martedì 26 luglio 2011

L’albero della vita



Ogni tanto, il Baal Shem Tov andava nella foresta e restava in solitudine: chiaramente questa abitudine aveva risvegliato una grande curiosità da parte dei suoi discepoli perciò, quando chiese a tre dei più smaliziati chassidim di accompagnarlo, Sendril, Yehiel e Gershom furono ben felici di farlo. Salirono tutti sul carro del maestro, mentre i cavalli partirono subito al galoppo senza che nemmeno ci fosse bisogno che il Baal Shem Tov facesse schioccare la sua frusta. Dopo aver lasciato la città, corsero attraverso la campagna senza che fosse pronunciata nessuna parola, mentre gli zoccoli dei cavalli quasi non toccavano il terreno e il carro correva lungo un percorso che gli animali conoscevano bene.

Giunsero, infine, ai bordi di una foresta impenetrabile e mentre il Baal Shem Tov scioglieva i cavalli per lasciarli liberi di abbeverarsi e pascolare, i tre chassidim fissarono con ammirazione le nobili piante della millenaria foresta, ma si riscossero quando il maestro gli fece il cenno di seguirlo e si addentrò nel fitto bosco. Avanzarono a lungo nel folto di quella stupenda foresta tanto che, ai discepoli, sembrava quasi un sortilegio dover calpestare le foglie di quel luogo pieno di pace che sembrava inviolato, perciò procedevano cauti temendo quasi di rovinare qualcosa di quel luogo perfetto, o che qualcuno potesse venire disturbato dalla loro presenza.

Molti alberi avevano dei tronchi che potevano essere circondati dalle braccia di molti uomini per contenerne la circonferenza, e il loro enorme fusto sembrava ergersi quasi a toccare il cielo. Mentre passavano nei pressi di un’enorme quercia dalle misure maestose, Yehiel si fermò a sbirciare tra la fronde di quell’albero e vide un nido su cui era posato a covare un uccello stupendo dalle piume iridescenti con le ali dorate. Il sole accendeva le iridescenze delle sue piume diffondendo uno spettro di mille colori e facendo brillare l’oro delle sue ali: Yehiel restò a bearsi di quello splendore dorato e si perse in quegli splendenti colori, mentre il Baal Shem Tov e i due compagni procedevano oltre.

Camminando per un altro bel pezzo di strada, i tre giunsero ai bordi di un magnifico laghetto, e gli chassidim videro che il Baal Shem Tov si chinava a sbirciare nell’acqua, perciò fecero la medesima cosa, ma il lago non era di acqua normale, poiché non videro riflessa l’immagine del loro volto reale, ma si videro fissare dallo splendido volto di una presenza angelica. Dopo aver fissato il viso angelico, i due chassidim volsero lo sguardo verso il Baal Shem Tov per chiedere qualche spiegazione su quel miracoloso lago, ma il loro maestro si stava già allontanando, perciò Sendril gli corse dietro per non smarrirne le tracce. Invece Gershom restò immobile a fissare le acque, come se fosse diventato di pietra, e restò calamitato a fissare quel volto: aveva capito che fissava il viso del suo angelo custode, perciò non riusciva più a lasciarlo.

I due chassidim rimasti entrarono nel cuore più profondo della folta foresta e lungo una strada videro degli alberi che brillavano come se fossero arsi dall’incendio, infatti gli alberi sembravano di fuoco, ma non bruciavano con nessuna fiamma e non si consumavano con nessun fuoco. Sendril si ricordò del racconto biblico di Mosè e del roveto ardente che trovò nel deserto, perciò volle indagare e restò a osservare gli alberi infuocati, mentre il Baal Shem Tov gettava un’occhiata distratta al fuoco e proseguiva per la sua strada. Sendril non si accorse neppure che il maestro lo aveva lasciato per proseguire il suo cammino. Fu così che, quando il Baal Shem Tov giunse fino all’Albero della vita nel cuore della foresta, ormai era rimasto da solo.

Il protagonista della storia è il celebre cabalista Rabbi Isra’el ben Eliezer, noto come Baal Shem Tov cioè “Maestro dal Nome Buono” fondatore del chassidismo, di cui si dice che abbia raggiunto il massimo traguardo spirituale, cioè di diventare maestro del proprio nome, perciò maestro di se stesso. La storia esorcizza la paura degli uomini di poter percorrere una strada con troppa velocità oppure di sbagliare e non saper procedere, così che abbiamo il timore di non poter arrivare all’albero della vita. Questo albero, dicono i cabalisti, è inserito nella nostra vita cioè nel nostro stesso procedere, perciò ognuno deve seguire le sue inclinazioni e deve scegliere secondo le sue peculiarità concrete.

Stiamo tutti andando verso la medesima direzione, perché tutti vogliamo trovare la vocazione che sentiamo come più adeguata per la nostra anima, infatti tutti comprendiamo meglio ciò che corrisponde alle tendenze che sentiamo interiormente. Perciò tutti dobbiamo tornare alla nostra vita concreta, come punto di partenza da cui trovare lo spunto per scoprire la nostra massima realizzazione. Il Baal Shem Tov non precludeva dalla condivisione delle sue conoscenze, infatti amava avere dei compagni con cui condividere il cammino e sapeva come condurre i suoi discepoli verso la vera conoscenza. La storia insegna pure che, l’albero della vita del maestro era diverso da quello dei tre chassidim, infatti la storia insegna che ciascuno viene condotto ad un albero della vita diverso, perché ognuno è chiamato alla realizzazione usando una direzione diversa.

Buona erranza
Sharatan


sabato 23 luglio 2011

Oltre la manifestazione materiale


“La forma dell‘universo,
per quanto possa variare in modi infiniti,
resta nondimeno sempre la medesima ”

(Baruch Spinoza)

Il ricercatore che indaga sullo spirito usa la mente delle scienze fisiche, scrive Steiner, perché nella spiritualità “si parla di una conoscenza di fenomeni non sensibili, e di questi fenomeni l’attività pensante vuole occuparsi, come nell’altro caso si occupa di fenomeni che sono l’oggetto della scienza naturale.” Se la scienza ufficiale si limita ad occuparsi, con i suoi metodi e i suoi procedimenti della realtà sensibile, la scienza occulta vuole superare questa autolimitazione, perché considera “il lavoro dell’anima” intorno alla natura come un’autoeducazione dell’anima, perciò vuole applicare alla sfera sensibile ciò che risulta da questa autoeducazione.

La scienza occulta analizza i fenomeni sensibili, ma non li tratta come fatti materiali, seppure li debba studiare usando la mente dello scienziato, infatti trova i fattori sovrasensibili che sono alla base delle manifestazioni concrete. La scienza che indaga lo spirito inserisce nell'indagine, l’atteggiamento animico di volersi educare, perciò arriva alla conoscenza con la mente obiettiva così come “la conoscenza della natura diventa scienza.” L’elemento animico è inserito, non solo in ciò che l’uomo conosce della natura e dei suoi fenomeni, ma nel “processo del conoscere” poiché l’anima si conosce e si sperimenta nel suo stesso “applicarsi alla natura,” perciò facendolo si spinge ben oltre il sapere della natura e si sviluppa sperimentando concretamente la conoscenza.

Nessuna scienza può esistere senza dei criteri e dei metodi esatti, perciò non si può disprezzare l’apporto delle scienze naturali che ci aiutano nello sviluppo di “una severa mentalità scientifica” per “pensare nello spirito del pensare scientifico” e questa mentalità va conservata anche quando l’anima si spingerà ad indagare in altri campi. Quando pensiamo ai sensi dobbiamo pensare che essi oggi sono solo il “riflesso sfumato” di come saranno in futuro nel mondo spirituale, ma i pregiudizi contro le scienze spirituali sono ancora troppo grandi per permetterci di parlare in modo approfondito dei sensi che avremo nei mondi superiori, dice Steiner.

Nei regni spirituali, i sensi che abbiamo sviluppato ci permetteranno di muoverci fra gli esseri delle gerarchie superiori e l’attrazione sarà prodotta dalle forze di attrazione e di repulsione che queste entità eserciterano su di noi e che “si manifestano nelle simpatie e antipatie spirituali che vengono da noi sperimentate.” Il senso dell’equilibrio, per fare un esempio, nel mondo spirituale non sarà più percepito in senso fisico, ma diverrà un equilibrio morale davanti agli esseri e alle forze spirituali. Molte cose che vorrei dire, scrive Steiner, le devo tacere perché i pregiudizi sono troppi da non permettermi di rivelare altre caratteristiche delle sfere sensorie spirituali, perciò svilupperò solo i concetti che posso rivelare sulle implicazioni spirituali delle sfere sensorie.

Nei tempi antichi, la condizione era assai più favorevole alla rivelazione di determinate verità ed era più facile parlare di esse, rispetto a oggi. Per fare un esempio, gli antichi greci avevano una conoscenza molto più profonda di come lo spirito potesse plasmare la materia e di come la materia potesse emanare l'appartenenza alla tendenza spirituale, perciò essi sapevano come la materia potesse emanare lo spirito di cui si era impregnata. Anticamente, la conoscenza di questa connessione non implicava nessuna separazione tra il versante spirituale-animico e quello fisico-corporeo, infatti negli scritti di Aristotele vi sono delle descrizioni sublimi delle figure esteriori degli uomini valorosi, dei vili, dei collerici e dei tipi sonnolenti.

In questi racconti abbiamo una lucida descrizione e una precisione di descrizione del colore del viso e della fisionomia, infatti venivano raffigurati i volti dei vari tipi, ma oggi l’individualità umana è assai più differenziata e questo impone di parlare in modo molto diverso da allora. Le sfere sensorie odierne, se vengono confrontate con quelle di allora, ci appaiono in quiete e immobili come le costellazioni celesti sembrano immobili se vengono paragonate al corso dei pianeti che ruotano e che cambiano posizione in modo più rapido.

I sensi sono collocati in una determinata sfera di influenza, mentre i processi vitali pulsano scorrendo attraverso l’organismo perciò, con questa circolazione pulsante, la vita attraversa e permea i sensi, infatti circolando la vita infonde la sua forza e riattiva i sensi, perciò li può vivificare. Nell’epoca lunare, i sensi erano organi vitali e avevano una maggiore forza animica, perciò dobbiamo attuare un ritorno a quei stati e fare la regressione all’epoca lunare precedente, infatti si deve ricordare che ogni fase evolutiva possiede il ricordo di una atavica capacità che ritorna e che costituisce la ricaduta che può stimolare lo slancio verso una maggiore salita evolutiva.

Oggi conserviamo l’atavismo e il recupero della fase lunare nella percezione della “visione” che allora era una capacità ordinaria e un modo abitudinario di percepire, ma oggi essa è creduta come un elemento morboso che svela un sottofondo umano patologico, perciò oggi si crede malattia quella che era creduta realtà naturale nell’epoca lunare. Chiaramente non possiamo considerare normale, per il mondo odierno, avere delle “visioni” come nell’epoca lunare, infatti il nostro corpo è più solido, e non potrebbe sostenere l’impatto con quella condizione che non è più naturale: l’uomo, dice Steiner non potrebbe restare tranquillo nell’osservazione della visione e non saprebbe osservarla interiormente rivolgendo il suo contenuto al mondo spirituale, perciò evitando che la visione agisca sul corpo.

Una visione non è mai ingannatrice se l’uomo è equilibrato, perciò se l’uomo è abbastanza forte da conformare il fisico terrestre anche alla visione lunare, infatti l’uomo può adattare il suo fisico a quel tipo di sensorialità, poiché essa giace ancora latente nei nostri sensi più morti, ma abbiamo ancora la possibilità di rivitalizzarli per adattarli a quella modalità arcaica di percepire. Questo significa che l’uomo deve saper modificare il suo zodiaco interiore, sapendo orientare le zone sensorie, perciò deve modificare i 12 campi interiori per educarli ad avvertire maggiormente dei fenomeni vitali piuttosto che sensoriali.

Questo aggiustamento interno deve saper produrre dei fenomeni che possano “attaccare il processo sensorio, in modo da trasformarlo entro la propria sfera in un processo vitale.” Solo questa operazione può trarre i sensi dalla zona di morte in cui giacciono per trasferirli nello “stato vivente” in cui l’uomo vede e contemporaneamente vive quello che sta vedendo, perciò egli ode e vive quello che sta sentendo, perché sa usare questo modo di percepire vedendo tutti i fenomeni, perciò sa usare il mondo come usa quello che mette nello stomaco e sa gustarlo come gusta quello che lecca con la lingua.

In questo modo, tutti i processi sensori vengono rimessi in movimento, poiché la vita viene nuovamente sollecitata in loro e i sensi si ridestano, in quanto questo è sempre possibile per l’uomo. I sensi vanno ricondotti allo stato precedente, riportandoli all'epoca in cui erano degli organi più vivi, infatti solo degli organi che sono vivi possono essere attraversati dalle “forti correnti di simpatia e antipatia.” Tutto ciò che è vivo risponde sempre alle forze che gli sono affini e respinge ciò che non riconosce come tale: queste sono le forze che vengono risvegliate e che vengono “infuse nuovamente” in tutti i nostri organi sensori.

Anche i processi vitali possono essere trasformati e possono “essere compenetrati” dall’elemento animico che è nel substrato della materialità, infatti dovrà avvenire che i tre processi vitali della respirazione, del riscaldamento e della nutrizione potranno essere riuniti in una armoniosa unità e sapranno far fluire l’elemento animico del mondo in modo da poterlo ridestare nella nostra interiorità. L’organismo odierno possiede le tre funzioni vitali, ma le conserva come delle spoglie morte e sconnesse tra loro, infatti la respirazione aspira l’aria, noi assorbiamo il calore se dobbiamo scaldarci e mangiamo i cibi materiali per sopravvivere.

L’elemento animico che viene ridestato potrà rifondere tutto questo operando una simbiosi tra queste funzioni che noi vediamo solo nel significato materiale. Chiaramente non si parla della nutrizione del cibo materiale, poiché il processo a cui si accenna, dice Steiner, non avverrà isolato come avviene nell’atto del mangiare, bensì la nutrizione avverrà in tutti e tre i nostri processi vitali. Anche i processi di secrezione, di crescita e di riproduzione saranno più vitali, perciò ogni processo vitale diverrà qualcosa di più animico. Tutte le limitazioni riguardo la divisione tra la materia e lo spirito devono essere abiurate se vogliamo conquistare l'unità di sapere, di sentire e di volere che sono le tre forze interiori che sanno cristallizzare l’uomo.

Questo fenomeno avviene come un fenomeno sottile e intimo, poiché viene donato dal recupero dell’antica sensibilità lunare senza cadere nelle visioni, perché la nostra percezione sarà solo un modo di vedere in cui tutta la sfera sensoria diventa più sottile e raffinata, poiché i nostri processi vitali saranno diventati più animici. L’uomo non potrebbe essere più un organismo sognante come nell’epoca lunare, perché il corpo odierno possiede una struttura rigida e cristallizzata, perciò dobbiamo saper usare anche la durezza conquistata per consolidare i sentimenti spirituali che sentiamo, così come avviene quando siamo ispirati nella produzione dell’opera d’arte, perciò quando plasmiamo usando la visione della nostra anima agendo sulla materia.

Quando usiamo l’intendere sensoriale per la percezione della bellezza e nel comportamento estetico, l’uomo riattiva gli organi di senso più elevati, infatti la creazione artistica è vita, poiché è infusa dall’elemento animico. L’educazione alla bellezza ci fa comprendere molte verità perché la sensorialità che apprezza la bellezza è attratta dall’elevazione dello spirito, sebbene il gusto estetico moderno sia diventato troppo materialista e arido come l’epoca in cui viviamo. Nell’arte ancora vive l’animico che si è perso sulla terra, infatti vi possiamo ritrovare l’elemento vivificante che è in grado di migliorare la nostra sensibilità, sebbene l’uomo non voglia cambiare credendosi perfetto e vuole restare com’è.

In realtà, potremmo usare meglio la variabilità umana per fare altre modificazioni, poiché l'uomo può essere sempre modificato, almeno entro certi limiti. Noi possiamo adattare i sensi per farli retrocedere alla sensitività lunare, quando i processi vitali si compenetravano uno nell’altro, perché nei sensi dell’uomo deve avvenire quello che avviene nei cieli, dove i pianeti entrano in reciproco rapporto mentre le costellazioni restano ferme. Nella pittura vediamo l'eloquente esempio di questo aggiustamento e ammiriamo la “meravigliosa simbiosi di queste sfere sensorie.” Nella pittura gustiamo il colore, ma questo non avviene in modo fisico perché non lecchiamo i quadri, ma accade che sentiamo un gusto interiore che è molto simile a quello che sente la lingua che assapora.

Nella pittura si riattiva il senso di degustazione che è dietro la lingua, poiché avviene un processo immaginativo sottile che appartiene al gusto, ma che collabora insieme alla vista. Questa interazione di percezioni sensoriali attiva il sottile processo interiore che ci nutre e ci sazia come il mangiare fisico, infatti sperimentiamo dei processi fisiologici e sensoriali in modo simultaneo. La pittura fa gustare il colore con il contenuto animico che è insito nella sfumatura cromatica, infatti il pittore “fiuta le sfumature di colore, non certo con il naso, ma con qualcosa di animico, di profondo, che avviene nell’organismo col processo dell’odorato.” Secondo Steiner, la pittura è l’esempio migliore per illustrare come avvenga la fusione di forze interne ed esterne in cui i sensi diventano vitali, infatti nella pittura la percezione visiva esteriore si fonde con l'appagamento della nutrizione interiore.

La scienza dello spirito dovrà elevare l’uomo verso una visione spirituale del mondo se non vogliamo che l’umanità cada in rovina, però anche lo spirito dovrà smetterla di disprezzare il piano fisico e dovrà saperlo apprezzare maggiormente. Per poter comprendere che lo spirito costituisce il substrato del mondo materiale, anche il materialismo dovrà rivedere la sua concezione e dovrà rinunciare alla sua incapacità di saper concepire lo spirito credendo che il corpo è la condensazione della materia spirituale su cui si fonda tutta la realtà concreta.

Buona erranza
Sharatan

martedì 19 luglio 2011

Lo sforzo dell’evoluzione


“Così chi sa conosce sempre rettamente la natura dell’uomo,
e chi non sa la considera ora in un modo ora in un altro,
e ognuno la imita alla propria maniera.”

(Johann Wolfgang von Goethe)

Generalmente, dice Gurdjieff, quando non si comprende qualcosa si cerca di trovarle un nome, perché così ci illudiamo di saper comprendere più facilmente. Purtroppo si crede che avere tante parole, perciò saper usare tanti termini, possa aiutare nella comprensione: si crede che avere l’abbondanza di nomi e di concetti mentali faccia padroneggiare la realtà. Il fatto di avere tante definizioni e tante concezioni ci fa illudere di avere la saggezza, se non giungesse la vita pratica con delle situazioni che portano alla luce tutta l’ignoranza effettiva.

Persino parlando di cose comuni pensiamo di poter comunicare un senso ma, ognuno attribuisce alle parole un peso e un significato speciale che l’altro neppure sospetta possa esserci, persino parlando “dell’uomo” che sembrerebbe un argomento tanto banale e scontato da non destare equivoci di sorta. Però, anche questo termine può essere inteso in molti modi vedendolo come genere, come concetto filosofico, come soggetto religioso, come elemento zoologico, come essere morale, etc. L’incomprensione umana è enorme se non usiamo una terminologia esatta e un linguaggio preciso che sia inequivocabile per tutti: questo è il motivo per cui i sistemi dell’antica conoscenza usavano un linguaggio che permetteva di “precisare immediatamente” quello che veniva detto.

Il linguaggio esatto ha una sua struttura che si basa sul principio di relatività, poiché essa permette al linguaggio di poter determinare con precisione, poiché “il linguaggio ordinario” difetta di relatività. La proprietà fondamentale di questo linguaggio esatto è che tutte le idee si concentrano intorno ad una idea unica e tutte le cose possono essere viste e prospettate nella loro relazione reciproca, affinché divengano più chiare: l’idea comune è quella inerente il concetto di evoluzione. Dobbiamo sapere che nulla ha una evoluzione che sia meccanica, perciò non vi è nulla che possa evolversi e che possa salire e nulla che possa degenerarsi, perciò discendere in un modo automatico, poiché solo la distruzione e la degenerazione sono meccaniche: ogni evoluzione avviene in modo volontario.

Un linguaggio preciso permette una comprensione che si basa sulla “conoscenza del rapporto dell’oggetto che si esamina con la sua evoluzione possibile e sulla conoscenza del posto che l’oggetto occupa sulla sua scala evolutiva” poiché molte delle nostre idee sugli oggetti comuni posseggono, in realtà, una divisione relativa agli stadi della loro evoluzione. Dicendo “uomo” dovremmo usare sette parole diverse, poiché esistono sette tipi di uomini, infatti abbiamo l’uomo 1, l’uomo 2, l’uomo 3, l’uomo 4, l’uomo 5, l’uomo 6 e l’uomo 7. Solo con la conoscenza di questi livelli possiamo parlare di uomo sapendo di intenderci in modo esatto, perciò solo usando queste sette idee sapremo di comprenderci immediatamente quando parliamo dell’uomo.

Nell’uomo 7 vediamo lo sviluppo completo, poiché egli possiede tutto ciò che l’uomo può avere, cioè la volontà, la coscienza e un Io permanente e immutabile, perciò egli ha la sua individualità e può avere anche l’immortalità e una serie di proprietà che gli potremmo attribuire, perché solo fino a un certo punto possiamo immaginare le tappe graduali che ci consentono di pervenire a questo livello evolutivo. L’uomo di tipo 6 lo segue molto da vicino, poiché differisce solo in quanto alcune delle sue proprietà sono meno permanenti, mentre l’uomo 5 resta ancora poco accessibile, poiché è l’uomo che ha raggiunto la sua unità: il tipo 4 dobbiamo vederlo come uno stadio intermedio.

Gli uomini 1, 2 e 3 sono l’umanità meccanica che è ferma al punto in cui è nata e in cui si è formata con l’educazione. Vedendo in dettaglio queste categorie vediamo che l’uomo 1 ha il centro di gravità della vita psichica nel centro motore, il tipo 2 è nel medesimo livello di sviluppo, ma si differenzia avendo il centro di gravità nel centro emozionale, perciò la vita è basata sulle emozioni essendo l’uomo del sentimento. L’uomo di tipo 3 è ancora al medesimo livello evolutivo, però ha il centro di gravità collocato nel centro intellettuale, perciò le sue funzioni intellettive sottomettono le funzioni istintive ed emotive: questo uomo ragiona e possiede una teoria mentale su tutto perché della vita conosce solo le considerazioni mentali. Comunque, dice Gurdjieff, andrebbe specificato che noi tutti nasciamo 1, 2 o 3 poiché l’uomo nasce come tale e lo stadio 4 è il frutto degli sforzi per acquisire quel carattere definito che si acquisisce solo alla fine di un duro lavoro su se stessi.

Nessun uomo 4 può essere così in modo spontaneo, poiché l’educazione, la cultura e le influenze esterne rendono impossibile che questa evoluzione avvenga come fenomeno naturale e spontaneo. Questo livello è superiore ai tipi 1, 2 e 3, poiché il tipo 4 ha il “centro di gravità permanente” che è costruito sulle sue idee, sulle sue convinzioni e sull’apprezzamento per il suo lavoro; tutti i suoi centri psichici sono ben equilibrati, perciò nessun centro ha il predominio sugli altri, come nelle tre tipologie primarie: questo è un uomo che sa chi è e che conosce dove vuole andare. Nell’uomo 5 c’è già una cristallizzazione perciò egli non cambia continuamente come i tipi 1, 2 e 3, seppure possa avvenire che si pervenga al 5 in seguito a un lavoro buono oppure cattivo, perciò l’uomo 5 può essere il risultato di un lavoro sbagliato come di un lavoro esatto.

Si arriva al 5 dopo essere stati al 4, però qualcuno nasce già 5 senza giungere dal tipo 4 precedente, perciò dopo si trova nel blocco evolutivo verso il livello superiore del tipo 6 e 7, perciò per tornare ad evolversi egli deve “rifondere completamente la sua essenza, già cristallizzata.” Il tipo 5 che si è evoluto in modo sbagliato deve poter perdere completamente se stesso per riavviare la sua evoluzione e la nuova fusione avviene a prezzo di terribili sofferenze, anche se questo caso è fortunatamente molto raro. La divisione dell’uomo in sette categorie spiega molte cose che non potremmo comprendere altrimenti ed è la prima applicazione del concetto di relatività allo studio dell’evoluzione umana.

Delle cose identiche possono diventare delle cose molto differenti, se vengono riferite a delle categorie differenti di uomini, infatti secondo la medesima concezione, tutte le manifestazioni interiori ed esteriori degli uomini, perciò tutto ciò che l’uomo può manifestare si può similmente suddividere in sette categorie. Se pensiamo al sapere, allora vediamo l’ascesa in sette livelli che sono riferibili a quei modelli umani, perciò valutiamo il sapere dell’uomo 1 come quello basato sull’imitazione e sugli istinti, poiché egli possiede delle concezioni che impara e che ripete a memoria come una scimmia o un pappagallo. Il sapere del tipo 2 è il sapere collegato solo a quello che gli piace, perciò egli rifugge dalla conoscenza di ciò che non gradisce e ricerca solo ciò che gli aggrada: quest’uomo è affascinato da tutto ciò che in lui suscita l’orrore, lo spavento e la nausea.

L’uomo 3 ha un sapere fondato sulla comprensione letterale delle cose, perciò ha un pensare soggettivo che è di tipo logico, che è il sapere del topo di biblioteca e degli scolastici, che sono le categorie di uomini che contano le occorrenze letterali delle sacre scritture e poi usano quelle indagini per fare dei sistemi interpretativi della realtà universale. Nel sapere dell’uomo 4 vi è una conoscenza di genere diverso, perché il suo sapere viene attinto direttamente dall’uomo 5 che lo ha ricevuto dall’uomo 6 che, a sua volta, lo ha appreso attingendo direttamente dalla sorgente dell’uomo 7. E’ evidente che l’uomo 4 è in grado di comprendere il sapere dell’uomo 5 solo a seconda delle sue capacità e in relazione alle sue possibilità, perciò in modo relativo. Comunque, facendo il confronto con il sapere dell’uomo 1, 2 e 3 appare chiaro che il suo è un sapere di chi è in cammino verso il sapere di tipo oggettivo perciò il 4 si è distaccato dalla soggettività.

Il sapere dell’uomo 5 è di tipo differente, poiché è totale e indivisibile, perché il 5 non ha un “io” che conosca una cosa di cui gli altri “io” non siano stati informati, perciò lui sa con tutto se stesso, infatti apprende con la totalità del suo essere. Il sapere dell’uomo 6 è al livello del sapere totale a cui l’uomo può accedere, ma questo sapere non è ancora sufficientemente assicurato, in quanto può essere ancora perduto. Solo il sapere dell’uomo 7 è del tutto suo, poiché esso è totale e integrale: questo è il pieno sapere oggettivo e pratico del Tutto.

Se poi valutiamo anche il livello dell’essere dell’uomo avviene la medesima cosa con 7 livelli, perciò con le medesime 7 gradazioni di essere dell’uomo. L’essere del tipo 1 è quello di chi vive solo di istinti e di sensazioni, il 2 ha un essere che vive di sentimenti e di emozioni, il 3 ha l’essere fatto solo di ragione: questo evidentemente non potrebbe essere definito “essere” e infatti il sapere del tipo 4, del 5 e oltre non può venire mai compreso dagli uomini che non posseggono l’essere, poiché non hanno la possibilità di comprendere ciò che non conoscono e che non sanno possa esistere. Adesso si comprende perché il sapere che viene erogato, anche quando proviene dal tipo 4 e oltre, non viene compreso, in quanto ognuno possiede la comprensione che gli appartiene.

Non potrebbe essere diverso, poiché non si può comprendere se non quello che appartiene al nostro livello, perciò ognuno possiede solo ciò che è suo e ognuno possiede ciò che è nelle sue capacità di comprensione, infatti possiamo comprendere solo ciò che è al nostro livello. La divisione in 7 categorie vale per tutto ciò che si riferisce all’uomo, perciò pensiamolo per l’arte, la religione, per la scienza, per la filosofia e per tutto ciò che è prodotto dall’essere umano, perché tutto ciò che si riferisce all’uomo è sempre in relazione a quello che è l’uomo, perciò tutto è sempre relativo al livello di sviluppo dell’organismo esaminato. Parlando di linguaggio, dice Gurdjieff, questo è un esempio concreto della necessità dell’esattezza, perché se il linguaggio è inesatto e ordinario si possono diffondere tante parole, ma si resta privi di ogni comprensione, perciò aumentiamo sempre più l’incomunicabilità tra gli uomini.

Buona erranza
Sharatan



sabato 16 luglio 2011

In tutti i sensi


“Immagina l’universo stupendo e giusto e perfetto.
Poi sii certo di una cosa:
l’Essere lo ha immaginato di gran lunga migliore
di quanto tu possa aver fatto.”

(Richard Bach - Illusioni)

Parlando del rapporto che esiste tra l’uomo e l’universo, scrive Steiner, dicono che l’uomo è un piccolo mondo inserito nel grande mondo, perciò è un microcosmo nel macrocosmo. L’uomo entra in relazione con il mondo per mezzo dei suoi sensi, infatti i sensi umani si sono evoluti e modificati rispetto alle caratteristiche che avevano nel periodo lunare, però la nostra sensorialità sembra morta se viene paragonata a quella antica quando i nostri sensi erano “molto più vivi e vitali.”

Crediamo di avere solo 5 sensi fisici, invece dei 12 che abbiamo, in quanto abbiamo 7 sensi che vengono trascurati nello sviluppo umano, infatti crediamo solo nei sensi anatomici della vista, udito, gusto, olfatto e tatto. Se i sensi devono collegare l'uomo al mondo, perciò se devono offrire una percezione sia interiore che esteriore appare evidente come il possesso questi 5 sensi fisici ci renda incompleti e imperfetti. Poiché nell’uomo vi è la potenzialità di sviluppare tutte le facoltà siamo stati strutturati con molti tipi di organi percettivi che ci permettono di sviluppare armoniosamente tutte le componenti, perciò siamo stati dotati di 3 gruppi di 4 sensi con cui percepiamo e con cui possiamo sviluppare il corpo, l'anima e lo spirito.

Siamo dotati di 4 sensi per lo sviluppo del corpo e connessi alla volontà, infatti il tatto, la vita, il movimento e l'equilibrio servono per percepire la nostra interiorità. Abbiamo 4 sensi per sviluppare e accrescere l'anima, in quanto l'olfatto, il gusto, la vista e il calore sono collegati con il sentimento e aiutano nella percezione del mondo esterno. Lo sviluppo dello spirito avviene con il suono, il linguaggio, il pensiero e l’io, infatti sono connessi con il pensiero e la capacità di saper percepire l’interiorità degli altri. I 4 sensi che sviluppano la triplice struttura umana posseggono delle qualità che formano una scala con 3 gradazioni di livelli dotati di sempre crescente raffinatezza percettiva.

Per ogni sensorialità usiamo un campo percettivo diverso, infatti 12 campi sensoriali dividono il corpo e ogni senso agisce autonomamente nel suo distretto, perciò potremmo immaginarci come una cipolla sezionata, in cui i cerchi sono inseriti uno nell’altro. Questi campi sono “uniformemente attraversati dalla corrente della vita” poiché la vita fluisce nell’intera sensorialità umana, sebbene non ci sia una vita intesa in modo identico per tutti, infatti la vita pulsando attraverso i sensi umani subisce una differenziazione ulteriore.

I sensi sono stati sviluppati per la percezione interiore, perciò tutto ciò che percepiamo entra nei nostri confini. Così funziona il tatto e il senso della vita, inoltre percepiamo l’equilibrio del corpo come un movimento interiore ed esteriore, in quanto il corpo sa percepire sia lo spazio interno che quello esterno.

E’ con l’olfatto che andiamo a penetrare il mondo, benché l’olfatto faccia uscire solo in modo parziale, infatti annusiamo senza percepire tutti odori come fanno gli animali. Una connessione più evidente è osservabile nel gusto che porta i sapori all’interno, infatti il gusto è più interno dell’olfatto e può stringere un nesso più profondo con il mondo. Nella vista catturiamo per vedere, perciò penetriamo in un senso ancora più interiore, sebbene il calore ci offra la connessione che filtra l'interno e l'esterno in modo simultaneo.

Il suono rende fedelmente la percezione e “la struttura interna dell’oggetto” e, se il suono possiede un significato comunica ogni realtà come avviene nel linguaggio che sa penetrare il senso del mondo. La nostra percezione diventa ancora più intima se il suono è rivestito del significato e del simbolismo della parola, cioè del Logos. Le parole che esprimono dei concetti penetrano nell’oggetto, perché fanno assimilare ogni elemento attivando una percezione in cui avviene la fusione tra l'interiore e l'esteriore, anche se c'è differenza tra sentire delle parole e saper comprendere il vero senso del pensiero, perciò conoscere il vero significato del linguaggio.

Spesso sentiamo le parole senza collegarle al pensatore, perciò sono udite in modo dissociato, mentre sarebbe necessario sapersi inserire “nell’essere che forma la parola in vivente relazione con esso per entrare, tramite la parola, nell’essere pensante” ma questa capacità richiede una percezione maggiore, poiché richiede il “senso del pensiero.” Il nesso più elevato e più profondo diventa quello che rende possibile avere nei riguardi dell'altro un sentimento tanto intimo da farci sentire le sue sensazioni come se fossero le nostre, ma questa percezione sorge solo con un “vivo pensare” che sa concepire l’io dell’altro sapendo usare il nostro io, poiché in noi fluisce la medesima entità.

La percezione essenziale discrimina tra l’io che percepisce e l’io dell’altro, poiché così costruisce un suo “io personale” che sa pensare su sé stesso. Ma questa sensibilità non può essere una percezione alterna e dissociata, poiché la differenza tra le strutture percettive è sempre inerente alla loro struttura, perciò è inerente alle capacità di cui l'organismo è stato dotato creandone la struttura all'origine. L’origine della percezione è stata infusa con il “germe della possibilità” di percepire e di saper comprendere “l'altro” che venne sviluppata assieme al “germe dei sensi” nei tempi antecedenti allo sviluppo lunare.

L’io personale sorge solo con l’evoluzione che facciamo sulla terra, ma l’io interiore che ci anima è una cosa molto più antica rispetto all’io degli uomini, perciò dicendo “io” dobbiamo pensare alla capacità umana di saper percepire l'altro come fosse una alterità che ci è affine. Secondo la scienza percepiamo gli altri osservandoli nella gestualità e nella corporeità, perciò valutandone l’aspetto esteriore, ma “in verità come percepiamo immediatamente un colore, così percepiamo l’io dell’altro che ci sta di fronte.” Gli uomini non si percepiscono usando i parametri dell’osservazione esteriore, poiché il dato di fatto è che “esiste un senso profondo che ci permette di intendere l’altro io,” perciò la capacità percettiva da saper attivare è un profondo “nesso sensorio con l’io dell’altro” e questa è una enorme capacità evolutiva

Come il colore agisce sulla vista tramite l’occhio, così l’io altrui va filtrato con il nostro io, infatti anche l’io costituisce un organo sensoriale che l'uomo deve imparare a usare. La differenza tra gli uomini è solo nella diversa percezione della vita che crea delle differenti individualità, perciò è lo stile personale che “specifica” gli uomini. Il senso della vita circola nei sensi usando dei processi che facilitano la vita, infatti senza la respirazione, il calore e la nutrizione non sarebbe possibile alcuna vita biologica.

Il mondo diventa fruibile solo se sappiamo usare un processo di trasformazione interiore degli elementi che ci fornisce la vita, infatti dobbiamo saper interiorizzare tutto ciò che offre l’esterno. La trasformazione si attua in 4 fasi, infatti nella prima vi è una “secrezione interna” che distribuisce l’elemento nutritivo nel corpo, infatti la sostanza che riceviamo dal mondo viene elaborata dagli organi che provvedono alla nutrizione, così che il alimento nutritivo possa essere secreto nell'organismo.

Tutto ciò che è introdotto nel corpo entra a far parte del corpo stesso, perciò va conservato e mantenuto interiormente, che è la seconda fase della trasformazione, in quanto la vita deve saper aumentare e crescere per restare nel tempo. La vita della terra è inserita nel grande cerchio della “riproduzione del tutto” e tutto quello che vive va saputo accrescere, conservare e riprodurre, poiché la riproduzione è un processo elevato che permette la continuazione degli organismi creando degli organismi simili.

Secondo Steiner esistono 7 processi vitali che permettono alla vita di fluire nei 12 sensi fisici, perciò la vita si perpetua tramite la respirazione, il riscaldamento, la nutrizione, la secrezione, la conservazione, la crescita e la riproduzione. In questa costituzione originaria è la causa della differenziazione degli uomini, perciò la connessione tra i 7 processi vitali e i 12 sensi umani non andrebbe mai dimenticata.

La conoscenza del microcosmo si ottiene conoscendo come i 12 sensi umani riescono a far fluire i 7 processi della vita, poiché ogni uomo ha il suo modo di vivere e ogni fluire è sempre settuplice. La conoscenza della relazione tra l’universo e l'uomo, cioè il nesso tra macrocosmo e microcosmo viene acquisita osservando il cerchio dei 12 segni zodiacali che è percorso dai 7 pianeti, poiché così entriamo in rapporto con le combinazioni celesti e con la conoscenza di tutti i tipi di individualità che possono manifestarsi nell'uomo.

Buona erranza
Sharatan


martedì 12 luglio 2011

Il padre di Gurdjieff


"Sforzati sempre e in tutto di ottenere allo stesso tempo,
l’utile per gli altri e il dilettevole per te."
(Hodja Nassr Eddin)

Gurdjieff racconta che, nel corso dei suoi viaggi in Asia e in Africa, spesso veniva creduto “un mago e un esperto in questioni dell’aldilà” perciò, tutti coloro che lo conoscevano con quella fama si ritenevano in diritto di disturbarlo con le loro curiosità sull’aldilà e sui fatti della sua vita personale e sulle sue idee. Anche se era stanco si ritrovava a rispondere perché, altrimenti, si sarebbero offesi per la sua scortesia e lo avrebbero diffamato mettendo in giro delle maldicenze sul suo conto.

Perciò si era deciso a scrivere sia delle sue idee impostate come “materiale preparatorio costruttivo” nel racconto della sua autobiografia ma, per comodità, nel raccontare risponderà alle domande più ricorrenti che gli sono state rivolte dalla gente. Siccome la prima domanda è sempre quella che riguardava gli incontri con delle persone straordinarie aveva deciso di articolare il racconto in modo da poter rispondere a queste domande, ma soprattutto voleva rispondere alla prima domanda riguardo agli uomini straordinari.

In questo modo aveva la possibilità di poter rispondere alle curiosità future facendo il rinvio alla lettura del capitolo relativo al quesito, sebbene andrebbe specificato ciò che si intende per “uomo straordinario,” poiché ognuno ha le sue idee soggettive. Secondo Gurdjieff “può venire chiamato straordinario soltanto l’uomo che si distingua da quelli che lo circondano per le risorse del suo spirito e che sappia contenere le manifestazioni provenienti dalla sua natura, pur mostrandosi giusto e indulgente verso le debolezze altrui. Siccome il primo uomo di questo genere che mi fu dato da conoscere e la cui influenza lasciò una traccia sulla mia vita fu mio padre, è da lui che comincerò…”

Il padre era molto famoso come asowt, cioè poeta-bardo ed era conosciuto con il nome di Adas, nell’ampia zona tra la Transcaucasia e l’Asia Minore. Nella zona gli asowt erano molto rispettati e gli uomini che si consacravano a questa carriera potevano anche essere illetterati, ma dovevano avere una memoria e una vivacità di spirito così straordinarie da ritenersi prodigiose. Essi dovevano ricordare innumerevoli racconti e poemi, e cantare a memoria lunghe melodie, ma erano anche in grado di cantare abbandonandosi alle ispirazioni e improvvisando su temi determinati.

Non era difficile che avvenissero delle dispute accese che già nella sua infanzia erano diventate assai rare, ma aveva potuto sentire quei bardi ed era rimasto colpito dalle loro prodigiose memorie che gli permettevano di cambiare velocemente i temi e le cadenze per ritrovare la rima poetica al momento giusto. Molti venivano dalla Persia, dalla Turchia, dal Caucaso e perfino dal Turkestan e si esibivano davanti a un auditorio considerevole cimentandosi nelle dispute musicali in un torneo poetico organizzato seguendo una sua ritualità.

Nella gara veniva sorteggiato il cantore che poneva all’avversario un quesito religioso o filosofico, oppure lo invitava a spiegare un mito, una leggenda, oppure a spiegare una credenza molto diffusa: l’altro rispondeva facendo il componimento melodico nella lingua turco-tartara, che era la lingua comune diffusa in quei luoghi che avevano tutti dei diversi dialetti locali. La competizione poteva durare dei giorni, delle settimane e anche dei mesi, e finiva con la vincita di premi come bestiame, tappeti e altri oggetti offerti ai partecipanti da coloro che assistevano.

Nell’infanzia ebbe modo di partecipare a tre tornei di cantastorie, perché il padre veniva invitato a quelle serate in cui erano interpretate le leggende che suo padre raccontava anche in famiglia, infatti molte notti venivano trascorse con le storie dei grandi popoli dell’antichità e degli uomini straordinari del passato, con racconti su Dio, sulla natura e su ogni meraviglia, ma tutte finivano con un racconto tratto dalle Mille e una notte. Fra le storie sentite dal padre ce n’è una che restò nel tempo e che fu il “fattore spiritualizzante” che gli dischiuse “la comprensione dell’incomprensibile” e riguarda la “Leggenda del diluvio prima del diluvio” che fu al centro della discussione con un suo amico.

L’amico era l’arciprete della cattedrale militare, padre Bors, che era venuto per ascoltare il Canto XI della saga di Gilgamesh in cui si narra come la terra di Suruppak fu distrutta dalle acque: nell’occasione suo padre disse che la storia era precedente ai babilonesi, perché risaliva ai sumeri, perciò aveva ispirato il mito del diluvio biblico e dell’arca di Noè. Alla discussione era presente anche lo zio di Gurdjieff, e ben presto la disputa divenne così accesa da far dimenticare al padre di mandarlo a letto, poiché i due contendenti erano troppo impegnati: la controversia durò tutta la notte e produsse delle profonde impressioni per i contenuti che vennero discussi, infatti furono basilari nel suo pensiero futuro.

Dopo molti anni, si lesse sui giornali, che erano state ritrovate delle tavolette provenienti dagli archivi del palazzo di Babilonia, ed erano testi vecchi di 4.000 anni di cui si davano delle traduzioni, tra cui il famoso Canto XI della saga di Gilgamesh di cui aveva detto suo padre. Questa notizia lo colpì con una profonda “emozione interiore” unita al rimpianto di non avere prestato una maggiore attenzione alle antiche leggende sentite raccontare nell’infanzia. Dopo il fatto si ridestò la memoria delle storie di suo padre, ed esse gli produssero quei risultati che erano cristallizzati nel suo essere e che emersero come il “fattore spiritualizzante” che gli infuse la comprensione dell’incomprensibile.

Nelle leggende si narra dei tempi antichi di 70 generazioni prima dell’ultimo diluvio - e ogni generazione è di 100 anni – in cui le terre erano al posto del mare e il mare era nei luoghi in cui sono le terre, in cui visse una grande civiltà il cui centro era nell’isola di Haninn considerata il centro della terra, e corrispondente al luogo in cui è la Grecia. I soli sopravvissuti al diluvio furono i frati “imastown” cioè i membri di una confraternita che si erano riuniti in una casta che era diffusa su tutta la terra, ma il cui centro restava sull’isola: essi furono degli esperti astrologi che studiavano il corso delle stelle, perciò si erano diffusi nel mondo.

Per restare in contatto usavano un mezzo telepatico perciò usavano delle pizie che facevano da apparecchio ricevente, infatti entravano in trance per ricevere i messaggi degli altri imastown e li trascrivevano. A seconda del luogo da cui provenivano i messaggi venivano scritti nel verso che era convenuto, perciò le comunicazioni provenienti dall’est rispetto l’isola venivano trascritte dall’alto in basso, quelle del sud da destra a sinistra, quelle dall’occidente, che era Atlantide e i paesi delle Americhe dal basso all’alto, e da sinistra a destra ciò che proveniva dalle regioni europee.

Parlando del padre non si può tacere dell’amico Padre Bors, l’arciprete che fu suo primo precettore e uno dei due uomini che si assunsero l’onere di preparare un ragazzo incosciente alla vita, perciò essi sono le “due facce della divinità del mio Dio interiore” dice Gurdjieff. I due avevano un metodo particolare per disputare che il padre aveva chiamato “kastusilia” traendolo da una parola assira appresa dai miti, e il metodo consisteva in uno che faceva una domanda improvvisa e apparentemente assurda, mentre l’altro doveva dibattere a tono, usando la massima calma e lucidità, perciò fornendo una risposta logica e plausibile.

Ad esempio, una sera Padre Bors entrò nella bottega e chiese a bruciapelo: “Dov’è Dio?” mentre il padre rispose: “Ora Dio è a Sary-Kamys” perciò Padre Bors gli oppose: “E cosa sta facendo?” Il padre rispose che ora Dio stava fabbricando delle scale doppie, sulla cui cima metteva la felicità, perché su quelle scale potessero risalire e discendere tutti gli uomini e tutte le nazioni della terra. Domande così erano comuni tra quei due uomini straordinari sebbene, al tempo gli sembrassero tanto strane ma, quando si impegnò a risolvere quesiti simili, allora quel ricordo diventò molto prezioso.

Suo padre aveva la sua chiara concezione degli scopi della vita, infatti gliela ripeteva di continuo dicendo che l’uomo deve acquisire la propria libertà interiore e deve avere una buona vecchiaia: questo è l’imperativo primario ma richiede l’osservazione di quattro comandamenti, di cui il primo è amare i genitori, il secondo è conservare la propria purezza sessuale, il terzo è saper dimostrare la massima cortesia verso tutti, ma restare interiormente libero senza far conto su nessuno, e la quarta è amare il lavoro in sé e non solo per guadagno. Suo padre lo amava molto essendo anche il suo primogenito tanto che lo sentiva più come un fratello maggiore per tutte le conversazioni e le confidenze.

La famiglia paterna era di origine greca, ma i suoi antenati erano fuggiti da Bisanzio dopo la conquista turca, prima si erano rifugiati in Turchia e poi sulle rive orientali del Mar Nero, infine andarono in Georgia dove c’erano ottimi pascoli per il bestiame che allevavano. Suo padre aveva avuto l’eredità e si era trasferito in Armenia dove il suo cospicuo patrimonio lo rendeva uno dei più ricchi allevatori, finché prese in affitto i capi di bestiame dei vicini più poveri, come si usava fare nel posto, ma un’epidemia di peste decimò tutte le bestie. Il padre volle risarcire tutti del danno avendone la custodia e la responsabilità, perciò da ricco si ritrovò nella miseria più nera con una famiglia di sei persone con moglie, madre anziana e tre figli, di cui il maggiore era Gurdjieff che aveva 9 anni.

La famiglia prima viveva agiatamente, perciò il padre si diede al commercio di legname con annessa falegnameria, ma la scarsa esperienza lo mise in difficoltà, per cui lo zio li aiutò a trasferirsi a Kars. La famiglia si era intanto ampliata di altre tre sorelle minori, per cui non vivevano nell’oro e Gurdjieff aiutava in bottega per racimolare qualche soldo: ben presto divenne esperto di tutte le riparazioni che gli commissionavano. La vita del padre fu una “cornucopia di disgrazie” ma lui conservava sempre la serenità e il distacco dalle sue sciagure osservandole con quella tranquillità che è solo nei poeti, perciò la famiglia risentì di una calda atmosfera di concordia, di amore e dell’aiuto reciproco.

La capacità innata di saper trarre ispirazione dai minimi particolari della vita rendeva suo padre un continuo esempio, infatti era una fonte di coraggio per “la sua libera spensieratezza” ed emanava una felicità di cui potevano godere tutti i suoi familiari. Le sue idee sull’aldilà erano particolari infatti, quando Gurdjieff era adulto gli chiese di spiegare, senza “filosofeggiare” tanto la questione dell’anima, e suo padre negò di credere alla migrazione dell’anima, però affermò di credere che “qualcosa” si possa costruire durante la vita.

Il padre credeva che l’uomo nascesse con una facoltà grazie alla quale alcune esperienze elaborano “una sostanza definita” da cui si forma lentamente un “qualcosa” che acquisterà una vita indipendente dal corpo fisico, perché il “qualcosa” non si altera con il corpo, ma più tardi, seppure sia costituito dai medesimi elementi che costituiscono il corpo fisico. Il “qualcosa” possiede una materia molto più sottile e una sensibilità molto maggiore di quella corporea, ma reagisce a tutte le azioni che sono subite dal corpo, perciò resta assoggettato alla sua influenza prima e dopo la morte del corpo, finché non giunge una completa disintegrazione.

Pur amandolo teneramente il padre lo educò fin dall’infanzia con “persecuzioni sistematiche” per infondergli quegli impulsi che lo avrebbero aiutato nella vita adulta. Uno dei metodi educativi preferiti era quello di addestrarlo con le misure necessarie affinché invece degli impulsi di avversione, disgusto, ripugnanza, vigliaccheria e pusillanimità e simili, nell’animo del figlio fossero sostituiti dal sentimento dell’indifferenza nei riguardi di tutto ciò che desta quei sentimenti. A questo scopo gli nascondeva nel letto una rana, un lombrico, un topo oppure ciò che poteva destare quegli impulsi, oppure lo costringeva a giocare con serpenti non velenosi.

Tra le persecuzioni ve ne era una che destava l’apprensione delle persone di casa, perché lo faceva uscire all’alba e lo spruzzava con l’acqua gelata della fonte, poi lo faceva correre nudo, e malgrado lo amasse molto lo puniva con asprezza se lui si ribellava. Quegli addestramenti furono preziosi nel corso della sua vita futura così piena di viaggi, di avventure e di vicissitudini in cui l’addestramento ad ogni asprezza potrebbe essere testimoniato da coloro che lo videro agire: senza quei momenti non avrebbe mai potuto superare tutto, perciò di questo deve rendere grazie a suo padre.

Nel 1916 suo padre aveva 82 anni, ed era molto anziano, ma era ancor pieno di forza e di vigore e appena qualche filo bianco ornava solo la sua barba. Morì l’anno dopo, ma non per morte naturale, perché fu ucciso quando cercò di proteggere i suoi averi dal saccheggio della casa di famiglia, infatti l’attacco dei turchi contro Aleksandropol fece fuggire tutta la famiglia tranne il padre che non volle abbandonare ciò che aveva. Nella dispersione delle carte di casa vennero distrutti tutti i manoscritti di suo padre, tutti i testi dei canti e delle leggende che erano stati trascritti sotto la sua dettatura, perché furono dispersi dai saccheggi.

La personalità del padre era caratterizzata dall’uso di adoperare sentenze ad ogni occasione, perché sembrava trovare sempre un modo di dire che era il meglio al momento migliore. Questi aforismi sembravano funzionare solo usati da lui, perché se altri li usavano apparivano sempre come sciocchezze e delle stupidità dette a sproposito. Ma, per completare il ritratto del padre va illustrata una sua tendenza naturale che colpiva tanto chi non lo conosceva, infatti molti credevano fosse un uomo privo di senso pratico e mancante d’intelligenza negli affari. Eppure, non aveva alcun tipo di carenza di questo tipo, bensì nella sua più intima natura provava una “repulsione istintiva per l’idea di trarre profitto personale dall’ingenuità e dalla sfortuna degli altri.”

Suo padre era un uomo integro e onesto al massimo grado, perciò non avrebbe mai creato la sua fortuna sulle sventure del suo prossimo, perciò tutti non esitavano a trarre profitto dalla sua specchiata onestà per imbrogliarlo sistematicamente, “cercando inconsciamente di deprezzare così il valore di tale caratteristica, sulla quale poggia l’insieme dei comandamenti del Nostro Comune Padre.” Sebbene fosse vessato dalla sorte e fosse consapevole di essere imbrogliato suo padre non si scoraggiava mai, e non si identificava con nulla, si manteneva sempre libero interiormente perciò restò sempre fedele a se stesso: l’unico cosa che gli dispiaceva era di essere disturbato quando sedeva a guardare le stelle.

Dice che l’unica cosa che un figlio può affermare, fin dal più profondo del cuore è il desiderio di poter diventare come suo padre da anziano. Per varie vicissitudini non gli è stato mai possibile vedere la tomba del padre, e pare impossibile che questo possa avvenire nel futuro, perciò non gli resta che ordinare ai suoi figli, carnali e spirituali, di prendersi l’impegno di ritrovare la sua tomba solitaria e abbandonata all’incuria e di erigere una stele che rechi questa iscrizione:

IO SONO TE,
TU SEI ME,
EGLI E’ NOSTRO,
TUTTI E DUE SIAMO SUOI.
CHE TUTTO SIA
PER IL NOSTRO PROSSIMO.


Buona erranza
Sharatan


lunedì 11 luglio 2011

Schiavi dei pensieri


Il male si rivolge sempre al tuo ego, s’aggrappa alle tue immagini feticcio. Attaccamento, aggressione, illusione, ignoranza, arroganza, pigrizia, orgoglio, invidia, paura, senso di colpa, etc., se tu non avessi più ego, il male non avrebbe presa su di te, e non potrebbe espandersi.

I pensieri dell’ego alimentano le immagini di una cosa qualsiasi o di come le cose dovrebbero essere. Formano la radice di tutte le azioni cattive. Pensieri presi sul serio e non riconosciuti come illusioni di un sogno, come gli abituali tentativi dell’ego. L’ego lancia i pensieri come un cane. Affascina, prende i pensieri sul serio. Eccitata dai pensieri, è spinta a rincorrere altri pensieri, a parlare, ad agire di conseguenza.

Se ti incateni a pensieri che comportano parole e azioni, l’ego ti fa credere che sta confermando la tua esistenza, mentre non fa altro che allontanarti sempre di più dalla presenza autentica, che è la maniera suprema di esistere. A forza di parlare a noi stessi non sentiamo più ciò che il mondo ci dice, né il cuore.

Ascolta! Chi parla?
Ascolta! Chi risponde?
L’ego o il cuore?

Una nuova definizione dell’ego potrebbe essere: la menzogna o la duplicità. Una sorta di meccanismo riflesso comincia a creare impercettibilmente una seconda realtà, quella delle apparenze, quella di ciò che dovrebbe essere, quella di ciò che non sono io. Da far credere a lasciar credere, da lasciar credere a credere, da credere a fare, da fare a far fare …

Tutte maniere di fuggire dalla realtà e di non sapere più ciò che si sente. Il grande mentitore attira tutto attorno a sé nel suo universo doppio, cedevole, manipolatore, ingannatore. Per il grande bugiardo la realtà è una materia da lavorare piuttosto che un dato da osservare.

L’ego è per l’essere autentico ciò che il sistema dei media è per la società reale. Vuole far credere che rappresenta il tutto mentre non è altro che un parassita della presenza autentica. Come i media, agita la gloria e la vergogna, la speranza e la paura e ci vuole far vivere in un magnifico palazzo di immagini dove l’esistenza è miserabile.

Non siamo sulla terra per conformarci a un’immagine - quella che abbiamo di noi stessi o quella che gli altri hanno di noi - ma per dare e ricevere amore. Non utilizziamo dunque il mondo - gli “sguardi esterni” - come uno specchio che ci dimostri la nostra esistenza.

Sei come una persona che vorrebbe costantemente imitare l’immagine che ci rimanda il suo specchio. L’ego ti incatena a una “identità.” Ma cos’è l’identità? Un’immagine che avvelena la tua vita sdoppiandola. Che distanza tra il disordine e la qualità mutevole del tuo flusso d’esperienza e l’immagine ideale che ti fai di te!

L’ego è un segno che non si nutre che di segni, un parassita che obbliga la vita a lavorare solo per produrre segni di piacere, di felicità, di dominio, di potere, di riconoscenza, di guadagno, etc. Volevo dimostrare (a chi?) di essere coraggioso. Mi sono messo in situazioni molto difficili in cui ero solo contro tutti, al fine di dimostrare di essere coraggioso. Perché? Chi se ne importa?

Ho avuto una vita difficile e piena di conflitti. Ho fabbricato questa vita nella quale potevo mostrare di essere coraggioso. Volevo dimostrare (a chi?) di essere buono. Ho creato situazioni nelle quali “salvavo” gli altri e nelle quali era evidente che ero buono, gentile. In realtà ho lasciato che approfittassero gravemente di me.

Tutti gli eventi della mia vita provengono da questo stupido dibattito che ho con me stesso. Perché ho dato tanta importanza all’idea che mi facevo di me? Non interessa a nessuno e avrei potuto condurre la mia vita in tutt’altro modo. Invece di esistere, semplicemente, naturalmente, gioiosamente. Ho recitato sul palcoscenico del mondo il dramma del mio ego e ho sprecato la mia vita.

Tutta la sofferenza inutile viene dalle situazioni che le persone fabbricano perché sono prese nell’attività assurda che lo scenario del loro ego detta loro. Per liberarti dalla schiavitù dell’ego, vivi dunque sul piano del flusso d’esperienza reale, istante dopo istante, e smetti di perderti nelle tue immagini di te.

L’attenzione per l’istante, la vigilanza che impedisce alla mente di smarrirsi nei pensieri, la piena coscienza del corpo vivente, una visione di ampio respiro sulle situazioni, la considerazione sincera e aperta dell’esistenza reale degli altri: tanti modi di ridurre l’impero dell’ego. Lascia che le sensazioni si schiudano da sé invece di raddoppiarle, di offuscarle e di ricoprirle di raffiche di pensieri, La duplicità comincia lì. Vivi per raccontarlo, per raccontartelo o piuttosto vivi, molto semplicemente, qui e ora?

(Pierre Lévy)

giovedì 7 luglio 2011

La memoria dell’anima


"Le cose ovvie non sono per forza vere,
e molte cose vere non sono affatto ovvie."

(Joseph LeDoux)

Steiner scrive che l’anima, durante l’esperienza terrestre, deve conquistare la percezione delle due forze che aiutano a sviluppare le nostre qualità evolutive, perciò dobbiamo ritrovare la memoria e coltivare delle abitudini. L‘anima può conservare le sue esperienze terrestri per merito della memoria che è necessaria per accrescere la coscienza dell'io, infatti nasciamo immemori delle esperienze vissute prima di nascere, perciò non sappiamo chi siamo stati: le memorie anteriori a questa vita ci sono precluse e vengono ricoperte dall’oblio.

Quando l’anima torna sulla terra impara la relazione con la materia accumulando il ricordo di esperienze che restino sempre presenti come monito di ciò che è stato, ed esso è conservato nella memoria che è frutto della nostra evoluzione spirituale. Nel tempo lunare, precedente a questo stadio evolutivo, la memoria non era affatto necessaria, ma ora sulla terra, si deve stare in contatto con il regno minerale per cristallizzare l’individualità. Solo sulla terra si acquisisce il diritto di sperimentare per decidere ciò che deve restare nella nostra essenza animica.

Le nostre esperienze filtrano attraverso l‘anima poi vanno a scriversi sull’etere cosmico ma, finché viviamo sulla terra, siamo fusi con il corpo eterico che avvolge il corpo fisico, perciò siamo circondati dalla sottile sostanze eterica che si forma trasportando i colori dei pensieri, delle rappresentazioni mentali, delle emozioni e dei sentimenti che sono stati fusi dal fuoco intenso della nostra volontà personale. L'involucro eterico assume i nostri colori e la luminosità che proviene dalle qualità della nostra essenza personale: così l’anima vive, perciò si restringe oppure si allarga, infatti muta e accresce assieme a noi, ma poi si deve restituire questa forza vitale, nell’atto della morte, affinché tutto ritorni nella sostanza eterica universale.

Dopo la morte possiamo conoscere le nostre vite precedenti e ciò che è restato nell'anima, infatti la forza di resistenza del corpo fisico si prova con l’acquisizione di abitudini che aiutano la memoria a ricordare ciò che ci fa evolvere. L’abitudine e la memoria sono collegate, infatti è con la forza delle abitudini acquisite nella vita che formiamo la memoria che possa restare. Per far evolvere l'io personale, dice Steiner, è necessario scegliere le giuste abitudini e rinforzarle continuamente, poiché abbiamo la libertà di scegliere secondo l'orientamento verso ciò che amiamo e che vogliamo conservare in affinità con la nostra intima essenza e con la nostra volontà personale.

Entrare nel corpo implica il distacco dal mondo spirituale in cui eravamo in perfetta armonia con le gerarchie spirituali, perciò subivamo l'accordo totale alla loro volontà. La libertà di scegliere le nostre abitudini ci permette di godere di maggiore autonomia personale, infatti possiamo sceglierle liberamente, perché nella memoria e nell’abitudine vi sono delle metamorfosi di fatti spirituali evolutivi molto antichi. Nella memoria è nascosto il ricordo dell’immaginazione sognante, mentre nell’abitudine è celata la metamorfosi della sottomissione totale alla volontà divina: ma ora abbiamo facoltà di agire come vogliamo.

L’idea che la vita fisica sia irrilevante dimostra che non comprendiamo l’importanza del transito terrestre e il valore della conquista di abitudini personali che possiamo mantenere nella memoria. Se l'anima può conservare il ricordo delle sue preferenze esse diventano le sue conquiste personali perciò sono durevoli. Quando la morte ci imporrà di restituire la sostanza eterica che, alla nascita, abbiamo sottratto dall’etere cosmico, noi avremo diritto di trattenere ciò che abbiamo accumulato con il nostro lavoro, perciò è diventato nostro e può restare nella nostra anima.

Dall’evoluzione della memoria sappiamo che essa originò come una “forza esteriore svolgentesi in relazione con il mondo che passò all’interno,” perciò la memoria fu una forza che entrava nell'uomo. Uno schema evolutivo, dice Steiner, prevede sempre un momento in cui avviene la ricaduta alla fase precedente, prima cha possa esserci la risalita che sblocca la regressione, ma la risalita deve avvenire dimostrando maggiori capacità, per questo l'evoluzione ci espone al conflitto delle due opposte tendenze.

La dualità è prodotta da influssi luciferini e arimanici, infatti il mondo usa i travestimenti per ingannare la percezione. L’influsso luciferino si nasconde nel tratto passionale ed emotivo che ci spinge all’elevazione, mentre l’influsso arimanico che trascina verso la caduta, usa le apparenze per illuderci e renderci schiavi della materia. La bilancia si attiva quando vediamo l’azione delle due forze riconoscendole come insite nella nostra natura, infatti la materia subisce l’influsso della durezza minerale, perciò testa la resistenza del corpo fisico. Noi dobbiamo saper reagire usando la forza del nostro pensiero e imparando a padroneggiare la durezza della vita materiale con la dolcezza delle nostre risorse spirituali.

Sarebbe terribile, dice Steiner, se potessimo scrivere nell’etere senza avere il tempo di rivedere ciò che resta scritto nell'anima, poiché non esisterebbe il karma per rimediare agli errori e tutto avverrebbe senza alcuna “remissione dei peccati.” Negando la saggezza dell’esperienza neghiamo la possibilità della coscienza personale, ma il corpo eterico è riscrivibile e modificabile, perciò questo dimostra che è possibile, nei ripetuti soggiorni terrestri, sviluppare una coscienza che sia strutturata liberamente.

La coscienza nasce solo dall’esistenza terrena e si può sviluppare solo sulla terra, infatti non esiste luogo migliore per agire sull’evoluzione futura. Questa conoscenza non è infusa con l’aria respirata, ma va fondata sul “differente modo di vedere e di pensare” che riguarda la comprensione che il mondo ci nasconde l'azione dello spirito, perciò dobbiamo saper vedere l'influsso dello spirito sapendo oltrepassare il velo e l'inganno della dualità materiale.

Dobbiamo sapere che siamo entrati nel tempo in cui possiamo scrivere sul corpo eterico cosmico e questo può frenare la decadenza umana, infatti l‘uomo può scrivere direttamente il suo destino. Avere libertà implica il rischio di cadere vittima della seduzione tentatrice oppure della falsità dell'apparenza che illude e inganna, perciò saper vedere le tendenze delle forze diventa molto importante.

Per l’uomo è giunto il tempo di assumersi la responsabilità del pensiero che usa per agire sul mondo, infatti un pensiero va ben strutturato, perché esso è potente e può incidere nell’astrale, perciò non possiamo pensare con velocità, perché pensare è una operazione lenta che va protratta per tutto il tempo che è necessario per organizzare in modo compiuto.

Si producono troppi pensieri per avere tanto materiale seppure sarebbe saggio elaborare meno e con maggiore precisione infatti, dice Steiner, troppe falsità nascono dalla menzogna che vive nel mondo, perché il mondo è veloce e superficiale. Ovunque c'è menzogna e verità parziali che aiutano la menzogna a sembrare più credibile, poiché la menzogna nutre altre menzogne. Siamo troppo tolleranti verso la menzogne travestite da verità e, senza nemmeno indagare, le crediamo come vere. In futuro ci ricorderemo che la verità non può temere l'analisi minuziosa e accurata, poiché la verità supera ogni prova a cui viene sottoposta.

La verità frettolosa nasconde la menzogna, infatti l’illusione aiuta la menzogna a sembrare l'opposto, per cui dobbiamo indagare prima di credere. La verità si ricerca anche credendo di averla, in quanto se amiamo la verità vogliamo conoscerla per immergerci completamente in essa, perchè l'amiamo tanto che vorremmo trovare ancora delle piccole sfumature che ce la facciano amare ancora di più.

La lucidità sarà essenziale per il futuro, poiché cambieremo atteggiamento riguardo alla verità e lasceremo le verità degli altri per cercare la verità che ci è affine, perciò troveremo la verità in armonia con la nostra indole e coerente con le nostre inclinazioni morali: e questa verità pacificherà la mente, il cuore e lo spirito.

Prima di scendere nella materia vivevamo con gli esseri superiori, perciò conoscevamo lo spirito, perciò l'uscita dal mondo è nascosta nella “porta dei sensi.” Uscire dai sensi è la via per tornare all'unione con la Divinità che ci ha generato e di cui conserviamo ricordo nel subconscio. Nel subconscio sono scritte delle memorie tanto antiche e profonde perché l’inconscio è il fondamento della nostra coscienza, e “la coscienza è un lascito del mondo spirituale.”

Dobbiamo ritrovare una comprensione spirituale delle nostre affinità e delle nostre aspirazioni, perché non possiamo credere alle verità altrui, infatti anche tutti gli ideali più elevati se non sono sentiti profondamente diventano delle materie morte, perciò sono prive di vera conoscenza.

Nel futuro, dice Steiner, vedremo la differenza tra le materie morte e le sostanze vive, perciò vedremo che il mondo non è solo pietre, alberi, animali, uomini e esseri superiori, ma sapremo che lo spirito è vivo ovunque e che agisce invisibile ai sensi ordinari, perciò conosceremo la concatenazione delle forze che evolvono in senso cosmico. La verità futura sarà fondata sulla morale e sulla responsabilità delle nostre azioni, e questo darà molta saggezza.

L’uomo non vuole problemi, non vuole vie lunghe e faticose, anche se chiede verità non vuole sapere per non soffrire e non vuole cercare all’infinito. Una maggiore comprensione ci farà superare tutte queste memorie desuete e queste abitudini malsane, perché avremo la volontà di ricercare verità che siano sempre maggiori. Solo lo spirito può darci questa esigenza ed è solo il punto di partenza, perchè avremo delle evoluzioni ancora maggiori in futuro.

Buona erranza
Sharatan