giovedì 29 luglio 2010

Prigionieri del Sogno del mondo


"L’inferno sono gli altri"

(J.P.Sartre - A porte chiuse)



Nell’ignoranza giungiamo alla negazione della straordinaria sensibilità dell’essere umano infatti, la percezione del mondo è governata dal modo con cui reagiamo alle stimolazioni che ci provengono dall’esterno. Se l’umano non fosse addomesticato dal Sogno del mondo, che lo abitua alla violenza e alla paura, potrebbe capire come la spontaneità e la freschezza siano le qualità migliori per godere della vita: in realtà, l’uomo viene modificato con l’addomesticamento a sogni che non sono suoi, ma che gli vengono imposti.

Il nostro corpo emozionale percepisce le emozioni e i sentimenti dell’anima e della mente, e il nostro corpo fisico percepisce il dolore e il piacere del corpo: è tramite questi strumenti che l’umano comprendere le situazioni che gli arrecano dei danni e quelle che gli procurano dei vantaggi. E’ il sentimento che è suscitato dalle afferenze sensoriali che attiva il sistema interno di regolamentazione del piacere e della sofferenza, è tramite questa sensibilità che comprendiamo il positivo e il negativo della vita.

Il corpo emozionale è quello che si sviluppa per primo infatti, già nella vita fetale, esso viene predisposto alla reazione dinamica alle stimolazioni del mondo: è vero, in questa fase l’individuo è un embrione immaturo, ma la reazione motoria automatica all’ambiente circostante è già attiva. Le reazioni primarie dell’uomo vengono plasmate dalla qualità e dalla quantità di energia emozionale da cui esso viene investito, cioè da quello che viene sperimentato nell’ambiente in cui avviene lo sviluppo e la crescita dell'organismo.

Se viviamo in un clima in cui regnano conflitti, disarmonie e mancanza di rispetto delle persone, se viviamo in un clima in cui si attua la menzogna e la dissimulazione dei propri e dei sentimenti altrui, è molto facile che si venga plasmati a questi valori. Gli umani sono come le scimmie, in quanto sono imitativi, ed è facile che siamo plasmati dagli esempi che vedono costantemente e lungamente ripetuti: per questo è facile che i figli divengano come i loro genitori.

Le energie emozionali sono in grado di sintonizzare l’anima delle persone, perciò la vibrazione emozionale a cui siamo abituati ci sintonizza sulla stessa lunghezza d’onda su cui avvengono le trasmissioni che ascoltiamo maggiormente: se il sogno familiare ha la lunghezza d’onda dell’ingiustizia, del dolore e del veleno emotivo siamo addestrati al dolore e alla violenza del mondo.

E’ in questo modo che vengono inflitte le sofferenze alle persone che vengono educate in climi sbagliati che ne inquinano la mente e l’anima, e che li rendono vittime degli inganni e delle ingiustizie del mondo. Tutti veniamo forzatamente addestrati ai sogni del mondo infatti, nei genitori, vi è il desiderio di avere dei figli che siano pronti ad affrontare adeguatamente gli inganni e le battaglie della vita, per questo essi credono che l‘educazione impartita ottenga il bene dei loro figli.

I bambini non conoscono il bene e il male, quindi non hanno mai cattive intenzioni inoltre, essi non conoscono l’utilizzo difensivo della mente poiché in loro vive solo il puro istinto: nel bambino non vi è nessuna difesa, ed è per questo che l’infanzia è così fragile e subisce ogni prepotenza da parte degli adulti. In qualche modo tutti i bambini vengono strappati dall’innocenza originaria per essere consegnati al sogno del mondo e, questo ammaestramento possiede sempre un’azione invasiva sulla mente infantile che viene strutturata.

L’addestramento può avvenire in modo più o meno feroce ma, pur sempre, la natura umana viene piegata alle necessità della società e della famiglia facendo una forzatura su coloro che la subiscono loro malgrado. Nella società odierna l’addestramento che viene inflitto dagli adulti malati di paura e di violenza assume i contorni di una vera e propria violenza alla natura umana fondamentale, poiché i valori che vengono trasmessi sono connotati dalla società e dalla famiglia in cui viviamo.

E' facile capire come una società di soprusi e di violenze crei degli individui che seguono questi schemi e questi usi di vita, facendo perpetuare tali valori sulle discendenze future. Non è difficile capire che colui che viene addestrato con violenza alla violenza diventi una persona, e un adulto che viene spinto a perpetuare ciò che conosce, poiché subisce una sofferenza a cui è inadeguato a fare fronte.

L’aggressività che si sviluppa contro coloro che ci infliggono delle ingiustizie non può venire scaricata verso coloro che opprimono perché l’altro è troppo forte o troppo potente per potersi ribellare. E’ così che si accumula tutto il veleno emozionale da cui l’umanità è intossicata, poiché esso è causato da tutte le ingiustizie accumulate da uomini che opprimono altri uomini innocenti.

Molte persone inseguono il potere e la fama perché così possono sfogare impunemente il loro rancore e la loro rabbiosa rivalsa contro l’oppressione del mondo, soprattutto se il loro veleno emotivo è talmente forte da rischiare di ucciderli se non viene smaltito all'esterno. Molto spesso lo sfogo avviene tramite l’esercizio del potere e del dominio esercitato su quelli che non possono difendersi, per questo vengono scelte delle vittime dotate di forza inferiore, poiché sui forti non si vince tanto facilmente.

L’osservazione del mondo offre molteplici esempi di questo tipo, nell'esempio di soprusi sui bambini, sugli animali, sulla natura e sulle donne; questi sono gli obiettivi deboli preferiti come capri espiatori di una società malata e sofferente. E’ evidente che questo modo sbagliato di vivere rappresenta l'unico e il vero inferno, ma esiste solo in noi e l’uomo lo inventa per sperimentarlo sulla terra.

Credere che questo mondo infernale sia l'unico possibile dimostra un'ignoranza imperdonabile, come pure credere nel castigo di Dio è un'idiozia a cui molti si sottomettono per fuggire alle responsabilità delle scelte umane. E' vero, invece, che gli umani sono vittime e carnefici di loro e degli altri: dobbiamo divenire consapevoli di questo meccanismo se vogliamo uscire dal meccanismo della sofferenza.

Nessun Dio ci premia e nessuna divinità superiore ci punisce, è in noi che esiste il libero arbitrio di vivere bene o di vivere male la nostra vita, nessuna scusa e nessun alibi ci viene offerto se comprendiamo questa scomoda verità. Non esiste alcuna punizione superiore se non quella terrena e umana con cui affliggiamo noi stessi e i nostri simili, infatti l’uomo è l'ammalato che va risanato.

Dobbiamo smetterla di giudicare il nostro essere, dobbiamo smettere di condannarlo, piuttosto ammettiamo che dobbiamo conoscerlo meglio per poterlo migliorare. Perciò aboliamo ogni giudizio sui nostri errori, in quanto il giudizio e la condanna fanno parte della malvagità del Sogno del mondo. Smettiamola di sentirci colpevoli e di punirci, poiché sono già eccessive le violenze che ci infligge la nostra società deviata e sofferente.

Se il mondo non va bene, noi non siamo colpevoli o responsabili di tutto il male: è sufficiente prendere atto di ciò che è sbagliato in noi per cambiare quello che non va al nostro interno. Se non siamo colpevoli dei mali della terra e non possiamo risolverli, però siamo responsabili dei nostri meccanismi, in quanto dobbiamo sanare noi stessi e la nostra vita.

Noi non siamo colpevoli del dolore con cui ci hanno addestrati al Sogno del mondo poiché tale progetto esisteva prima che noi nascessimo, e il senso di colpa e il disprezzo di noi fanno parte dei ricatti dell'addestramento. L'unica cosa di cui siamo responsabili è l'atto della nostra consapevolezza, e siamo responsabili del nostro risveglio a questa realtà.

L’essere umano è addestrato con il senso di colpa, quando subisce l’ingiuria della forzatura della sua natura emotiva e della violenta strutturazione mentale con cui siamo convinti di essere sbagliati per renderci più fragili e malleabili: è così che siamo dominati tramite un’indegnità che nega la bellezza dell'essere umano. Ci convincono che non siamo adeguati, e che non siamo perfetti al modello che il mondo ha costruito per ognuno.

Ma come poterci adeguare ad un modello che non segue la nostra struttura e la nostra natura? Come indossare un vestito unico se la misura é diversa per ogni individuo? Ci fissano una meta impossibile equivalente ai limiti dell’universo: è evidente che una meta così lontana non saremmo in grado di raggiungerla neppure nel corso di una vita infinita.

E' questo il motivo per cui nel Sogno del mondo esistono solo esseri deboli e dipendenti condannati a sentirsi perenni perdenti. Ecco come avviene l'addestramento con cui gli esseri umani vengono resi degli insicuri, ecco come diventiamo bisognosi di conferme e di consensi, ecco come siamo strutturati per divenire degli schiavi.

Buona erranza
Sharatan


lunedì 26 luglio 2010

Nell’inganno del mondo


“Chi cerca la verità
deve una volta nella vita
dubitare di tutto”

(Cartesio - I principi della filosofia)



Posso apparire come un fenomeno paranormale, una donna che vive di fantasie e di nuvole mentali. Per molti potrei sembrare un animale raro per il miscuglio di razionalità e di immagine ideale, inoltre perdo il mio tempo a parlare di un mondo di miti agnelli invece di vedere la società di inumani che mettono le cose per come le vediamo, perciò direi piuttosto male secondo le crisi economiche, ecologiche e di valori ricorrenti.

Allora riprendiamo il filo interrotto dicendo che si, è vero, il mondo è popolato di personaggi che farebbero invidia al peggior film dell’orrore in cui staremmo assai meglio che qui, infatti riconosciamo la finzione cinematografica con la salsa di pomodoro che simula il sangue per suscitare l'orrore mentre, nella realtà del mondo in cui siamo non abbiamo il telecomando per spegnere questo crudele mondo.

Ma bene, lo ammetto, le cose stanno così! E allora ammetto la ragione degli sciamani toltechi che dicono che siamo i maestri dell’arte del creare il mondo che vogliamo avere, infatti siamo noi che creiamo la nostra realtà e che dirigiamo la nostra vita attivamente, poiché gli uomini sono in grado di creare delle meravigliose mitologie che riguardano il mondo, cioè la storia collettiva.

Così noi siamo anche dei maestri in grado di creare delle mitologie personali che interessano la finzioni di noi stessi, e le storie che ci raccontiamo sul mondo. Ma quali verità impersoniamo nella creazione? La realtà in cui viviamo è un sogno che noi pensiamo come reale, perciò noi dormiamo anche quando pensiamo di essere svegli poiché vediamo sola la “cornice del sogno” in cui siamo immersi continuamente.

E' solo se ci illudiamo di essere svegli che nascono i problemi mentre, se sappiamo che stiamo sognando, allora diventiamo consapevoli: è la consapevolezza il limite che salva l’uomo. Tutto ciò che viviamo è solo un sogno, e il sogno che facciamo siamo noi che lo decidiamo, così il sogno immaginato diventa la realtà che decidiamo per noi, e per gli altri.

Siccome gli uomini sono pieni di paure, di guerre, di sofferenze, e di violenza, poiché gli uomini si combattono come predatori feroci, ecco che il sogno che la mente insegue viene popolato di demoni e di predatori feroci: è che noi siamo stati abituati a sognare questo inferno perché per tutta la vita ci insegnano che questo è il sogno vero del mondo.

Secondo i toltechi esiste un sogno individuale che viene ereditato da un sogno più grande, che è quello collettivo ed è il sogno del pianeta, o se vogliamo è l’incubo di paura, e di violenza in cui tutti viviamo sulla terra. Questo sogno ingannatore non possiede altro che il caos e la confusione, ed è chiamato mitote, ma esso non ha nulla a che fare con la realtà che siamo veramente, poiché noi siamo fatti di puro amore e di luce, ma il mitote ci impedisce di vedere tutto questo, e ci tiene incatenati all’incubo.

Gli esseri umani sono dominati dalla paura perché ogni cosa può provocargli dolore, e per limitare il dolore l’umano rinnega sé stesso, e assume una maschera che gli impedisce di valutare la sua essenza naturale. Ci sappiamo creare un racconto di ciò che pensiamo di essere, e poi lo impersoniamo abilmente: ci sappiamo confezionarci un abito mentale che ci butta a pennello, perciò non fa una piega o una grinza.

Noi siamo come crediamo di essere, e non come siamo veramente, infatti tutto il mondo sognato è una finzione, e di questa finzione diventiamo sovrani. Per questo i toltechi dicono che viviamo nel sogno in cui siamo nati e cresciuti, e in una società che ci ha addomesticati come animali da circo usando la sferza o la lusinga, perciò siamo allenati dalla nascita a competere e a guerreggiare, quindi ad impersonare la confusione e l’illusione collettiva del mondo.

Noi viviamo e facciamo delle stupide guerre all’ultimo sangue per imparare a diventare confusi come gli altri, e per ottenere cose inutili e insensate che non ci renderanno più felici, noi rincorriamo delle cose futili a cui viene dato il massimo valore esteriore pur essendo immondizia e balocchi creati per abituarci all’illusione di un mondo falso.

Gli adulti umani sono esseri malati che contaminano tutto quello che toccano, perciò riproducono altri malati come loro senza averne consapevolezza alcuna: per questo la consapevolezza è il primo passo per guarire dalla malattia. Per educare i loro bambini, gli adulti umani agganciano la loro attenzione con la trappola dell’amore, o con il timore di perdere l’amore che i genitori gli possono elargire.

E’ così che siamo addestrati con una pratica educativa che installa il meccanismo della ripetizione degli schemi e delle stesse strutture mentali. Per avere questo amore malato e infelice noi impariamo a fingere di essere quello che non siamo, e poi pratichiamo la lezione appresa con impegno, fino a diventare artisti dell’inganno e della finzione su di noi e sul mondo.

Ecco come ci dimentichiamo di essere quello che siamo, quindi diventiamo quello che gli altri vogliono, perciò impariamo ad impersoniamo quello che gli altri vogliono e si aspettano da noi. Ma cosa diventiamo? Perlopiù quello che i compagni con cui ci associamo si aspettano che noi siamo, infatti sappiamo impersonale anche molteplici ruoli nella vita.

Per l’insegnamento tolteco noi siamo degli essere unici e irripetibili, perciò non ha senso pensare a noi in termini di giusto e sbagliato, infatti dobbiamo vivere la vita essendo noi stessi senza pensare di essere migliori o peggiori di come siamo, e senza acconsentire all‘immagine del mondo che ci hanno confezionato a nostra insaputa. Noi dobbiamo fare solo “presenza” a ciò che siamo e dobbiamo solo fare ciò che sappiamo fare: è solo così che faremo delle esperienze migliori e godremo meglio la vita.

Molti uomini rinunciano alle emozioni perciò muoiono nei sentimenti, infatti questi sono coloro che non amano la vita non avendo dei sensi sufficientemente raffinati per apprezzare ciò che di buono la vita propone, perciò non ne dipanano il filo, e non sanno ricostruirne la trama del senso. Vivere la vita senza saperne apprezzare ogni sfumatura, vivere senza sapere usare la mente e il cuore significa vivere nell’ignoranza di ogni passione, perciò causa l'assoluta indolenza che porta all’inerzia.

Sono l’inerzia mentale e l’indolenza fisica che impediscono la passione perciò inibiscono la vita, e le persone senza passioni diventano delle anime sperdute, cioè diventano delle persone grossolane e torbide in cui viene inibita ogni forma di energia vitale. Vi è un messagio nell’insegnamento tolteco secondo il quale, un importante passo è imparare che il coraggio di mettersi in gioco è un evidente e scontato segreto di vita.

Sono tanti coloro che lasciano il gioco della vita pur vivendo ancora, perché affermano che hanno provato ad ascoltare le emozioni, ma che sono stati feriti e quasi uccisi nel tentativo, per cui preferiscono tirarsene fuori del tutto, poiché non hanno voglia di perdere sempre la partita. Ma con quali parametri mentali, mi chiedo, hanno fatto il tentativo?

I parametri usati, è evidente, sono quelli della loro mente che ha reiterato sempre in modo ossessivo la stesse dinamiche e perciò, è stata condannata a ricadere negli stessi tranelli, infatti essi diventano le perenni vittime dei medesimi inganni della vita. Noi continuiamo a insistere in questi sterili tentativi poiché siamo cocciuti e ostinati.

Con la sterile ripetizione dimostriamo solo di avere una mente ristretta che è stata poco esercitata alla flessibilità, poiché non sa come agire per cambiare ottenendo un migliore contesto di vita. In questo modo si continua l'utilizzo dei medesimi e dannosi stereotipi mentali, in cui sprechiamo delle energie limitate per divenire dei fuggitivi della vita.

E‘ per questo che la depressione e la nevrosi sono le malattie mentali maggiormente diffuse nella nostra civiltà, infatti la mente possiede gli stessi ritmi del corpo ma, purtroppo, l’uomo moderno non sa come nutrire adeguatamente il corpo, e tanto meno nutre adeguatamente la sua mente che soffre, per cui si ammala. Noi viviamo fagocitati dalle stimolazioni che accrescono il caos e la confusione mentale nostre e del mondo, e che sono la causa dell'incubo che vediamo attorno a noi.

Se osserviamo il mondo che ci circonda accetteremo la verità che noi siamo i maestri della rabbia, della tristezza, dell’odio, dell’invidia, dell’ipocrisia, della vendetta e della rivalsa sul mondo. Concludiamo questa concreta valutazione e accetteremo che nel mondo si coltiva la follia oppure, capovolgendo la prospettiva, vedremo che il mondo è oppresso da una grave malattia.

Tanto vale ammettere che il mondo è il luogo avvelenato e infelice che noi vediamo, poiché è dominato dallo stesso veleno che produce, e che rischia di intossicarlo a morte. Allora chiediamoci se una società che se la gode con il video di due ragazze in bikini che osannano gelato e birra usando un linguaggio da borgata, può essere definito un mondo felice. E allora non è meglio se continuo a scrivere del mondo che vorrei, e non di quello che viene creato per renderci malati e infelici?

Buona erranza
Sharatan


giovedì 22 luglio 2010

Con cuore gentile e generoso


“Vigila dunque su di te,
e non appena trovi te stesso
rinuncia al tuo io.”

(Meister Eckhart - Istruzioni spirituali, cap. 3)


I nostri tempi sono ostili alla sensibilità, infatti sono pochi coloro che scommetterebbero sulla gentilezza e sulla generosità della natura umana mentre, la maggioranza, crede che queste qualità siano delle forme desuete ed ingenue di comportamento con caratteristiche per nulla premianti nei rapporti interpersonali.

La maggioranza crede che l’essere umano abbia una natura feroce e competitiva, e che l’uomo sia per i suoi simili un essere cattivo e pericoloso, cioè una bestia spietata e feroce, quindi un assassino che attua la caccia e l’omicidio dei membri più indifesi del branco. Qualcuno reputa che nei comportamenti sensibili e accorti alle necessità degli altri sia nascosta una delle forme migliori di auto-protezione, compiuta da persone che sono indifese e inadeguate alla feroce lotta per la sopravvivenza.

Secondo il sentire comune, gli altruisti e i generosi non hanno il coraggio e la forza per divenire degli animali spietati come tutti gli altri. Sebbene l'idea sia diffusa questo concetto di ferocia naturale è falso, infatti i generosi sono individui discreti e modesti che non amano farsi troppa pubblicità, e compiono le azioni altruistiche in modo discreto, e al riparo dai riflettori amati dai violenti e dai prepotenti.

Nell’essere gentili e cortesi, nel fare attenzione alla sensibilità altrui, nel moderare i nostri comportamenti nell’approcciarsi all'Altro, si nasconde uno dei piaceri maggiori che possiamo provare, ed è un comportamento assolutamente naturale. In realtà, la gentilezza e la cortesia sono qualità ingiustamente beffate dalla società moderna, perchè rischiano di farci apparire fuori moda e inadeguati al mondo moderno che insegue degli atteggiamenti aggressivi, e dei comportamenti volgari e arroganti, che sono nemici di ogni garbo e cortesia umana.

Erroneamente si crede che l’essere gentili sia da perdenti, e che bisogna divenire duri, inflessibili e impermeabili al sentimento e ai "moti del cuore" per essere dei veri vincenti nella giungla moderna. Ma l’uomo è veramente un lupo feroce che sbrana i suoi simili? Sembrerebbe la versione più gettonata dei giorni nostri ma, in realtà, è una versione fuorviata delle cose essendo frutto della totale ignoranza della nostra natura.

Dobbiamo sapere che, per tutta la storia, la natura umana è stata concepita come un’indole naturalmente buona e gentile, perciò naturalmente nobile ed elevata, e la rinuncia al credere questo ci ha privati di un piacere basilare per il benessere emotivo. Stranamente, essere gentili e cortesi oggi, equivale ad un piacere proibito e vergognoso da nascondere per timore di venire irrisi e beffati dagli altri, e per non apparire ridicoli o inadeguati ai tempi.

Risalendo nel tempo, apprendiamo che siamo stati turlupinati con una menzogna sulla natura umana infatti, risalendo al 64 a. C. troviamo il filosofo stoico romano Seneca che ci rivela che “Nessun uomo può vivere una vita felice se piega ogni cosa ai suoi propositi. Vivi per gli altri se vuoi vivere per te stesso” infatti, nella filosofia greca antica, esisteva la concezione che le persone hanno bisogno degli altri per sentirsi compresi e felici.

Anche noi, nei tempi infelici e alienati in cui siamo, avremmo tanta consolazione nel credere in una compagnia di simili che siano solleciti e affettuosi con noi. Il volere confidare nel sé non significa che dobbiamo fare a meno degli altri, poiché il sé di cui si ragiona è della specie più elevata, ed è un sé comune e condiviso che racchiude la medesima energia, perciò è un sé collettivo e non solitario.

Se nessuno di noi è un’isola, come diceva John Donne, noi dobbiamo pensarci come una “comunità della ragione” di cui, l'individuo, è una preziosa risorsa nella comunità degli umani a cui tutti apparteniamo. Il mondo é una enorme comunità che ci racchiude come un cerchio in un cerchio ancora maggiore infatti, noi siamo come i cerchi concentrici del tronco dell‘albero, in cui ogni cerchio è il segno del trascorrere del tempo, ed è il simbolo della sua storia in quanto concorre alla storia della sua intera esistenza.

L’amore e la generosità sono diffusi in ogni uomo, poiché esiste una naturale capacità alla gentilezza e alla cortesia che è inscindibile nelle persone più elevate a livello spirituale. Per la filosofia stoica il massimo piacere era costituito dalle felicità in grado di espandere l’anima fino al massimo del concepibile e, tra queste qualità vi era “la benevolenza verso i propri simili” secondo l’imperatore e filosofo stoico Marco Aurelio.

Se studiamo l’etimologia italiana della parola gentilezza vedremo che essa deriva dalla radice latina “gens” che significa gente, stirpe, razza o gruppo familiare, poichè la gentilezza è la capacità di essere solleciti ed amorevoli con gli altri, e di saperli trattare come se fossero dei membri della nostra stessa famiglia. Nell’antichità la gentilezza non era obbligata, ma si era tali perché era il modo ottimale per divenire dei veri uomini, e per nobilitare al massimo lo spirito.

La rivoluzionaria verità di Cristo di amare il fratello fu trasformata in un messaggio deviato, nel passaggio dalla setta ebraica alla costituzione della religione ufficiale, quando venne completamente ribaltato il significato originario del messaggio. Se Cristo voleva un mondo governato dall’amore e dalla sollecitudine dell’uno verso l’altro, tale concezione venne ribaltata da Agostino e dai Padri della Chiesa, secondo i quali il peccato originario aveva deviato l’uomo da ogni bontà originaria fino ad ucciderne la nobile natura generosa ed altruista.

Sebbene Agostino ne “La città di Dio” affermasse che “una santa carità” abbraccia il mondo intero, e che gli amici degli amici sono tutti coloro a cui l’uomo è legato dall’appartenenza alla famiglia umana, nella sua filosofia questo appare? L’uomo di Agostino è un essere immondo sprofondato nel peccato perciò incapace di sperimentare la bontà e la “caritas” a meno che non sia ispirato dalla discesa della grazia e della luce di Dio dentro di lui.

E’ evidente come le nobili virtù e le migliori qualità umane vengano così sottratte all’arbitrio dell’uomo e rispedite al mittente superiore, per cui Agostino come tutti i peccatori convertiti è un bigotto e un sepolcro imbiancato, che è la razza di cui è sempre stato pieno il mondo sia nelle epoche antiche come pure nella nostra odierna civiltà. Da Agostino a Calvino e oltre, avremo uomini che tuoneranno contro la corruzione dell‘uomo peccatore, come i membri del clero cattolico romano, che predicavano le pubbliche virtù praticando molti privati vizi, e che rinchiuderanno l’uomo per secoli nella tomba dell’essere spregevole trasformandolo in un verme di fango infettato dal demonio.

La cosa più strana di questa involuzione è che la parte maggiore della concezione pessimistica dell’uomo sia dovuta a un filosofo progressista che, alla fine del sec. 17., quando terminarono le brutali persecuzioni religiose pubblicò il saggio il “Leviatano” (1651). Thomas Hobbes, nel suo saggio, afferma che gli uomini sono delle bestie egoiste interessate solo al proprio benessere personale, perciò sono dei feroci e brutali combattenti di una guerra all’ultimo sangue che non vede nessun graziato tra i vinti, ma solo delle vittime e tanto sangue su di un campo di battaglia esteso quanto il mondo.

Ma noi dobbiamo capire che ragionare di vinti e vincenti è un modo errato di affrontare la vita, poiché dimostra che siamo invischiati nei meccanismi della paura e del terrore, e che reagiamo con un atteggiamento di chiusura condannandoci alla morte dello spirito, e della speranza futura. Fare resistenza agli impulsi generosi per affrontare la vulnerabilità di un rapporto a cuore sincero esposto all’Altro, non è un indizio di forza, ma è un atteggiamento da codardo mancante del coraggio di rischiare in modo totale e completo.

La vulnerabilità non è traumatica per le persone che sono veramente forti, poiché essi hanno la capacità di non temere alcun aspetto della vera natura umana. Noi siamo degli esseri umani e perciò limitati, quindi vulnerabili e fragili infatti, il nostro impegno nella ricerca del piacere o nella fuga dal desiderio equivale sempre al timore di ciò da cui vogliamo fuggire: non voler vedere questa verità equivale a restare infantili e limitati nella mente, perciò stupidi.

Avere paura di mescolarci ai nostri simili, perché sono percepiti come estranei significa avere paura della vita, poiché abbiamo il timore di mettere in campo la posta maggiore che abbiamo, perciò noi stessi che equivale al tradimento della natura fondamentale di noi, che è anche il maggior tradimento che possiamo fare quando viviamo male la nostra vita.

Sarà chiaro che il mandante del delitto è la moderna società capitalistica che ci vuole stupidi e timorosi di fare un salto di maggiore qualità evolutiva. Nella società moderna è funzionale l’individuo competitivo e crudele che, essendo immune ad ogni mitezza e finezza, si getta nel mercato economico con la foga del feroce guerriero che fagocita tutto perché è affamato di sangue e di conquista.

In questi tempi che sono assai ricchi di inumani, e di esseri feroci e aberranti ostili ai comportamenti gentili e generosi, il pensiero dell’uomo feroce appare assai seducente. Allora, mi ritrovo a pensare che una natura animale è fin troppo nobile per poter essere così presuntuosamente millantata da simili individui, poiché sarebbe un onore fin troppo grande avere la nobile fierezza della natura animale.

Poi mi ritrovo a riflettere sul fatto che le persone di gusto e di garbo, non seguono le mode altrui ma, piuttosto, impersonano solo sé stessi in modo originale e che, la lettura di "Elogio della gentilezza" dello psicanalista Adam Phillips e della storica Barbara Taylor è una lettura assai consolante da raccomandare a tutti i sensibili e i generosi che esistono nel mondo, affinchè ne attingano onore e orgoglio al loro modo eccezionale di essere gentili.

Buona erranza
Sharatan


venerdì 16 luglio 2010

Sulle vittorie senza meriti


“In Cina, regno del quale il governo e le arti,
senza rapporto con le nostre e senza conoscenza di esse,
superano in eccellenza i nostri esempi sotto diversi aspetti,
e la cui storia m’insegna
quanto il mondo sia più ampio e vario
di quel che gli antichi e noi possiamo concepire.”

(G. Leopardi - Zibaldone, 30 nov. 1828)


Michel Foucault parlava dell’eterotopia della Cina affermando che quel pensiero è altro, che è un altrove dal nostro a livello concettuale ma che, ragionando sui pensieri diversi, si riesce a far reagire ancor più fruttuosamente il proprio pensiero. Una delle cose più complesse da attuare, nella vita, è quella di uscire dai personali schemi mentali per saper prendere una distanza e un distacco dal nostro particolare modo di ragionare, per poter accrescere la conoscenza.

Francois Jullien, illustre sinologo francese, afferma che il pensiero cinese offre la possibilità di farci interrogare sul modo con cui pensiamo e ragioniamo in occidente, poiché esso ci aiuta ad approdare all’impensabile, infatti ci porta a ciò su cui non riusciamo ad interrogarci, infatti la Cina costituisce uno “spaesamento del pensiero” occidentale.

E’ in questo modo che, spinti dal fascino di un pensiero esotico e dalle sue intriganti modalità di ragionare, noi riusciamo ad inquietare il nostro pensiero, e possiamo aprirci ad altre possibilità di prospettiva della mente e dello spirito. Uno dei temi più affascinanti del pensiero cinese è senza dubbio l’Arte dell’efficacia e della strategia militare, poiché essa è assolutamente diversa dal nostro modo consueto di pensare l‘Arte della guerra.

La mentalità occidentale deve tutto alla radice filosofica del pensiero greco, perciò usa questo modello filosofico e mentale per avere l’approccio alla realtà e, questa filosofia, è basata sulla costruzione preliminare di un modello del mondo che è precostituito sulla base dell’esperienza che viene pensata come ideale, a cui poi dobbiamo saper adattare i nostri successivi comportamenti, e la qualità della nostra azione sul mondo reale.

Per la mente occidentale è il preconcetto il fondamento di tutti gli schemi, poiché è il modello che guida i nostri passi e i nostri comportamenti: infatti prima pensiamo il nostro ideale poi, su questa idea, strutturiamo il mondo. Secondo Platone la forma ideale è preliminare, è preesistente a tutto, poi la volontà si dovrà impegnare per far manifestare la “modellizzazione” ideale nella realtà materiale futura. E‘ così che la mente costruisce il sogno a cui, successivamente, darà la manifestazione.

In campo militare, il modello ideale si attua quando un corpo di stato maggiore guidato da un generale, nella stanza del consiglio di guerra, stabilisce la strategia delle azioni militari prima ancora di dispiegare le sue truppe sul campo di battaglia. In modo similare la mente occidentale maneggia tutto il suo mondo, infatti così agisce il nostro pensiero in tutti gli aspetti della vita: personale, sociale, politico, e in tutti campi di azione in cui vediamo uomini che trattano con i loro simili, e in cui trattano con se stessi.

Laddove il modello fallisca il suo obiettivo, non per questo esso viene abbandonato ma, si costruiscono nuovi angoli, nuove misure e prospettive di aggiustamento, perciò costruzioni ancora più complicate, così lo stratega diventa un ottimo costruttore di schemi e di misure precise, al punto che l’ottimo stratega deve imparare a ragionare usando una mente da geometra. Ecco come il pensiero occidentale viene scisso tra i due versanti della teoria e della pratica, per cui inventa un “pensare il mondo” di tipo schizofrenico.

Aristotele, consapevole o sospettoso della scissione, vedendo la divisione tra le teorie e la realtà, pensò di usare una categoria intermedia di pensiero che chiamò “phronesis” cioè prudenza, affermando che essa deve sempre collegare i due lati dei versanti mentali, perciò bisogna usare una prudenza assoluta per collegare i modelli ideali della mente con la realtà pratica materiale. Nel canto omerico che loda Ulisse vi è un eroe che possiede metis, cioè un “fiuto” geniale e l’astuzia di una intelligenza che sa sempre sfruttare le situazioni a suo pieno vantaggio.

Attenzione però, perché il fiuto di Ulisse, non usa la furbizia che è lo sguardo miope di una intelligenza con obiettivi di corto raggio, ma è una qualità più raffinata ed abile che sa cogliere le strutture portanti dei contesti, cioè il senso delle cose in cui ci si trova inseriti, nel corso degli accadimenti della vita. Perciò l’eroe riesce ad accarezzare la vita usando il “verso del pelo” degli avvenimenti con rara sagacia.

Nella sagacia di Ulisse, sostenuto dalla protezione di Minerva, si unisce lo sguardo di lince e l’astuzia della volpe, condita dalla pazienza di saper aspettare il momento opportuno, e la pazienza è l’ingrediente essenziale usato anche dalla cucina di tutte le arti del buon vivere della mentalità cinese. Per la saggezza cinese, avere senso dell’opportunità non ha il valore dell’opportunismo con l’accezione negativa che noi gli diamo, perché significa saper valutare il senso dell’opportunità degli avvenimenti affinché si possa divenire dei saggi strateghi, sapendo valutare ciò che è adeguato ai tempi e contesti migliori.

La saggezza di sapersi appoggiare solo alle circostanze per non essere sconfitti dal peso di ciò che accade, è la manifestazione di una somma saggezza riguardo ai casi della vita, ed è l’unico modo per regnare sul mondo, aldilà dell’ampiezza dello spazio in cui esso si dispiega. La cosa strana è che il nostro pensiero occidentale ha investito tanto delle sue energie per creare delle strutture, e per creare dei modelli del mondo che non funzionano, se non forzando il corso delle cose, mentre per i cinesi antichi il massimo grado della virtù è non avere alcun modello precostituito del mondo, per poter ottenere il massimo dell’efficacia su di esso.

Con questo, che sembra un progetto “irragionevole” la millenaria civiltà cinese è divenuta perfetta e feconda in tutti i campi e in tutte le arti della vita. Se osserviamo attentamente l’arte della strategia come tecnica militare, vediamo che la Cina l’ha strutturata in tutto il corso della sua storia con una illuminante saggezza da usare bene ancora oggi. Per imparare un modo diverso di pensare dal nostro schizofrenico abuso del mondo, osserviamo questo pensiero, in cui non viene concesso alcuno spazio alle nostre aspettative sul mondo e sulle circostanze, ma vi è l’assoluto rispetto per il “potenziale della situazione” e non vi è alcuna forzatura violenta al corso delle cose.

E’ questo l’uso saggio delle variabili che intervengono negli accadimenti del mondo, perciò solo le condizioni ed i fattori favorevoli delle cose del mondo. Erroneamente si pensa che essi vogliano insegnarci che agli accadimenti ci si debba sottomettere con la massima rassegnazione e passività, ma questo non è assolutamente vero, e viene creduto solo da coloro che non conoscono la civiltà di cui stiamo ragionando.

La saggezza cinese insegna che le cose non si devono affrontare con l’uso di modelli preconfezionati del mondo, perché il mondo è pieno di vasi che non si fanno forgiare da noi, esso va per la sua strada, e siamo noi che dobbiamo saperne seguire il corso, adattandoci anche a galleggiare sul filo della corrente quando siamo stanchi di nuotare, o quando la forza del fiume è troppo superiore alle nostre forze: infatti il mondo è come è!

Nel mondo vi sono accadimenti che vanno gestiti con saggezza e senza paura, perciò vanno saputi valutare con il distacco dal sentimento, infatti nella guerra pensata con il pensiero, non esiste il coraggio o la codardia ma esiste solo un potenziale di situazione che ci rende coraggiosi oppure prudenti riguardo alle situazioni. Il coraggio non è una qualità umana primaria, ma esistono delle circostanze in cui si avanza e si vince, e vi sono delle circostanze in cui ci si ritrova a combattere fino all’ultimo sangue e fino all’ultimo respiro per uscirne fuori e, perciò si è costretti al coraggio.

In occidente si pensa di dovere dimostrare sempre il coraggio, invece il cinese pensa che ci si può comportare e essere costretti dalle situazioni in modo diverso, infatti si può essere costretti alla posizione del coraggio infatti, nella strategia militare, l’immagine è espressa come “fare salire in alto” e poi “togliere la scala” e perciò rimanere incastrati, e dover dimostrare il massimo del coraggio che si possiede.

Nessuna arte della guerra e della vita è pianificazione, ma è solo una saggia valutazione del migliore potenziale dei contesti in cui siamo inseriti, perciò la situazione si deve analizzare momento per momento, in modo da cogliere fluidamente il favorevole e lo sfavorevole delle cose e delle circostanze. Nell’arte della guerra e della strategia, secondo Sun Tzu, la vittoria in guerra non devia mai dal suo corso, in quanto è il risultato logico del potenziale delle cose così come esse sono, senza sforzi e violenze sugli accadimenti: in essa non vi è spazio per il caso o per la fortuna, ma vi è solo il calcolo delle componenti dei dati della realtà.

Nell’antichità occidentale si entrava in guerra dopo avere consultato il responso degli aruspici, che traevano i loro vaticini dall’analisi delle visceri degli animali sacrificati, o dall’osservazione del volo degli uccelli, o dal responso degli indovini. Sun Tzu vieta ogni ricorso a tali pratiche poiché non esiste alcun valore nell’intervento estraneo alla logica valutazione dei fatti, ed è questo che rende l’Arte della guerra una disciplina tanto educativa, affascinante e raffinata.

Nella guerra, come nella vita, quello che ha valore è solo ciò che abbiamo in mano alla fine del gioco, come nel gioco delle carte, perché ogni esito preliminare è imprevedibile. L’Arte della strategia e dell’efficacia militare insegna che non esiste alcuna utilità nel fissarsi in una immagine mentale del mondo e popolarla dei fantasmi dei nostri pensieri, mentre appare molto più conveniente valutare con lucidità il potenziale favorevole, momento per momento. L’arte strategica insegna come saper entrare nei processi e nelle trasformazioni della realtà con logica e saggezza.

Il migliore stratega in guerra, come nella vita, non forza mai violentemente le circostanze, ma scopre i suoi fattori di vantaggio e, di conseguenza, i fattori svantaggiosi del suo nemico e, coltiva pazientemente le situazioni affinché giunga a maturazione la piena vittoria militare. E’ per questo che Sun Tzu afferma che, nel grande generale non vi è nulla da lodare, poiché egli non ha alcuna sagacia e neppure coraggio, egli è solo un uomo comune che ha saputo scoprire e trarre vantaggio dalle situazioni, perciò afferma modestamente che egli non ha fatto nulla di rilevante.

Come può essere definito grande un generale che si muove in una condizione in cui tutto era già deciso, poiché la vittoria era nelle circostanze? Se la vittoria non richiede alcuno sforzo umano, nella situazione dello stratega che vince in una situazione già scontata, non vi è assolutamente alcun merito. Ecco perché il migliore stratega non ha meriti e non si loda, e perché il “non avere alcun merito” è il miglior merito.

Buona erranza
Sharatan

martedì 13 luglio 2010

Per una bellezza senza qualità


“Quando studio le opere dei maestri,
osservo l’operare della loro mente.
[…]
Ma il bello si distingue sempre dal banale,
il buono dal mediocre”

(Lu Ji - L’arte della scrittura)


Per la mentalità cinese classica, se tutti sono in grado di apprezzare i differenti sapori, esiste un centro in cui vi è solo l’insapore, che è il Tao dell’estetica: è questo il sapore più difficile da apprezzare, ma una volta che se ne conosce il raffinato gusto, esso dura all’infinito. Così viene raffigurato l’apprezzamento dell’insapore, che è una categoria estetica primaria della cultura cinese classica: questo è il confine sottile in cui sono completamente dissolti il soggetto che osserva e l'oggetto che viene osservato, poiché nell’insapore l’oggetto e il soggetto diventano tutt’uno.

Questo concetto è precedente sia al taoismo che al confucianesimo, ed è un concetto fondante del gusto estetico cinese, infatti è al centro sia del mondo naturale che di quello sociale. E l’insipienza cinese è una modalità di apprezzamento della vita che è tipica del carattere riservato e discreto di quel popolo, e questa discrezione naturale è al centro di tutte le relazioni che vengono intessute da loro.

Questo gusto per l’insapore, che è l’invito all’apprezzamento dell’assenza di percezione e di sensazioni dei sensi, è piuttosto difficile da comprendere per una mentalità come la nostra che è sempre più infatuata di suoni e di sapori. Per la cultura cinese il gusto è un’intimità fisica in cui si fonde tatto e odorato poiché ogni opposizione è destinata a fondersi poiché, per la Cina, ogni opposizione è destinata a unirsi.

Nell’insapore cinese vi è un “senso radicale” che va oltre tutti i sensi, e non è certamente paragonabile al concetto di neutro o di insipido che la mente occidentale conosce. Questo è un senso prima di ogni altro senso, che passa sotto un confine, poiché esso crea un ordito passando sotto il filo della superficie dell’acqua: è tutto quello che si cela sotto quel confine.

Nel gusto per il sottile, che è tipico dei cinesi, vi è celato il senso di tutto quello che una manifestazione estetica nega, ed obbligatoriamente questo avviene, essendo esso precedente alla concretezza di ogni manifestazione. Per questo motivo, questo sentimento si attua quando vi è un processo disponibile all’indeterminatezza del senso dell’assaporare. E’ molto difficile comprendere ciò, per una mentalità come la nostra, che è abituata ai falsi piaceri e così disabituata ad apprezzare la vera bellezza.

E’ veramente difficile attuarsi all’intelligenza estetica cinese, che significa avere la capacità di intendere e vedere la bellezza, ed è per questo motivo che l’immagine del vento (feng) poteva efficacemente rappresentare la capacità di divenire “invisibile, pervasivo ed efficace” indicando, così un modello estetico e ideale perfetto. E’ per questo motivo che, nella musica si apprezzano le pause e il silenzio, che diventa “il resto del suono” poiché, è nel silenzio che noi possiamo permetterci di comprendere tutti i suoni che è possibile produrre.

Qualcuno diceva che la musica è tutto ciò che si racchiude tra le pause del suono, e nella tradizione estetica indiana, i raga sono le codificazioni più complesse e raffinate e sono ancora più complesse da comprendere per la nostra mentalità grossolana. Nella mentalità cinese classica questa concezione perfetta dell’insapore, è il filo conduttore che è sottinteso a tutte le arti come la cucina, la strategia, la calligrafia, la boxe, la cura del giardino e, in particolare della musica.

In questo senso tale concezione è perfetta ed è tanto avvenente laddove si abbiano orecchi e occhi bene aperti e in grado di percepirlo, ed è questo che la completa perfezione della natura ne può indicare la direzione giusta. Se valutiamo il termine “avvenente” si comprende bene il senso, poiché l’estetica cinese è un’anticipazione a ciò che può venire. Questo significato è chiaro anche nell’italiano “a venire” come senso di apertura piena a ciò che giunge, cioè alla completa ricettività di recezione.

La nostra difficoltà occidentale e moderna è quella di non potere comprendere come si possa restare sicuri e centrati senza possedere una metafisica che è, senza dubbio, un sicuro utero concettuale del pensiero. Per noi occidentali è molto difficile restare sicuri senza avere delle sicurezze mentali che possano contenere la nostra mente in un ambito senza strategie o tattiche già preconfezionate da indossare.

Occorre molto coraggio per restare sicuri e sereni nel mondo senza avere sicurezze ma basandosi solo su indizi e tracce di un percorso, e senza vie già tracciate da altri prima di noi: essere sicuri senza alcun riferimento precedente a noi, perciò marciare spediti su dei sentieri inesplorati e privi di orme lasciate da viandanti precedenti. Se siamo in silenzio noi accettiamo di pensare basandoci solo su indizi o tracce di percorsi, e sui sintomi di senso: infatti è difficile vivere senza verità preconfezionate.

E’ per questo che il saggio e lo stratega cinese riescono a divenire presenti nella loro totale e sapiente mancanza di senso definito. Se sappiamo cogliere il principio o le leggi regolatrici delle cose, se sappiamo comprendere la logistica del cambiamento, è allora che le cose scorrono da sole e noi sappiamo agire adeguatamente. Se facciamo così, noi impariamo ad agire tempestivamente e senza forzare le situazioni, le persone, i luoghi e i tempi: è’ così che comprendiamo come il saggio deve “non far nulla, ma far che nulla non sia fatto.”

Per questo motivo il saggio non deve generare i fatti e gli eventi del mondo ma deve, piuttosto, comprendere le esperienze nella loro coerenza formativa (li). E’ in tale modo che il saggio agisce efficacemente senza agire, ma si permette di essere partecipe, sia pure nel suo distacco, dal mondo, e di poter vivere impassibile ma appassionato della vita: e questo appare molto più conveniente strategicamente, per un buon vivere.

Buona erranza
Sharatan

martedì 6 luglio 2010

Nella bellezza del mondo


La nostra civiltà soffre di due eccessi caratteriali, cioè di nevrosi oppure di depressione: in realtà il malessere mentale è divenuto una condizione comune, e tale malessere è destinato ad aumentare con l’accellerazione dei fenomeni sociali e culturali, e per la massa di informazioni che siamo chiamati a fronteggiare.

Ma quante delle cose che ci riempiono gli occhi e le orecchie vale la pena di ritenere, quali sono le migliori da recepire e da applicare praticamente? Quali sono le cose che meritano la fatica di essere conservate nella mente?

Perlopiù la gente si limita ad immagazzinare immagini, concetti e parole, anche se pochi dei concetti uditi e delle immagini catturate con lo sguardo valgono veramente la pena di essere conservati. Il consiglio migliore rimane quello di staccare la spina in alcuni momenti della nostra giornata per fare un punto della situazione e placare la confusione mentale.

Sarebbe una buona pratica per la nostra vita, almeno per una piccola parte del nostro tempo libero, anche solo per poche decine di minuti, anche se sarebbe la cosa ottimale un tempo maggiore. Allora dobbiamo imparare a chiudere la porta mentale, e chiudere tutti i cinque sensi al mondo, per poter tornare in noi.

Nella psicologia Jean Piaget insegna che una condotta intelligente è costituita da due fasi essenziali. Nella prima fase si attua una assimilazione dei dati percettivi ma poi, nella seconda fase si deve operare un accomodamento dei dati immagazzinati nelle strutture mentali preesistenti, per poterle perfezionare con l’apporto dei nuovi dati conoscitivi.

Se non operiamo queste due fasi intellettive non avremo alcun ampliamento e nessun arricchimento della nostra intelligenza: il meccanismo della macchina pensante non viene mai adeguato, perciò resta desueto rispetto al mondo.

Messe le cose in questo modo ci ritroveremo a riflettere su quanto sia intelligente la nostra condotta intellettiva, di quanto siamo adeguati riguardo al mondo. E il mondo in cui viviamo dimostra di essere intelligente? Io non credo che lo sia, se veniamo forzatamente ingozzati di nozioni e di stupidità per farci divenire sempre più stupidi e passivi.

La nostra mente moderna viene manipolata con un rimpinzamento forzato di suoni e di nozioni, al punto che siamo disabituati a sviluppare una condotta intelligente di vita, sia al nostro interno che all’esterno: è per questa ragione che la nostra mente moderna sviluppa delle nevrosi o delle depressioni.

In realtà noi mangiamo non solo con la bocca ma con tutti i cinque sensi, perché i nostri occhi si riempiono di immagini, le orecchie si saturano di suoni e di rumori. Noi tocchiamo tutto quello con cui vogliamo avere contatto e connessione, perciò i nostri polpastrelli sono come dei radar percettivi che assorbono delle superfici lisce o ruvide, concave o convesse, calde o fredde, dure o morbide, etc.

Per non parlare poi dei nostri nasi che ormai sono completamente ubriacati dai fumi dei tubi di scappamento delle nostre automobili, e dagli altri miasmi che emanano le nostre città caotiche sempre più povere di verde, di alberi e di fiori dove potersi ritemprare in mezzo ad un fazzoletto di natura, e in cui portare a correre e giocare i nostri bambini.

Messe così le cose possiamo dire che l’uomo stia vivendo odiernamente in un mondo ospitale? Ovviamente la domanda è retorica perché si può rispondere solamente un No! Comunque sia, è questa la condizione in cui vive oggi l’uomo e, vivendo così la mente dell’uomo moderno, non essendo nella sua condizione naturale, si ribella e va in corto circuito, perciò diventa nevrotica oppure depressa.

E, nelle due condizioni di disagiata reazione, dimostra di non essere più intelligente anche se, poverina, qualcosa cerca pure di fare per tornare alla sua condizione equilibrata. Nella condizione di nevrosi la mente moderna cerca di tenere il passo ed arranca disperatamente per tenere un ritmo che non riesce a sostenere, perciò fallisce la performance.

Nella condizione depressa invece la mente si sente disperata perché teme, oppure sente che non può iniziare alcuna marcia, perciò neppure inizia un piccolo percorso, e si chuide in una tana buia facendo una perpetua quanto sterile incubazione mentale.

Ma, una mente così squilibrata non è quella naturale, poiché non è quella che può divenire equilibrata, come lo era quella dell’uomo arcaico che viveva in completa simbiosi con la natura, e con i suoi ritmi naturali di sviluppo, e perciò possedeva pace, amore e gioia sia nel mondo interno che in quello esterno.

Nell’alchimia cinese si afferma che l’adepto deve tener conto di tre realtà interne per potersi riequilibrare. “Hsing” è tutta la serie di disposizioni interne, o se vogliamo è la consapevolezza dei nostri talenti che sono le disposizioni caratteriali a cui dobbiamo dare sfogo e manifestazione.

Vi è poi la qualità del nostro “ch’i” che è il soffio vitale che il nostro corpo è in grado di contenere, e a cui può dare sfogo, che è poi la portata della nostra fornace interna. E’ qui che abbiamo la potenza e la capacità di dosare il calore del forno interno con cui possiamo cuocere dei buoni cibi, ed è questa l’energia che circola nell’uomo e nell’universo di cui la saggezze antica ci invita ad imparare ad impratichirci.

Così il taoismo c’invita a divenire abili fuochisti del calore a cui sottoponiamo il crogiuolo della purificazione interna per ottenere solo il raffinamento delle nostre migliori qualità, così questa sapienza antica c’invita a cucinare solo degli ottimi cibi per divenire il "pane di vita" di noi e degli altri.

Vi è infine lo “shen” che è l’obiettivo dell’intera trasformazione alchemica, che è poi il risveglio delle forze spirituali che sono vivificate dalla loro unione con la nostra Via che è il nostro Tao. Chang Po-Tuan nel classico dell’alchimia taoista Wu Zhen Pian indica un percorso così come viene praticato nella Scuola della Realtà Completa o Quan Zhen, per cui afferma:

“Nei praticanti del Tao, il ritorno al giusto equilibrio da parte della rigidità della vera conoscenza è come il solstizio d’autunno; il ritorno al giusto equilibrio da parte della flessibilità della conoscenza consapevole è come il solstizio di primavera. Il recupero del giusto equilibrio da parte della vera conoscenza e della conoscenza consapevole è come il premio della primavera e la punizione dell’autunno.”

L’alchimia taoista che è il prodotto di un continente in cui era raro trovare dei momenti di requie e di pace dai conflitti sociali e dagli sconvolgimenti politici, è in qualche modo paragonabile al nostro. Certo che l’affermazione è un pochino forte, e si potrebbe sottilizzare lungamente che l’esempio non è assolutamente calzante, poiché i contesti, le condizioni e le situazioni storiche, e perfino le mentalità, sono assolutamente non paragonabili tra di loro.

Va bene, ammetto che l’astrazione ha del funambolico mentale però, si permetta l’astrazione assoluta dai particolari detti sopra e valutiamo dall'alto: in entrambi i contesti, all’uomo si presentano delle condizioni ostili alla sua vera natura, che è stata creata per avere pace, amore e gioia.

Se ragioniamo liberamente e ariosamente con questa somma astrazione, è allora che appare come le condizioni siano perfettamente paragonabili poiché sono identiche. E chiediamoci quanto può esserci amico un mondo che ci priva dei due solstizi essenziali per il corso del Tao, cioè dei nostri solstizi di primavera e di autunno?

A questo punto devo ripetere la domanda: Quanto è amico un mondo che ci ruba i nostri due solstizi naturali, che ci priva dei premi e delle punizioni che si alternano nel loro giusto corso, che è poi il percorso con cui possiamo attuare il nostro giusto equilibrio, poiché “la medicina è foggiata su questo” e non sul mondo privo di bellezza in cui ci fanno vivere.

Buona erranza
Sharatan


sabato 3 luglio 2010

L’imperatrice e gli specchi


L’imperatrice Wu andò dall’alchimista di corte, e gli chiese di spiegarle il funzionamento della connessione dell’Uno con il molteplice, del legame tra Dio e le sue creature, e dell’interconnessione di tutte le cose tra di loro, ma in un modo semplice e comprensivo. Maestro Fa Tsang si chiuse in un salone del palazzo imperiale, e si mise al lavoro per accontentare la sua sovrana.

Fa Tsang fece appendere 8 specchi alle pareti, in corrispondenza degli 8 punti della bussola, poi mise uno specchio al soffitto e uno sul pavimento: infine mise una candela in sospensione al centro della stanza. Quando entrò l’imperatrice Wu, Fa Tsang accese la candela, e la stanza si riempì dello splendore di mille luci riflesse negli specchi.

La sovrana si guardò intorno ed esclamò incantata: “Oh Maestro Fa Tsang! Ma che splendore! Che meraviglioso spettacolo avete allestito!” Maestro Fa Tsang disse: “Graziosa Sovrana, questa è la relazione che esiste tra Dio e le sue creature, è questa la relazione dell’Uno con il molteplice!” L’imperatrice rispose: “Ora comprendo Maestro, ma qual è il rapporto che esiste tra le creature tra di loro?”

Fa Tsang disse: “Guardate Celeste Maestà, guardate come la luce di ogni specchio riflette la luce della candela che brilla al centro della stanza. I riflessi della fiamma si riflettono negli altri specchi così da produrre mille luci infatti, i riflessi sono identici ma sono anche diversi, poiché ognuno ha la sua individualità. Tutti i riflessi vengono dalla stessa luce quindi sono identici, ma sono anche intercambiabili.

Ecco spiegato il rapporto tra l’Uno e il molteplice, e così si spiega anche il rapporto che esiste tra le creature tra di loro. Celeste Maestà, ma questa è solo una spiegazione grezza con una dimostrazione molto grossolana della natura delle cose. Nella realtà l’universo è illimitato, infatti esso è multidimensionale e muta in un eterno fluire. “

Quindi Maestro Fa Tsang prese un velo, e coprì uno degli specchi dimostrando come ogni interferenza sia destinata a causare un mutamento, sebbene sia limitata ed insignificante: infatti ogni piccolo avvenimento causa un mutamento sull’intero organismo del nostro mondo sebbene non compaia alcuna causa apparente.

Infine Fa Tsang sollevò una minuscola sfera di cristallo e disse, rivolto all‘imperatrice: “Ora, mia Graziosa Sovrana, osservate come ogni specchio che risplende della luce e delle forme molteplici che si riflettono sia, a sua volta, riflesso da questa minuscola sfera: così la realtà superiore si riflette nella realtà inferiore. Infatti, l’infinitamente grande si riflette nell’infinitamente piccolo. Come è in alto così è in basso, e come è in basso, così è in alto.

Oh, come mi piacerebbe dimostrare anche un‘ulteriore interconnessione, poiché esiste anche il legame tra il tempo e l‘eternità, in quanto esiste un legame tra il presente, il passato e il futuro. Purtroppo questo concetto è inspiegabile, infatti è un concetto dinamico che va compreso ad un livello diverso, che è un livello inspiegabile.”

Buona erranza
Sharatan