sabato 29 novembre 2008
La jihad sfida Mumbai città tenera e moderna
Credo che sia inutile trovare parole quando c’è chi riesce a dire le stesse cose che ci risuonano dentro, e riesce a farlo anche meglio di noi stessi. In questi giorni, in cui ci raggiungono immagini di morte e di desolazione, vedo ancora sangue nel mio amato oriente,ed in molti abbiamo una forte paura che la fiamma della tolleranza, della ragione, dell’amore e la speranza di un mondo migliore sia ancora troppo fuori dalla nostra portata. Non troviamo il perché di tanto odio, per cui vorremmo avere le ali per andare via da tutto questo, ma sappiamo che è qui il nostro posto. Ci sono cose che non sappiamo capire, magari lo sapessimo fare, ma dobbiamo restare e provare a credere che la paura non esiste,che non esiste la follia del male.
Dal corriere della Sera, l’intervista di Michele Farina allo scrittore Gregory David Roberts.
“«Ero seduto al Leopold la mattina degli attacchi. Ci vado ogni volta che posso, vivo in zona, ho almeno 20 amici all'Oberoi e al Taj. Sono stato fortunato a venire in Australia a trovare i parenti. Mumbai è ferita, ma io lo so che non ha perso il suo carattere migliore: la tenerezza». Gregory David Roberts è l'autore di Shantaram («l'uomo della pace di Dio», Neri Pozza 2005), il libro in cui ha romanzato la sua già romanzesca vita: un australiano iscritto a filosofia, l'impegno, il divorzio, l'allontanamento dalla figlia, l'eroina, le rapine per pagarsi la droga, il carcere e la fuga in India, la malavita, il traffico di passaporti e quello di armi con i mujaheddin afghani al tempo della guerra con i russi, poi la redenzione, l'apertura di un ambulatorio di strada, il libro, il successo, una moglie in Svizzera e infine il ritorno «a casa» nel 2004 ai tavolini del Cafè Leopold, luogo di culto oltre che di birre Kingfisher e di veggie curry rice (il suo piatto preferito).
Hanno colpito il Leopold perché è frequentato da stranieri?
«Perché è un simbolo di tolleranza. È la tenerezza il carattere distintivo di Mumbai, dell'India, del Leopold. Altrove magari senti che sei in un bar indù o in un caffè musulmano. Al Leopold no. E' un'istituzione, fondato da una famiglia iraniana oltre 100 anni fa. E' un party cafè. Ci si incontra, si scherza, si discute. Mi ricorda una delle cose più belle dell'Islam, il pellegrinaggio alla Mecca, quando i fedeli indossano lo stesso vestito bianco. Re o mendicante, nessuno è migliore di un altro».
Hanno ammazzato 2 camerieri e 5 clienti...
«Me l'hanno detto. I proprietari sono due fratelli, Farzad e Farhang: lavorano con le stesse persone da anni, li trattano come parenti. Mi sembra pazzesco che 12 ore prima che morissero io fossi lì a chiedere loro il solito succo di melograna».
Non ve lo aspettavate?
«Era inevitabile. Un paio di giorni prima sono arrivato in auto sotto un grande albergo, indisturbato. L'ho detto al direttore: "controllate le auto, pensate al Marriott di Islamabad"».
Eppure c'erano stati altri attentati...
«Questi sono di scala diversa. Sarebbe stato impossibile bloccarli».
Lei ha bazzicato con la mafia di Mumbai. Possibile reperire quelle armi a livello locale?
«La supposizione più ragionevole indica un'operazione di jihadisti a livello internazionale, strategia sofisticata e brutalità di ragazzini tipo gli studenti che fanno le stragi nelle scuole Usa. Ci avranno messo un anno a prepararla. La mia idea è che i killer siano arrivati da Paesi diversi: un paio dal Pakistan, un paio indiani, un paio britannici... Tutti armati e addestrati nei campi degli estremisti in Pakistan. Negli ultimi sei anni tutti gli attentatori catturati hanno detto di essere stati addestrati in Pakistan».
Ma è normale metterci tanto a neutralizzarli? I terroristi conoscevano la pianta del Taj, le teste di cuoio no...
«Molti le criticano. A torto. I servizi indiani sono i migliori. Per le stragi ai treni del 2006 ci hanno messo pochi giorni per trovare gli autori. Ma perché non mi chiede come evitare questi attacchi in futuro?».
Ecco, come si fa?
«Eliminare le ingiustizie, risolvere il problema palestinese, appoggiare gli islamici moderati, chiudere i campi in Pakistan, smetterla con l'ipocrisia: chi vince libere elezioni va al governo anche se non piace all'Occidente».
Tra le vittime c'è chi era venuto in India a meditare. C'è il rischio che il Paese perda il suo marchio di spiritualità?
«No. In India non ti serve nulla per essere amato, se vieni con il cuore aperto. La gente lo sta dimostrando in queste ore, negli ospedali, nelle strade. Sono morte centinaia di persone, le cicatrici resteranno. Abbiamo perso l'innocenza, ma l'età della tenerezza non è finita».
Buona erranza
Sharatan ain al Rami
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giovedì 27 novembre 2008
Quando un uomo e una donna diventono uno
Ho coperto i miei occhi
con la polvere della tristezza,
finché entrambi furono un mare colmo di perle.
Tutte le lacrime che noi creature versiamo per lui
non sono lacrime, come pensano molti, ma perle …
Mi lamento dell'anima con l'anima,
ma non per lamentarmi: dico solo le cose come stanno.
Il cuore mi dice che è angosciato per lui,
ma io non posso che ridere di questi torti immaginari.
Sii giusta, tu che sei la gloria del giusto.
Tu, anima, libera dal “noi”e dall’”io”,
spirito sottile in ogni uomo e donna.
Quando un uomo e una donna diventano uno,
quell’uno sei tu.
E quando quell'uno è cancellato, tu sei.
Dove sono questo “noi” e questo “io”?
A lato dell'amato.
Tu hai fatto questo “noi” e questo “io”
perché tu potessi giocare
al gioco del corteggiamento con te stesso,
affinché tutti i “tu” e gli “io” diventino un'anima sola
e infine anneghino nell'amato.
Tutto ciò è vero. Vieni!
Tu che sei la parola creatrice: Sii.
Tu, al di là di qualunque descrizione.
E' possibile per l'occhio fisico vederti?
Può il pensiero comprendere il tuo riso o la tua pena?
Dimmi, è possibile vederti?
Soltanto di cose in prestito vive questo cuore.
Il giardino d'amore è infinitamente verde
e dà molti frutti oltre alla gioia e al dolore.
L'amore è al di là di entrambe le condizioni.
Senza primavera, senza autunno, è sempre nuovo.
Maulānā Gialāl al-Dīn Rūmī
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Maulānā Gialāl al-Dīn Rūmī
martedì 25 novembre 2008
L'inganno dei signori del materialismo
Coloro che si addestrano a risvegliare bodhicitta, sono dei bodhisattva e dei guerrieri, ma non dei guerrieri che fanno del male, ma dei guerrieri di non violenza, dei guerrieri dolci che sanno ascoltare le voci del cuore - diceva Chogyam Trungpa – essi sono uomini e donne forgiati con il fuoco. Questo significa che il guerriero-bodhisattva, quando entra in situazioni difficili, si adopera per alleviare la sofferenza, s’impegna a recidere le reattività personali e l’autoinganno,e si vota a ricercare la vera natura di bodhicitta. Questi guerrieri di amorevolezza, sanno che il male peggiore è quello che proviene dalla nostra mente violenta ed aggressiva, e quando diventano maestri guerrieri, s’impegnano a trasmettere tali insegnamenti anche agli altri. Per tutti sarebbe opportuno relazionarsi al mondo con l’atteggiamento del guerriero-bodhisattva, cioè vivere con coraggio ed amore. Le pratiche più semplici sono l’utilizzo della meditazione, della gentilezza amorevole, della compassione, della gioia e dell’equanimità, perchè non è possibile cercare il risveglio di bodhicitta con pratiche diverse, essendo queste le qualità del cuore di un budda.
Il processo dello sblocco del bodhicitta necessita della conoscenza degli inganni che ci tendono i signori del materialismo. Questi signori dell’illusione, rappresentano i modi con cui l’Io si protegge dalla fluidità del mondo, sono il modo con cui l’uomo cerca di tamponare l’imprevedibilità e l’impermanenza del mondo: sono le strategie che usiamo per darci l’illusione della sicurezza. Conoscere i signori del materialismo, significa imparare le strategie che usiamo per cercare comodità e sicurezze, significa evitare di usare false proiezioni mentali, che ci lasciano ancor più in preda alla paura.
Il primo signore dell’inganno è il Signore della Forma, e rappresenta la nostra abitudine a guardare sempre nel mondo esterno, per cercare un terreno solido e sicuro. Per sfuggire le insicurezze, siamo sempre più dipendenti da situazioni esteriori in cui cerchiamo sostegno o rifugio, ma qualsiasi cosa esteriore ricerchiamo, qualsiasi sostanza, attività o persona, nulla ci farà sfuggire all’insicurezza che è insita nel vivere umano. Forse useremo metodi innocui, o dannosi, o nocivi, però nulla potrà offrire una soddisfazione durevole ma, al contrario, ogni sensazione che cercheremo di sfuggire o soffocare, diverrà ancora più potente. La sofferenza causata dal Signore della Forma è quella di una felicità effimera e temporanea, millantata per felicità autentica e duratura. La pratica di risveglio del bodhicitta, prevede una profonda attenzione a quello che facciamo, ma senza giudicarlo o condannarlo, bensì riconoscendo con gentilezza quanto sta accadendo. Si rimane vittime dei raggiri del Signore della Forma, perché siamo alla continua ricerca di una perfetta e duratura sicurezza. Il secondo signore dell’illusione, è il Signore della Parola, che rappresenta il modo con cui l’Io utilizza ogni genere di credenza e di concezione, per avere l’illusione di poter avere delle certezze sulla natura della realtà. Lo rendiamo nostro sovrano, quando crediamo ciecamente nella correttezza del nostro modo di vedere, senza renderci conto che rendiamo la nostra mente ottusa e ristretta, piena di pregiudizi e di biasimo riguardo gli errori degli altri. Il problema non è costituita dall’avere un credo, ma è costituito dall’uso ottuso che facciamo delle nostre credenze, facendone un baluardo invalicabile, una barriera utilizzata per non considerare il modo di vedere degli altri. Il Signore della Forma, si serve di ottusità e di pregiudizi, ed usa tutti i nostri ideali e le nostre credenze più elevate per farci costruire muri e baluardi divisori. Senza valutare il punto di vista e le diversità altrui, siamo ostacolati nel nostro cambiamento evolutivo, e la vittoria di questa illusione è perfetta. Il terzo signore, il Signore della Mente, è sicuramente il più sottile e il più seduttivo dei tre ingannatori, perché entra in gioco quando usiamo la capacità mentali per vincere i nostri disagi e le angoscie. Agisce quando vogliamo vincere la sofferenza della vita, cercando degli stati alterati della mente, quando usiamo delle pratiche mentali, delle droghe, la spiritualità e anche l’amore, per evadere dal mondo ed assaporare l’ebbrezza di esaltazioni sovramentali. In questo senso anche gli stati straordinari di esperienza, le esperienze di picco sarebbero - secondo il buddhismo tibetano Kagyu – delle fughe dal mondo ordinario, una fuga dal “qui ed ora” insito nel vivere umano. Il problema resta sempre quello delle dipendenze che vengono create, non tanto dalle esperienze in se stesse poiché, essendo inevitabile che ci sia un inizio ed una fine per ogni cosa, quando ci fidiamo del Signore della Mente, andiamo sempre incontro alle delusioni.
E’ naturale usare delle strategie per alleviare il peso dell’esistenza, questo ci insegna la conoscenza dei signori del materialismo, ma avere consapevolezza che queste strategie sono ingannevoli, costituisce un’opportunità. Se conosciamo gli inganni del materialismo, potremo entrare più facilmente in contatto con bodhicitta, perché bodhicitta viene bloccata dagli inganni dell’Io e dai raggiri dei tre signori del mondo materiale.
Il Buddha insegna che l’esistenza umana si basa sull’impermanenza, la non esistenza del sé individuale e la sofferenza o insoddisfazione. Tutti gli esseri, con gradi diversi di consapevolezza, vivono questi sentimenti. Dobbiamo riconoscere che queste qualità del vivere sono reali ed autentiche, e questo ci renderà liberi dalla paura. Quello da cui scappiamo tutta la vita è semplicemente la verità che tutto è trasformazione e mutamento, e che niente e nessuno è fisso. Possiamo dire che una cosa sia bene o male, se la valutiamo sulla prospettiva presente o su quella del medio o lungo termine? Ma fa la differenza se viviamo il cambiamento come fonte di libertà o se lo poniamo come origine di orribili ansie.
Dobbiamo invece imparare una nuova identità di guerriero-bodhisattva, che vede la natura cangiante e mutevole dell’universo come una fonte di continua meraviglia, in cui possiamo scoprire la nostra naturale flessibilità come apertura di prospettive insperate, in cui possiamo non essere intrappolati nelle trappole di successo o insuccesso, in cui possiamo non sentirci come identità definita ma come armonia facente parte del Tutto, in cui vedere ogni minuto e ogni giornata come fonte di gioia e non d’incertezza.
Per un guerriero in formazione, la non esistenza del sé è una fonte di gioia e non di paura, ed essere consapevoli che il susseguirsi di situazioni piacevoli e spiacevoli, fa parte del vivere umano. Non soffriamo perché siamo cattivi, ma perché siamo vittime di raggiri ed equivoci. Il primo equivoco nasce dalla convinzione che il mutamento vada bloccato mentre, in realtà, il cambiamento va cavalcato come un destriero, adattandosi al suo passo senza opporre resistenza.
Nel secondo equivoco, siamo convinti di essere soli e separati, mentre invece siamo una parte dell’Anima del mondo. In preda al terzo equivoco, cerchiamo la felicità dove non possiamo trovarla, per cui ci aggrappiamo a tutto quello che ci offre momentaneo sollievo. Non siamo capaci di tollerare l’alternarsi di gioia e dolore e vorremmo avere sempre gratificazioni. Diventando sempre più incapaci di tollerare il minimo disagio, rischiamo di restare invischiati nelle vecchie abitudini, attuate nell’illusione di rendere la vita più prevedibile e sicura. Otteniamo invece, in cambio, solo un circolo vizioso che, nel pensiero buddista, viene detto Samsara. Vivendo invece il momento presente, con gentilezza amorevole e compassione, possiamo sconfiggere gli inganni dei signori del materialismo e ridestare in noi, il cuore del Buddha.
Buona erranza
Sharatan ain al Rami
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domenica 23 novembre 2008
Trovare la natura di Bodhicitta
La natura dolorosa del Samsara, deve spingerci alla volontà di liberarcene: il “bodhicitta” è questo atteggiamento o attitudine mentale, che scaturisce da una profonda compassione, e che consiste nell’aspirazione di realizzare l’Illuminazione allo scopo di poter poi guidare anche gli altri esseri alla stessa meta. Quando si sviluppa bodhicitta in modo spontaneo e continuativo, si diviene capaci anche di aspirare al compito maggiore di “bodhicitta assoluto”.
Ma cos’è bodhicitta? E’semplicemenete la capacità di agire come “chitta” cioè mente, cuore e attitudine e anche “bodhi” cioè risvegliato, illuminato; cioè agire come un essere completamente aperto. Un tale cuore risvegliato, diceva Chogyam Trungpa, “proviene dall’essere disposto a guardare in faccia il vostro stato mentale […] Dovrete esaminare voi stessi e chiedervi quante volte avete cercato di entrare in contatto con il vostro cuore, pienamente e sinceramente. Quante volte siete fuggiti perché temevate di scoprire qualcosa di terribile riguardo a voi stessi?”
Pema Chodron racconta che la sua prima lezione di bodhicitta, la ricevette a 6 anni. Un giorno, mentre camminava furiosa contro tutti e tutto, tirando calci alle pietre che incontrava sul suo cammino, un’anziana signora, che prendeva il sole sull’uscio di casa, la guardò divertita e gli disse, sorridendo:”Ragazzina, non permettere alla vita di indurirti il cuore.” Pema dice che in quel momento capì perfettamente cosa volesse dire essere in uno stato di bodhicitta, perché dalla vita possiamo farci inaridire fino a perdere la voce del cuore, oppure possiamo far lavorare in noi le sue lezioni di crescita, fino a farci sbocciare nel petto un cuore gentile, compassionevole e misericordioso.
Il cuore risvegliato è colmo di tenerezza rispetto alle cose che incontra sulla sua strada, e se lasciamo che la vita lasci il nostro cuore tenero e generoso, allora, non avremo più bisogno di avere paura di soffrire.
Tutta la vita ci proteggiamo dal dolore, perché ci fa paura. Passiamo anni ad erigere fortezze e bastioni interni, alte mura protettive fatte di pregiudizi e preconcezioni, frutto solo della nostra paura di essere feriti. Tutto inutile, perché succede che tali muraglie vengano spazzate via come fuscelli, quando incontriamo l’avvenimento o la persona, in grado di farci affrontare con violenza noi stessi. Dovremmo invece coltivare la naturale dolcezza del nostro cuore, dovremmo coltivare momenti di vulnerabilità, il senso di fragilità, l’amore, la tenerezza, la solitudine, l’imbarazzo e tutte le sensazioni che dimostrano la nostra umanità, riconoscendogli il diritto di essere; giuste e necessarie, per risvegliare il nostro bodhicitta. Se il nostro cuore si spezza, si piega di fronte alle sofferenze della vita, allora proveremo ansia, panico, tanta rabbia e risentimento verso le cose che lo hanno lacerato. Così continueremo la catena della nostra sofferenza. Ma un cuore che prova una genuina tristezza, e non rabbia, riesce a rimanere cedevole e compassionevole.
Gli stessi concetti di “amico” e “nemico”sono del tutto relativi ed interdipendenti: una persona è amica o nemica non sempre e comunque, per sua natura, ma solo in relazione ad altro. Inoltre quando pensiamo a noi stessi e agli altri, ci appaiono le nozioni di “io” e “altri” come completamente differenti l'uno dall'altro. Ora, questa percezione è erronea.
La motivazione di bodhicitta è la compassione, cioè karuna. Essa consiste nel provare quel che prova ogni altro, il condividere le sofferenze altrui e conseguentemente - poichè nessuno vuole soffrire - è il desiderio che tutti gli esseri senzienti siano liberati dai propri dolori e problemi fisici e mentali.
La compassione è lo strumento attivo per il conseguimento dell’Illuminazione. Karuna sono le nostre azioni quando sono compiute alla luce della “saggezza discriminante”, cioè prajna: infatti, quando la nostra consapevolezza è aperta e viva, allora il nostro a agire, che si basa sulla nostra comprensione, diventa sempre più idoneo ed opportuno.
Così, più siamo consapevoli dell’altra persona, e più siamo capaci d’agire appropriatamente nel nostro rapporto con essa, rendendoci conto di cosa essa abbia bisogno davvero, e cessando d’imporre l’idea di ciò che noi pensiamo debba aver bisogno.
Il Buddha disse che non siamo mai separati dall’illuminazione, anche nei momenti più tristi e duri, in noi dorme sempre la natura dell’illuminato, possediamo sempre la mente del bodhicitta: il sole interno che nessuna nube può ottenebrare. Chi si allena a risvegliare questa natura è un guerriero di conoscenza e non di violenza, afferma Chogyam Trungpa, “che ascolta le voci del mondo.” Anche noi possiamo addestraci a risvegliare il coraggio e l’amore. Un guerriero accetta che non saprà ciò che può accadere, perciò potremmo provare tenerezza, struggimento, sofferenza ed incertezza e questo sarà il segno del risveglio del bodhicitta che dorme in noi. Come un alchimista che trasforma il piombo in oro, così ci ridestiamo alla nostra interna divinità.
Quando le nostre stesse paure destano in noi la compassione per l’essere che soffre, allora sappiamo far scaturire un luogo tenero che ci sostiene e ci conforta nei momenti bui della vita: questo è il supremo atto di coraggio che scaccia la paura. Ciò è quello che è necessario fare, in modo che le asprezze, a cui saremo sottoposti fruttino la nostra naturale evoluzione e maturazione, in modo che non ci lascino invece un pegno di amarezza e di dolore.
Il Buddha insegna che la flessibilità e l’apertura portano forza e che fuggire dall’insostanzialità dell’esistenza ci indebolisce e ci causa sofferenza. Ma potremo mai capire che familiarizzarci con la nostra tendenza alla fuga, è la chiave per risolvere tutto?
Quando riconosciamo le nostre avversioni e i nostri veri desideri, quando impariamo a conoscere senza giudicare il giusto e lo sbagliato dei nostri sentimenti, allora diventiamo obiettivi, allora facciamo crollare le mura interne e permettiamo alla nostra bodhicitta di fluire.
Buona erranza
Sharatan ain al Rami
giovedì 20 novembre 2008
Superare il velo di Maya
Sviluppando i nostri punti di forza e i punti di debolezza, senza dubbio si può divenire una persona sempre migliore, infatti tutto il disordine e la tensione che sperimentiamo a livello personale, non sono altro che il risultato dell’ignoranza di sé e del mondo che ci circonda. Come un ragno che resta invischiato nella sua stessa tela, anche noi siamo imprigionati nei lacci della nostra ignoranza. Con i sensi fisici possiamo percepire il mondo che ci circonda e tutte le cose materiali, ma le facoltà della nostra mente, del nostro intelletto e le caratteristiche della nostra personalità, sono percepite solo dalla nostra coscienza. La coscienza o Anima, che non è percepibile con strumenti fisici e che costituisce il nostro vero sé, il nostro Io, la possiamo percepire solo con la comprensione mentale o intellettiva.
Gli antichi greci e anche gli indiani, percepivano la realtà come costituita da atomi. La parola greca atomos, significa indivisibile ed è simile al termine hindi Atma che significa Sé o Anima, significando l’energia fisica, indivisibile ed in distruttibile che anima l’essere umano. Tutta la realtà che ci circonda è, quindi, formata da punti di energia fisica, cioè da modelli di onde energetiche e di vibrazioni. Tramite i nostri sensi, facciamo una selezione di queste vibrazioni e trasmettiamo queste informazioni alla nostra mente, dove si costruiscono delle immagini mentali. Sono tutti i sapori ed i colori, che rileviamo con i nostri sensi, a costruire la nostra immagine del mondo: così possiamo avere accesso a tutti i diversi livelli di energie fisiche, tramite i nostri sensi corporei.
L’anima è invece il punto-sorgente di energie spirituali, ed è l’entità cosciente della nostra esistenza, ed il termine Atman possiede tre significati: l’Io, l’essere vivente e “l’inquilino” indicando cioè che io sono un essere vivente, l’inquilino del mio corpo fisico, io sono l’anima, cioè l’essere interiore vivo ed intelligente.
Essendo energia, l’anima è asessuata benchè disponga di qualità sia maschili che femminili. Nel manifestarle essa viene condizionata dal genere del veicolo corporeo che la ospita, e viene influenzata anche da condizionamenti ed aspettative sociali, ma la distinzione esiste solo nei corpi perché l’anima è indifferenziata.
Per definire i propri limiti e per costruire la consapevolezza corporea, l’essere umano opera la distinzione tra “io” e “mio”e definisce come mio le cose che gli appartengono e come “io” la coscienza di sé stesso. Molto spesso la coscienza di ciò che è mio, si espande in ogni direzione, non solo rispetto ai limiti del corpo o alle facoltà interiori, ma tracima come un fiume in piena nel mondo esterno, cercando di inglobare tutto ciò con cui ci rapportiamo. Iniziamo a vedere come “mio” non solo il nostro corpo, ma anche la mia macchina, la mia casa, mio fratello, mio marito, mio figlio, mia moglie. Con il tempo tendiamo a conservare e trattenere tutto, come se fosse di nostra proprietà esclusiva, ma “il mondo è un vaso di spiriti che non si fa forgiare” diceva Lao Tze per cui, più vogliamo trattenere qualcosa con la forza, più essa ci sfugge. Pur rendendoci conto dell’inutilità di questo atteggiamento e della natura effimera del mondo materiale, comunque ci aggrappiamo ad esso con fiera determinazione, sviluppando sempre maggiori attaccamenti e maggiori dipendenze ed alimentando la paura di perdere i nostri possessi. Quando ci identifichiamo con le cose che ci circondano, oltre ad alimentare la paura, disperdendo le nostre energie, soffochiamo anche le nostre qualità innate, cioè il nostro vero essere.
Facendo l’elenco di tutte le cose, che ci potrebbero ostacolare nella nostra evoluzione, probabilmente citeremo l’età, il sesso, la salute, la famiglia, il lavoro ed eventuali difetti o dipendenze personali, ma a ben osservare, sono le stesse cose di cui tendiamo a rivendicato il possesso esclusivo, le stesse a cui, al sopraggiungere dei problemi, attribuiremo poi tutte le colpe, e che useremo come capri espiatori. La realtà non dovrebbe esser vissuta come una conquista di territori personali, ma come una conquista di consapevolezza sempre crescente, da cui invece ci difendiamo disperatamente.
Secondo l’antica saggezza religiosa indiana dei Veda (5000 a.C.) la dea Maya, dopo la creazione della terra, la ricoprì di un velo che impedisce agli uomini di conoscere la vera natura della realtà. E’ scritto: “Maya è il velo dell’ illusione, che ottenebra le pupille dei mortali e fa loro vedere un mondo di cui non si può dire né che esista né che non esista; il mondo, infatti, è simile al sogno, allo scintillio della luce solare sulla sabbia che il viaggiatore scambia da lontano per acqua, oppure ad una corda buttata per terra, ch’egli prende per un serpente.”
Secondo l'Advaita Vedānta, questo “velo” è rappresentato dall'identificazione con il corpo, con la mente, con l'intelletto e con la propria stessa individualità, il senso dell'io (ahamkara), ovvero tutto ciò che ricopre e riveste l'Atman, l’unica entità eterna ed immortale, impedendo di riconoscere la propria identificazione con esso ed illudendo così l'anima individuale di essere separata dal Tutto. “La conoscenza del Sé è il senso della vita.” (Kena Upanishad vakya bhasya, II, 5)
Per realizzare il Sé nei diversi livelli di conoscenza, di creatività ed amore, bisogna trascendere l’egoismo, la possessività, la paura, la solitudine e l’angoscia, e ciò si può fare, eliminando le false idee di “mio” e “io”.
Nelle Upanishad si sostiene l’esistenza di una forza primordiale, uno spirito universale impersonale, eterno e immutabile che sta alla base di tutto l’universo: Brahman. Ogni individuo ha un nucleo immortale, un Sé, un’anima eterna chiamata Atman che, alla morte del corpo, si reincarna in altri corpi, seguendo un ciclo negativo di sofferenza (Samsara) dal quale bisogna trovare la via per liberarsi.
Il nostro essere spirituale, il Sé che è la parte essenziale e più reale di noi è, di solito, celato, chiuso, come avviluppato nelle sensazioni corporee, dominato dalle nostre sensazioni e pulsioni e tiranneggiato dalla mente inquieta e turbolente. E’ necessario togliere questi avviluppi, affinchè si riveli la vera essenza spirituale. Soltanto la conoscenza distrugge l’ignoranza, come la chiara luce dissipa l’oscurità, perché il Sé si manifesta soltanto nell’intelletto puro, essendo esso il sole di Conoscenza, è fissato nello spazio del cuore, ed è Colui che dissolve l’oscurità; essendo l’onnipervadente sostrato di tutto, Esso infinitamente risplende e fa ogni cosa risplendere.
La nostra anima eterna, il nostro Sé, l’Atman, è come una goccia d’acqua. Come la goccia, sembra autonoma e separata dall’oceano ma, ben presto tornerà all’oceano (Brahman). La sensazione di separatezza tra la nostra anima e quella universale, così come la sensazione di separatezza che riscontriamo nel mondo dei fenomeni che ci circondano, è un’illusione (Maya) dalla quale sfuggire.
E’ la sensazione di separatezza dal Tutto che ci induce la disperazione, che ci spinge all’attaccamento e alla dipendenza dalle cose. La nostra anima è avvolta dal velo delle illusioni, dal velo di Maya, del quale dobbiamo liberarci per scoprire che essa coincide con l’anima del mondo, e che la nostra anima è un riflesso eterno dell’anima eterna del Tutto.
Le Upanishad insegnano la via per liberarsi dal Samsara per permettere ad Atman, squarciando il velo di Maya, di ricongiungersi con Brahman. Si afferma nelle Upanishad: “Atman non invecchia quando s’invecchia, e non muore quando si viene uccisi” perché il suo destino è ritornare nell’oceano di Brahman.
Buona erranza
Sharatan ain al Rami
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lunedì 17 novembre 2008
A geriatric assault on Italy's bloggers!
Adnkronos/Dpa informa che, a Yangon, l’11 novembre scorso, è stato condannato ad oltre 20 anni di reclusione, un popolare blogger birmano accusato, come riferisce la Bbc, di aver messo in rete una vignetta, che aveva per oggetto, il leader della giunta militare al potere nel paese, il generale Than Shwe. Nay Myo Kyaw, noto con il nick di Nay Phone Latt, è stato condannato a 20 anni e 6 mesi dalla Corte speciale di Yangon. Il giovane blogger, ex esponente del partito di opposizione Lega Nazionale per la Democrazia che fa capo a Aung San Suu Kyi, era stato arrestato il 29 gennaio scorso, 3 mesi dopo le manifestazioni dei monaci buddisti nella ex capitale. Le manifestazioni, che erano state ampiamente descritte dal 28enne esperto di informatica nei suoi blog, si conclusero nel settembre 2008, con una violenta repressione militare ed un bilancio di 30 morti, centinaia di dispersi e migliaia di persone imprigionate.
In Italia, sono di questi giorni le polemiche accese in rete, sulle ultime novità sul decreto di legge che dovrebbe “normare pesantemente” l’attività dei bloggers. Questa riproposizione del disegno di legge sull'editoria, del deputato Riccardo Franco Levi, risalente alla scorsa legislatura e oggi tornato alla ribalta, fa scendere i bloggers sul piede di guerra.
Da anni si tenta di rivedere il comparto normativo legato agli editori, ma il tutto si è sempre arenato su posizioni miopi e fragili, che l'avvento del web ha ulteriormente indebolito. Bernhard Warner, giornalista del Times, il 24 ottobre 2007, alla prima stesura del ddl, scrisse nell’articolo:”A geriatric assault on Italy's bloggers” che ”Romano Prodi, il primo ministro, ha 69 anni, e ha battuto il 71enne Silvio Berlusconi alle ultime elezioni. Il Presidente Giorgio Napolitano, 82, ha davanti ancora sei anni prima di finire il mandato; il suo predecessore ne aveva 86 quando lasciò il Quirinale. Nella sfortunata ipotesi che l'Italia dichiari guerra a qualcuno, la decisione verrà da un capo di stato che aveva quasi vent'anni quando i tedeschi si arresero alla fine della seconda guerra mondiale. Penso che questa prospettiva sia una necessaria introduzione a qualsiasi discorso riguardo la politica italiana con chi non ne sa abbastanza. Se il governo italiano non vi sembra adatto al mondo moderno, la spiegazione è molto semplice: anche il vostro paese farebbe lo stesso, se fossero i vostri nonni a essere al potere.”
Il testo criticato, inizia con una definizione di attività editoriale, così da circoscrivere il campo d'applicazione della legge: “Ai fini della presente legge, per prodotto editoriale si intende qualsiasi prodotto contraddistinto da finalità di informazione, di formazione, di divulgazione o di intrattenimento e destinato alla pubblicazione, quali che siano la forma nella quale esso è realizzato e il mezzo con il quale esso viene diffuso”. All'art. 6 v'è un primo approfondimento: “Ai fini della presente legge, per attività editoriale si intende ogni attività diretta alla realizzazione e alla distribuzione di prodotti editoriali, nonché alla relativa raccolta pubblicitaria. L'esercizio dell'attività editoriale può essere svolto anche in forma non imprenditoriale per finalità non lucrative”. Ma è all'art. 8 che, per definire l'editoria in contrasto alle attività informative sul web, si legge: “Sono esclusi dall'obbligo dell'iscrizione nel Registro degli operatori di comunicazione (ROC) i soggetti che accedono alla rete internet o che operano sulla stessa in forme o con prodotti, quali i siti personali o a uso collettivo, che non costituiscono il frutto di un'organizzazione imprenditoriale del lavoro”. E, in un altro comma dell'art. 8 si definisce anche le responsabilità: “L'iscrizione nel Registro degli operatori di comunicazione dei soggetti che svolgono attività editoriale sulla rete internet rileva anche ai fini dell'applicazione delle norme sulla responsabilità connessa ai reati a mezzo stampa.”
Scrive Luca Spinelli, nel suo blog (http://www.lucaspinelli.com) ”A seguito delle moltissime proteste, Vincenzo Vita (vice presidente della commissione cultura del Senato), Giuseppe Giulietti (membro della commissione cultura della camera) e Bruno Murgia (membro della commissione cultura della camera) prendono le distanze. I primi due, intervistati dall’associazione Articolo 21 che si è attivata sulla vicenda, chiedono il ritiro del provvedimento e affermano: “Alla Commissione Cultura della Camera è arrivato un vecchio testo presentato da Levi che, effettivamente, pone alcuni rischi per il futuro dei blogger. L’impegno congiunto da parte nostra - proseguono Vita e Giulietti - sarà quello di chiedere allo stesso Levi il ritiro di quella proposta e di elaborare insieme un nuovo ddl che tenga presente le richieste e le necessità provenienti proprio dal mondo dei blogger che, con il loro lavoro quotidiano, riempiono di contenuti la rete e di informazioni talvolta mancanti.” Il deputato Bruno Murgia, dal canto suo, avverte che ci si trova ancora in uno stadio embrionale della legge e afferma che “le intenzioni sono buone, ma è evidente che il mondo di internet è decisamente più complesso e non può essere regolato con un colpo netto come questo.”
Interessante il commento di Francesco Aprile su The Million Portal Bay (blog noto per le inchieste sul portale italia.it), che pubblica un’attenta analisi su una questione da molti sottovalutata: gli interessi di partito e degli editori verso i finanziamenti pubblici che il ddl girerebbe astutamente anche alle testate online. Intanto prosegue la raccolta di adesioni del gruppo di Facebook contro il ddl, che ha raggiunto quasi 20.000 iscritti (tra cui vari nomi noti come Pino Scaccia, Mina Welby, Marco Cappato) e si programma l’invio di lettere ai membri delle commissioni, per destare i legislatori italiani, sulle necessità informatiche della nostra nazione. Staremo a vedere.“ Conclude Luca: “In linea generale, comunque, ciò che mi preoccupa non è tanto l’improbabile chiusura di mezza blogsfera italiana, quanto piuttosto il potere intimidatorio che questa legge porta con se. Così come già molte altre in Italia, buone solo per essere tirate fuori ogni volta che c’è bisogno di un cavillo legale cui appendersi. Invece che chiarire e ripulire uno dei corpus normativi più grandi e impenetrabili al mondo - vero bengodi per i “cavillanti” - si propongono altre leggi fumose e contestabili che prestano il fianco a pruriti censori. Questo mi preoccupa.”
Nel frattempo Antonio di Pietro offre il patrocinio gratuito a tutti coloro che fossero denunciati per la loro attività di bloggers (http://www.antoniodipietro.com/2008/11/no_allammazza_blog.html) e sono numerosissime le adesioni in un gruppo costituito su Facebook e alla petizione di Francesco Addante su: http://firmiamo.it/noallaleggeantiblog.
Non volendo fare nessuna protesta, non ci resta che abbigliarsi alla moda birmana.
Buona erranza
Sharatan ain al Rami
domenica 16 novembre 2008
La sua vita non è piena, inutile accanirsi
Da: Il Messaggero di Domenica 16 Novembre 2008:
CITTA’ DEL VATICANO (15 novembre) - Carità, comprensione, pietas. Sono parole che ripete più e più volte pensando a Eluana. Monsignor Giuseppe Casale, classe 1923, ex arcivescovo di Foggia è una voce fuori dal coro che, con coraggio, preferisce arrestarsi davanti al grande mistero della morte. Da pastore lui si rifiuta di dare giudizi, di emettere condanne. «Di fronte a questo grande mistero dovremmo avere tutti più rispetto e attenzione. Soprattutto lasciare la possibilità agli interessati di decidere in modo chiaro e sereno».
Dunque lei è favorevole al testamento biologico?
«Sì senza dubbio. Io sono per una vita piena. Nel caso di persone costrette allo stato vegetativo permanente, dico solo che ci si accanisce sulla vita. Eluana vive perché alimentata artificialmente. La sua è una vita ridotta al minimo, non è una vita piena, è vita vegetativa».
Ma è sempre vita.
«Mi interrogo e mi chiedo: davanti a casi simili si può parlare di vita umana, intesa come esistenza piena di relazioni? Noi sappiamo che esistono ammalati gravi, gravissimi, che al contrario possono interagire, farsi ascoltare, essere toccati, reagire, amare, avere sensibilità: ecco, questa per me è ancora vita, per il resto si può solo parlare di stato vegetativo. Posso capire, accostandomi con pietas cristiana, la decisione di un padre davanti ad una figlia in quello stato».
Lei contesta l’accanimento terapeutico?
«Io osservo solo che tutto questo chiasso, la solita battaglia tra guelfi e ghibellini, impedisce di fatto una riflessione serena, che in Italia sarebbe importante. E invece si litiga e alla fine, purtroppo, si perde di vista un aspetto importante: che l’alimentazione artificiale, come quella somministrata dai medici ai malati in stato vegetativo permanente, è una forma di accanimento, se la si toglie provoca la morte. Pertanto, forse, non si può più parlare di eutanasia. Penso che bisognerebbe definire al più presto il problema del testamento biologico, contenente le ultime volontà di vita».
Cosa direbbe al signor Englaro, se lo avesse davanti?
«Lo abbraccerei, gli farei arrivare la partecipazione con la quale, a distanza, l’ho accompagnato spiritualmente in questo calvario, da quando è iniziata la malattia della ragazza, sino al dramma successivo. Il mio augurio è che possano arrivare la pace e la serenità, sia per Eluana che per lui. Pregherò per loro».
Staccare l’alimentazione e l’idratazione non è eutanasia?
«In questo caso alimentazione e idratazione si possono parificare ad un accanimento terapeutico. E poi comunque, quando c’è un consenso alla base. Voglio dire che il padre sapeva bene che cosa avrebbe voluto la figlia medesima».
Lei ricorrerebbe a disposizioni ben precise nel caso dovesse trovarsi in condizioni analoghe a quelle di Eluana?
«Certamente. Per una persona che crede, e io credo in Dio onnipotente, la fine della vita non è “la fine” ma solo il passare da una condizione all’altra. Per un cristiano non è la morte totale. Se mi ritrovassi in una situazione analoga, non vorrei che mi alimentassero artificialmente con le macchine. Noi continuiamo a fare battaglie per la vita, come se la morte terrena fosse la fine della persona, e invece si schiude una esistenza nuova».
Decisamente controcorrente.
«Credo nell’immortalità dell’anima e nella resurrezione dei corpi. Non so cosa il Signore mi riserverà, ma non vorrei nessun accanimento. Spererei solo di avere accanto a me persone care, cui affidare parole di speranza, nella certezza che ci si rivedrà nel Signore. Noi continuiamo a fare un errore grossolano...».
Cioè?
«Vedere la morte e la malattia grave con l’occhio della tecnica, mentre dovremmo accostarci al nostro spegnimento come un passaggio, non dunque come un pericolo, una mannaia».
Fa sempre piacere incontrare una persona che ha impresso nel suo cuore i precetti che predica agli altri. Trovo che le parole di Monsignor Casale siano quelle di un vero pastore di anime, e le diffondo volentieri ai miei amici, per sconfessare la sensazione che "tutto il mondo è discordia" mentre esiste ancora amore e compassione.
Buona erranza
Sharatan ain al Rami
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venerdì 14 novembre 2008
La sacra pianura di Dharmakshetra
Ricerchiamo la solitudine ed il silenzio, perché la domanda di spazio e di silenzio è forte quando dobbiamo riflettere, senza che i rumori e le presenze esterne, disturbino la nostra concentrazione ed il nostro raccoglimento interno. La solitudine diviene quindi una necessità, diviene una fuga “dalla pazza folla”, diviene un’uscita dal mondo, per entrare in uno spazio silenzioso fatto di calma concentrazione.
La solitudine ha, però, una faccia negativa che è costituita dall’isolamento, in cui appunto si diviene un’isola, cioè una monade separata ed avulsa dal resto del mondo. Quando la solitudine diviene isolamento, e un forte ripiegamento su se stessi, allora può divenire una solitudine letale, da cui ci si deve sottrarre con forza di volontà e determinazione, cercando occasioni per uscire e frequentare delle persone. L’ideale, sarebbe quello di coltivare il maggior numero possibile di amici e di occasioni sociali, al fine di potersi permettere una maggiore varietà e ricchezza di relazioni.
Positiva è la solitudine che favorisce i momenti d’introspezione e di ricostruzione, ma il protrarsi della solitudine, fino ad annullarsi in un isolamento pieno e totale, non può che segnalare una tendenza disperata e una mancanza di speranza nei rapporti umani. Va allora discriminato, e vanno accettati solo quei momenti di solitudine ricercati per un fine costruttivo, cioè la solitudine utile, quella usata per riflettere e stare in pace con sè stessi, quella usata per ascoltare le indicazioni che emergono dal profondo: la voce del nostro guru interno.
Paramhansa Yogananda racconta che, la Bhagavad Gita inizia con il re cieco Dhritarashtra, che chiede notizie a Sanjaya sull’andamento della battaglia in corso a Dharmakshetra. Tale battaglia chiaramente non è fisica, ma sta ad indicare la lotta interiore dell’uomo, come pure il re cieco è l’immagine della mente umana, che percepisce il mondo esterno solo tramite i sensi, quindi in modo cieco, e Sanjaya rappresenta l’introspezione.
“Il re cieco Dhritarashtra (la mente cieca) chiese a Sanjaya (l'introspezione imparziale): “Che cosa fecero i miei figli, le cattive, seducenti tendenze mentali e dei sensi, opposti alle pure tendenze mentali discriminative, radunatisi sulla sacra pianura del campo di battaglia della Vita (Dharmakshetra) desiderosi di darsi battaglia psicologica e morale?”
Tutta la Bhagavad Gita fa riferimento al campo della coscienza umana, per cui è naturale chiedersi chi stia vincendo, e questa domanda è il nucleo dell’opera. Si supera l’illusione - avverte Yogananda - quando si distingue quale sia la vera vittoria, quale sia quella fittizia e quale poi, alla prova dei fatti, si rivelerà una schiacciante sconfitta.
Perciò l’introspezione è un aiuto essenziale, perché non è affatto semplice riconoscere ciò che è giusto e ciò che è sbagliato. All’atto introspettivo cosciente, va unita la guida intuitiva proveniente dal Guru saggio che risiede nel nostro interno.
Ma con quale risorsa l’uomo esce vittorioso, da questa cieca notte di ignoranza? Vi sono degli elementi chiave, che Yogananda indica, per uscire vincitori dalla battaglia psicologica. Uno dei mezzi da usare è l’espansione della felicità e della libertà interiore. Un’ulteriore elemento a nostro favore è costituito dall’allargamento della coscienza. Un terzo elemento essenziale, è l’espansione della compassione per gli altri, ed infine, complementare a tutti, la calma interiore.
Ma la mente, che conosce il gioco dell’inganno, usa questi punti di forza, per illuderci di avere trovato le nostre vere soluzioni, per cui traveste le opposte emozioni, con le stesse ingannevoli apparenze, trasformando false felicità in felicità vere.
Ma il segno sicuro che esse siano o meno false, è offerto dai sentimenti che ad esse si accompagnano, qualora trasmettano una profonda ed inquieta eccitazione, invece che una calma sempre più profonda. Perciò una espansione di coscienza mal controllata, causa una sensazione di aumento di potere e di egocentrismo personale, una compassione male indirizzata agli altri, può causare un’eccessivo carico di aspettative nei loro confronti e un’eccessiva possessività, e persino la calma può degenerare in totale indifferenza ed apatia. Come capire quale sia il corso vero e il corso sbagliato, nella vita?
Secondo Yogananda, la risposta è nel fare ciò che funziona. Solo dai risultati si riesce a capire, se la scelta fatta sia stata giusta, ben ricordando però, che se usiamo i mezzi sbagliati, anche se a buon fine, il risultato finale produrrà sempre disarmonia e fallimento. Il giusto procedere di un’azione, deve produrre armonia, buona salute, uno stato di equilibrio e la capacità di continuare a dirigersi con ragionevolezza e discriminazione verso ciò che si cerca di conseguire, cioè verso i nostri obiettivi. Dove troviamo gioia, espansione di coscienza, compassione e calma interiore, sentiremo sempre un’energia che si muove dalla spina dorsale e si eleva, circolando nel corpo e facendoci felici: quello sarà il nostro posto giusto. Un ottimo modo di valutare la giustezza del nostro agire, è anche quello di valutare le reazioni degli altri, senza però dimenticare che gli altri si lasciano spesso influenzare da reazioni di simpatia ed antipatia, dall’interesse personale e dalla valutazione egoistica: per questo l’introspezione (Sanjaya) resta la via più sicura, la via della saggezza.
Esaminando le nostre emozioni, in modo onesto e sincero, avremo una chiara comprensione di ciò che è meglio per noi.
Schierate contro di noi, troveremo sempre tutte le nostre tendenze sbagliate, trasformate in cattive abitudini, che vanno comprese e trasformate positivamente. Così quando il re cieco Dhritarashtra, chiede a Sanjaya, quale sia l’esito della battaglia, questi risponde: “Giudica i tuoi pensieri e le tue azioni dai loro effetti, in primo luogo su te stesso e quindi sugli altri. Inducono alla pace? Arrecano beneficio al maggior numero possibile di persone? Contribuiscono ad espandere la tua comprensione e la tua compassione? Hanno portato maggiore armonia nel tuo ambiente? O hanno prodotto disarminia? Ispirano te e gli altri? Oppure, in generale, hanno portato meno speranza o perfino disperazione?”
Ricordiamo solo che le vie dell’errore sono innumerevoli, avvisa Yogananda, mentre quelle della giustizia sono limitate.
Potrebbe sembrare un male, io penso invece che così abbiamo minori occasioni di compiere azioni sbagliate.
Buona erranza
Sharatan ain al Rami
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mercoledì 12 novembre 2008
Lo scambio del libero ed il servo arbitrio
Non volevo parlare di Eluana Englaro, ma lo faccio perché sono indignata, perché il viso di quella ragazza, il viso bello e sorridente, quegli occhi luminosi, quel sorriso radioso che vedo nelle foto, mi convincono sempre più che è vero quello che di lei, dice suo padre. Lei era libera come il vento, era fatta per volare, per correre, per ridere, per essere felice, non per essere prigioniera. Lei non può essere intrappolata in un corpo, come una crisalide nel suo bozzolo, una povera crisalide che non diventerà mai farfalla, perenne crisalide da 16 anni.
Non immagino quanto possa costare ad un padre, assistere impotente alla violenza quotidiana della volontà e del libero arbitrio di una figlia amata. Non immagino quanto possa costare chiedere la morte della persona che si ama, perché sappiamo che per lei è meglio così. Sarà facile chiedere che un essere amato, possa morire definitivamente?
Questa ragazza è diventata un simbolo suo malgrado, e per questo un uomo pieno di dignità, è costretto davanti alle telecamere, e deve vedersi sezionare, dagli occhi impietosi di noi tutti, per portare avanti la battaglia di libertà per sua figlia. E’ evidente che non ama le luci della ribalta, ma è sicuro che l’amore per Eluana ha dimensioni enormi, quelle dei grandi amori, quelli veri, quelli che vedono solo il bene dell’altro; per questo lotta affinchè sua figlia sia liberata.
La lotta è dura, perché dietro il “caso Englaro” - destinato ad essere un precedente giuridico - si nasconde il gioco più grande dell’autodeterminazione, cioè si gioca la partita delle libertà fondamentali del cittadino, di quelle che definiscono i diritti che i cittadini possono rivendicare e di cui lo stato deve garantire il rispetto. Stiamo attenti perchè qui si gioca il diritto al libero arbitrio e la domanda sorge spontanea: ma io sono o no, padrone del mio corpo? Mi è concesso di esercitare la forma più elementare del libero arbitrio, cioè l’affermazione di volontà? Se ciò non avviene, allora mi hanno scambiato il libero con il servo arbitrio. Se non sono libero incondizionatamente, ma solo in modo ridotto e condizionato, la stessa presenza di condizioni, nega ogni possesso di una piena libertà e afferma un asservimento della mia libertà ad una autorità esterna.
E qui casca l’asino, perché “E’ da quattro legislature che il testamento biologico è all’ordine del giorno nel nostro Parlamento. Questo ritardo è gravissimo. In altri Paesi hanno iniziato a occuparsene un quarto di secolo fa e hanno la legge da tempo - così dichiara Ignazio Marino, senatore del Pd e capogruppo in Commissione sanità, autore di disegni di legge sulla materia - proprio così, ma il problema delle terapie di fine vita non è più rinviabile. Oggi decidono medici e rianimatori, invece occorre una legge che dia garanzie, che rispetti la volontà del singolo. Non può essere lo Stato a decidere, la morte è un fatto personale.
Lo ha anche sancito la Corte suprema degli Stati Uniti nel 1987. Non si può non tenere conto di alcune cose fondamentali: da un lato si allunga la vita media, dall’altro aumenta la possibilità di avere tecnologie per supportare funzioni vitali. Ebbene, i Padri Costituenti nel ’47 definirono il diritto alla salute, ma non il dovere alle terapie: un concetto avanzatissimo. La Costituzione prevede, con l’articolo 32, la libera scelta sui problemi di salute. Certo, cinque anni prima dell’invenzione del respiratore automatico e 15 anni prima della nutrizione artificiale i padri della Costituzione non sapevano che si può restare in vita senza parlare. Per questo non hanno previsto il consenso esplicito alle cure. Le volontà per il fine vita devono essere scritte e possibilmente va nominato un fiduciario, io nominerei una persona che mi ama e che io amo e che si prenda la responsabilità di far rispettare la mia volontà. Questo serve quando una persona non ha più una ragionevole speranza di recupero dell’integrità intellettiva. C’è chi vuole renderle sempre e comunque obbligatorie, ma quando una persona è alimentata artificialmente quella è terapia e per me non può essere obbligatoria. Nè ci può essere una legge che obblighi a infrangere l'alleanza tra medico e paziente”.
In questi giorni la Chiesa cattolica interviene con decisione sul caso di Eluana, dichiarando: “E’ una mostruosità. Privarla dell’idratazione e dell’alimentazione significa ammazzarla, è una cosa disumana". Questo è il messaggio lanciato tramite il cardinale Javier Lozano Barragan, presidente del Pontificio Consiglio per la Salute.
Io non sono sicura che è la cosa che avrei voluto sentirmi dire, e non credo che abbia fatto bene al padre di Eluana la durezza di queste parole. Le ho trovate dure, perché ho immaginato come sarei stata io, se fossi stata nei panni di quell’uomo. Sono panni scomodi, e lui aveva bisogno di ben altre parole, andava piuttosto consolato per il suo dramma, e non condannato.
Dalla Santa Madre Chiesa avrei voluto sentire ben altre parole, avrei voluto sentire qualcosa di diverso, come per esempio... “In una convivenza ordinata e feconda va posto come fondamento il principio che ogni essere umano è persona cioè una natura dotata di intelligenza e di volontà libera; e quindi è soggetto di diritti e di doveri che scaturiscono immediatamente e simultaneamente dalla sua stessa natura: diritti e doveri che sono perciò universali, inviolabili, inalienabili.[…] Nella convivenza umana ogni diritto naturale in una persona comporta un rispettivo dovere in tutte le altre persone: il dovere di riconoscere e rispettare quel diritto.[...]
Che se poi si considera la dignità della persona umana alla luce della rivelazione divina, allora essa apparirà incomparabilmente più grande, poiché gli uomini sono stati redenti dal sangue di Gesù Cristo, e con la grazia sono divenuti figli e amici di Dio e costituiti eredi della gloria eterna […] Ogni essere umano ha il diritto all’esistenza, all’integrità fisica, ai mezzi indispensabili e sufficienti per un dignitoso tenore di vita, specialmente per quanto riguarda l’alimentazione, il vestiario, l’abitazione, il riposo, le cure mediche, i servizi sociali necessari; ed ha quindi il diritto alla sicurezza in caso di malattia, di invalidità, di vedovanza, di vecchiaia, di disoccupazione, e in ogni altro caso di perdita dei mezzi di sussistenza per circostanze indipendenti dalla sua volontà […] Ogni essere umano ha il diritto al rispetto della sua persona; alla buona riputazione; alla libertà nella ricerca del vero, nella manifestazione del pensiero e nella sua diffusione, nel coltivare l’arte, entro i limiti consentiti dall’ordine morale e dal bene comune; e ha il diritto all’obiettività nella informazione […] Ognuno ha il diritto di onorare Dio secondo il dettame della retta coscienza; e quindi il diritto al culto di Dio privato e pubblico. Infatti,come afferma con chiarezza Lattanzio: "Siamo stati creati allo scopo di rendere a Dio creatore il giusto onore che gli è dovuto, di riconoscere lui solo e di seguirlo". Questo è il vincolo di pietà che a lui ci stringe e a lui ci lega, e dal quale deriva il nome stesso di religione. Ed il nostro predecessore di i. m. Leone XIII cosi si esprime: "Questa libertà vera e degna dei figli di Dio, che mantiene alta la dignità dell’uomo, è più forte di qualunque violenza ed ingiuria, e la Chiesa la reclamò e l’ebbe carissima ognora. Siffatta libertà rivendicarono con intrepida costanza gli apostoli, la sancirono con gli scritti gli apologisti, la consacrarono gran numero di martiri col proprio sangue".[…]La dignità di persona, propria di ogni essere umano, esige che esso operi consapevolmente e liberamente. Per cui nei rapporti della convivenza, i diritti vanno esercitati, i doveri vanno compiuti, le mille forme di collaborazione vanno attuate specialmente in virtù di decisioni personali; prese cioè per convinzione, di propria iniziativa, in attitudine di responsabilità, e non in forza di coercizioni o pressioni provenienti soprattutto dall’esterno. Una convivenza fondata soltanto su rapporti di forza non è umana. In essa infatti è inevitabile che le persone siano coartate o compresse, invece di essere facilitate e stimolate a sviluppare e perfezionare se stesse.[…] L’autorità che si fonda solo o principalmente sulla minaccia o sul timore di pene o sulla promessa e attrattiva di premi, non muove efficacemente gli esseri umani all’attuazione del bene comune; e se anche, per ipotesi, li movesse, ciò non sarebbe conforme alla loro dignità di persone, e cioè di esseri ragionevoli e liberi. L’autorità è, soprattutto, una forza morale; deve, quindi, in primo luogo, fare appello alla coscienza, al dovere cioè che ognuno ha di portare volonterosamente il suo contributo al bene di tutti. Sennonché gli esseri umani sono tutti uguali per dignità naturale: nessuno di esso può obbligare gli altri interiormente. Soltanto Dio lo può, perché egli solo vede e giudica gli atteggiamenti che si assumono nel segreto del proprio spirito.”
Queste sarebbero le parole giuste, queste sono parole adatte, queste sono le parole contenute nell’enciclica “Pacem in terris” di Giovanni XXXIII.
Buona erranza
Sharatan ain al Rami
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martedì 11 novembre 2008
In equilibrio tra la ragione e la passione
“Sempre e dappertutto, l'uomo non perde mai il senso della propria esistenza e tutto va fatto per aiutarlo a riscoprire tale senso ed a tradurlo nei comportamenti e nelle scelte di ogni giorno”. Così scriveva Viktor Frankl il fondatore della logoterapia, un uomo che era soggiornato tra il 1942 e il 1945, in 4 campi di concentramento nazisti, tra cui quelli di Auschwitz, Birkenwald e Dachau, e che aveva tratto frutto da queste esperienze per le sua successiva attività terapeutica.
In “Come ridare senso alla vita”, afferma: “la gente vive nel vuoto esistenziale e tale vuoto esistenziale si manifesta soprattutto in uno stato di noia […] effettivamente sono in notevole aumento coloro che si rivolgono a noi accusando un senso di vuoto interiore, da me descritto e indicato come “vuoto esistenziale”, un senso cioè di abissale assurdità della propria esistenza. […] L’esigenza profonda e radicale insita nella persona viva non è la volontà di potenza, né la volontà di piacere, ma è la volontà di significato.” Ma il significato, egli afferma, “non deve essere conferito, ma va trovato. E la coscienza viene in nostro aiuto in questa ricerca di significato”. La coscienza è un organo di significato poichè é la “capacità intuitiva di scoprire il significato, unico e singolare, nascosto in ogni situazione”.
Secondo il neurofisiologo Antonio Damasio, una delle figure di maggior spicco a livello mondiale nel campo delle neuroscienze, la coscienza inizia come un sentimento, per cui la coscienza e l’emozione non sono separabili, poiché la prima è indissolubilmente legata al sentimento del corpo. Perciò, dal punto di vista evolutivo le emozioni sono delle risposte fisiologiche, che mirano ad ottimizzare le azioni intraprese dall'organismo nel mondo che lo circonda. Il neurofisiologo portoghese dimostra inoltre, che certi meccanismi cerebrali sono comuni sia alle emozioni che alla coscienza, giungendo alla conclusione che la coscienza rappresenti un aspetto ausiliario della nostra dotazione biologica di adattamento all'ambiente. Perciò quello che viene definito l’equilibrio tra la passione e la ragione, non è altro che la nostra capacità di saper reagire adeguatamente all’ambiente e agli stimoli che esso ci offre.
E’ Cartesio che attua la separazione tra il corpo e l’anima, creando una visione meccanicistica secondo la quale, il corpo umano è simile a un grande meccanismo a cui viene negata ogni esperienza di sacralità e consapevolezza cosciente.
La filosofia di Cartesio usa la semplicità e il rigore delle scienze matematiche e geometriche, che si fondano su postulati certi ed evidenti dai quali poi derivano, per deduzione, tutti gli altri principi. Ancora oggi, è questo il tipico atteggiamento del pensiero scientifico e innanzitutto della medicina moderna, cioè il considerare i corpi alla stregua di meccanismi, che possono essere “riparati” e “aggiustati” una volta conosciuti i veri motivi del “guasto”; il meccanicismo cartesiano è una naturale conseguenza del razionalismo assoluto della sua filosofia.
Nel “Trattato sull'uomo” Cartesio afferma “Suppongo che il corpo non sia altro che una statua o macchina di terra che Dio forma espressamente per renderla il più possibile simile a noi.” Per conciliare la questione dell’unità di mente e corpo, egli ammette che l'Anima o Mente è unita principalmente a una parte del cervello, cioè alla ghiandola pineale, per mezzo della quale la Mente sente tutti i moti che sono eccitati nel Corpo e gli oggetti esterni. Afferma che la Mente può muovere in vari modi questa ghiandola, basta che lo voglia. Da ciò conclude che non c'è alcuna Anima tanto debole che non possa, se ben diretta, acquistare un potere assoluto sulle sue passioni. Questi assiomi cartesiani causano la scissione tra il sentimento e la ragione, ma anche uno stato di estrema povertà spirituale della mente occidentale, disinteressata ad ogni tipo di indagine spirituale e priva di istanze spirituali rivolte all’indagine della nostra coscienza e della natura del nostro stato interiore, del nostro intimo essere.
“Ragione e passione sono timone e vela della nostra anima navigante” affermava poeticamente Kahlil Gibran, intuendo empaticamente le verità scientifiche di Damasio. Condannare le passioni e cercare di soffocarle non ha senso, poichè la passione non potrà mai essere bandita dall’animo dell’uomo e se lo facessimo, il mondo sarebbe inumano. Ma non ha senso neanche essere in completa balìa di tutte le emozioni e di tutti i desideri, sbattuto come una foglia al vento.
Nella condizione umana vi è la necessità di provare dei sentimenti forti, siano essi positivi come l’amore, la gentilezza e la gratitudine, ma anche dei sentimenti negativi come l’odio, l’invidia e la frustrazione, solo che dovremmo sempre ricordarci che questi sentimenti ci spingano ad agire nel loro interesse, piuttosto che nel nostro. In questo hanno ragione le concezioni spirituali che vedono le passioni come entità che rubano e fagocitano le nostre energie vitali. Insomma, le passioni non devono annullare la ragione e la loro espressione è necessaria, sia per assaporare la corporeità umana, sia per aumentare il nostro livello di consapevolezza cosciente. Infatti gli esseri umani attuano delle evoluzioni in virtù di emozioni e di sentimenti, ma a condizione che si trovi un giusto equilibrio tra loro, cioè lasciando esprimere il lato animalesco che è racchiuso nella natura umana ma sapendo ascoltare la coscienza, che ci ricorderà della somma aspirazione umana: essere come Dio. La ragione funziona molto meglio se viene radicata nella passione, ed in questo caso, la nostra filosofia di vita fa la differenza.
Credere che, nella vita si raccoglie sempre tutto ciò che si semina e che non bisogna mai fare del male, altrimenti esso ci si ritorce contro, costituiscono due ottimi principi etici. Ragionando così, non si perde l’equilibrio personale e si focalizza la nostra passione sulla giustizia, piuttosto che sulla vendetta. Ragionando così impariamo ad assumerci la responsabilità delle nostre azioni e riusciamo a ricavare il meglio dalle situazioni che accadono.
Quando noi proviamo una risposta agli eventi, cioè siamo in preda alla passione, riusciamo a comprendere ancor meglio la connessione tra noi e l’evento accaduto: la nostra passione aumenta la nostra comprensione e aumenta il nostro livello di coscienza. Nella scrittura cinese l’ideogramma “crisi” è composto dagli ideogrammi “pericolo” ed “opportunità” volendo significare che, se nella crisi cogli le opportunità, allora non sei mai veramente in pericolo. La prima mossa da imparare è il dominio della paura, anche se questo non significa non provare paura, ma significa controllarla usando la ragione e la volontà. L’altro versante di riequilibrio di ragione e sentimento, è la guarigione da ferite psichiche ed emotive a cui tutti siamo sottoposti e che dobbiamo alleviare, ripetendoci che le ferite fisiche sono molto più dannose di quelle morali, perchè delle prime si cade vittima, ma dalle seconde si può anche completamente guarire.
Ricordiamo sempre che l’odio acceca la mente, mentre la tristezza può aprire gli occhi, per cui non dobbiamo maledire il ricorrere nella nostra vita di gioia e dolore, come pure i cicli di nascita e di morte, perché essi fanno parte della nostra condizione umana, mentre è la tortura mentale che ci affliggiamo, perpetrando volontariamente la sofferenza, che rende infernale sulla terra la condizione umana.
Riequilibriamo il cuore e la testa quando trasformiamo la nostra pulsione distruttiva in un desiderio costruttivo di apprendimento ed evoluzione. La sofferenza è uno stato della mente che possiamo modificare,ricondizionandoci.
Per alleviare la sofferenza, bisogna possederla e smettere di rimproverare gli altri per averla provocata, infatti solo possedendola ce ne possiamo sbarazzare, e per farlo bisogna sradicarne le cause reali. E’ essenziale trovare le vere cause che risuonano nel nostro animo, quelle nostre, perché appartenenti alla nostra biografia, e a cui il nostro pensiero si tiene ferocemente aggrappato, procurandosi nuovo ed imperituro dolore. Essendo consapevoli possiamo identificare la nostra personale sofferenza e possiamo sconfiggerla, uscendone enormemente arricchiti e maturati. L’armonia della vita e la maggiore profondità delle sue intime trame, ci devono fare intuire l’assoluta trascendenza dell’esperienza umana, il cui fine ultimo è di maggiore spessore e valore di ogni gioia ed infelicità personali. Dopo ogni notte dell’anima vi è sempre un’alba radiosa. Il soggiorno nella condizione umana ha un valore di maestosità e bellezza e la condizione umana è di tale nobiltà, che essa non si limita nel corso di una unica esistenza, proseguendo fino alla reintegrazione con l’armonia del Tutto, con l’Anima dell’universo. Non perdiamo mai veramente nessuno, non siamo separati mai veramente da nessuno che amiamo, nessun errore è veramente irrimediabile, vi è sempre una redenzione, vi è sempre un’altra opportunità. Nessuno ci giudicherà o sarà il nostro carnefice, perché non può torturarci il celeste e misericordioso Padre Divino.
Questa dovrebbe essere la dimensione con cui si dovrebbe vivere la vita e la sensazione relativa dovrebbe essere quella di una evoluzione sempre positiva. Tutti gli insegnamenti spirituali ci aiutano in questo senso, se non altro per sviluppare la nostra capacità di visione di un “Tutto maggiore” rispetto al “Piccolo tutto” del nostro mondo personale. “Infiniti significati derivano da un'unica Legge” diceva Siddharta.
Buona erranza
Sharatan ain al Rami
sabato 8 novembre 2008
Lo voglio anche io un presidente meticcio!
Questa mattina, mentre mi preparavo il caffè, ascoltavo in tv la notizia che Obama, onorando la promessa che aveva fatto alle figlie, gli permetterà di adottare un cane. Il prossimo inquilino a quattro zampe, dopo Socks, il gatto clintoniano e dopo Barney, il cane della Casa Bianca, che ieri ha morso il dito del corrispondente della Reuters, John Becker, mentre questi cercava di accarezzare il first dog, sarà sicuramente un cane di stirpe incerta e modesta. Infatti Obama ha posto le due condizioni: che il cane sia preso in un canile e che sia un bastardino come lui, insomma un meticcio. Allora ho pensato che lo vorrei tanto anche io, un presidente meticcio. Lo voglio anche io il presidente negro bastardo. Perché loro si e noi no? Perché a noi è toccata solo la mela con il bruco? Perché, ancor meglio, a loro è andata la mela e a noi solo il bruco? Perché per noi non esiste un candidato meticcio, un aspirante bastardo o anche un abbronzato visionario, che inizia a parlarci con le parole che abbiamo sempre creduto e che vogliamo, un uomo che ci inebria di favolette sullo giustizia sociale, e che ci prometta la speranza di un mondo diverso e migliore? Perché a noi è toccata Paola Perego e non abbiamo invece Oprah Winfrey, conduttrice televisive, opinion-maker, ideatrice e conduttrice dal 1986 di uno dei più popolari talk-show americani, il "The Oprah Winfrey Show" dove si discute solo di violenza sessuale, droga, problemi familiari? Perché invece, nei nostri più popolari talk-show, devono discutere di botulino, di diete o di temi essenziali come: “Le corna fanno male o c’è modo di prendersela sportivamente? L’altezza è ancora importante per essere belli? E’ meglio rifarsi o restare con la tua vera faccia? E giusto che tua figlia si rifaccia il seno se è minorenne?
Sarà perché c’è questa gente, che un black president, non è possibile? Invece sarà che non è possibile, perché c’è questa gente? Non ne vengo a capo e mi si frullano i neuroni. Se prendessi una laurea da Supercoglione, lo potrei capire meglio?
Io penso che, questa vittoria ricorda all’America che lei stessa è una nazione meticcia, che la sua forza è di essere una mescolanza e che nella grande varietà di essere e di pensare, si creano gli spazi affinchè anche i sogni si possano realizzare. Qualcuno ha detto che Obama ha venduto agli americani un sogno visionario ed irrealizzabile. Intanto è successo di vedere il Reverendo Jesse Jackson, grande sostenitore di Obama, che piange di gioia davanti alla proiezione della Cnn, che incorona Obama 44° Presidente degli Stati Uniti d'America e primo presidente nero. Beh! io non lo avrei mai creduto possibile, ma è successo.
Allora, mi metto a fare il confronto con la mia condizione infelice, perché io non lo voglio un Presidente come quello che abbiamo noi, voglio un presidente come quello loro, anzi forse mi ruberei proprio il loro. Il mio non mi piace, non lo voglio, non mi rappresenta, mi fa vergognare e mi mette in imbarazzo. Non mi piace perché mi sono ammutolita, di fronte a Lothar, un mio amico tedesco, che mi ha ricordato come da loro, nei paesi nordici, si usa che un politico si dimetta, anche solo se accetta in regalo una penna stilografica. Da noi si usa che, all’approvazione del Lodo Alfano, il Cavaliere dica:”Sono felice perchè da ieri, finalmente, i magistrati non potranno più perseguitarmi. Da quando sono sceso in politica ho dovuto far fronte a 2.502 udienze”.
Perciò da noi, certe cose non sono possibili, da noi, certe cose non c’è il pericolo che accadono, non è concepibile, non è ipotizzabile. Forse, dico forse, si poteva una volta, ma con le riforme sopraggiunte, ora.. non più. Facciamocene una ragione, ma se non ce ne potessimo fare persuasi, allora il perché, ce lo spiega il ministro per le Riforme, Umberto Bossi, che intervistato da Affaritaliani.it, afferma: “Obama non riesco a capire che cos'è. È un po' ambiguo”. In che senso? “Dice di essere un afro-americano. Ma mi chiedo: che cosa vuol dire essere afro-americano? Dovrebbe dire di essere americano. Afro-americano sembra una di quelle cose ambigue degli Stati Uniti. Meglio andare sul sicuro, restare su ciò che è certo. Come McCain.”
E allora, proprio dal reazionario McCain, Bossi dovrebbe prendere esempio sul rispetto per gli avversari, dal modo con cui McCain ha reagito alla sconfitta: “Ho avuto l'onore di congratularmi con il senatore Obama, che questa notte è diventato il nuovo presidente degli Stati Uniti … Abbiamo lottato duramente e non ce l’abbiamo fatta, il fallimento è mio, non vostro.” McCain ha lodato “l'uomo che era il mio avversario e che ora sarà il mio presidente”, chiedendo in più occasioni ai suoi sostenitori di non fischiarlo con un semplice “per piacere”. Poi ha sottolineato che Obama “ha raggiunto un grandioso risultato” ma che ora è necessario ”mettere da parte le divergenze e a lavorare insieme per rimettere in carreggiata il Paese”.
Invece da noi, il 28 giugno 2008, Umberto Bossi rispondeva sul “Lodo Garfagna”:«Meglio uno di destra che va con le donne, di quelli di sinistra che vanno coi culattoni» poi, a chi gli chiedeva delle intercettazioni di Berlusconi e altri politici. “Sono cose private.” All’accusa di Antonio Di Pietro sui “magnaccia al governo” replicava netto: “Vada a quel paese!” appalesando che la classe non è acqua ed il reale motivo perchè certe cose, qui da noi, non avvengono e non potranno mai avvenire. Noi siamo diversi dagli ambigui, non siamo meticci.
Confesso che l’America che ha partecipato, che ha votato, che ha fatto vedere la forte partecipazione civile, la marcia delle persone di buona volontà, che ha mostrato quanta gente crede nel cambiamento, lo confesso, di fronte a queste cose belle a cui non ero più abituata, sono stata colpita dalla Sindrome di Stendhal, ma a favore loro.
A favore nostro, abbiamo un settentenne che si comporta come un ventenne scemo, un anziano con gergo giovanilista che parla di persone "appecoronate" e di presidenti "abbronzati," allargando le licenze poetiche della politica, oltre ogni limite di educazione e di buon gusto. Uno che tra le carinerie elargite con liberalità, annovera uno scambio di lettere a Montecitorio durante la seduta alla Camera. Il testo del messaggio mandato da Berlusconi: ”Nunzia, state molto bene insieme! Grazie per restare qui, ma non è necessario. Se avete qualche invito galante per colazione, vi autorizzo (sottolineato) ad andarvene!”. Il testo prosegue sul retro: “Molti baci a tutte e due !!! Il “Vostro” presidente”. Una delle due mittenti è senza dubbio Nunzia De Girolamo. L’altra dovrebbe essere l’ex giornalista del Tg4 Gabriella Giammanco. Chi lo conosce dice:” Berlusconi ama fare battute galanti e spesso atteggiamenti che sembrano sopra le righe sono frutto della sua ingenuità». Così il ministro Mara Carfagna commenta, a Matrix, l’ormai celebre gossip estivo con il presidente del Consiglio. Per cui l’affermazione di Berlusconi dell’anno scorso, che “l’avrebbe sposata immediatamente” fosse stato single, riferito alla Garfagna, che ha provocato una lettera di pubblica protesta dalla moglie Veronica Lario, sarebbe una reazione del tutto spropositata ed immotivata.
Incontrando l’8 agosto 2008, il ministro dell'Istruzione Mariastella Gelmini, tra un abbraccio, una foto per l'occasione, e un reciproco “buone vacanze”, il premier apostrofava il ministro con un “Ma guarda un po', dai banchi di scuola alle piazze.” Poi, notando il look inusuale del ministro, aggiungeva: «Guarda come sei bella, sembri una bambina». Prima di salutarsi, i due si prestavano ad un parterre de roi in favore di fotografi.
“In questo paese tutto è possibile” ha dichiarato Obama il vincitore “La risposta è ciò che ha spinto a farsi avanti coloro ai quali per così tanto tempo è stato detto da così tante persone di essere cinici, impauriti, dubbiosi di quello che potevano ottenere mettendo di persona mano alla Storia, per piegarla verso la speranza di un giorno migliore. Ci sono madri e padri che resteranno svegli dopo che i loro figli si saranno addormentati e si arrovelleranno chiedendosi se ce la faranno a pagare il mutuo o il conto del medico o a mettere da parte abbastanza soldi per pagare il college. Occorre trovare nuova energia, creare nuovi posti di lavoro, costruire nuove scuole. Occorre far fronte a nuove sfide e rimettere insieme le alleanze. La strada che ci si apre di fronte sarà lunga. La salita sarà erta. Forse non ci riusciremo in un anno e nemmeno in un solo mandato, ma America! Io non ho mai nutrito maggiore speranza di quanta ne nutro questa notte qui insieme a voi. Io vi prometto che noi come popolo ci riusciremo!”
Ma intanto il mio caffè è pronto e io mi sento depressa, come dopo una cena insieme a Giacomo Leopardi, Sergio Endrico e Cesare Pavese, con sottofondo musicale di Claudio Lolli. Anche nel mio di paese, stanno succedendo cose che non si credevano possibili, ma allora perché, per la prima volta nella mia vita, vorrei tanto essere americana?
Buona erranza
Sharatan ain al Rami
giovedì 6 novembre 2008
Voler coltivare l’evoluzione
Parlando con una mia amica, mi riusciva molto difficile spiegarle che le sue inquietudini, andavano oltrepassate facendo un bel salto evolutivo. Quando lei, parlando dei suoi problemi, mi ha chiesto dei consigli io li ho forniti, ma spero solo che vinca la sua incredibile pigrizia: forse avrebbe bisogno di un’emergenza più forte di un malessere diffuso, per saltare il fosso. Se non vuole cambiare il suo modo di essere almeno lo iniziasse ad amare, ma lei non riesce a fare nessuna delle due cose, per questo è sempre più insoddisfatta. Credo che sia infelice perché non è fedele a se stessa e alle sue vere esigenze. La saggezza insegna che ciò a cui ci opponiamo, ci si ribella sempre contro e ci fa del male. Dovremmo imparare a lavorare in nostro favore, smettere di farci del male e avere maggiore stima di noi.
Solitamente le trasformazioni più profonde si scatenano dopo grosse emergenze spirituali, per cui facendo un percorso di crescita personale non si ritorna indietro. L’importante è cominciare a volersi bene perché, non avere consapevolezza di se stessi, equivale a non conoscersi e a non potersi amare.
Per poter evolvere bisogna amare la novità, bisogna sviluppare l’amore per la conoscenza, bisogna riflettere sulle parole dei grandi maestri spirituali e sapere ridestare la voce interiore, il nostro vero maestro spirituale. Per costruire l’evoluzione dobbiamo ricercare una filosofia di vita che ci piaccia, dobbiamo ricercare una forma di meditazione o di passione che ci possa entusiasmare e farci sentire vivi.
E’ necessario sapersi guardare con indulgenza e tenerezza, soprattutto quando tentiamo di migliorare ma non riusciamo a farlo. Se iniziamo ad usare la tolleranza e la tenerezza con noi stessi, in seguito saremo capaci di farlo anche con gli altri. Non bisogna avere la tentazione di giustificarci per le nostre idee, bisogna invece avere la consapevolezza della dignità della nostra persona e della pari dignità degli altri.
Dobbiamo osservarci per scoprire quali sono i modelli che tendiamo a ripetere per abitudine, e trovare un nuovo atteggiamento verso i nostri processi mentali. Ricordiamoci che, se siamo stati per anni in preda alle nostre cattive abitudini, dovremmo avere bisogno di tempo per riprogrammare i nostri comportamenti: concediamoci questo tempo.
Ugualmente bisogna imparare ad osservare gli altri, senza farsi condizionare dai pregiudizi, senza controllarli e senza tranciare giudizi sulle loro scelte.
La negatività è il maggiore torto che si può fare alla nostra persona. Dire che non ce la possiamo fare, dire che non abbiamo strumenti per evolvere, dire che non saremo mai come vorremmo, vuol dire sprecare una quantità enorme di energia e di tempo in pensieri sterili e dannosi, mentre la nostra esistenza scorre senza essere goduta.
Uscendo da periodi di profonda crisi personale, è utile ricominciare ad assaporare la vita concedendosi delle piccole abitudini e degli atti di tenerezza, creando degli spazi dedicati a noi stessi. Si potrebbe incominciare un’attività sportiva, concedersi la lettura di un buon libro, ascoltare buona musica, iscriversi ad una scuola di ballo, ma concediamoci anche dei momenti in cui possiamo riflettere e rilassarci, in completa solitudine.
Dalle delusioni si esce molto più vulnerabili, ma non è detto che la vulnerabilità sia una condizione negativa, se ne cogliamo l’opportunità positiva di fare piazza pulita di vecchie corazze emozionali, che ci stanno soffocando e che ci impediscono il movimento evolutivo.
Si invecchia quando si inizia a vedere la vita come una condizione statica, in cui nulla vi è di nuovo e nulla può essere scoperto: la mancanza di dinamismo è la causa del malessere interiore e della sensazione di annullamento. Se manca il gusto dell’esplorazione e della scoperta, se mancano gli ampi orizzonti e la voglia di ritornare a solcare nuovi mari, allora bisogna correre urgentemente ai ripari.
Se vogliamo riconquistare l’equilibrio bisogna ricominciare a muoversi, perché le stagnazioni non producono mai buoni frutti. Se smettiamo di muoverci, di fare ginnastica, di leggere, di incontrare persone, di esercitarci in ogni arte o mestiere che ci possa interessare, allora siamo veramente spenti.
Se vi dicessero che una via di ricerca spirituale è una via di egocentrismo e di narcisismo, rispondete che non c’è niente di più falso, perché il volersi bene non equivale affatto ad essere egoisti. Se io cerco di conoscermi meglio, di essere consapevole della mia essenza non faccio altro che amarmi. Se ci conosciamo meglio, impariamo ad accettarci e ad amarci, solo così possiamo amare anche gli altri. Non c’è sintesi migliore del detto evangelico: Ama il prossimo tuo come te stesso.
La mancanza di cura e di tenerezza per noi stessi, impedisce di avere gli stessi sentimenti per gli altri, impedisce dei rapporti amichevoli ed affettuosi con gli altri, con il mondo e con il divino. Siamo incapaci di amarci e di amare perché pensiamo di essere indegni del più minimo amore. La sensazione di indegnità è assolutamente contraria alla natura umana; infatti l’uomo è un essere divino, fatto ad immagine e somiglianza di Dio.
Secondo il buddismo, in tutti vi è il seme della perfezione, è tuttavia necessaria la compassione per rendere fecondo quel seme intrinseco al nostro cuore e alla nostra mente: dobbiamo coltivare, nel nostro continuum mentale, dei campi di merito, cioè delle impronte di pensieri e di azioni positive.
Per questo, anche nel contatto con gli altri dobbiamo usare sempre un occhio compassionevole, così da ridurre la paura di giudicare e di essere giudicati, ed avere una maggiore apertura ad un clima positivo ed amichevole. Considerando gli altri in maniera positiva non saremo mai soli. Non si è soli quando non si è in ansia, se non si ha paura di essere giudicati, se non si teme di essere condannati, se non si teme di perdere il rispetto o di essere considerati strani.
Dovremmo sempre ricordare che quando giudichiamo, non facciamo che inibire le nostre capacità di evoluzione. Quando giudichiamo gli altri, in realtà stiamo definendo noi stessi, non facciamo che dimostrare che abbiamo bisogno di definirli in quel certo modo; giudicando riveliamo noi stessi più che gli altri.
Quando giudichiamo negativamente, stiamo identificando ciò che condanniamo della nostra natura o ciò di cui abbiamo bisogno. Le persone ed i rapporti andrebbero visti come uno specchio che la vita ci rimanda per farci evolvere nella consapevolezza.
Cerchiamo allora di aumentare la consapevolezza ed il livello di evoluzione personale, in modo da ritrovare la nostra armonia interiore. Per questo non abbiamo bisogno di alcun tipo di illuminazione, dobbiamo solo eliminare la rabbia, l’odio ed il disprezzo per noi e per gli altri. Non è affatto semplice, e non sempre mi riesce, ma io credo che abbiamo due opzioni: o attraversiamo la vita trovando un modo per riconciliare ciò che essa ci offre, oppure l’attraversiamo considerandola una serie di sfide piene di conseguenze. Io credo che la scelta sia obbligata.
Buona erranza
Sharatan ain al Rami
lunedì 3 novembre 2008
Usando un “regime di compassione”
Negli ultimi anni ho dovuto affrontare una grossa crisi di trasformazione personale, per cui ho dovuto abbandonare l’idea che avevo di me stessa per costruirmene una nuova. Allora mi sono messa a leggere testi di consolazione filosofica e di filosofia orientale. Sono molto cambiata da prima, ed il cambiamento lo sento profondamente dentro di me. Gli altri vedono l’esterno e dicono che sto molto bene, si complimentano e io li ringrazio. Intanto tra me e me, elaboro me stessa, e cerco di riordinare tutta la serie di complessità che mi circondano. Sono geneticamente contraria all'idea dei Messia. Non sopporto i maestri, i guru e le forme di servaggio intellettuale. La tua verità sta in te stesso, io non posso farti seguace di alcuna verità: non ne conosco nessuna. Credo che la fede cieca e l'ottusa fidealizzazione alle idee e ai leader, siano state ideate per avere un “popolo bue,” cioè ottuso, paziente e sopportatore.
Una delle cose che per me è di più difficile comprensione, riguarda il significato intimo delle cose e degli avvenimenti. Riguarda l’accettare le cose per quello che sono e sopportarne la fine, sapere affrontare serenamente le svolte esistenziale ed i relativi cambiamenti. Ma ciò che ci accade è un bene o un male? I cinesi dicevano che può essere bene o male a seconda dei punti di vista … lo vediamo con il tempo. La storia di una mia amica dimostra quanto sia difficile vedere il fine ultimo.
Flora, una ricercatrice in medicina veterinaria, si trova a collaborare con Marco, professore universitario e suo amico. Sono impegnati in un progetto di ricerca piuttosto interessante e riescono ad avere buoni risultati. Viene bandito un posto di ricercatore, e ci si aspetterebbe che Marco sia felice che Flora fosse la vincitrice del concorso. Non è così, perché Marco appoggia direttamente ed apertamente la candidatura di un’altra persona, che alla fine vince il posto. Flora è fuori dal gioco. Alla scadenza del contratto si deve allontanare dall’università. Insieme sono svanite sia le sue possibilità di lavorare ancora nel suo laboratorio, ma è svanita anche l’amicizia con Marco. Il lavoro e l’amicizia le sono sfuggite di mano. Accetta un posto in una piccola università di un’altra città e si sposta in una grande casa in campagna, vicino alla nuova sede di lavoro. Il dolore e l’amarezza, ma anche l’odio per Marco la soffocano. L’amicizia e l’affetto sono svanite anche per avere saputo che Marco la odia e che la accusa di avere sparlato di lui. Flora, trova ingiuste tutte le accuse, ma non vuole più vedere Marco; il dolore e la disillusione nei suoi riguardi sono più forti. Si getta nel suo lavoro e comincia a lavorare nella nuova università. Flora per anni ha continuato ad odiare Marco, a non capire il senso di quello che era avvenuto, il senso di tanta ostilità da parte del suo amico, fino a chiedersi del perché della sua vita, del perché di questi avvenimenti, del perché di tutto quel dolore. Ma Flora, che intanto fa ricerca con un grosso ente, inizia a studiare un mix farmaceutico, con un componente essenziale famosissimo nella medicina ayurvedica, insomma inventa con il suo staff, un farmaco miracoloso per le piaghe, per le ulcere e per le ustioni.
Il suo mix ha proprietà cicatrizzanti, antibatteriche, antinfiammatorie antidisidratative e lenitive, tiene lontani dalle ferite, mosche, mosconi, moscerini, zanzare, tafani e altri insetti ed evita la deposizione delle uova sulle ferite e lo sviluppo delle larve su ferite devastanti, gravemente complicate da infezioni o da infestazioni, anche in condizioni di assoluta mancanza di condizioni igieniche minimali. Per la sperimentazione sugli animali adotta il “regime di compassione”, una modalità ripresa dai protocolli oncologici per pazienti terminali, e la applica sugli animali destinati ad essere soppressi, con ferite molto gravi e complicate, previo consenso dei proprietari. Tutti i casi trattati hanno un esito positivo. Questo ha permesso di estendere la sperimentazione anche a ferite meno devastanti e su molte altre specie animali, soprattutto cavalli. Il mix permette la gestione di ferite importanti anche in precarie condizioni igienico-sanitarie, senza dolore e con decorso senza complicazioni. E se questo è vero per la medicina veterinaria, lo è ancor più per la medicina umana, dove le lesioni esterne, principalmente di natura cronica, sono in costante aumento: con il mix, la ferita guarisce completamente senza lasciare cicatrici deturpanti.
In un’intervista, Flora ha affermato che, il suo pensiero è ora per utilità che si potrebbe avere sull'uomo, se il mix fosse impiegato per le ferite nelle popolazioni, che abitano le aree più depresse del mondo come Africa, Asia e America Latina, o sulle popolazioni civili coinvolte in scenari di guerra o di grandi catastrofi. L’applicazione nelle ustioni, specie quelle di grandi dimensioni, può contribuire in maniera significativa alla riduzione del rischio di morte per infezione, che nei casi di feriti gravissimi ha un'incidenza altissima.
Il passa parola tra i professionisti che stavano provando il mix ha permesso di mettere insieme la casistica di oltre 180 casi personalmente documentati e altrettanti, anche di minore entità, riferiti dagli stessi professionisti, in meno di 3 anni, senza dover pianificare “sperimentazioni animali” che avrebbero comunque cozzato con l'approccio etico-morale di Flora. Il mix è un prodotto che non necessita dell’interazione con altri farmaci o sostanze, e che è da solo sufficiente a determinare la guarigione di qualunque ferita, sin dal momento del trauma, perciò promette una reale rivoluzione nella cura delle ferite. Le foto sui pazienti umani, che ci ha mostrato qualche sera fa, erano inguardabili, quelle di prima della cura. Quelle di dopo, erano un miracolo: era “ritornata” la carne, le ferite si erano chiuse e la carne era “riparata” o forse miracolosamente ricomparsa. Questi risultati vengono ritenuti risultati eclatanti. Le foto che Flora aveva con sé erano la documentazione che portava al convegno a cui era invitata.
Flora è una persona solare e positiva, possiede un’energia dirompente, la sua mente è un vulcano ed è una persona di una generosità unica: tramite lei agiscono e si muovono delle forze di enorme amore e forza rigenerativa. Ma io mi chiedo, come le avrebbe potute mettere in moto, se non avesse affrontato la grossa trasformazione interna che lei oggi presenta?
Per anni ha odiato Marco per avergli rovinato la vita, per averla costretta ad andare via, per avergli fatto ricominciare tutto, in una nuova città e con un nuovo lavoro ma oggi, lei vorrebbe dirgli grazie. Per anni ha pensato di ritornare, di farsi vedere vincitrice e di schiaffeggiare i suoi nemici con i suoi successi. Oggi dice che è una cosa stupida, che non gli interessa e che non farebbe mai. Oggi è consapevole che deve dire grazie a Marco se la sua vita è felicemente realizzata.
Da quello che appariva come la fine del mondo, è venuto un nuovo principio: questo gli ha permesso di avere l’incontro con degli animali sofferenti, gli ha offerto l’opportunità di mettere alla prova la sua enorme compassione, gli ha offerto il farmaco miracoloso che oggi sta guarendo anche le persone. La storia di Flora, è stata resa possibile solo dalla sua determinazione e dall’uso del suo regime di compassione.
Ogni volta che parliamo di lei tra amici, diciamo che la sua storia è un esempio di come la vita sappia offrire la migliore soluzione, se noi siamo disponibili a collaborare, usando al meglio le opportunità che ci vengono offerte.
Di queste nuove vie, di queste nuove opportunità, spesso non ci accorgiamo, così ci dibattiamo nella sofferenza, per non volere accettare prove e svolte esistenziali. Questi avvenimenti sembra che non ci appartengano e che siano avvenuti solo per annullarci. Siamo dentro al flusso degli avvenimenti e sentiamo solo il dolore di ciò che non comprendiamo. Siamo prigionieri e ostaggi della nostra stessa sofferenza, abbiamo paura e siamo feriti, perciò preferiamo stare rannicchiati e soffrire. Questo non è giusto per noi stessi e non è sano. Forse una nuova disponibilità al cambiamento potrebbe aprirci delle vie più gioiose e imprevedibili. Forse dovremmo dare al tempo l’opportunità di farci capire quale sia il fine ultimo e il senso delle cose. Ippocrate ha detto “la cicatrizzazione è solo una questione di tempo, ma la durata a volte è una questione di opportunità”.
Buona erranza
Sharatan ain al Rami
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