro di noi. È il Tao che decide se agire, ma se il tuo cuore non è puro non può fare nulla.”

Va saputo che non c’è peggior segreto di quello che non si vuol capire. Se un mistero non riesce a entrare in un orecchio, quel mistero è ancora più prezioso. Nel caso dell’alchimista, il fatto di non avere capito nulla di ciò che la moglie diceva, servì solo a far accrescere il suo rancore. L’invidia che sentiva per i successi della donna rinforzò la sua determinazione di scoprire il segreto che credeva gli fosse nascosto.

Provò a farla parlare con ogni mezzo. Provò con la dolcezza e con la persuasione, poi tentò anche con le minacce finché arrivò persino a picchiarla. Ma non ottenne nulla e ormai era divorato dalla gelosia. Allora andò a chiedere consiglio ad un amico che era un mago molto chiacchierato per l’uso spregiudicato di pratiche magiche oscure che l’avevano aiutato ad arricchirsi. Il mago gli suggerì di dare un potente veleno alla moglie, e di non darle l’antidoto, a meno che non gli avesse rivelato il segreto.

L’alchimista fece senza dubbio come gli aveva suggerito il mago, e offrì una bevanda avvelenata alla moglie, poi usò l’odioso ricatto che gli aveva suggerito. Ma la donna non reagì come credeva perché non si spaventò, e non implorò per aver salva la vita. Lei scoppiò a ridere e disse: “Mi dispiace per te, ma il giochetto non è riuscito, mio caro marito. Ho appena messo a punto la pillola dell’immortalità.

In realtà, ne avevo preparata una anche per te, perché speravo che il crogiolo del tuo cuore avesse trasformato il piombo del tuo rancore in sentimenti più nobili. Questo non è avvenuto, e tu sei caduto sempre più in basso. Non credo che sarebbe saggio che un uomo dal cuore oscuro come il tuo diventasse un immortale. Non voglio avere più nulla a che fare con un mago oscuro come te.”

Mentre la donna diceva queste parole, aveva aperto una piccola scatola, e aveva ingoiato una pastiglia di cinabro. L’uomo, quando la vide ingoiare la pillola, si era scagliato contro la moglie come una furia per afferrare la scatola. Ma la donna fu più veloce, saltò fuori dalla finestra e volò via inforcando il vento. Il marito le corse dietro, la inseguì per strada saltando e urlandogli contro come un ossesso. Ma lei era scomparsa dietro le nuvole arrossate dall’ultimo sole che tramontava.

L'alchimista vide che la moglie era scomparsa oltre le nuvole e non seppe contenere la rabbia, andò in escandescenze e diventò una furia. Allora alcuni passanti impietositi cercarono farlo ragionare, ma lui gli si avventò contro come un cane rabbioso. Non riuscirono a farlo ragionare in nessun modo. Anzi, diventò talmente incontrollabile e pericoloso che furono costretti a rinchiuderlo in un manicomio.

Buona erranza
Sharatan

venerdì 7 novembre 2014

Come farfalle



“L’uomo è la mente materializzata di Dio.”
(Paramhansa Yogananda)

Yogananda dice che tutte le creature viventi nascono dalla materia ossia dalla terra. Poiché la terra fu precipitata dall’oceano delle acque raccolte, tutte le forme di vita nascono dall’acqua condensata delle nebulose cosmiche. Siccome gli oceani vengono dalle nebulose cosmiche anche le nebulose provengono dall’essenza degli atomi, degli elettroni e dalla forza vitale cosmica chiamata yajna. Il Fuoco ossia la Luce Cosmica nasce dalla vibrazione di Dio ossia dalla Volontà Divina che crea il Karma del Cosmo.

La Vibrazione Cosmica e le leggi del karma cosmico vengono da Brahma che è la Coscienza Cristica, la Kutastha Chaitanya che è intrinsecamente presente in tutta la creazione vibratoria. La Coscienza di Dio Figlio è Tat, ed è immanente nella creazione vibratoria perché emana dall’immutabile Dio Padre che è Sat, e che esiste al di sopra di tutta la creazione vibratoria.

La Coscienza Cosmica è Brahma creativo che è sempre presente nella Vibrazione Cosmica. La Coscienza Cosmica si manifesta come Luce Cosmica, come Fuoco creativo oppure come Suono Cosmico, Aum. Il Creatore è la Vibrazione Cosmica che si manifesta in due forme ossia come Luce Cosmica oppure come Suono Cosmico. Secondo Yogananda, il suono sacro Om, Aum o Amen sono vibrazioni che "testimoniano" l’azione divina. Questi suoni sacri sono la prova più evidente che il Creatore è sempre attivo e presente nella Sua creazione.

L’uomo fu creato dall’Energia Cosmica e dalla corrente vitale astrale che condensarono e diventarono terra. La vibrazione liquida dell’Energia Cosmica ha originato la terra solida, perciò ogni cibo e nutrimento derivano dall’Energia Cosmica. Le vibrazioni dell’Energia Cosmica provengono dalla sottile Luce Cosmica che è la fonte primaria di tutte le cose, e che riceve il potere dell’energia vibratoria e della Volontà di Dio.

La legge cosmica nasce dalla Coscienza Cristica che è presente nell'intera creazione vibratoria. Ma la Coscienza Cristica è soltanto una Coscienza riflessa che esiste solo in relazione all’universo a cui è collegata. Anche questa coscienza si dissolverà quando l’universo a cui è collegata verrà dissolto. La Coscienza Cristica è la coscienza del Figlio che nasce dal Dio Padre immutabile posto sopra di tutta la creazione vibratoria.

La Coscienza Cristica è Brahma creativo perciò è intronizzata solo nella Vibrazione Cosmica, dice Yogananda, e si manifesta come Luce oppure come Suono. L’uomo fu creato a immagine di Dio perciò è l'immagine dell’Eterna Coscienza. Tutte le creature furono formate o materializzate dall’Energia Cosmica che è la “mente congelata” di Dio.

Tutte le illusioni sull’esistenza della materia solida provengono dalla liquida e fluida mente congelata di Dio. La mente congelata di Dio o acqua proviene dall’Energia Cosmica che è la mente di fuoco congelata di Dio. L’attivo fuoco vibratorio di Dio regge le leggi della creazione vibratoria illusoria che è fatta soltanto di sogni di Dio.

L’Energia Cosmica ossia la Vibrazione del Fuoco divino nasce dalla coscienza riflessa di Dio che è Brahma, il Signore di tutta la creazione illusoria. La Sua coscienza creativa, mentalmente, fece vibrare la creazione cosmica di sogno che nasce dall’immutabile Coscienza cosmica - l’Increato - che esiste oltre tutti gli universi vibratori o creati.

Dio sognò il cosmo e il cosmo diventò la realtà di sogno. Dal sogno, Dio, fece sorgere l’energia creativa e dall'energia creativa generò il cosiddetto universo solido. E poi creò l’uomo dotato dell'illusorio corpo materiale perciò, in questo senso, Dio è l’Onda Elettromagnetica Primordiale. Nell'universo di sogno, si pensa, si vive e si lavora con le correnti elettriche di sogno, e si creano realtà di sogno per gente di sogno.

Vivendo nello stato del sogno, ci sembra che non ci sia nessuna differenza tra pensieri di sogno, vibrazioni di sogno, oggetti di sogno e persone di sogno. Solo al risveglio, il sognatore capisce che il mondo che credeva reale era solo un sogno, perché era fatto di differenti vibrazioni e di manifestazioni della sua sostanza mentale congelata. Tutte le apparenze sono illusorie e gli oggetti sono sogno perché vengono dall’unità della sua coscienza di sogno. Le persona legano la vita al piano in cui vivono perciò possiamo scegliere se fermarci al livelli inferiori o trovare il Sacro Graal ossia la coppa della beatitudine divina.

Dio ha creato la Natura ma la Natura non sa manifestare i suoi attributi divini, perché li mostra in modo ingannevole e illusorio. L’uomo possiede una doppia natura perché è il prodotto di un Dio invisibile e di una Natura visibile perciò è un essere duale. L’uomo è composto da un’anima spirituale immanente che è nascosta e pura, ma è fatto anche da un involucro fisico esteriore che è dotato di un cervello, di una mente e di altre qualità che gli dona la Natura.

Comunemente l’uomo vive in una separazione che è solo apparente tra sé e il mondo perché ha dimenticato che tutta la vita proviene dalla medesima fonte. La macchina umana ha molti ingranaggi che svolgono diverse attività. Infatti il naso, gli occhi e le orecchie sono strumenti rivolti all'esterno mentre il cervello è il veicolo del pensiero e delle nostre facoltà interne.

Quando siamo influenzati dagli attributi della mente diventiamo suscettibili al piacere e al dolore perciò veniamo guidati dalle facoltà inferiori. Risvegliando la percezione intuitiva dell’anima ci liberiamo dai vortici della relatività psicologica. Noi, anche se in modo subconscio, siamo sempre consapevoli della beatitudine che abbiamo perduto. Se restiamo troppo influenzati dalle condizioni dell’ambiente esterno ci dimentichiamo della nostra originaria natura beata.

L’anima che si è liberata da queste condizioni trascende la coscienza corporea e opera dal piano dello Spirito. Essa ricorda che ogni piccola scintilla di attività realizza lo Spirito, e che è così perché l'anima è sempre una sola cosa con lo spirito. La via più sicura e decisiva per raggiungere la pace e il silenzio, secondo Aurobindo, è la discesa dall’alto. Anche se non lo sembra perché, quando arriva la pace, non si capisce da dove provenga. Non è evidente, ma tutto quello che appartiene alla coscienza superiore viene sempre dall’alto.

Dall’alto provengono sia la pace che il silenzio spirituale, ma proviene dall'alto anche la Luce, il Potere, la Conoscenza, la visione e il pensiero superiore. Chiaramente anche la beatitudine viene dall’alto ma è possibile che venga dall’interno e dall’intimo. Ma succede soltanto se l’essere psichico è passato in primo piano. La condizione necessaria è quella di mantenere l’apertura della mente, del vitale e del fisico interiori che si devono rivolgere verso l’intimo.

Andando verso la parte più profonda di noi andiamo verso lo psichico. Nel contempo, va mantenuta anche l’apertura verso l’alto e verso quello che oltrepassa una piccola mente. Una mente, un vitale e un corpo miseri errano nelle tenebre dell'ignoranza e vi restano finché non si stancano di girare senza scopo. Solo allora è possibile che una piccola particella ignorante ritorni verso il suo vero Sé, e si spinga verso l'estinzione del Sé per entrare nel Nirvana.

Il vero Sé vive nell’intimo dell'uomo perché all’interno c'è l’anima che sostiene il mentale, il vitale e il fisico interiori e gli offre la capacità di estendersi a livello universale. Questa zona intima non è quella del subcosciente o del subliminare ma è la parte che è collegata ai centri di coscienza dei chakra. Comunemente solo una minima parte dell’essere interiore circola nei chakra e può filtrare nella vita esterna: quel poco esprime la nostra parte migliore.

A questa parte dell’essere psichico interiore che si mostra dobbiamo la produzione dell’arte, della poesia, dei nostri ideali, delle aspirazioni nobili, della spiritualità e della qualità dello sforzo che facciamo per raggiungere il perfezionamento. La maggior parte dei centri interiori sono chiusi o addormentati, perciò risvegliarli è il compito dello yoga. Mano a mano che si ridestano, si rivelano anche le capacità dell’essere psichico che è sottostante all'essere esteriore.

Così si acquisisce una coscienza più vasta e si ascende fino alla Coscienza Cosmica. Le nostre piccole personalità separate possono diventare i centri dell’azione universale in diretto contatto con le forze cosmiche. Invece di restare gli attori involontari di azioni inconsapevoli possiamo, ma fino ad un certo punto, diventare padroni consapevoli dell’azione della Natura. Il limite che viene posto alla libertà del singolo dipende dallo sviluppo del suo essere interiore, e dalla sua apertura verso i livelli spirituali superiori.

L’apertura del centro del cuore libera l’essere psichico che ci rende consapevoli del Divino che possediamo interiormente, perciò ci rende recettivi alla Verità superiore. Il Sé Spirituale superiore non è dietro una persona singola ma è al di sopra di tutti gli esseri. Il più elevato centro interiore è collocato nella testa ma il più profondo è posto nel centro del cuore. Il centro che si apre più direttamente al Sé è posto al di sopra della testa, infatti al di sopra del corpo c'è il corpo sottile o Sukshma Sharira.

Il Sé superiore possiede due aspetti, e i risultati delle sue azioni corrispondono ai 2 aspetti. Un aspetto è statico e fa sperimentare una condizione di pace, di libertà e di vasto silenzio. Il Sé silenzioso non è turbato da nulla e può mantenersi distaccato e indifferente. L’altro aspetto è dinamico e si percepisce come Sé o Spirito Cosmico che sostiene, genera e contiene tutta l’azione del cosmo. Ma non sostiene, genera e contiene solo questo mondo ma anche tutti gli universi creati.

Se l’anima trova la pienezza dello Spirito dentro di sé, non prova più alcun desiderio di fare nuove incarnazioni per impersonare i sogni dei mortali. Se l’anima controlla i suoi istinti si purifica perciò l’Anima Suprema come Coscienza Cristica può scendere e può istruire l’anima individuale sul modo migliore di usare la sua mente per condurre il carro corporeo lungo la strada della vita.

Yogananda narra che, un giorno, un re sognò di essere un mendicante. Nel suo sogno, il re implorava per avere un soldo di rame. La regina lo sentì agitarsi nel sonno e lo destò e lui si risvegliò dicendo: “Ma che stupido sono! Io che sono un sovrano pregavo per avere un soldo!” L’uomo è come un re che sogna e crede di essere un miserabile.

L’anima dell'uomo sogna di essere un corpo perciò resta imprigionata nei suoi desideri e nell'inganno della materia. I desideri materiali diventano come dei fili che intessono il bozzolo dell'ignoranza intorno all’anima, perciò l'anima deve fare un grande sforzo per oltrepassare il soffocante e oscuro involucro che la soffoca, e diventare una farfalla dell’onnipresenza astrale.

Buona erranza
Sharatan