lunedì 31 maggio 2010

Il pittore del bambù


Si narra che un discepolo andò da un Maestro Zen, e gli chiese come poter dipingere meravigliosamente il bambù. Il discepolo era un pittore esperto e aveva ricevuto molti riconoscimenti e molti onori, la sua pratica della pittura era molto avanzata, ma lui voleva dipingere un quadro che fosse veramente superbo per onorare la sua arte. Il Maestro Zen lo guardò e gli sorrise, poi disse: “Se vuoi dipingere perfettamente, vai nella foresta dei bambù, e vivi con loro. Come puoi raffigurare ciò che non conosci? Solo quando conoscerai il bambù, solo allora, tu potrai dipingerlo perfettamente. Oggi lo raffigureresti dall’esterno ma, se lo conoscerai bene, ne saprai cogliere tutta l’essenza.”

Il discepolo si recò nella foresta dei bambù e visse meditando per tre anni, così meditò nel trascorrere delle stagioni, e osservò il bambù in tutti i suoi comportamenti, poiché il bambù si comporta diversamente a seconda delle condizioni del tempo e a seconda delle circostanze, infatti il bambù ha i suoi umori. Il bambù fa un rumore quando viene scosso dal vento, mentre fa un rumore diverso quando viene colpito dalla pioggia: l‘umore del bambù diventa gioioso se viene riscaldato dal sole, mentre diventa sospiroso se viene calpestato dal cuculo che si posa sul suo fusto.

Vivendo in mezzo al bambù, e meditando profondamente, il pittore lo imparò a conoscere come s’imparano a conoscere le persone: lo osservò nei momenti di dolore e di gioia, e lo conobbe nelle salite d’estasi gioiosa, così come nei dolori della tormenta. Il discepolo continuava a vivere nel bosco del bambù finché, un giorno, mentre era seduto in meditazione lui si dimenticò di tutto e, mentre si alzava il vento facendo ondeggiare la foresta, anche lui prese ad ondeggiare lentamente come uno stelo di bambù, facendosi portare dolcemente dal ritmo del vento.

E in quell’istante, quello che non era accaduto fino a quel momento, in un solo istante, tutto quanto avvenne! Il discepolo si dimenticò di sé e si fece catturare interamente dal bambù e, ondeggiando divenne della sua natura, e rimase a lungo ad ondeggiare beatamente. Fu solo più tardi, quando il vento si fu calmato e la foresta restò immersa nel profondo silenzio e nell‘immobilità, fu solo allora che si ricordò di essere stato rapito dall’anima della pianta, e di essersi inebriato della sua essenza.

Fu solo dopo quel fatto che, il discepolo amante della pittura, poté fare il dipinto perfetto del bambù, e quando il quadro fu ultimato tutti ne erano incantati perché nel dipinto vi era l‘anima del bambù unita ai suoi veri sentimenti, narrati con il senso del trascorrere delle stagioni: nel dipinto era magistralmente raffigurata la conoscenza totale e la più profonda essenza dell’anima del bambù.

Buona erranza
Sharatan

venerdì 28 maggio 2010

Il sorriso nel soffione


“Noi vogliamo porre in quiete armoniosa
gli stati molteplici del cuore,
quella è la vera contemplazione.”

(Il segreto del Fiore d’Oro)



Non si deve fuggire il mondo perché noi viviamo in esso: noi siamo nelle stesse condizioni del resto del mondo. Noi viviamo con le persone, con il rumore e con il traffico, noi viviamo nella quotidianità, e nel nostro quotidiano c’è anche il resto del mondo. Saremmo ingannati e inganneremo noi stessi se pensassimo che il mondo si possa fermare come una giostra, perciò tramite un pulsante.

Il silenzio che si raggiunge con l’uso di un pulsante è illusorio perché non è vero silenzio, esso è un silenzio apparente che si darebbe solo l’illusione della calma e della tranquillità. Vivremmo così sull’illusione di essere imperturbabili, mentre invece ci ritroveremmo, alla prima difficoltà, ad urlare nella confusione di un mercato. Pensare di spegnere il rumore del mondo equivale ad una illusione, perciò avremmo sprecato solo energie e tempo inutilmente: tanto tempo e fatica solo per ingannare noi stessi equivale all’idiozia!

E’ necessario essere nel mondo, e raggiungere una centratura interiore, un perno spirituale o un “centro di gravità” interna: questo punto di equilibrio è il solo che non ci può essere tolto dalla fortuna o dal mondo. In questo modo, in qualsiasi tempo e in qualsiasi circostanza, in qualsiasi luogo noi possiamo andare restiamo centrati e sicuri, anche in mezzo ai fragori del mondo.

Non è necessario concentrarsi con uno sforzo, non dobbiamo dare la caccia e braccare il pensiero, noi non dobbiamo impegnarci in alcuna lotta, non vi è conflitto e non vi è battaglia ma vi è solo vigilanza, che è uno stato rilassato di consapevolezza cosciente. Nel nostro animo non deve esserci alcuna preoccupazione, non dobbiamo sentire nessuno sforzo, perché la consapevolezza interna scorre dolce e fluida come un respiro, poiché scorre in noi l’energia vitalizzante della consapevolezza.

Restando rilassati al centro del nostro respiro diventiamo solo la consapevolezza del respiro e dell’aria che penetra e che fluisce in noi spontaneamente: nella ricerca del silenzio, nella ricerca della pace non può esserci lo sforzo, non può esserci alcuna forzatura, perché noi siamo inerti e rilassati nella resa a noi stessi.

La sofferenza umana è nella resistenza, perché noi resistiamo ad essere penetrati dalla consapevolezza lucida e cosciente, ma lo comprendiamo solo tramite il respiro che fluisce in modo cosciente. Tutta la resistenza nasce dalla paura di scendere ad esplorare il nostro mondo interno, nel timore di trovare l’immagine perturbante del sabotatore, che è l’immagine mentale dell’istinto animale dell’essere umano.

Se abbiamo il coraggio di esplorare quel mondo interno portati dall’energia della consapevolezza di chi veramente siamo, allora la vigilanza attiva è nella consapevolezza che, arrivati al centro del mondo interno, siamo arrivati alla Fonte di pace infinita. Se un personaggio interno vogliamo immaginare, se un mondo così grande ci sembra troppo desolato senza un suo abitante allora, solleviamo un altro velo illusorio e guardiamo dritti in faccia piuttosto un amoroso Guaritore.

E’ nel nostro interno che c’è un punto luminoso, ed è della stessa natura della grande Luce da cui è nata ogni cosa, perché all’interno c’è un mondo infinito. In questo luogo vi è tutto ciò che è ineffabile perciò ne restiamo estatici, la definizione di questo sentimento non può contenere l’Essere amorevole che possiamo chiamare Dio, se lo crediamo, ma che potremmo anche percepire come un Sé centrato ed equilibrato che percepisce la pace profonda e la gioia piena dell’Essere in piena Essenza.

Per divenire un essere spirituale è necessario avere amore, luce e pace e, chiaramente, un obiettivo così grande ed elevato, non si raggiunge in un attimo. E’ necessario del tempo e mi sembra anche giusto se lo stesso Dio, il grande Padre, si è concesso lo spazio di 6 giorni per fare la sua Creazione, e Lui si che s’intende di centrature! Una pratica che insegni il migliore sentiero per scendere nel mondo interno non è rapida da fare, perché viene percorsa con il passo placido del vivere quotidiano, mentre stiamo vivendo nel mondo.

Thic Nhat Hanh, il monaco zen famoso in tutto il mondo, e candidato al Premio Nobel per la Pace nel 1967, su proposta delle stesso Martin Luther King, ha scritto che l’uomo moderno è fagocitato dal vortice del vivere nel mondo perdendo il diritto di vivere in pace in ogni momento, perciò dobbiamo imparare a sfruttare in modo positivo tutte le condizioni che solitamente sono fonte di stress e disagio.

Il maestro zen insegna la “via della presenza mentale” trasformando gli stimoli stressanti in “amici spirituali” che ci aiutano a vivere meglio richiamandoci a vivere bene il momento presente; egli fa l’esempio di un clacson improvviso che potrebbe essere visto come un richiamo al risveglio, per cui il suonare equivale all’invito che ci viene dal mondo: ”Sei sveglio e vigilante amico?”

Aumentando la consapevolezza del corpo e della mente tramite la respirazione cosciente, Thic Nhat Hanh insegna ad assaporare la gioia e la pace del vivere “qui e adesso,” nell’attimo infinito in cui godiamo della perfetta eternità, nell’istante presente sostenuti dalla lucida coscienza, e si percepisce il gusto per la vita. Thic Nhat Hanh scrive:

“Se viviamo una buona vita, non c’è niente di meglio di un sorriso per cominciare la giornata. Questo sorriso afferma la nostra consapevolezza e il nostro impegno a vivere in pace e con gioia. Un sorriso autentico scaturisce da una mente risvegliata. […] Sorridere vi aiuta ad affrontare la giornata con dolcezza e comprensione. Quando vedo qualcuno che sorride, non ho dubbi che in quel momento è consapevolezza. […] E questo dono prezioso non costa nulla.”

Thic Nhat Hanh dice che, se siamo in grado di accorgerci che abbiamo perso il nostro sorriso, e che l’ha preso il soffione, è un gran bel segno e la situazione non è affatto grave. Noi siamo ancora sufficientemente consapevoli di accorgerci della sua presenza, e il sorriso si recupera con la respirazione, perciò è sufficiente respirare. Il soffione è un amico, membro della comunità degli amici affidabili, e saprà custodire bene il nostro sorriso, di questo dobbiamo essere sicuri e certi.

Il realtà, non è solo il soffione ma è anche tutto il mondo che custodisce il nostro sorriso. Noi non siamo affatto isolati poiché siamo connessi con il resto del mondo e del cosmo. Così ovunque siamo, noi siamo con questa ottima compagnia, sia all’interno che all’esterno, di noi e del mondo, perciò il soffione, quando respiriamo con consapevolezza, velocemente restituisce il sorriso smarrito.

Buona erranza
Sharatan


domenica 23 maggio 2010

Apprendere la conoscenza consapevole


“Riferisci qualunque cosa a te stesso”

(Aforisma buddista)


Si afferma come insita nella natura umana la scissione tra la volontà cosciente e l’inconscio dei sentimenti, perciò le esperienze emotive, e i marasmi interni diventano dei grovigli inestricabili e dei terremoti mentali, perché sono dotati del livello devastante dei cataclismi naturali. Tutto ciò avviene perché non siamo centrati su di un perno interiore in cui riconosciamo “cosa siamo veramente“ e “cosa siamo venuti a realizzare nella vita“ infatti, abbiamo smarrito ogni senso ed ogni essenza di una buona vita.

Nel taoismo si indica il Cielo per fare riferimento alla coscienza superiore collegata all’elemento yang, mentre si dice Terra per indicare il mondo terrestre e quotidiano, che è l’espressione di una forza yin; infatti tutta la realtà del mondo vede l’alternarsi di tale dualismo. Secondo l’alchimia taoista, sull’equilibrio yin/yang si lavora superando tre fasi pratiche: nella prima fase si promuove yang e si allontana yin, successivamente si fonde yin e yang e, alla fine, si supera la fusione per andare oltre yin e yang: è con questa pratica progressiva che acquistiamo il perfetto equilibrio.

L’uomo equilibrato possiede una combinazione armonica dei due elementi, poiché esso è nella condizione indicata dall’aforisma che prescrive di: “Essere al di là del mondo sapendo vivere in esso”. L’equilibrio da ricercare nella pratica, è la mediazione tra la dimensione umana, e la visione spirituale più ampia della nostra coscienza, senza per questo, tralasciare di essere fruttuosamente attivi nella realtà quotidiana: questo è uno dei metodi alchemici per fondere yin/yang, e per equilibrare l’Alto e il Basso situandosi in un livello intermedio.

In realtà questo equilibrio si può ottenere solo allontanandosi da yin, che è il rumore del mondo esterno, per fare prevalere yang, che è l’ascolto della superiore Volontà Celeste: è in questo modo che il nostro allineamento interno con lo spirito superiore prevale, in modo che la Coscienza Celeste guida l’orientamento della coscienza terrestre. Nel Commentario di Liu J-Ming, che è un maestro taoista vissuto tra 10. e 11. sec. durante la dinastia Qing, si afferma che è così che possiamo “seguire inconsciamente le leggi di Dio.”

Si rende necessario non farsi coinvolgere dall’aspetto mondano della mente, che si nutre dei pensieri e dei sentimenti a cui è abituata, piuttosto va aumentata la consapevolezza della mente celeste, che è la Fonte Primaria e Originaria di saggezza e di vita. Nell’alchimia orientale si indica il distacco dagli schemi abituali del pensiero per saper guardare con lucidità agli effetti di ritorno del pensiero attivo, perciò di osservare gli effetti prodotti dalle nostre azioni.

La centratura che viene insegnata è una quiete interiore in cui la valutazione degli avvenimenti è attuata escludendo ogni condizionamento mondano, soprattutto quando si valuta il nostro mondo, perché dobbiamo saperlo valutare con distacco e contemplarne solo gli esiti effettivi, cioè il risultato degli avvenimenti. Sapere apprendere un tale equilibrio tra il lato mondano e quello spirituale delle nostre azioni, è una fase indispensabile che nutre ottimamente l’Arte della vita.

Anche la psicologia moderna afferma che una grande massa di condizionamenti, cioè di associazioni e di reazioni automatiche e condizionate, sono in grado di inibire l’assorbimento delle informazioni sulla realtà in cui siamo immersi, perciò esse limitano fortemente la nostra capacità di comprendere la realtà, e di potere apprendere dalle esperienze. Se la persona è totalmente condizionata dai suoi pregiudizi e dalle sue categorie mentali, o dalle limitazioni del linguaggio, si costruisce una prigione mentale che limita tutti gli aspetti del vivere.

Tutto ciò che reprime le prospettive di un maggiore apprendimento, o l’allargamento degli ambiti della nostra esistenza, in realtà, sta limitando la nostra comprensione del mondo, e ogni manifestazione di autenticità naturale: e questo è un assioma fondamentale dell’insegnamento taoista. Se valutiamo come coerente questo insegnamento, allora si rende necessario rimettere tutto al palo, e rimodulare i nostri comportamenti, quindi dobbiamo esere maggiormente aperti e recettivi per migliorare la qualità di vita.

Nel motto “svuota la mente e riempi la pancia” viene indicata la pratica della continua pulizia dello spazio mentale, che va svuotato dalle farneticazioni e dalle preconcezioni accumulate nel tempo, poiché intasano il centro del nostro essere, che è il punto focale della nostra vita individuale: è così che ci riappropriamo della realtà facendo tacere tutte le urla del mondo che conserviamo nel nostro interno.

Il mondo con i suoi condizionamenti è una realtà a cui non riusciamo a sfuggire, e i condizionamenti non sono in sé malvagi perché la nostra malattia è celata nella loro fonte, cioè il male nasce quando il condizionamento è talmente esteso e ramificato al nostro interno da riuscire a soffocare il nostro potenziale di vita. Lo svantaggio dell’influsso del mondo è costituito dal fatto che i condizionamenti e le abitudini non ci permettono più di valutare chiaramente i nostri valori, perché le abitudini e i modelli mentali desueti vengono conservati, anche se non sono più utili o funzionali.

Ciò che dobbiamo raggiungere è una reale autonomia di giudizio per riconquistare la piena libertà d’azione e la manifestazione della nostra volontà, perciò dobbiamo saper rettificare quegli schemi e quei comportamenti che non sono più utili, poiché sono collegati a esperienze precedenti. Solo in questo modo assaporiamo la piena libertà di essere o di non essere, la libertà di fare o di non fare, solo così impariamo la capacità di saperci muovere fluidamente in tutte le occasioni, e in tutte le circostanze del nostro vivere.

E’ questo un modo concreto con cui l’adepto riesce a superare yin e yang, poiché riesce a discriminare obiettivamente e chiaramente in Sè: nel taoismo si usano delle espressioni come “essere né materiale, né vuoto” per definire che un vero seguace del Tao non vuole divenire un’eremita, ma neppure vivere come prigioniero del mondo. Il ritirarsi dal coinvolgimento mondano è uno strumento indispensabile per comprendere veramente la realtà del mondo.

Secondo lo “Zhong He Ji” la mente del Tao è una “mente brillante” mentre la mente umana è una “mente errante,” perciò è necessario placare la mente errante per concedere spazio alla mente brillante, e stabilizzarci radicalizzandoci nel perno interiore di una lucida coscienza. Sia la mente del Tao che la mente umana sono sintonizzate sulla vera conoscenza, che è sempre una conoscenza consapevole. La vera conoscenza è insita nell’animo umano, perché l’uomo sa istintivamente quello che vuole avere nella sua vita, perciò lui conosce intuitivamente ciò che lo rende felice.

Nello “Wu Zhen Pian,” che è uno dei classici fondamentali dell’alchimia taoista è scritto: “Quando le persone nascono, possiedono la sola essenza della vera coscienza, con la conoscenza innata e la capacità innata; non hanno ancora né la mentalità umana, né la mente del Tao. Solo dopo essere entrati nello stato di condizionamento avviene una divisione tra la mente umana e la mente del Tao […] la vera conoscenza significa non essere confusi.”

La conoscenza consapevole è la consapevolezza del quotidiano e della vita ordinaria per come viene articolata dalla nostra formazione personale, e dalla nostra reale esperienza. Si rende necessario perciò ampliare questo livello di consapevolezza per rendere innocue le abitudini mentali ed i pregiudizi, che sono delle esperienze fuorvianti della realtà: l’aforisma “rendere consapevole la vera conoscenza, e rendere vera la conoscenza consapevole” esprime perfettamente questo concetto.

La vera conoscenza e la consapevolezza sono sempre associate al “senso e all’essenza,” poiché l’essenza è quella fondamentale della coscienza, mentre il senso è la sua funzione, e il modo con cui l’essenza si manifesta all’esterno. Quando siamo condizionati la nostra vera essenza è imprigionata all’interno della nostra personalità e del nostro temperamento, mentre il senso di ciò che facciamo barcolla confuso, come un ubriaco, tra i fumi impetuosi dei nostri sentimenti.

L’obiettivo da conseguire afferma l’alchimia taoista, è nella congiunzione tra la nostra vera essenza, ed il senso che è contenuto nella manifestazione della nostra vera coscienza, poiché questa è nella fusione armoniosa di essenza e di senso. Sviluppare il senso della vera essenza della mente equivale al saper percepire la realtà direttamente dalla profondità della nostra coscienza, piuttosto che dalle raffigurazioni confuse della mente errante, che è sempre ingannata dai demoni e dai fantasmi.

Per comprendere la realtà in modo cosciente è evidente che non possiamo basarci sui racconti dei fantasmi, o sui timori dei demoni interiori del nostro passato, o sulle rimembranze: per poter conoscere, la nostra brillante mente va mantenuta aperta e fluida, affinché la coscienza sia lasciata libera di esaminare i suoi sentimenti soggettivi cercando di andare oltre le aberrazioni restrittive del meccanismo mentale.

L’unione di essenza e senso giunge con la conquista della coscienza flessibile che trova il suo centro di stabilità interna nella “saldezza della vera conoscenza” infatti, senza la conoscenza consapevole non esiste alcuna vera conoscenza, e senza tale conoscenza non esiste neppure la salda e obiettiva coscienza, che sarà capace di riconciliare i conflitti tra volontà e sentimento.

Buona erranza
Sharatan

giovedì 20 maggio 2010

Nel laboratorium dell’alchimista


“Dovete, nell‘osservare la Natura,
tenere d‘occhio l‘Uno come il Tutto:
niente è dentro e niente è fuori,
poiché ciò che è dentro è fuori.
Dunque afferrate senza indugio,
il divino, il palese mistero.”

(J. W. Goethe)


Nelle opere cabalistiche si afferma che l’uomo è come una pietra grezza che deve essere raffinata, perciò bisogna imparare a purificare i metalli imperfetti che l’uomo contiene al suo interno, infatti l‘opera alchemica è collegata alla dottrina cabalistica della rettificazione. E’ nella scissione tra lo spirito e la materia, che è tipica della tradizione metafisica occidentale, che l’opera alchemica va ad operare la sua trasformazione per ricongiungere l’uomo all’unità primaria.

L’alchimia crea l’uomo nuovo che potrà godere di natura incorruttibile ed immortale infatti, secondo l’interpretazione junghiana, l’archetipo alchemico si basa sul mito della Madre Terra che può dispensare i suoi doni sublimi a tutti coloro che ne sanno penetrare i più reconditi segreti: da questa immagine viene tratto il mito universale della ricerca alchemica dell’immortalità, e tutte le pratiche volte al mantenimento della perenne salute e giovinezza fisica.

L’alchimia è una pratica ostetrica, poiché è dal grembo della Terra che vengono estratti i cereali e i metalli. Si crede che la terra partorisca solo buoni frutti, a meno che qualcosa non la limiti o la ostacoli, facendole partorire sostanze ignobili: così l’alchimista viene a perfezionare l’opera della natura perturbata. Per favorire tale operazione è necessaria l’uso dell’elisir, cioè di un solvente universale che viene versato sui metalli e li conduce alla perfezione: tutte le immagini tratte dalle opere alchemiche sono perciò delle metafore della trasformazione interiore a cui si sottopone l’adepto dell'alchimia.

La ricerca alchemica nei passi dell’Opera, vede lo sfumare di un paesaggio dal rosso al bianco, per poi calare nel nero più profondo, in cui l’adepto prova la morte e conosce la “discesa agli inferi.” Quando egli riemerge nella fase bianca vi è la rinascita iniziatica, per sperimentare un successivo ritorno al Rosso dell’Oro alchemico, con cui si conclude l’Opera. Una variazione dei colori interiori così come è stata detta, vede l’alternarsi dei diversi paesaggi e dei vari colori perché, come nel mondo esterno e nel ciclo naturale parimenti avviene all‘interno dell‘uomo.

Secondo gli alchimisti è necessario attuare praticamente tutti questi passaggi infatti, nel corso del tempo e nel trascorrere della vita, noi sfumiamo e cambiamo come cambia il paesaggio naturale nel trascorrere delle stagioni. Poiché l’inizio della ricerca vede l’uccisione delle sostanze impure, la nostra pietra ossidata assume il colore nerastro della putrefazione (nigredo), che è tipico della morte, perciò l’adepto è posto in una bara.

E’ dalla purificazione della materia decomposta perciò distillandola, filtrandola e decantandola che noi otteniamo il passaggio dal bianco (albedo) fino alla fase rossa (rubedo) in cui abbiamo la pietra filosofale “lapis philosophorum” o “elisir.” E’ la nostra pietra interna che diviene come un lievito che trasforma l'imperfetto in perfetto, infatti come dice Borges in “La rosa di Paracelso“: “Il lapis è la via … ogni passo che compi in questa direzione è la tua meta.”

Sappiamo che il maggiore livello di maestrìa alchemica è nel governo del fuoco e nella corretta regolazione del calore della fornace, perciò dobbiamo dare il giusto dosaggio al calore con cui trattiamo le nostre sostanze. Il vero insegnamento alchemico non è nei testi, infatti l'addestramento avveniva nel segreto tramite la tecnica “dalla bocca all’orecchio” perché nell’alchimia è inutile capire se non si attuano praticamente le sue tecniche.

Inoltre solo coloro che conosco l’opera sono in grado di comprenderla perfettamente mentre, per tutti gli altri, sarebbe tempo perso volerne conoscere i profondi segreti, avvisano gli alchimisti. Nell’antichità ellenistica il testo alchemico “Physike kai mystike” del 200 a.C., fu nascosto nella colonna di un tempio mentre in India, il dio Shiva si rifiuta di rivelare l’arte alchemica a una dea, e il cinese Ko Hung (260-340 d.C.), raccomanda di tenere segrete le ricette alchemiche poiché la conoscenza alchemica si penetra in “via mistica” e intuitiva come le fiabe e le poesie.

Ko Hung afferma che, dopo avere assaporato l’elisir, l’adepto continua a mescolarsi con gli altri esseri mortali e a vivere normalmente ma non rivela il segreto che ha penetrato. In realtà molte delle tecniche alchemiche non contengono metafore incomprensibili, poiché il cambiamento del lapis impuro è la lavorazione sui difetti “calcificati” nell’animo umano. E' questa la metafora esplicita del lavoro o "opus" con cui noi ripuliamo la nostra pietra meravigliosa attaccata dal salnitro che la corrode come un cancro.

La ricerca alchemica cinese unisce a questo compito l'ulteriore obiettivo di costruire un corpo immortale ed incorruttibile che possa salvaguardare dalla migrazione della morte le due anime yang, cioè “hun” e “yin p’o,” così da riuscire a tenerle unite. Anche nell’alchimia induista vi è l’ideale del corpo perfetto e immortale, infatti si fa uso di mercurio e droghe per prolungare la vita e garantire una perenne giovinezza essendo un'alchimia “mercuriale.”

Secondo Jung, il mito alchemico dell’immortalità fisica si basa sull’archetipo della Madre Terra che può donare i suoi doni solo a coloro che ne sanno penetrare i segreti avendo imparato il linguaggio misterioso con cui essa si esprime. E' nel grembo della Madre Terra che noi ricerchiamo la salvezza dalla morte e perciò la vita, poiché nel contatto con la Terra sentiamo che lei ci ha partorito e assaporiamo il calore dell'amore con cui ci nutre, e rinforza la nostra essenza vitale interna.

Il compito dell’alchimista è rettificare tutto ciò che la natura non ha saputo ultimare con una gestazione adeguata, e che va risanato e rettificato nel percorso. La trasmutazione della natura umana è facilitata dal solvente universale che aiuta la raffinazione alchemica, ed è la “pietra filosofale” o elisir dal termine arabo “el-iksir” che significa "polvere secca e concentrata della pura essenza".

E' nell’Opera al Nero che inizia il travaglio interno, cioè la morte che proviamo nel discendere all’inferno e nel chiudersi all’interno della bara, che è l’esperienza pratica di sentire sulla nostra pelle il dolore di tutto ciò che muore e che era parte di noi, anche se è un vecchio essere non più adatto per i nuovi cieli, e i nuovi sentieri della nostra vita. Nel proseguire la Via sperimentiamo la risalita e la rinascita passando dal nero mortale al bianco della rinascita iniziatica dell’Uomo Nuovo dalla migliore natura, e dalla maggiore consapevolezza.

Nella terza fase del Rosso vi è il rosso autentico dell’Oro alchemico, e non il rosso sbiadito e falsato del bronzo che è imitazione grossolana dell’oro vero: è così che si completa l’Opera! Questi sono i vari colori della trasmutazione alchemica, questi sono i vari colori dei paesaggi interiori attraverso cui passiamo nel cambiamento evolutivo della nostra persona, poiché le stagioni interne non sono altro che le sensazioni e i sentimenti che sperimentiamo nella nostra vita.

Jung dice che psicologia può spiegare l’alchimia ma non può risolvere il mistero spirituale, anche se può aiutare l’integrazione della personalità umana in una unità armonica, perché c’insegna che dobbiamo sapere riconoscere i contenuti mentali rimossi e nascosti nell’Ombra: il “laboratorium” alchemico diventa una metafora della nostra personalità e l'alchimista è il guaritore che aiuta il risanamento dell'anima.

L’utile insegnamento di questa antica forma di terapia consiste nella dimostrazione che, le parti scomode se non vengono lavorate e modificate profondamente diventano degli elementi “perturbanti” degli equilibri interni. E' per questo che esse richiedono una “riplasmazione” poiché tendono a restano nascoste, in modo silente e pericoloso ma vigili, e in attesa del momento opportuno per riconquistare i territori da cui si sono ritirate.

Questi contenuti mentali rimossi lavorano come dei guastatori interni pronti a tornare alla carica usando delle risorse insospettabili, che hanno accumulato sfruttando abusivamente le nostre risorse, mentre erano protette dall'incubazione interiore. E’ per questo che, spesso avviene l'esplosione rabbiosa delle nostre cariche inconsce, che riemergono alla luce del sole con tutta la rabbia e la forza della repressione che hanno subito.

Avviene così che le parti perturbate e “malate” si aggrappano ai nostri sogni e alle nostre fantasie sane poichè hanno la massima forza vitale, che viene continuamente rinforzata dalla passione con cui esse sono nutrite, così i nostri sogni vengono sfruttati fino a soffocarli e vengono sostituiti da simulacri, e tutto ciò avviene inconsciamente perché l'inconscio, per sua natura vive d'ombra, e usa solo strategie sotterranee d’invasione della coscienza.

E' per questo che la coscienza viene soffocata dalle parti malate che succhiano e svuotano l'uomo di tutta l'energia vitale che possiede. Perciò ora appare evidente la modernità e la natura dell’insegnamento alchemico che ci avvisa sulla necessità di risanare la coscienza eliminando ciò che non è funzionale alla nostra Via, e praticando una corretta nutrizione della nostra vita.

Buona erranza
Sharatan


domenica 16 maggio 2010

Battere i metalli con i metalli


Il nome arabo “al-kimiya” è l’abbreviazione del termine “San’at al-kimiya” cioè “L’Arte di ottenere l’Oro dai metalli meno nobili“, che è un vocabolo ripreso da Zosimo di Panopoli, il grande alchimista e maestro gnostico vissuto nel 3. sec. a. C., anche se l’etimologia più antica è la radice indù Hu “versare nel fuoco” cioè “fondere.” Credere che l’alchimia sia la madre della chimica, è una concezione erronea nata a metà Ottocento dagli studiosi della scienza, che hanno voluto vedere l’alchimia come una formula degradata della conoscenza: questa è una concezione del tutto falsa!

L’alchimista è stato visto come il ciarlatano di una scienza per allocchi e per folli, disciplina che beffa gli illusi con una pratica fattucchiera che imita la vera natura, facendo oro falso e battendo una moneta forgiata da truffatori di bassa lega: e questo oro batte sempre a vuoto! E non è detto che non esitano tali furfanti, ma l’arte a cui io alludo li vede tutti esclusi, infatti l’Alchimia è la Via Regia che eleva l’uomo dalla condizione degradata fino al livello del Sole Divino.

L’alchimia è una mistica attiva, perciò diversa da quella cristiana, ebraica o islamica che si limita a contemplare senza agire per meritare di essere il ricettacolo dello Spirito Divino. Nell’alchimia la tecnica dell’estasi viene messa in pratica perché l’alchimia è la via della gnosi, cioè è il grado di godimento della massima conoscenza della via dell’amore. Osserviamo perciò che, al livello supremo, l’alchimia è “Unio mystica” con la Divinità mentre, al livello inferiore, il suo significato è quello di Ricostruzione dell‘originaria Unità umana, che è possibile in virtù della derivazione dell'Uomo dalla Fonte Divina.

L’alchimia è il reintegrare la Divinità che è dormiente nell’uomo, e viene attuata tramite le fasi della Grande Opera, che è una pratica dall’origine antichissima che si perde nella notte dei tempi. Essa viene testimoniata nel 2. sec. a.C. quando, nell’ambiente cosmopolita e raffinato di Alessandria d’Egitto troviamo un trattato con cui Bolo il Democriteo trasferisce nelle scienze occulte tutte le tecniche artigianali più raffinate dei mestieri dei tintori, dei vetrai e dei metallurgici. In questo scritto è dimostrato che è la chimica che entra nell’alchimia, e che non è vero il contrario come viene detto.

Se avessimo avuto il coraggio di affacciarci al balcone che guarda a Oriente, avremmo riconosciuto l’alchimia nella tradizione neo-taoista e nell’ermetismo tantrico indiano, ma Mircea Eliade con sguardo più ampio ci allarga la prospettiva, ritrovando in quelle pratiche orientali l‘immagine della Terra-Madre, dei vegetali e dei metalli lavorati con dei mestieri pieni di tecniche misteriche. Il contatto tra l’uomo e la terra origina una mitologia del fuoco che è originariamente caduto dal cielo portato dalle meteoriti, che sono frammenti di stelle cadute a terra, perciò provenienti direttamente dagli dei, ma che poi diventa la tecnica di lavorare, con il fuoco terrestre, il metallo che viene scavato dal grembo della terra.

L’uomo del tempo arcaico lavora questo materiale sacro con la fatica delle sue mani, cioè con la tecnica di colui che deve fare, e che deve manipolare duramente per ottenere un prodotto più raffinato da utilizzare. Nel manipolare vi è l'uso dell’intelligenza nella ideazione degli utensili con cui si agisce sulla materia, perciò deve esserci l'uso della magia anche nella tecnologia, se stiamo lavorando sulla sacralità. Nella metallurgia, vi è la fatica dell’escavazione che richiama l’esperienza della ricerca del filone necessario, quindi vi è lo scavo della pietra che è il lapis, da cui ottenere la sostanza metallica da fondere, con il fuoco nella forgia.

All’ultimo vi è la fatica di battere il ferro incandescente nella fucina per ricavarne degli utensili, perciò il lavoro del fabbro è plasmare, tramite il battere dei metalli con l'uso di altri metalli. E’ con questa concezione antica e venerabile della tecnica dei metalli, che possiamo concepire le associazioni segrete dei mestieri dei fabbri, da cui l'alchimia attinse pienamente per il simbolismo, per le mitologie e per le tecniche in cui veniva affrontata, la presa di contatto dell’uomo originario con la realtà vegetale e minerale del nostro pianeta, cioè il contatto sacro con l'Entità Unitaria.

Secondo Julius Evola, l’alchimia sarebbe evoluta come concezione eroica ed olimpica, piuttosto che dalla concezione sacrale e sacerdotale di alcune figure. Per Evola è il modello eroico quello necessario per poter lavorare sulle forze spirituali: solo questo serve per rigenerare e ricostruire la dignità primordiale ed originaria della Creatura. Questa reintegrazione umana alla Regalità è il metodo unificante di tutti i metodi, perciò il simbolismo alchemico non ha solo un valore mistico, ma possiede anche l’aspetto di una Scienza Reale, in grado di esercitare influenza sul mondo concreto.

Le varie fasi della Grande Opera assumono un valore concreto, e vengono indicate con una terminologia simbolica ripresa dai mestieri sacri originari, praticando la via alchemica avremo la manifestazione fisica e concreta di poteri soprannaturali, e avremo poteri eccezionali, tra cui la capacità di fabbricare l'oro, ossia il godimento della ricchezza materiale nella trasmutazione del Piombo in Oro: valutare il livello simbolico di queste affermazioni è un problema squisitamente personale!

Comunque sia, nell’alchimia concepita con spirito moderno, dovremmo cogliere il significato più utile e profondo di testimonianza di un percorso di realizzazione del nostro “oro interiore” perciò delle nostre migliori qualità e dei nostri talenti più elevati, sia in senso pratico che spirituale. Messa così tutta la questione, appare ancora più evidente come sia l’alchimia che riesce ad insegnare alla chimica poiché, in verità, tutte le scienze fisiche reali sono soltanto una degenerescenza della visione regale del mondo, il quale possiede sfaccettature molto più varie ed elevate di quelle prettamente materiali.

L’alchimia è anche un fenomeno magico-religioso, con cui le esperienze si spogliano dell’aspetto pratico e materiale per diventare idee e materiali mentali che vanno a far parte di costellazioni culturali, assumendo così grande potenza energetica. Questi nuclei energetici, per moto circolare, dall’ambito religioso vanno a tornare alla dimensione naturale da cui avevano avuto origine, perciò rientrano nel mondo tramite la scienza: è questo il motivo per cui Mircea Eliade afferma che l’approccio scientifico e materiale ha “desacralizzato” il cosmo.

Nell’alchimia cinese vi è una tradizione millenaria che risale al 3.-4. sec. a. C., e che viene testimoniata dal "Ts’an T’ung Ch’i" o “La Correlazione (o Parentela) del Trio” risalente al 121 a.C., opera di commento a I Ching, scritta da Wei Po-Yang, in cui si tratta della preparazione della “pillola dell’immortalità.” Già Lieh Tzu nel 4. sec. a.C. parlava di isole paradisiache in cui sono le “case di Oro e di Giada” abitate da geni Hsien, cioè dai santi immortali che hanno realizzato le Vie del Tao.

E' in queste isole meravigliose che nascono dei frutti divini che liberano l'uomo dalla vecchiaia e dalla morte. Nello Shih Chi le “Memorie storiche,” la grande cronistoria cinese iniziata da Szu-Ma T’an e completata dal figlio Szu-Ma Ch’ien, si narra che queste isole sono tre e che, in quelle isole, si trova la droga o elisir dell'immortalità. L’alchimista Li Shao-Chun, che visse presso la corte dell’imperatore Wu-Ti della dinastia Han (156-187 d. C.) rivelò al suo sovrano i segreti della trasmutazione dei metalli, e della essenziale trasformazione del cinabro in oro.

E' con l'Oro che si raggiunge la dimora dei “beneamati immortali” in cui si gode di un elisir meraviglioso che dona il mondo di beatitudine divina concesso solo agli Hsien. Secondo Wei Po-Yang in “Correlazione del Trio” la ricerca dell’elisir è attuata con una serie di pratiche taoiste come la tecnica del controllo del ritmo respiratorio e l'uso della figurazione degli esogrammi (pa-kua) del Libro delle Mutazioni, come pure seguendo armoniosamente la Dottrina dei 5 elementi (Wu-Hsing), e dei due opposti yin e yang.

Nella “Correlazione del Trio” si afferma che i 5 elementi: acqua, fuoco, legno, oro o metallo e terra, sono i principi costitutivi di tutta la materia, e che sono dotati di significato fisico, cosmologico, psicologico, morale, magico e religioso. Sono 5 le vie della retta condotta sociale come 5 le parentele sociali, come 5 le virtù e 5 i tempi dell’anno, come 5 le direzioni e 5 i gusti, abbiamo 5 colori e 5 specie animali e 5 organi interni; infine sono 5 gli eroi culturali e 5 gli dei.

Tutta la vita dell’universo cinese si sviluppa in un quinario in cui le cose transitano tra entità diverse ma omologabili tra loro. Si spiega alchimisticamente parlando così, l’opera che vede il passaggio da un metallo all’altro, che è come il fluire di prospettiva di un paesaggio che cambia il suo colore con il trascorrere delle varie stagioni. Nello scorrere dell’anno si passa da un colore all’altro: così si attua il similare passaggio da una prospettiva inferiore ad una superiore, perciò da un piano metallico si passa al piano cosmico superiore e supremo.

La correlazione della parentela spiegata da Wei Po-Yang contiene pratiche taoiste, contiene procedimenti alchemici e norme per il giusto commento al Libro dei Mutamenti, ma soprattutto vi si afferma che, gli esagrammi de I Ching contengono il grande segreto per la produzione dell’elisir o droga dell’immortalità. Wei Po-Yang dice che ogni elemento combinato con lo yang è diverso dallo stesso elemento se viene combinato con lo yin, poiché il primo sarà attivo e maschile mentre il secondo diventerà passivo e femminile.

La via alchemica è nel controllo di queste modalità di manifestazione cosmica poichè anch'essa è Tao, perciò si attua nell’uso del Pa-kua o esagrammi del Libro dei Mutamenti. E' in questa Via che si praticano tutte le tecniche corrette, poiché assicurano l’immortalità, perciò sono vie pratiche per l’uso corretto e perfetto dell’Elisir Chi-Tan o Shen-Tan (Elisir d'Oro o di Cinabro trascendentale).

In India l’alchimia è Rasayana, cioè “L’Arte del Succo d’Oro” poichè produce il "soma" che è la medicina panacea di ogni male, ma “rasa” è anche il termine indù a indicare il regno minerale e il mercurio che è intelletto e intelligenza, e "rasa" corporali sono anche tutti i fluidi fisiologici, perciò tutte le “acque” dell’uomo. L’alchimia indiana è la tecnica del succo e del mercurio metallico, anche se un’antica tradizione afferma che, l’immortalità e la felicità sono in un rimedio non metallico, ma di origine vegetale.

E’ dall’India che molti taoisti traggono ispirazione per l’alchimia e soprattutto dalla via tantro-yogica, in cui si insegna come rigenerare e reintegrare il “corpo di diamante” dell’essere umano e in cui "l’uccisione dei metalli", che nella chimica ordinaria indica la sottrazione al metallo di tutte le sue proprietà caratteristiche, equivale alla soppressione degli stati di coscienza, che è poi il fine supremo dello yoga.

Il Mercurio che viene ucciso è il "Seme di Shiva", che è la sostanza primordiale da cui tutti gli esseri traggono origine, e la pratica tantrica del "Fallo mercuriale di Shiva" simboleggia la presa di contatto con l'energia (Prakrti) della materia primordiale, che è l’operazione primaria da attuare prima di ogni pratica alchemica poiché, solo dopo avere avuto conoscenza della natura della materia cosmica, si può agire felicemente sulla costituzione naturale umana.

Così il “Fallo di Shiva” che è l’acuta consapevolezza che penetra la realtà tramite la pratica, può operare il miracolo della trasformazione delle due nature umane, ottenendo la produzione dell'oro interiore e la salvezza salvifica della redenzione, che è possibile avere nella Via alchemica, anche se avessimo i "peccati accumulati per l'uccisione di mille brahmani e di diecimila vacche."

Buona erranza
Sharatan


mercoledì 12 maggio 2010

Evolvendo sulla Scala dell’Ottava


“Noi non siamo i soli ad essere vivi.
Se è viva una parte, è vivo il tutto.
L’universo è come una catena,
e la Terra è un anello di questa catena.
Dove c’è movimento c’è vita.”

(Georges Ivanovic Gurdjieff)


Secondo Gurdjieff l’uomo dovrebbe studiare parallelamente sia l’universo che se stesso, poiché i due contesti sono governati dalle stesse leggi, così che la spiegazione di un sistema aiuta a comprendere anche la struttura dell’altro: è lo studio parallelo che aiuta a comprendere l’intima unità dell’universo inferiore al superiore. Il motto cabalistico “Così in alto, così in basso” esprime il concetto di analogia tra Macrocosmo e microcosmo, poiché essi sono organizzati con identiche forze e con leggi che è utile conoscere.

La prima legge dell’universo è la Legge del Tre o di Tri-Unità con cui s’impone che, in tutti i mondi creati, esista la necessità di un’azione simultanea di tre forze: attiva, passiva e neutralizzante, con cui si ricreano gli equilibri che vengono perturbati. Una seconda legge che è la Legge del Sette o Legge dell’Ottava, insegna il funzionamento delle vibrazioni di cui è costituita ogni tipo di materia, aldilà dell’aspetto e della densità della stessa.

Le vibrazioni della materia non sono continue e seguono scale ascendenti e discendenti, perciò le particelle hanno differenti velocità di propagazione e si sviluppano alternando fasi veloci a fasi più lente. Seppure la forza d’impulso iniziale possa essere stata uniforme, successivamente, il moto si è differenziato finché le vibrazioni non hanno più obbedito all’impulso originario, e hanno iniziato a rallentare o ad accellerare il loro corso ascendente o discendente, producendo con una fase di transizione, che è inerte.

Dopo il rallentamento in ascesa o in discesa, le particelle riprendono il loro corso fino ad un nuovo ciclo di moto irregolare e una nuova pausa d’arresto con lo sviluppo d’inerzia. Ora dovremmo sapere che i periodi di inerzia non sono uguali, e che anche i periodi di rallentamento non sono simmetrici perché uno è sempre più lungo e l’altro più corto infatti, se le vibrazioni sono crescenti la frequenza raddoppia e, nel rallentare avviene una deviazione dalla direzione originaria impressa all‘origine.

Nella sapienza antica si credeva nella Legge del Sette infatti, nel periodo in cui le vibrazioni si raddoppiano si dividono in 8 scalini diversi corrispondenti al tasso di progressione delle vibrazioni, seguite da un ottavo gradino, che ripete il primo con il raddoppio delle vibrazioni. Questo periodo di raddoppio è detto ottava, cioè l’insieme di otto parti, e il risultato desiderato è quello di completare la scala musicale che altrimenti sarebbe interrotta e non potrebbe salire: è la legge dell’Ottava che permette di di completare il cerchio, per fare il Ritorno alla direzione originaria.

Questa legge viene accettata da molte scuole antiche come legge regolatrice dell’evoluzione cosmica, e viene applicata alla musica, ma sappiamo che può essere applicata anche alla luce, al calore, alle vibrazioni magnetiche, come pure alla chimica in cui il sistema periodico degli elementi risente dei principi della legge dell’ottava. Dalla materia primigenia si originano una serie di note di densità diverse, espresse da numeri che si combinarono secondo determinate leggi così da rendere misurabile l’imponderabile, ed esse si muovono con una direzione evolutiva ottenuta tramite delle ottave “mutuate” da ordini diversi.

Così la ragione umana può contemplare la luce divina, osservando come funziona la musica, mentre coloro che restano in basso sono costretti a barcollare nelle tenebre, dice Gurdjieff, se non avessero il formidabile strumento della Legge dell’Ottava, in cui si afferma che vi è sempre la necessità di uno “shock” esterno che interviene in momenti precisi per armonizzare due principi opposti, in modo da ottenere un’unità equilibrata ed evoluta: si deve valutare che qualsiasi problema che noi affrontiamo corrisponde ad uno shock da cui è possibile imparare.

Questa legge dimostra il mutare delle cose del mondo, essa dimostra l’ascesa e il culmine fino alla decrescita di tutte le sfere dell’attività dell’uomo, così nella letteratura, nella scienza, nell’arte, nella filosofia, nella religione, nella vita individuale, nella vita sociale e politica. Sebbene la mente “meccanica” non riesca a percepire come ciò avvenga, è questa la legge che spiega il principio di discontinuità delle vibrazioni e della deviazione delle forze: perciò nulla resta sempre allo stesso posto e nulla resta immutabile, tutto si muove e tutto si sposta nella trasformazione, perciò tutto si evolve, e poi va a degenerare.

Nulla può svilupparsi se resta allo stesso livello, e le salite e le discese sono condizioni inevitabili nell’ordine del cosmo perchè tutto funziona come un grande pendolo, malgrado sia possibile che possa avvenire un’evoluzione armonica di ottave che procedono liberamente e senza arresti reciproci. L’osservazione di questo corretto sviluppo di ottave stabilisce che, al momento opportuno, ossia nel momento in cui l’ottava passa per l’intervallo, possa sopraggiungere uno “shock addizionale” di forza e carattere corrispondente, che permette all’ottava di svilupparsi senza ostacoli, secondo la sua direzione originaria, e senza perdere nulla della sua natura.

Resta in mano all’uomo la possibilità duplice di poter dare alle sue attività una direzione che corrisponda alla linea degli eventi momentanei perciò di “seguire la corrente,“ anche se per fare questo debba rinnegare ogni sua tendenza interna, e contraddire ogni sua inclinazione, simpatia o sentimento, oppure d’imparare a riconoscere gli intervalli delle sua attività ed imparare ad applicare alla sua vita la tecnica degli shock addizionali, così come fa l’ordine cosmico ogni volta che questo è reso necessario, perciò l'uomo può attuare dei cambiamenti negli stili della sua vita.

Questa è la differenza tra un “uomo-macchina” e un protagonista attivo della sua vita che usa la Legge dell’Ottava come “un centro di gravità permanente“ nel suo interno. L’ottava fondamentale è simile al tronco di un albero i cui rami sono rappresentati dalle ottave subordinate: le 7 note dell’ottava e i due intervalli che “sono portatori di altre direzioni” formano i 9 anelli di una catena, suddivisi in 3 anelli di tre anelli ciascuno. Nella struttura dell’universo si immagini di trasporre tale legge sull’asse Sole-Terra-Luna, che costituisce la potente Ottava Originaria la quale, seguendo la Legge di Tri-Unità, risulta così composta di 3 ottave subordinate.

Diventa così evidente sia il ruolo degli intervalli dell’ottava che la loro diversa natura originaria infatti, uno è più attivo perché più vicino per natura alla sfera della volontà, mentre l’altro è più passivo poiché ne è più lontano: questo fu lo “shock” del sistema originario. Le ottave fondamentali si combinano con le ottave secondarie e queste, a loro volta, con quelle inferiori producendo sempre ottave di diversi livelli e così via nel salire della Scala.

Tutto avviene come se, un grande albero possiede un tronco da cui si biforcano dei rami, e da cui si producano dei ramoscelli che, a loro volta, producono altri ramoscelli sempre più piccoli su cui appaiono delle foglie e, delle foglie su cui poi compaiono delle venature: tutta qui è l’armonia e la bellezza del sistema delle ottave armoniche dell’universo! Le ottave nascono come i rami nascono dal tronco e, ogni nota che si produce costituisce, in diversa prospettiva, un’intera ottava: un funzionamento simile appartiene all’ordine dell’universo, e le “ottave interiori” sono gli strati concentrici del tronco dell’albero, in cui vi sono gli anelli disposti uno nell’altro.

Questa spiegazione ci fa intuire come la stessa struttura dell’universo possa prevedere tutta una serie di possibilità e di possibili combinazioni, di cui nessuna è esclusa, offrendoci così l’idea dell’infinità dell’infinito. Potremmo provare due opposte sensazioni: di essere pazzi nel voler cogliere il senso del Tutto, oppure di poter sprofondare nella consapevolezza della più profonda incapacità di conoscere se non fosse che, dice Gurdjieff, l’uomo può arrogarsi la possibilità di poter agire attivamente sul principio di piena conoscenza facendone un suo bene inalienabile.

Se valutiamo il microcosmo del corpo umano lo possiamo pensare come la struttura di una fabbrica disposta su tre piani che rappresentano la testa, il torace e l’addome: tutta la fabbrica è l’organismo umano ed è l’ottava di primo piano paragonabile a quella cosmica, mentre ogni altro piano è un’ottava completa di secondo livello subordinata alla prima: così otteniamo delle ottave subordinate e analoghe a quelle del macrocosmo.

Ogni piano riceve dall’esterno il suo nutrimento appropriato, lo assimila, lo combina con le sostanze che ha elaborato e, in questo modo, la fabbrica funziona per produrre determinate sostanze. Secondo Gurdjieff, la struttura della fabbrica è perfetta, ma è la direzione aziendale che spreca incautamente le risorse, tanto che le spese superano gli utili: in tali condizioni tutto è condannato al fallimento.

Nella fabbrica del corpo umano il nutrimento del piano inferiore è costituito dagli alimenti che noi mangiamo e che beviamo, il piano intermedio è l’aria che respiriamo, e il piano superiore è quello delle “impressioni” mentali. Ogni nostro nutrimento è costituito da determinate sostanze con una determinata densità e qualità, perché appartenenti a ottave diverse e anche il pensiero è un elemento materiale di cui possiamo calcolare la qualità e densità.

I tre tipi di nutrimento, cioè il cibo, l’aria e le impressioni mentali entrano nel corpo da punti diversi, dando origine a tre ottave corrispondenti collegate nello stesso modo con cui esse funzionano nell’universo generale. Ciascun nutrimento, entrando nel corpo, rappresenta un “do” dell’ottava del suo livello, poiché le leggi di sviluppo delle ottave con scale ascendenti e discendenti è lo stesso in tutto l’universo.

La scala musicale possiede degli “intervalli” che, in ogni ottava, si collocano tra “mi-fa” e tra “si-do” dell’ottava successiva. In questi due intervalli mancano due semitoni, sia in senso ascendente che in senso discendente perciò, mentre lo sviluppo ascendente delle note “do“, “re“, “fa“, “sol” e “la” possono passare alla nota successiva, le note “mi” e “si” non hanno questa possibilità. Questi due intervalli dell’ottava, in base alla Legge di Tri-Unità, vengono perciò equilibrate e colmate da altre ottave di natura diversa e, queste ottave diverse vengono ad assumere lo stesso ruolo dei semitoni normali del processo involutivo ed evolutivo delle scale.

Facendo l’esempio del nutrimento materiale, afferma Gurdjieff, esso entra nel nostro stomaco è il “do” dell’ottava del cibo che entra nell’addome, che sale al “re” tramite il semitono corrispondente, per divenire “mi” tramite il semitono successivo. Ma al “mi” non trova il suo semitono, per cui non può svilupparsi automaticamente in “fa”: in suo aiuto arriva allora l’ottava del nutrimento che penetra nel torace. Questa è però un’ottava di grado più elevato, e il suo “do”, che è il secondo che incontriamo, avendo il semitono per passare al “re” si prende in carico o, se vogliamo, fa uso del “mi” dell’ottava precedente e lo trasforma in “fa” cioè assume la funzione del semitono mancante, e funge da shock per lo sviluppo della prima ottava.

Lo sviluppo dell’ottava iniziale, dopo lo shock procede di nuovo in semitoni salenti, così il “fa” passa al “sol” e la sostanza che si forma al livello del “sol” è il vero sale dell’organismo. Il termine Sol in russo significa “sale” e Gurdjieff lo usa per rappresentare la sostanza più importante che il corpo umano sia in grado di elaborare, ed è l’essenza simbolica del discernimento e della conoscenza. Quando lo sviluppo dell’ottava prosegue attraverso un semitono da “sol” a “la” con il relativo semitono di “si” trova un secondo blocco e, affinché il “si” possa passare al “do” di una nuova ottava, si necessita di un secondo shock che innesta la successiva evoluzione.

Gurdjieff afferma che il possesso della conoscenza, rende necessario scrollarsi la polvere di dosso prima di avere la capacità di volare alto poiché, un tale volo necessita di ali ben robuste e prevede il percorso di una strada faticosa e difficoltosa di tale impegno e sacrifico, che l’uomo preferisce di gran lunga abbandonarsi alla corrente e lasciarsi trasportare di ottava in ottava, che è una strada infinitamente più lunga di quella di volare alto e di fare da sé.

Il cammino è difficile e la salita è molto faticosa ma, nel momento in cui si ascende nella scala d’armonia musicale si viene ricompensati da un aumento di forza e di chiarezza mentale sempre progressive e potenti, poiché la scoperta di orizzonti sempre più vasti e di meravigliosa armonia ritempra le energie, e infonde la potenza e il vigore della contemplazione del divino. E’ questa è una prerogativa squisitamente umana perché infusa dalla capacità di poter lavorare su sé stessi in armonia con le leggi cosmiche della Tri-Unità.

Gli avvenimenti che ci appaiono come una violazione apparente a tutte le leggi di armonia possono apparire, in una prospettiva più ampia ed elevata, come una conferma e non una negazione della grandezza di Dio: se contempliamo così l‘ordine dell‘universo, vedremo che le due sfere che racchiudono la Volontà e il Destino diventano i due poli magnetici della Provvidenza divina.

Apparirà chiaro che, colui che possiede una piena e completa comprensione del “sistema delle ottave” possiede la chiave per la comprensione dell’Unità, egli comprende tutto ciò che è percepibile, tutto ciò che avviene, tutte le cose nella loro essenza, e ne comprende la vera collocazione nell’ordine universale: e così può comprendere tutte le cause e tutti gli effetti.

Questo schema è l’espressione più precisa della Legge dell’Unità, perché la grande conoscenza consiste nella consapevolezza totale e completa di ogni cosa in ordine di grandezza, e l’ordine e la misura del Tutto equivale alla possibilità di godere della contemplazione estatica dell’Ordine di Concatenazione dell’intero Universo.

Buona erranza
Sharatan


sabato 8 maggio 2010

Arrendersi alla vita!


"Sii sempre te stesso!
Tu sei ciò che sei: è questo l'unico
modo sincero di vivere."

(Paramhansa Yogananada)


Imparare a vivere in modo adeguato è una pratica che non ci insegnano, perciò dovremmo approcciare alle cose con più tranquillità per permetterci di imparare con il fluire del vivere: così impariamo la pazienza di vivere la vita momento per momento, assaporando l‘istante. Si tratta di imparare l’Arte di vivere come si apprende la pratica di una disciplina, perciò dobbiamo coltivare la volontà e la determinazione nell‘apprendimento. E se il primo requisito per un buon maestro è amare la sua disciplina conseguentemente, la condizione essenziale per la migliore pratica di vita, è amare follemente la vita!

Osho afferma che dobbiamo innamorarci appassionatamente della vita se vogliamo imparare a vivere: e questo è un invito ad aprirci fiduciosamente, perciò imparare a essere recettivo e disponibile: cioè credere nella vita, e sentirsi gioiosi e vivi in ogni momento. Questa sembrerebbe un’ovvietà mentre, invece è una verità molto profonda con cui impariamo a ritornare innocenti, fiduciosi e gioiosi come dei bambini per i quali, l‘ambiente che li circonda diventa una fonte ininterrotta di messaggi, d’insegnamenti e d’intuizioni profonde da dovere assaporare.

Se siamo fiduciosi nella vita e la amiamo veramente la vita ci ricambia, perciò ogni accadimento diventa una scoperta entusiasmante da esplorare e non da subire dolorosamente: il cambiamento diventa un’occasione per migliorare quello che non andava bene. Se sappiamo nutrirci di questa verità sapremo aprirci sempre all’alba del nuovo giorno con un sorriso ma, la domanda a cui rispondere è: “Siamo disposti a sparire del tutto nel nostro ego? Siamo disposti a dimenticare quello che crediamo di conoscere come vero?”

La rinuncia che dobbiamo fare non riguarda certamente le cose, perché di nulla noi siamo i padroni. La verità vera è che noi siamo i padroni soltanto di noi stessi, quindi l’abbandono a cui si allude è quello di noi stessi: ed è questo il punto in cui è richiesto il coraggio più grande. Un risultato così grande non si raggiunge facilmente, poiché solo pochi sono veramente disposti a lasciare andare tutte le preconcezioni e gli schemi mentali, senza opporre una pur minima resistenza. Pochi sono veramente e intimamente convinti che tutto ciò che giungerà dalla vita è veramente il partito migliore per loro, per questo noi ci opponiamo agli accadimenti esterni, perciò affrontiamo la sofferenza della vita.

Noi dobbiamo imparare un’altra virtù tanto poco apprezzata nel mondo moderno che è la pazienza, ed è una qualità che non sappiamo capire bene perché tutto ciò che assaporiamo, lo facciamo con una vorace fagocitazione. Nella fagocitazione vi è la bramosia dell’Ego, che cerca continuamente cose nuove da inglobare per accrescere e rinforzare mentre, invece, nella pazienza di saper coltivare l’arte del vivere vi è sempre un avanzamento lento, progressivo e inesorabile, come per tutte le cose durature e persistenti.

Una cosa tanto essenziale si comprende a livello economico quando si afferma che, dei piccoli risparmi danno delle maggiori ricchezze future, perciò si tende ad investire oculatamente accontentandosi di piccoli rendimenti iniziali in vista di un migliore utile economico futuro. Economicamente sappiamo concepire che, un tasso di incremento più lento, se praticato con margini molto ridotti di rischio è maggiormente stabile e redditizio: è perciò molto grave, nell’economia, far correre grossi rischi con cifre rilevanti di capitali importanti.

Nella vita funziona una uguale paziente pianificazione perciò, finché non possiamo fare altro, cioè nel corso degli eventi dobbiamo vivere in attesa assaporando ogni istante, ma restando pienamente presenti e consapevoli. Certo, una pratica di continua consapevolezza superiore è l’arrivo dei più grandi maestri, perciò accontentiamoci di fare dei piccoli passi con progressi anche lenti. Quando non sappiamo vivere consapevolmente, e non siamo presenti a noi stessi, non dobbiamo mai pensare di essere sconfitti, ma di avere vinto momentaneamente la guerra contro l’inconsapevolezza dell‘Ego, lungo la pratica del ben vivere.

Nella pazienza vi è anche l’accoglienza di noi stessi vedendoci come esseri perfettibili ma non perfetti, perciò vediamoci come un mare che non riesce ad essere sempre calmo per riflettere la luna, ma che riesce sporadicamente a rispecchiare la luce del cielo. Nello stesso modo calmo e profondo concepiamo la nostra calma interiore, che sa rispecchiare placidamente tutto ciò che giunge, sapendo restare fiduciosi e gioiosi di vivere: e così restiamo calmi, perché siamo cullati dal nostro silenzio essenziale; così siamo cullati dall’Amore di Dio.

Rinunciamo allora a dare ogni definizione di noi, perché nel definire noi stessi, ci stiamo anche delimitando e stiamo limitando anche la manifestazione dell’essere interno. Semplicemente restiamo pacificamente con il vivere, e senza alcun secondo fine, non essendoci alcun ego da proteggere o rafforzare: esistiamo nella pura presenza semplice e naturale di nuda essenza, ed è questa che esercita il maggiore potere positivo. Noi siamo noi stessi e restiamo così, perché noi siamo degli esseri semplici, perciò siamo privi di ogni pretesa di apparire qualcos’altro, noi non stiamo manifestando null’altro se non la Presenza di noi: una pura essenza priva di artificiosità diventa amore, fiducia e gioia di vita.

Quando noi ci distacchiamo dalle maschere e dai ruoli, sappiamo diventare presenti come consapevolezza essenziale, perciò diventiamo una sola cosa con la vita, noi diventiamo perfetti perché siamo spontanei e naturali, perchè siamo svincolati da limitazioni e obblighi imposti: per questo si dice che essere completamente in Essenza significa smettere di “volere essere” per "divenire" consapevolezza continua di vita. E’ qui che scompare anche la Presenza del Testimone, in cui vi è ancora la dualità, perché diventiamo Tutt'Uno con la Coscienza Superiore.

Nello smettere di apparire altro da noi non abbiamo la morte, piuttosto diventiamo la nuova vita e il nuovo orizzonte del nostro “nuovo” essere nascente. Amando la vita dimentichiamo tutto per diventare ricettivi a Essere e Vivere, imparando ad accettare tutto quello che viene da Dio come il migliore Sentiero di vita. E sappiamo farlo soltanto se restiamo pienamente innocenti e fiduciosi in ciò che possiamo divenire, perché riconosciamo tutto questo come l’essenza veramente nostra che emerge dall’interno, perciò ci sentiamo veramente Figli beneamati del Padre Misericordioso e Divino.

Nella letteratura spirituale si dice che, è solo quando finisce il frastuono interiore che noi possiamo udire la voce interiore che è la voce di Dio, la parte più autentica della nostra natura interna: è questa la voce dell‘Essenza sana che ama la vita. E’ quando siamo disposti ad esplorare il mondo con la voglia di assaporarlo e con il gusto di vivere, è solo allora che la vita ci trasmette tutto il suo amore: ed è così che l’amore giungerà copioso e vero nella nostra vita reale, perché l‘Amore vero rispecchia sempre un vero Amore che viene inviato, a causa della Legge di Simpatia.

L’amore per la vita non è mutevole, e non è legato alla forma, esso non è effimero ma è pienamente vero ed eterno. Se la nostra volontà di avere amore, e di amare la vita diventa un sentimento vero e sentito anche noi diventiamo Amore, cioè siamo degli esseri amorevoli a cui tutto risponde con Amore. Per avere una vita migliore bisogna ricordare che dobbiamo fare una pulizia mentale, dobbiamo saperci rinnovare, e continuare a coltivare il desiderio di esplorare e di sperimentare per ritrovare ogni giorno l’entusiasmo della scoperta, e l’estasi della vitalità intensa che scorre nelle vene.

E’ nell’arrendersi all’armonia del Tutto che noi possiamo assaporare la beatitudine del vivere, che godiamo l’assoluto silenzio dal rumore mentale, che assaporiamo la pace interiore in cui c’è gioia e delizia, e in cui sentiamo la calma profonda che giunge a placare il fragore prodotto dalla disarmonia della battaglia dell‘Ego. E’ questa assoluta pace interiore che porta la tregua mentale che chiude la guerra, perché il Sé Reale rivela che non può essere sconfitto un nemico inesistente. Arrendersi alla gioia della vita, dice Osho, significa arrendersi all’Estasi di vivere e chiudere la guerra ai fantasmi.

Buona erranza
Sharatan

mercoledì 5 maggio 2010

Il Maestro perfetto


Il tuo maestro non è quello da cui ascolti discorsi,
ma colui la cui presenza ti trasforma.

Non è colui la cui espressione ti guida,
ma colui il cui riferimento spirituale ti penetra.

Il tuo maestro non è colui che ti invita alla porta,
ma colui che solleva il velo che ti separa da Lui.

Non è colui che ti dirige con la parola,
ma colui che ti trasporta con il suo stato spirituale.

Il tuo maestro è colui che ti libera dalla prigione delle passioni,
per introdurti al Maestro dei Mondi.

E’ colui che non smette di pulire lo specchio del tuo cuore,
fino a quando si irradiano le luci del tuo Signore.

Egli ti eleva verso Dio e,
mentre ti elevi, ti trasporta fino a Lui.

Egli non cessa di custodirti,
fino a quando ti pone nelle sue mani.

Egli t’introduce nella Luce della Presenza Divina e ti dice:
“Eccoti, ecco il tuo Signore!”

E’ li il luogo della salvaguardia di Dio,
le fonti della sua assistenza e il tappeto che si riceve da Dio.


(Ibn ‘Ata al-Iskandari)


sabato 1 maggio 2010

Una fiducia fondamentale


Vi è uno specifico orientamento dell’anima che aiuta a capire se la nostra realizzazione spirituale sarà più o meno agevolata innescando la trasformazione interna che porta alla liberazione dai lacci dell’inganno. Esaminando il momento in cui ci risvegliamo vediamo che, prioritariamente, si acquisisce una consapevolezza della convinzione o della identificazione della nostra struttura interna e, successivamente, si attua la dissoluzione della struttura egoica mentale identificata.

La fase della dissoluzione è quella più complessa del processo spirituale, poiché comporta la morte di una parte della nostra identità abituale. Come in ogni fase di abbandono, accade che si avverta una frantumazione dell’Io che lascia dietro di se delle macerie di cui vediamo le rovine ma, da cui non vediamo sorgere realtà future. Ciò che crolla, e ciò che muore, noi lo vediamo chiaramente: ciò che conosciamo viene lasciato, e noi veleggiamo verso delle rive ignote, perciò ci sentiamo sprofondare in un abisso profondo, che è il vuoto di amore e significato, in cui restiamo abbandonati.

Se sappiamo saltare nel vuoto e andare oltre l'abisso, se abbiamo il coraggio di lasciare la sicurezza della terraferma, allora sappiamo avviare la trasformazione che ci porterà alla liberazione, perciò la Risalita è avviata. Molti non riescono a saltare oltre il vuoto, perché il vuoto è troppo terrificante per loro. Quello che fa la differenza, è il possesso o meno, di una fiducia fondamentale nella vita: poiché questa fiducia fa parte delle fondamenta, essa deve essere tacita ed implicita, e non può essere millantata con l'ostentazione di averla.

Cullati dalla fiducia nella bontà della vita, noi siamo certi e fiduciosi che tutto andrà solo per il meglio, e che quello che stiamo percorrendo è il miglior sentiero, e che esso è il migliore percorso per arricchire il senso e l’amore per la vita: è questo lo scorrere lasciandosi condurre dal corso di Tao grande e giusto. Questo felice scorrere è posseduto solo da coloro che ricordano la dolcezza del Grembo del Mondo, e sono coloro che ricordano lo stato beatifico che si assapora nell'essere racchiusi nelle braccia di una madre amorevole e calda.

Winnicott diceva che solo una madre "sufficiente buona ed amorevole" poteva generare dei figli che avessero un "buon contenimento del loro se" interno. Nella mente, nel cuore, e nell’anima di coloro che sono stati accuditi da una madre così dolce ed affettuosa, resta il ricordo indelebile di una sensazione “oceanica” di benessere, cioè del paradiso di “miele e latte” di cui diceva Fromm. E’ questo l’oceano ancestrale da cui tutti noi proveniamo che è in noi indelebilmente impresso, come una infinita dolcezza di essere sempre interiormente cullati e sostenuti; perciò essi vivono come se quel tempo fosse sempre presente.

Sono i figli di madri amorose che diventano amorevoli dentro, perchè conservano un se forte e sostenuto da questa presenza persistente che è come un forte sigillo dell'affetto, infatti sono "marchiati" dalla certezza che quell'amore sarà sempre con loro. E’ questo il motivo per il quale, un individuo così strutturato riesce a superare tutte le peggiori insidie della vita, e troverà sempre la forza per riprendere il timore della sua esistenza: è un se di questo tipo, quello di colui che riesce a fare il Ritorno.

Sono costoro quelli che sanno diventare flessibili, perché posseggono una fiducia interna che non temono di veder morire con le cose che finiscono perché, se le cose cambiano essi sanno conseguentemente adattarsi al fluire dei processi, perciò al corso della corrente. E quanto sia profonda la fiducia che dona una forza così inesauribile e fatale non si pensa, di essa non si fornisce la prova agli altri, ma si attua nella pratica del cambiamento spirituale, perciò si ritrova nel progredire e nel vivere pienamente, e gioiosamente ciò che accade.

Essendo tanto profondamente radicata in noi, di questa certezza indissolubile interiore noi facciamo continuamente esperienza, ed è un'esperienza tangibile perché connessa nell’anima. Questo patto di fede con la vita, è a monte di ogni manifestazione, perchè sgorga dalla Fonte interiore che riflette la superiore Fontana di Vita divina. E’ per questo che, anche nell’alternanza delle vicende del corso del vivere, costoro non vengono mai minati dalle esperienze più dolorose e dai tradimenti che ucciderebbero una fiducia comunemente ordinaria.

Questa fede è la fiducia e la pratica della mente che viene “agita” da una superiore contemplazione della Divinità, come diceva Osho, perchè intravede la logica superiore di tutte le cose che giungono all'uomo. La fiducia fondamentale non si fissa su un elemento, su una cosa o su di una circostanza, ma si rivolge all'orientamento che sentiamo internamente come implicito e giusto, e in cui sentiamo di poterci rilassare, e in cui lasciarsi andare, con lentezza e dolcezza e senza violente forzature.

Se abbiamo una fiducia fondamentale nella vita, noi sentiamo di stare bene internamente, che tutto andrà per il meglio, e che saremo sempre a posto anche in futuro. Quando arriviamo al bordo del cambiamento, noi sappiamo fare il salto senza vedere l’abisso: lo slancio viene preso in modo spontaneo e non stiamo tanto a menarcela, facciamo un rimbalzo per slancirci senza stare a concettualizzare sulla misura, e sul buon esito dell'arrivo finale, poichè è implicito che sarà positivo.

Tutta la vita è un lungo viaggio spirituale, molti dicono, perciò sarebbe opportuno comprendere che dobbiamo smetterla di fingere di provare e non fare nulla per cambiare, smetterla di cercare uno scopo recondito per stare fermi, mentre invece dobbiamo saper mollare le cose, le persone e le convinzioni che sono state una parte in noi, ma che oggi non ci fanno più crescere.

Mentre stiamo facendo il salto, è naturale che insorga in noi la paura, perché stiamo facendo la fase più dura della trasformazione spirituale, cioè quella in cui si eliminano le vecchie strutture, e le identità familiari: è qui che si mette veramente alla prova la forza reale di questo intimo convincimento, è qui che diamo il conto della nostra fede nella bontà e nell’amore che nutriamo per il Padre Celeste!

Se abbiamo una fiducia così ben radicata, anche nella tempesta più spaventosa noi vediamo il puntino di luce del sole splendente che squarcia le nubi con il suo sorriso, vedremo l’arcobaleno che prelude all’alba del nuovo giorno. Anche gli psicologi dicono che non si può descrivere la fiducia, perché è un dono che viene offerto “dal seno di una madre sufficientemente buona” come diceva Melanie Klein: esso è il talento che c’è, oppure che non c’è in noi, perchè è il dono ricevuto da nostra madre.

Colui che la possiede non crede neppure che esista, perciò non conosce le parole per descriverla: su questo argomento egli possiede un’innocenza e un'ignoranza che è fondamentale, e che si basa solo sulla certezza della protezione e della “sincerità del Tao” come diceva Chuang Tseu. E’ da questa fiducia che si vede se l’anima è sintonizzata sulla giusta frequenza d’onda, se è centrata sulla vibrazione superiore della scala d’Armonia per la Legge di Simpatia della volontà del Cielo.

Sapere che tutti facciamo parte di un’unica realtà, significa comprendere che la nostra essenza non è più prigioniera dall’ego, e questo ci guarisce sempre dalla malattia mentale delle preconcezioni: è così che non offriamo la presa al colpo che è devastante per tutti gli altri. Se proviamo ad avere un contatto con questa realtà superiore, l’anima individuale "agirà e sarà agita" in modo tale da mettere a frutto questa Alta Conoscenza tramite la pratica della Saggezza e del Giusto discernimento della Via. L'anima farà la pratica del buon vivere, che è la vera missione che noi abbiamo sulla Terra.

A tutti coloro che hanno perso questa connessione le scelte delle persone coraggiose e fiduciose, potrebbero sembrare incomprensibili e, persino nella mente coraggiosa dell’anima fiduciosa, potrebbe nascere il dubbio con cui l’ego cerca di trattenerla. Ma la connessione qualora sia sperimentata come autentica, perciò ben stabilizzata, agisce in modo automatico ed inconsapevole. E' allora che si viene calamitati, e ci si ritrova a percorrere un sentiero di montagna sapendo che, in fondo al percorso ci aspetta una baita, cioè il rifugio sicuro e confortevole che è la nostra meta.

Per questo, la fiduciosa mente, potrebbe solo dire che ha preso quella Via perché era un sentiero che sentiva nel cuore, come per una sensazione che proveniva dall’anima, cioè dal senso più interno della sua connessione, perciò essa è insieme consapevole e inconsapevole. Ognuno di noi possiede una scorta di fiducia nella vita, si tratta solo di lavorare per rinforzarla, si tratta di lavorare sull’orientamento, e di alimentare la vitalità fisica e intellettuale senza lasciare indietro niente.

E’ questo lavoro di rinforzo sull’orientamento interno, che va avviato, e che attualizza il lavoro di trasformazione spirituale, perciò coloro che riescono ad arrendersi agli accadimenti, coloro che si abbandonano all’osservazione e alla contemplazione dei fenomeni, tutti coloro che osservano ciò che accade in modo naturale, cioè in armonia con gli ordinamenti del Cielo sono costoro, coloro che trovano il coraggio e l’audacia per fare un bel salto.

E se costoro possiedono la fiducia allora non percepiscono il vuoto, ma assaporano la bellezza del volo verso altezze superiori, perché la vita è sempre meravigliosa, poichè essa è sempre senza incrinature dall’ordine e dall’armonia delle cose superiori. La prospettiva di vertigine spaventosa oppure dell'ebbrezza del salto, viene decisa solo dalla nostra interna fiducia, ed è determinata dalla profonda fede nella bontà della Via che il Padre ha tracciato per noi. E quale amore potrebbe mai dimostrare un Padre che non fosse in grado di prendersi amorevolmente cura dei suoi figli? E quale Padre amoroso può negare ai suoi Beneamati figli, tutto quello di cui loro hanno bisogno?

Buona erranza
Sharatan