venerdì 31 gennaio 2014

Sciamani beffardi



“Aprire gli occhi su qualcosa è sempre
una faccenda molto personale.”
(don Juan Matus)

Nel 1960 il giovane antropologo Carlos Castaneda viaggia tra il deserto messicano di Sonora e l’Arizona per cercare notizie utili alla sua tesi in Antropologia nell’Università della California a Los Angeles. Alla stazione degli autobus incontra don Juan Matus, un vecchio indios Yaqui esperto di peyote che rivede molte volte per raccogliere informazioni sulle piante medicinali usate dagli indiani messicani.

Dopo un anno di incontri e interviste, il vecchio indiano gli concede la sua fiducia e lo introduce nel suo mondo. Don Juan gli rivela che lui è un nagual come pure Carlos, perciò lo prende come suo apprendista. Castaneda affronta un addestramento lungo 15 anni che descrive nei 13 libri che raccontano le sue esperienze con don Juan.

La storia degli antichi toltechi inizia prima degli spagnoli, dice don Juan, infatti in Messico vivevano degli "uomini di conoscenza" che sapevano fare delle cose straordinarie e che sapevano padroneggiare la percezione. Costoro sapevano come attrarre e paralizzare la mente delle loro vittime e sapevano come fissarla su ciò che volevano.

Don Juan dice che la sua stirpe non è come quella dei cupi stregoni antichi. Lui è un guerriero che “vede” ossia è un nuovo veggente, mentre gli antichi veggenti erano degli stregoni oscuri e ossessivi. Per un guerriero veggente del suo livello diventare uno stregone sarebbe come “entrare in un vicolo cieco.”

Gli antichi veggenti fecero le loro scoperte mangiando le piante di potere, e forse le mangiarono per caso o per sbaglio, ma quando le piante fecero effetto, essi iniziarono a scoprire mondi prodigiosi. Essi vivevano all’interno del paese cioè nelle zone nord e sud del deserto messicano. Si dedicavano a guarire, fare incantesimi, formulare oracoli, narrare storie, danzare e preparare i cibi e le bevande, perché queste occupazioni favoriscono la conoscenza che rende diversi dagli uomini comuni.

Erano inseriti nelle loro società come medici, artisti, insegnanti, sacerdoti e commercianti e lavoravano all’interno di confraternite ben organizzate. In quel modo finirono per diventare talmente potenti da divenire i sovrani dei loro paesi anche perché, dopo aver usato per molti secoli le piante di potere, avevano iniziato a “vedere.”

Il “vedere” è “una sensazione particolare del sapere, infatti è sapere qualcosa senza il minimo dubbio” spiegò don Juan. A causa di questo potere, molti veggenti iniziarono ad essere ossessionati dal “vedere” e trascurarono la conoscenza. Gli antichi smisero di essere uomini di conoscenza e divennero esperti di veggenza e maestri dell’arte di dominare i mondi che esploravano nelle visioni: il loro orgoglio fu fatale.

Il “vedere” li rese deboli e ridusse il loro potere, infatti divennero ossessionati dal potere della veggenza. Alcuni furono immuni dalla sciagurata vicenda e rimasero degli uomini di conoscenza e con la loro guida altri poterono fuggire nei mondi che esploravano, e non tornarono più indietro. I veggenti credevano che “vedere” li rendesse invincibili, perciò quando furono conquistati dagli altri indiani erano troppo indeboliti e furono sterminati.

I vincitori presero il sapere degli vinti, ma non impararono mai a “vedere.” Essi sapevano solo imitare le tecniche, ma non avevano la conoscenza che si deve accompagnare a questo potere. I discendenti dei vincitori divennero degli stregoni che sono attivi anche oggi, ma essi sanno solo imitare i toltechi senza saper fare nulla di buono.

Gli spagnoli vennero molti secoli dopo la scomparsa dei veggenti più antichi, perciò gli spagnoli trovarono la stirpe dei nuovi veggenti. La nuova stirpe era nata dopo la distruzione dei vecchi veggenti. I pochi sopravvissuti alla prima conquista indiana si erano isolati per analizzare le tecniche e i metodi che gli antichi conoscevano.

Primariamente decisero che l’agguato, il sogno e l’intento erano le tecniche-chiave, poi decisero di smettere l'uso delle piante di potere. Questo deve far capire l’effetto che le piante di potere avevano sugli antichi veggenti, e il legame che essi avevano sviluppato con quelle piante.

Gli spagnoli distrussero quelle civiltà, ma i nuovi veggenti erano già pronti a fronteggiare l'eventualità: dopo tante esperienze dolorose erano diventati esperti praticanti dell’arte dell’agguato. I secoli trascorsi nella totale sottomissione e nella violenza gli avevano fatto sviluppare l'ingegno necessario a raffinato la loro abilità.

Non fecero mai capire ciò che erano, perché volevano essere liberi di proseguire in segreto con le loro pratiche. Il loro numero si era ridotto drasticamente per lo sterminio degli spagnoli. Ma i nuovi veggenti sapevano come trasformare l'infelice condizione che vivevano in una preziosa opportunità.

Ancora al tempo presente, disse don Juan, i veggenti si dividono in due gruppi. Ci sono i veggenti di stampo antico che usano solo gli aspetti specifici della conoscenza come curare, danzare, fare incantesimi e parlare. Poi ci sono anche le stirpi dei nuovi veggenti che si addestrano nell'arte dell’agguato, del sogno e dell’intento per evolvere più velocemente.

Al tempo dei conquistatori spagnoli tutti quelli che si erano nascosti avevano fondato delle stirpi guidate da un nagual. Ma molte stirpi si estinsero nel corso dei tempi della dominazione. Verso la fine del 16° secolo, ogni nagual si era isolato volontariamente insieme al suo seguito di veggenti e di guerrieri, perché non volevano avere contatti con altre stirpi.

Questo fatto segnò la nascita di stirpi individuali. La stirpe di don Juan aveva 14 nagual e 126 veggenti, perché un nagual può avere un seguito di 7, 11 o anche 15 veggenti. Gli antichi lasciarono alle stirpi successive il frutto del loro sapere, perciò tutto ciò che i nuovi veggenti sanno lo devono alle conoscenze dei veggenti antichi.

I nuovi veggenti eliminarono gli errori precedenti, ma la base del loro sapere risale ai tempi degli antichi toltechi. La scoperta più importante di quei saggi fu la basilare teoria che l’uomo possiede due tipi di consapevolezza che gli antichi chiamarono lato destro e lato sinistro dell’uomo.

Essi sapevano che la migliore maniera per insegnare era far passare i loro apprendisti al lato sinistro della consapevolezza intensa. Questo è l'unico luogo in cui può avvenire l’apprendimento, ma questa scoperta fu ottenuta al prezzo di errori e dopo molti secoli di sforzi infruttuosi.

La consapevolezza intensa offre la chiarezza e la libertà necessarie per eliminare la razionalizzazione, le difese, l’ira e la paura che limitano la consapevolezza comune. Perciò i nuovi veggenti usarono questa forma di coscienza per instillare nei loro apprendisti la ferma convinzione che si possano fare anche le imprese più inconcepibili.

Però, i nuovi veggenti avvertono che dobbiamo eliminare ogni forma di importanza personale, perché questo è il peggior nemico. Con la considerazione esagerata per la nostra persona sciupiamo la vita a preoccuparci di quello che fanno e pensano gli altri. Ci indeboliamo per restare offesi dai fatti e dei misfatti del nostro prossimo, perciò fatichiamo molto senza avere nulla in cambio.

I nuovi veggenti dicono che eliminando l’importanza personale siamo invulnerabili. L'importanza personale è l’impiccio rappresentato dall’amor proprio. Questo amore falso possiede due aspetti, perché è il nucleo di quello che ha più valore per noi, ma contiene anche il marciume che non vogliamo eliminare.

Eliminare l’importanza personale richiede la strategia suprema che i veggenti antichi e moderni hanno sempre ammirato. Tutte le stirpi di veggenti nutrirono i più sinceri apprezzamenti per quelli che seppero uccidere la propria importanza personale. Perciò i veri guerrieri combattono per una questione strategica, e non per fede o dottrina.

I guerrieri non agiscono per fini morali ma per sviluppare l’impeccabilità che è la capacità di usare in modo adeguato le proprie energie. Chiaramente anche i guerrieri fanno degli inventari strategici in cui elencano tutte le loro attività e interessi. Poi decidono ciò che devono cambiare per avere una pausa nel dispendio delle energie.

Gli inventari strategici riguardano modelli di comportamento che non sono essenziali alla loro sopravvivenza e al loro benessere. Negli inventari, l’importanza personale figura sempre al primo posto di ciò che va eliminato, perché è l’attività che consuma più energia con il minor guadagno.

La prima preoccupazione del guerriero è quella di liberare l’energia sprecata in attività inutili o dannose per poterla canalizzare nello sforzo di affrontare l’ignoto. L’azione di saper economizzare e canalizzare le proprie energie mostra l’impeccabilità del guerriero. Seppure possa sembrare strano, la strategia più efficace fu elaborata proprio dai veggenti che subirono la conquista e la colonizzazione.

I veggenti che vissero quei fatti divennero i maestri infallibili dell’arte dell’agguato. Sottoposti alla crudeltà seppero sviluppare i 6 elementi che hanno influenza reciproca tra loro. I primi attributi furono le 5 qualità cioè controllo, disciplina, equilibrio, tempismo e l’intento. Gli elementi primari sono attributi del mondo privato del guerriero che combatte l’importanza personale.

Il 6° elemento è quello più importante ma dipende dal mondo esterno, perciò i veggenti usarono i tiranni per questo scopo. I tiranni sono torturatori, sono persone che si arrogano il potere di vita e di morte sul guerriero, perciò gli rendono impossibile la vita. I veggenti fecero una classificazione dei tipi di tiranni e la loro classificazione non manca di umorismo.

Don Juan spiegò che l’umorismo è l’unico strumento per combattere l’umana costrizione di fare le classificazioni e gli inventari. I nuovi veggenti misero in cima alla loro classifica, la fonte primaria dell’energia cioè il sommo sovrano dell’universo. Essi lo chiamarono il tiranno, perché lui è l’unico che può dirsi tale senza vantarsi del potere assoluto di vita e di morte che possiede.

Di fronte alla sua grandezza tutti i despoti umani diventano come buffoni, sono uomini da nulla ossia dei tiranni meschini. Essi sono uomini meschini che si arrogano il diritto di perseguitare, danneggiare, opprimere e anche uccidere i loro simili anche senza avere il diritto di farlo.

Al livello inferiore abbiamo meschini tirannucci che perseguitano e danneggiano senza avere il coraggio di uccidere nessuno. Più in basso ancora ci sono meschinetti tirannucci cioè gli esseri infimi in cui mettiamo anche quelli che esasperano e molestano oltre ogni limite. I nuovi veggenti erano favolosi nelle classificazioni, perché avevano una profonda conoscenza dell’animo umano.

Perciò descrissero 4 categorie inferiori di meschini tirannucci. Una categoria è quella di chi usa la brutalità e la violenza per tormentare gli altri. Poi c'è la categoria di quelli che tormentano usando un’insopportabile apprensione. Poi abbiamo la categoria di quelli che opprimono con la tristezza oppure facendo infuriare.

I nuovi veggenti erano geniali, perciò svilupparono una strategia ingegnosa per sfruttare i loro tiranni. Li usarono per eliminare la loro importanza personale e per acquisire l’impeccabilità necessaria. Essi sapevano che l'impeccabilità è l’unica qualità veramente utile sulla via della conoscenza. La strategia dei nuovi veggenti era equivalente ad una manovra mortale, perché la posta in gioco era la loro vita.

Nella geniale strategia il tiranno meschino diventava come una vetta rocciosa che va scalata, e gli attributi interiori del guerriero erano gli strumenti da usare per l’arrampicata. In genere, disse don Juan, la vita fa sviluppare i 5 attributi del guerriero ossia il controllo, la disciplina, l'equilibrio e il tempismo, ma resta l’intento che è la qualità che sviluppiamo per ultima.

L’intento, contrariamente alle qualità che fanno parte dell’ambito umano, si conquista per ultimo perché appartiene alla sfera superiore. L’intento fa parte della dimensione dell’ignoto, mentre i primi 4 attributi fanno parte della dimensione umana in cui vivono gli uomini meschini che si trasformano nei torturatori dei loro simili.

Quello che trasforma gli uomini da poco in oppressori è l’ossessiva manipolazione di tutto quello che essi conoscono. Perciò, solo i veggenti che sono anche dei guerrieri impeccabili, e solo i guerrieri impeccabili che hanno sviluppato anche il controllo dell’intento ottengono il collegamento dei 5 attributi, la quintessenza. Ma un’azione così elevata non si realizza al livello umano e neppure nella vita ordinaria.

Per trattare con i tiranni peggiori è sufficiente avere 4 requisiti, ma un meschino tiranno che diventa l’elemento esterno incontrollabile fornisce l’elemento più importante. Il maestro di don Juan diceva sempre che il guerriero che incontra un tiranno meschino è un guerriero molto fortunato, perciò l’occasione preziosa non va mai sprecata.

Il maggior progresso dei veggenti dell’età coloniale fu la conquista dello schema di progressione a trifase. Infatti i nuovi veggenti avevano approfondito la conoscenza della natura umana, perciò dissero che se uno sa cavarsela con un meschino tiranno certamente può farcela anche contro l’ignoto, e può sopravvivere anche davanti all'inconcepibile.

La reazione più normale sarebbe quella di pensare che sia vero il fatto opposto. Molti credono che un veggente che sa come affrontare l’ignoto non abbia paura di affrontare un meschino tiranno, però non avviene così. Quello che distrusse gli antichi veggenti fu proprio il fatto di aver avuto questa presunzione.

Oggi sappiamo che nulla può temprare il guerriero più di essere costretto a trattare con persone impossibili che occupano posizioni di potere. Gli spagnoli furono perfetti per sviluppare le abilità dei veggenti. D’altro conto, ammise don Juan, è innegabile che "l’ingrediente perfetto per produrre un perfetto veggente è un tiranno meschino dalla sovranità illimitata".

Buona erranza
Sharatan

martedì 28 gennaio 2014

Se ci fosse un uomo



Se ci fosse un uomo
un uomo nuovo e forte
forte nel guardare sorridente
la sua oscura realtà del presente.

Se ci fosse un uomo.

Forte di una tendenza senza nome
se non quella di umana elevazione
forte come una vita che è in attesa
di una rinascita improvvisa.

Se ci fosse un uomo.

Se ci fosse un uomo generoso e forte
forte nel gestire ciò che ha intorno
senza intaccare il suo equilibrio interno
forte nell'odiare l'arroganza
di chi esibisce una falsa coscienza
forte nel custodire con impegno
la parte più viva del suo sogno
se ci fosse un uomo.

Se ci fosse un uomo.

Questo nostro mondo ormai è impazzito
e diventa sempre più volgare
popolato da un assurdo mito
che è il potere.

Questo nostro mondo è avido e incapace
sempre in corsa e sempre più infelice
popolato da un bisogno estremo
e da una smania vuota che sarebbe vita
se ci fosse un uomo.

Se ci fosse un uomo.
Se ci fosse un uomo.

Allora si potrebbe immaginare
un umanesimo nuovo
con la speranza di veder morire
questo nostro medioevo
col desiderio che in una terra sconosciuta
ci sia di nuovo l'uomo al centro della vita.

Allora si potrebbe immaginare un neo rinascimento
un individuo tutto da inventare
in continuo movimento.
Con la certezza
che in un futuro non lontano
al centro della vita ci sia di nuovo l’uomo.

Un uomo affascinato da uno spazio vuoto
che va ancora popolato.
Popolato da corpi e da anime gioiose
che sanno entrare di slancio nel cuore delle cose
popolato di fervore e di gente innamorata
ma che crede all'amore come una cosa concreta
popolato da un uomo che ha scelto il suo cammino
senza gesti clamorosi per sentirsi qualcuno
popolato da chi vive senza alcuna ipocrisia
col rispetto di se stesso e della propria pulizia.

Uno spazio vuoto che va ancora popolato.

Popolato da un uomo talmente vero
che non ha la presunzione di abbracciare il mondo intero
popolato da chi crede nell'individualismo
ma combatte con forza qualsiasi forma di egoismo
popolato da chi odia il potere e i suoi eccessi
ma che apprezza un potere esercitato su se stessi
popolato da chi ignora il passato e il futuro
e che inizia la sua storia dal punto zero.

Uno spazio vuoto che va ancora popolato.

Popolato da chi è certo che la donna e l'uomo
siano il grande motore del cammino umano
popolato da un bisogno che diventa l'espressione
di un gran senso religioso ma non di religione
popolato da chi crede in una fede sconosciuta
dov'è la morte che scompare quando appare la vita
popolato da un uomo cui non basta il crocefisso
ma che cerca di trovare un Dio dentro se stesso.

Allora si potrebbe immaginare
un umanesimo nuovo
con la speranza di veder morire
questo nostro medioevo
col desiderio
che in una terra sconosciuta
ci sia di nuovo l'uomo
al centro della vita.

Con la certezza
che in un futuro non lontano
al centro della vita
ci sia di nuovo l'uomo.

(Giorgio Gaber e Sandro Luporini)

martedì 21 gennaio 2014

Il cavallo e il cavaliere



"L’attenzione è la via dell’immortalità,
la disattenzione è la via della morte;
per questo gli attenti non muoiono,
e i disattenti sono come già morti."
(Dhammapada, v. 21)

La metafora più usata per spiegare il rapporto tra la mente e il corpo sottile è quella che lo raffronta al rapporto tra il cavallo e il cavaliere. I cavalli sono animali molto sensibili, perchè sono predati da specie più aggressive, perciò il cavallo si agita facilmente se sente che il cavaliere non è tranquillo.

Ma è anche vero che, quando il cavallo è agitato rende nervoso anche il cavaliere, perciò è molto importante che tra il cavallo e il cavaliere ci sia un rapporto di confidenza e tranquillità. Se il cavallo è agitato, dobbiamo trattandolo con molta dolcezza per poterlo rassicurare.

Dobbiamo lasciandogli il tempo e la tranquillità di apprendere, così anche noi dobbiamo restare rilassati, altrimenti il cavallo pranico si agita e viene travolto dal panico. Invece, quando siamo sicuri che il cavallo sappia ciò che deve fare, lo dobbiamo lasciare libero, perché è così che il cavallo impara a relazionarsi con il cavaliere.

L’insegnamento tantrico insegna che la mente si comporta allo stesso modo. Per questo, molte pratiche usano la visualizzazione di quello che i tibetani chiamano “tigle” e che in sanscrito è chiamato “bindu” cioè il “cerchio” o la “sfera” che si muove lungo i canali energetici e che si fissa nei chakra. La sfera può rappresentare uno stato di coscienza, una qualità della coscienza, oppure le due cose assieme.

La sfera rappresenta l’aspetto mentale dell’esperienza, cioè rappresenta il cavaliere che guida il cavallo del prana. Infatti, se tra cavallo e cavaliere non c’è accordo, la mente diventa come un cavallo zoppo e il prana diventa come un cavallo cieco. Senza il prana, la mente non è in grado di muoversi, e senza la mente, il prana non sa cosa deve fare: mente e prana devono viaggiare sempre insieme.

Poiché devono viaggiano insieme, saper orientare l’attenzione significa saper orientare il prana, e il movimento del prana non è mai separato dall’esperienza. Per questo motivo, i chakra influiscono sulla qualità dell’esperienza, poiché ogni chakra è collegato a uno dei 6 Regni dell’esistenza.

Ogni chakra va immaginato come una “gestalt vivente” di tendenze, abitudini e modi di sentire cioè come uno schema di esperienza. Nel sonno, per esempio, se non sappiamo restare coscienti, la mente e il prana vengono diretti, per abitudine karmica, sui centri energetici su cui sono abituati a restare. Il prana può usare tutti gli schemi delle energie, perciò attiva centri molto diversi.

I sogni conservano la traccia delle connotazioni del chakra specifico a cui siamo abituati, perciò i sogni rappresentano il simbolismo del distretto su cui siamo maggiormente orientati. Se spostiamo l’attenzione su un chakra diverso, anche i sogni cambiano, ma questo non avviene normalmente, a meno che non siamo in grado di orientare i sogni.

Le pratiche yogiche sono finalizzate a far circolare meglio il prana. E ci sono anche pratiche adatte ad aprire i chakra su cui dobbiamo agire, ma queste sono pratiche molto difficili. Però tutti possono imparare a pensare in positivo collegando questi sentimenti costruttivi al chakra che vogliamo risanare o attivare.

La “sfera” è l’aspetto mentale, perciò rappresenta la concentrazione della mente focalizzata sul chakra e sulle sue qualità, e che agisce come una sfera di cristallo che può assumere il colore del tessuto su cui viene appoggiata. Secondo gli insegnamenti tantrici, le nostre manifestazioni fisiche ed emotive assumono sempre le sfumature e le connotazioni incise nel nostro corpo sottile.

La maggioranza dei nostri problemi nasce dalle sensazioni, opinioni e convinzioni su cui siamo prevalentemente focalizzati, perciò quelle realtà mentali diventano le realtà solide e concrete che poi affrontiamo. Cerchiamo di etichettare le idee e le emozioni per controllare meglio la situazione, però tutte le etichette limitano quello che viene ordinato.

I pensieri e i ricordi si organizzano in strutture che aderiscono agli schemi energetici del corpo sottile. La formazione di strutture che poi l’abitudine consolida con questo meccanismo, forma l’esperienza che è relativa ad uno stato di cose oppure a una situazione. È così che prende consistenza l’idea che abbiamo coltivato riguardo noi e il mondo in cui viviamo.

Le convinzioni interiori prendono consistenza e l’esperienza correlata viene consolidata, perché l'attenzione ha la tendenza a vedere solo quello che gli è più familiare, poiché l’attenzione è sempre selettiva. Le nostre esperienze seguono sempre i medesimi percorsi a causa di questo fatto, e più le sensazioni sono intense e vivide più esse prendono consistenza nella realtà.

La mente privata di attenzione e vigilanza si riempie di pensieri elusivi e sfuggenti. L’attenzione, quando si rivolge al pensiero vede un fiume in piena che la travolge con la furia del suo flusso. La corrente della mente viene mossa dal prana che assomiglia al cavallo che è sfuggito al controllo del cavaliere.

Quel fiume trasporta ricordi, pregiudizi, paure e idee che si sono fissate al nostro corpo sottile. Dobbiamo lavorare su quel corpo così impalpabile ma determinante per la qualità del rapporto con noi stessi e con il mondo. Lavorare sul corpo sottile è saper creare uno spazio tra gli schemi fissi che si sono solidificati con l'abitudine.

Lavorare sull'eterico è distinguere lo schema delle identificazioni personali che si sono solidificate nei pensieri. I pensieri scorrono con grande velocità, perciò non sappiamo distinguerli e la nostra consapevolezza resta sommersa dal fiume. La consapevolezza è offuscata dalle impressioni, dalle nozioni, dalle idee e dalle situazioni che non si sono rese chiare. E questo è il problema della consapevolezza del pensiero, perciò tutto il lavoro viene paragonato all’addestramento di un cavallo.

Tornare alla presenza e alla consapevolezza del pensiero richiede uno sforzo che, spesso, viene accompagnato da tensioni e contrazioni dei muscoli. La consapevolezza può iniziare ponendo l'attenzione e la consapevolezza sull'aspetto fisico, emotivo o mentale. L'essenziale è amare questa ricerca e diventare consapevoli dei nostri schemi ricorrenti

Le fissazioni create dal corpo sottile ci mostrano dove agire. L’attenzione consapevole va rivolta alla coscienza del pensiero che non si lega ad altri pensieri, perciò vediamo il meccanismo che costruisce la nostra realtà mentale. Per la mente normale è naturale produrre idee, ricordi, giudizi e fare sogni a occhi aperti. L’errore non è il pensare, ma è credere che quello che pensiamo sia vero e non saper vedere oltre questa illusione.

Buona erranza
Sharatan

giovedì 16 gennaio 2014

Sostanze impalpabili



"Gli occhi di un uomo possono svolgere due funzioni:
la prima è vedere l’energia così come fluisce nell’universo
e la seconda è ‘guardare' le cose di questo mondo.
L’una non è migliore dell’altra, ma addestrare gli occhi
solamente a guardare è una rinuncia inutile e disonorevole."
(Don Juan Matus)

I maestri del Pranayama cioè dello Yoga che controlla il prana insegnano che questa energia è mutevole, e che il prana usa mezzi diversi per muoversi. Se lo immaginiamo come una corrente elettrica, vediamola scorrere dentro diversi tipi di conduttori perciò vediamola circolare in fili di ferro, di rame o in altri metalli.

Così avviene con il flusso del prana che circola nel sangue, si muove nel respiro e pulsa nei canali nervosi. Perciò dobbiamo immaginare che, un prana molto concentrato possa circolare senza avere bisogno di nessun mezzo di conduzione, perciò che quel tipo di prana possa muoversi nello spazio cosmico.

Il prana non è solo la forza che scorre nel sangue, nei canali energetici e nelle condutture nervose ma, principalmente, è la forza primaria della vita universale. Il prana del respiro è l'energia più semplice da osservare, perché è la forza vitale che percepiamo meglio.

Il tantra insegna a gestire le energie del corpo, perché esse governano tutto l'equilibrio dell'organismo. Secondo queste dottrine, riconoscendo le energie più grossolane possiamo aumentare la nostra sensibilità, perciò possiamo accedere a forme di energia sempre più raffinate.

Perciò dobbiamo sapere che il prana non è solo la forza del sangue, l'energia del corpo e la forza dei nervi, ma che è una forma di energia molto più complessa. E il rapporto tra i canali dei nervi, i vasi sanguigni e il collegamento con i chakra confermano il perfetto intreccio tra funzioni organiche, psichiche e spirituali.

Questi concetti sono espressi nella dottrina delle 5 guaine dove viene detto che siamo formati da 5 involucri di densità sempre crescente. Tutte le guaine tendono a cristallizzarsi intorno al nucleo interno. Verso il centro convergono tutte le forze interiori, perché lo spazio interno è privo di oggetto e qualificazioni perciò è incommensurabile.

La prima guaina, perciò la più esterna e densa è il corpo fisico costruito con il cibo. Questo involucro è contenuto da una guaina più sottile e delicata che è nutrita dall'aria del respiro. L'impalpabile involucro è fatto di prana e aderisce al corpo formando un corpo eterico che ha la stessa forma del corpo fisico a cui aderisce.

La terza guaina è fatta di una sostanza ancora più impalpabile, perché è il corpo di pensiero che è strutturato dalla nostra personalità, perciò è l'involucro che viene formato e nutrito dal pensiero attivo. La quarta guaina è quella del corpo che viene formato dal corpo della coscienza potenziale che si estende oltre il pensiero attivo per abbracciare la totalità delle nostre capacità spirituali.

L’ultimo involucro è un corpo che contiene tutte le guaine precedenti, infatti è il corpo della suprema e universale coscienza. Questo corpo elevato è nutrito e rinforzato solo dalla gioia esultante, perciò è un corpo che viene percepito solo nello stato di illuminazione e nella meditazione più elevata.

Tutte queste guaine non sono corpi distinti, ma vanno pensati come corpi uno racchiuso nell’altro per proteggere un denso nucleo centrale. Le guaine sono conduttori di energie che si compenetrano e si intrecciano. Nella natura vediamo tutte le sfumature delle composite forme di coscienza, perciò vediamo le coscienze raffinate e le coscienze dense e materialistiche legate alla semplice percezione materiale.

Queste cinque guaine si compenetrano, infatti le guaine sottili contengono le più dense, perciò le guaine più impalpabili contengono un nucleo molto solido. Così come vediamo che il corpo fisico si rinforza con il cibo, così il prana aumenta con la forza del pensiero fino ad influire e condizionare la forma materiale del corpo.

Il pensiero, il respiro e il corpo fisico sono sostenuti dal corpo che contiene la profonda coscienza delle esperienze passate. Nel corpo mentale è raccolto e conservato tutto il materiale da cui il pensiero attinge per trovare la sostanza che usa per le sue creazioni. La coscienza profonda va pensata come lo spazio della subcoscienza o dell'inconscio.

Negli stati avanzati di meditazione, le funzioni subconscie, funzioni sottili e fisiche vengono penetrate e trasformate dalla fiamma dell’ispirazione e dalla gioia spirituale. Questo stato di beatitudine è la vera natura dell'uomo ed è la base della coscienza. Su questi concetti si basa lo Yoga del Fuoco Interiore che, in tibetano, è chiamato gtum-mo.

Solo il corpo spirituale che nasce dall’ispirazione più elevata può armonizzare queste guaine. Lo sviluppo del corpo di materia spiritualizzata sarà l’involucro dell'essere integrato e armonioso del futuro. In futuro avremo l’immortalità fisica che oggi è negata, perché siamo troppo identificati con i valori inferiori delle nostre parti parziali e incomplete. Finché non andremo oltre queste limitazioni saremo soggetti alla sofferenza, alla malattia e alla morte.

E' un errore pensare che la vita umana sia una condizione negativa, perché è una benedizione. Non dobbiamo sprecare l’occasione di vivere nel prezioso corpo umano, e dobbiamo amare il corpo sostenuto dal cibo terreno, perché un corpo così limitato è avvolto e protetto da corpi più spirituali e perfetti.

Il corpo umano vive tra il cielo e la terra proprio per essere il campo in cui si svolge il dramma psico-cosmico. I maestri orientali lo sapevano perciò insegnarono a essere consapevoli del respiro, perché l'elevazione inizia con la spiritualizzazione della materia.

L’attenzione concentrata sul respiro conduce al punto che segna il confine tra il lato conscio e l'inconscio, tra la materia grezza e quella raffinata, tra le funzioni volontarie e quelle automatiche. E la possibilità di accrescere la coscienza è la perfetta natura dell’uomo.

La meditazione inizia controllando il respiro, perché l’evoluzione è la trasformazione delle funzioni automatiche in funzioni coscienti. È la coscienza che permette di essere lo strumento delle forze spirituali, infatti il livello della coscienza condiziona la qualità del prana che si riesce a gestire.

Lo Yoga del respiro insegna che il respiro è la prima forma di energia, perché entra in noi fin dalla nascita, perciò è il collegamento tra corpo e spirito. Secondo gli insegnamenti dzogchen nella tradizione bon, tutti gli elementi cosmici creano e mantengono, continuamente, il microcosmo dell'organismo umano.

Originariamente, nello spazio primordiale, si manifestarono cinque luci che sono 5 aspetti limitati dell'immensa luminosità primordiale. Esse sono le cinque pure luci del livello più sottile degli elementi, perciò sono le prime energie da cui derivano tutte le altre forme di energia, compresa quella della luce.

Le 5 luci divennero poi elementi grezzi, naturali e fisici che, nel microcosmo umano, sono ancora presenti come energie che agiscono nella materia. Nell'uomo, la carne viene associata alla terra, il sangue all’acqua, il calore metabolico al fuoco, il respiro all’aria, e la coscienza allo spazio. Tutto il nostro organismo è creato e sostenuto da 5 energie che svolgono azioni e funzioni diverse.

C’è il prana ascendente che è collegato alla terra, il prana della forza vitale che è collegato allo spazio, il prana sottile simile al fuoco che è collegato al fuoco, il prana diffuso che è collegato all’aria, e il prana discendente che è collegato all’acqua. Un tipo di prana può prevalere o essere carente, perciò può avere una forma più "sottile” oppure più “grossolana.”

L'azione del prana può essere ridotta oppure amplificata con un addestramento specifico, perciò quelle caratteristiche saranno rese più evidenti dalle tendenze che mostriamo. Ogni tipo di prana governa specifici organi fisici e le loro funzioni, ma esso agisce anche nell'aspetto emotivo, mentale e spirituale dell'intero organismo.

Il prana ascendente è quello che attiva l’acutezza dei sensi, che sostiene il pensiero e che aumenta la conoscenza. Questo prana è collegato alla terra, perché sostiene l’attività del cervello che è la funzione più terrena dei sensi e della conoscenza. Il prana vitale è quello che rafforza la vitalità dell’organismo ed è concentrato nel cuore, perché il cuore e la forza procedono sempre insieme.

Il prana che aumenta la vitalità è l'energia che rende più acuta la nostra percezione e tutte le funzioni cognitive. Il prana simile al fuoco è quello dell'energia che governa il metabolismo e la digestione. Esso viene rafforzato da ciò che mangiamo, perché è il prana che regola la temperatura del corpo. Questo è il prana che è sviluppato nello Yoga del Fuoco Interiore. Il prana simile al fuoco è il tipo di energia che va purificata per accendere il fuoco psichico interno, che è il fuoco che permette la beatitudine.

Il prana diffuso che viene associato all’aria è l'energia che fluisce in tutto il corpo e che collega tutte le nostre parti energetiche. Il fatto che il nutrimento entra negli intestini e nutre il sangue, mentre i nervi portano le informazioni sensoriali, mentre il corpo svolge altre attività complesse, avviene per merito dell'azione di questo prana.

Il prana discendente è l'energia che governa le attività escretorie e offre la capacità di godere del sesso, perché è il prana che scorre nel chakra segreto localizzato dietro gli organi sessuali. Secondo i maestri dzogchen, tutto il corpo umano è percorso da luci sfavillanti di colori diversi e queste cellule luminose vengono percorse dal "vento" delle energie.

Forse non è importante studiare tutte le sfumature con cui le nostre funzioni si intrecciano in ambiti fisici e psicologici, individuali e universali, materiali e spirituali. L'essenziale è amare la perfezione della vita e la complessa struttura umana. Così vediamo che le energie non sono basate solo sulla materia grezza, perché il corpo di carne e sangue che indossiamo è il prodotto del linga sarira ossia del corpo eterico, da cui il nostro involucro più denso è emerso.

Buona erranza
Sharatan

venerdì 10 gennaio 2014

Giocolieri e funamboli



"I cambiamenti non si verificano cercando di costringere
voi stessi a cambiare, bensì diventando consapevoli
di ciò che non sta funzionando."
(Shakti Gawain)

Siamo impegnati a vivere in due tipi di realtà e il primo tipo è la "realtà assoluta” formata dallo spazio mentale aperto e illimitato. Lo spazio mentale ha una potenzialità infinita che una descrizione potrebbe limitare. Sullo sfondo indefinito della mente passa la realtà mentale che nasce, si trasforma e muore.

I fenomeni sono gli oggetti del mondo materiale ma sono anche i pensieri, le emozioni e le sensazioni della nostra mente. Nella mente appare, si trasforma e fluisce ogni tipo di fenomeno, perché uno sfondo mentale indifferenziato permette la percezione di una realtà illimitata.

La realtà assoluta è immensa come lo spazio cosmico in cui avviene il movimento del sole, della luna e della terra con la natura, con gli animali e con gli esseri umani. Nello spazio cosmico vediamo molti mondi diversi che vivono le loro trasformazioni, perché anche il cosmo deve finire il vecchio corso quando inizia un nuovo ciclo evolutivo.

Se non avessimo una base indifferenziata che consente tutte le potenzialità, non avremmo le trasformazioni che determinano l’evoluzione del cosmo. Perciò, se a livello macrocosmico vediamo un mondo che nasce, si trasforma e finisce per dare spazio al mondo che nasce. Similmente deve avvenire anche per cose, relazioni, ed emozioni che sono nello spazio della coscienza che crea la nostra realtà relativa.

Viviamo come giocolieri o funamboli che oscillano tra i due livelli di realtà, perché percepiamo in modo dualistico. La scissione della percezione è relativa a quello che crediamo amico o nemico, piacevole o doloroso, positivo o negativo e così via. Questo tipo di pensiero diventa limitante, perché nasce dal peso delle convinzioni e dal valore che diamo agli oggetti, perciò è relativa alla nostra prospettiva.

Ogni essere incarnato racchiude in sé un nucleo di tendenze che condizionano il suo modo di percepire, di pensare e di valutare, ma condiziona anche la sua struttura fisica. La nostra scintilla è lucente quando nasciamo, ma diventa più debole e oscura mentre ci identifichiamo con la realtà materiale percepita dai sensi.

Nella maggioranza dei casi il nostro corpo e il cervello crescono su strati di condizionamenti, di schemi emotivi imposti da altri e su strutture mentali che provengono dal nostro ambiente. Con l’aumento degli strati diventiamo sempre più rigidi, perciò è rigida anche la nostra visione del mondo.

Perdiamo sempre più contatto con la chiarezza, l’apertura e l’amore primario che sono l’essenza del nostro essere, e impariamo a difendere e amare solo l’immagine fittizia di noi stessi che abbiamo creato, anche se questa immagine si rivela distruttiva. Secondo i lama, gli schemi emotivi, il senso interiore e la tendenza allo squilibrio o all'equilibrio così come pure tutte le nostre caratteristiche emotive e fisiche sono regolate dalle funzioni del nostro corpo sottile.

Gli insegnamenti sul corpo sottile sono un tipo di studi molto elevato e avanzato, ma sono diffusi dai maestri, perché il concetto di corpo sottile e il peso delle sue influenze sul pensiero, sulle azioni, sulle emozioni è essenziale per eliminare le stratificazioni che offuscano la nostra consapevolezza.

Se non conosciamo questi concetti, non potremo diventare aperti e amorevoli con noi stessi, con gli altri e non sapremo come fare per migliorare le condizioni della nostra esistenza. Se non siamo consapevoli di questo, ogni meditazione rimarrà solo una tecnica di ampliamento del conforto e il risultato sarà un rafforzamento del solido senso dell’io.

Il corpo sottile funziona come un’interfaccia che permette il contatto tra la mente e il corpo, perciò il corpo sottile è il ponte tra il livello fisico e quello mentale. Quando il fisico percepisce, la stimolazione raggiunge il corpo sottile che risuona a causa delle stimolazioni dei sensi. Il corpo sottile ci collega ai nostri sentimenti, perciò se il fisico usa nervi, muscoli e organi per percepire anche la struttura sottile deve essere ugualmente complessa.

La struttura è fatta da tre sistemi collegati tra loro, di cui il primo è l’apparato di elementi detti “tsa” ossia “canali” o “percorsi” che agiscono come i canali ed i meridiani descritti nell’agopuntura. Alcuni maestri associano gli “tsa” con il sistema dei nervi che percorrono il nostro corpo fisico, perché le correlazioni sono entrambi vere.

Nei canali scorrono le “scintille di vita” chiamate “tigle” con un termine tradotto come “goccioline” o “gocce” poiché danno l’idea migliore di quello che scorre nei canali. Oggi le goccioline si correlano ai neuro-trasmettitori, cioè ai messaggeri chimici del corpo che influenzano tutte le nostre funzioni fisiche, emotive e mentali.

I mediatori chimici sono infinitesimali, ma producono potenti effetti che possiamo definire di tipo sottile. Il “tigle” scorre nel corpo spinto dall'energia detta “lung” ossia da “un vento” che ci spinge fisicamente, emotivamente e mentalmente. Senza il lung non ci sarebbe il movimento e la vita, perciò la sua dimora è 4 dita sotto l’ombelico cioè nel medesimo punto del Tan-tien del Qigong.

Dalla dimora del tan-tien esce il flusso del lung diffondendo nel corpo le scintille di vita che sono veicoli della nostra energia vitale fisica, emotiva e mentale. Chiaramente non è facile vedere un corpo così impercettibile, ma lo conosciamo meglio se lo osserviamo quando il suo flusso è perturbato.

Tutti i traumi imprimono perturbazioni nei tsa ed essi si contorcono creando schemi distorti che incidono sull'organismo fisico e sull'aspetto psichico. Un altro squilibrio si crea quando il lung si agita, e lo squilibrio si crea comunemente durante lo sviluppo degli strati dell’io, perché l'io diventa sempre più solido e si orientato sempre più verso l'aspetto materiale della realtà.

Diventiamo sempre più sensibili alle aspettative, alle attrazioni, alle avversioni a gli apprezzamenti che ci provengono dal mondo esterno. Siamo sempre più distanti dalla nostra scintilla fondamentale colma di amore, di chiarezza e di apertura. Perciò cerchiamo sempre più il benessere materiale e le soddisfazioni nei successi esterni.

Ma, molto più facilmente, restiamo delusi oppure ciò che troviamo non ci appaga come vorremmo che fosse, quindi il lung diventa irrequieto e burrascoso. Perciò diventiamo sempre più iperattivi, nervosi, agitati e facciamo fatica persino a dormire, perché l’energia agitata si autoalimenta ulteriormente.

Senza renderci conto diventiamo concitati, mangiamo di corsa e iniziamo a soffrire di ansia, nervosismo, mal di schiena o di stomaco prodotti dall’inquietudine e dalla frenesia interna che ci impedisce di trovare pace. L’inquietudine del lung esagitato può diventare pericolosa, perché la sua perturbazione può fermarsi nel cuore o può danneggiare anche altri organi fisici.

Possiamo sviluppare dei malesseri se l’energia diventa troppo intensa, perché una tensione eccessiva logora troppo, deprime, rende incapaci di reagire e può spingere a dormire troppo. Se gli tsa si bloccano anche il lung inizia a circolare disordinatamente. Il corpo è strutturato per conservare gli schemi che vengono usati più spesso, perciò anche gli schemi malsani possono diventare le strutture preferite del corpo.

Con il trascorrere del tempo, gli schemi che abbiamo creato iniziano a plasmare il nostro pensiero, influiscono sulle nostre emozioni e le nostre azioni; e tutto avviene anche se non lo sappiamo coscientemente. Questi schemi psicosomatici sono creati dal nostro corpo sottile, perciò sono conservati nel corpo sottile. Per questi motivi, il contatto con questo involucro deve essere molto delicato, amorevole e gentile.

Dobbiamo agire con attenzione sul corpo fisico e la medesima delicatezza va usata per agire sul corpo eterico. La consapevolezza della sua importanza nasce quando capiamo i segnali sottili che vengono emessi dal nostro corpo. E non dimentichiamo che la conoscenza sottile del mondo è il passo evolutivo più importante per la nostra coscienza.

Buona erranza
Sharatan

martedì 7 gennaio 2014

Un gioiello smarrito



"Quanto più grande è la forza della compassione,
tanto maggiore sarà la vostra resistenza per affrontare
le prove e farle evolvere verso condizioni più positive."
(Gylwa Tenzin Gyatso, XIV Dalai Lama)

C’è una vecchia storia tibetana che racconta di un grande lottatore che aveva un gioiello prezioso che portava sempre intrecciato nei capelli per non perderlo. Siccome non lo toglieva neppure durante i combattimenti, un giorno ebbe un gran colpo in testa e il gioiello s’infilò dentro la ferita.

Il lottatore non si accorse del fatto, perciò la ferita si rimarginò e il gioiello restò nascosto nella cicatrice. L’uomo cercò ovunque il suo gioiello e non riuscì più a trovarlo, ma non pensò mai di cercare nella cicatrice. Il lottatore passò il resto della vita credendo di averlo perso, e non seppe mai che il gioiello era nascosto nella sua carne.

Questa storia mostra la situazione della maggioranza degli esseri umani. Tutti siamo convinti di aver perso qualcosa di molto prezioso, perciò lo cerchiamo ovunque, ma non pensiamo che il gioiello più prezioso è chiuso dentro di noi.

Se cerchiamo nelle ferite e nelle cicatrici della vita possiamo ritrovarlo. Se ripuliamo il gioiello dell’amore primario e incondizionato di cui sentiamo la mancanza abbiamo raggiunto la felicità. Il gioiello può essere estratto dalla carne, ma va ripulito dalle scorie per vederlo risplendere.

L’amore essenziale è pieno di gentilezza, di generosità e di pazienza, perciò è il gioiello che sorge dall'apertura del nostro cuore. Se il nostro cuore è aperto è un cuore disponibile con le vita e le persone. Siamo disposti a essere pazienti e amorevoli, perché amiamo e comprendiamo la natura umana. Infatti così possiamo perdonare gli errori e le imperfezioni che vediamo in noi stessi e negli altri.

Secondo il maestro Tsoknyi Rinpoche, la compassione esprime un livello di intelligenza e di apertura che comunemente si definisce come la capacità di vedere la sofferenza degli altri, e la volontà di cercare di aiutarli. Il termine tibetano che esprime il concetto è “nying-jé” che indica un concetto molto più complesso.

La parola “nying” significa “cuore” e “jé” significa “nobile” o “signore” nel senso di signore e sommo capo di un territorio. Le due parole unite assumono il senso del possesso di un cuore nobile che è il più elevato tipo di cuore. Un cuore di questo tipo riesce a esprimere una cura e una sollecitudine che è priva di attaccamenti o condizioni, perciò sa esprimere l'amore.

Tutti i tipi di amore che conosciamo sono collegati a delle condizioni, infatti usiamo l'amore come se fosse una merce di scambio. Usiamo l'amore come premio oppure lo neghiamo se vogliamo punire qualcuno per un torto che ha fatto alle nostre aspettative. In realtà vogliamo sempre avere un contraccambio per il nostro amore e per la nostra considerazione, ma il risultato finale è sempre che l’amore diventa un ricatto.

Questo modo di amare è dannoso e dimostra un tragico comportamento sbagliato seguito dalla maggioranza delle persone. Se uno schema di comportamento non ci arreca nessuna gioia dovremmo pensarlo come atteggiamento distruttivo. Ma noi non lo facciamo, perché tutti usano il medesimo comportamento, e perché non sappiamo fare altro.

Lo scambio è creduto un fatto normale, perciò accresciamo le nostre aspettative riguardo alle persone che diciamo di amare. Poi restiamo feriti se non otteniamo quello che vogliamo, e l'aspettativa è infruttuosa. Questo amore sbagliato ci viene insegnato dall’infanzia, e gli errori ricorrenti delle esperienze personali, le convinzioni sociali e culturali non fanno mettere in dubbio l’errore a cui siamo abituati.

Se traballa un valore che è familiare entra in crisi la nostra sicurezza, ma se non sappiamo amare la nostra natura, non sappiamo amare neppure la natura umana negli altri. L’amore che rivolgiamo a noi stessi richiede il possesso della capacità di saperci immergere in noi stessi per ritrovare il legame con le qualità della chiarezza e dell'apertura che fanno parte della nostra natura di esseri umani.

Questa capacità offre la possibilità di farci aprire con affetto ed equilibrio agli altri, e l’apertura che offriamo non sarà condizionata e/o influenzata dalle nostre personali convinzioni. Questo è il senso di “nying-jé” che esprime la gentilezza, la delicatezza e l’affetto incondizionato che provengono dall’apertura e dall’intelligenza del nostro cuore, dice Tsoknyi Rinpoche.

Il cuore ha una tendenza innata ad essere aperto e questa natura è la nostra natura umana essenziale. Essenziale per dire che è implicita nella natura degli uomini. Tutti abbiamo bisogno di benessere, tutti vogliamo alimentare la scintilla d'amore che ci lega al mondo, perché l’amore è il sentimento di empatia che ci collega a tutti gli esseri senzienti.

Tutte le pratiche complesse che possiamo imparare sono finalizzate solo a ricongiungerci alla nostra amorevole natura. Se riflettiamo su un momento in cui siamo stati in perfetto benessere assaporiamo quella fonte incondizionata d’amore che la natura umana è capace di esprimere.

La sensazione di benessere si sente nel petto che diventa leggero. Sentiamo che il cuore si allarga e che il benessere riesce a sciogliere anche il dolore più intenso. Questo benessere è un tepore e una gioia interiore che la nostra consapevolezza può sfiorare, perciò possiamo conquistare lo stato di grazia offerto da questa meravigliosa esperienza.

Ogni volta che abbiamo bisogno di un contatto avvolgente e del calore dell'amore possiamo ricercare il contatto con questo spazio di benessere. Anche la mente diventa più aperta e disponibile, e una mente più aperta e rilassata sa analizzare molte possibilità. Perciò è più fiduciosa e più disponibile a entrare in contatto con il prossimo.

Solo così riusciamo a parlare di noi e riusciamo ad ascoltare amorevolmente anche gli altri; e senza chiedere nulla in cambio. Questo percorso è lungo, infatti ritrovare l’amore essenziale è solo il primo passo per un percorso maggiore. Il percorso più durevole e appagante è quello che ci affrancherà dalla paura, dalla durezza della vita e dalle crisi esistenziali.

L’amore essenziale è solo il primo passo dell’amore, perché il successivo progresso sarà conquistare l'amore incommensurabile. Per capire l’amore dobbiamo capire noi stessi, infatti comprendere le nostre difficoltà aiuta a capirle negli altri. Ma questa comprensione non può essere mentale ma deve diventare una comprensione profonda e viscerale.

Finché non avremo sperimentato le gradazioni dei sentimenti cioè l’ansia, la disperazione, la gelosia e altri sentimenti negativi non saremo affidabili nell'amore che offriamo agli altri. Il momento più adatto per capire l'amore è il momento in cui siamo più soli, più disperati e in difficoltà, perché la voglia di superare questi sentimenti negativi ci darà la forza per iniziare il percorso.

Quando ostacoliamo il nostro benessere non ci stiamo comportando in modo gentile e amorevole con noi stessi, perciò immaginiamo che il dolore sia come una nube nera che va dispersa. Molte persone non hanno più fiducia nell’amore, perché sono stati tradite da persone care o da persone di cui avevano fiducia. Molti abusano della fiducia degli altri, ma le paure devono essere superate e la fiducia nella vita va ritrovata.

Nel buddismo tibetano si insegna una pratica che è detta “tonglen” che non insegna l'oblio o il perdono, ma insegna a risanarsi. La pratica si basa sull'accettazione del fatto che tutti cercano di unirsi con la loro scintilla. Tutti agiscono per cercare di vivere senza dolore, senza delusioni, senza malattia o morte: tutti ricercano la felicità e il benessere, ma a volte lo fanno in modo sbagliato.

Nella pratica si respira e s’immagina che la nostra sofferenza si sciolga, perché è dissolta da una grande luce. Questa luce si irradia da noi e si dirige verso gli altri esseri, poi si dissolve in loro cancellando ogni loro dolore. Immaginiamo che tutti siano liberati dal dolore e che riescano a riunirsi con l’amore che filtra dal nostro cuore aperto.

Buona erranza
Sharatan

venerdì 3 gennaio 2014

La pelle del leopardo



"Le macchie sono la gioia del leopardo:
le corna sono l’orgoglio del bufalo."
(Rudyard Kipling - Massime di Baloo)

Prima dei tempi più antichi c'erano i tempi dei primi momenti della creazione, e in quei tempi il Leopardo viveva in un posto chiamato Alto Veldt. Si noti che non viveva nel basso Veldt, nella pianura del Veldt, e neppure nel verde boscoso Veldt, ma proprio nell’Alto Veldt. L’Alto Veldt era un altopiano sabbioso inospitale, era un posto assolato e arroventato pieno di sabbia e di arida erba color sabbia.

Nello stesso posto vivevano anche la Giraffa, l’Antilope, la Zebra, il Koodoo, l’Hartbeest e molti animali del medesimo colore. Tutti gli abitanti del posto erano bestie che, dalla testa alla punta della coda, erano colorati con sfumature gialle, color ocra oppure brunicci come quel paesaggio sabbioso.

Ma la bestia più bruniccio gialla era il Leopardo che era simile a un grande gatto che si amalgamava meravigliosamente con l'altopiano riarso dal sole. La coincidenza era grave e pericolosa per la Giraffa, l’Antilope, la Zebra, il Koodoo e gli altri animali. Il Leopardo amava acquattarsi dietro gli arbusti e le rocce riarse dell’Alto Veldt per tendere agguati agli animali indifesi.

Uscendo dal suo nascondiglio, il Leopardo balzava implacabile sulle bestie che pascolavano pacificamente. Il guaio era maggiore da quando il Leopardo si era associato con un Etiope e l'Etiope, era anche lui di colore giallo bruniccio sfumato di grigio e girava armato con arco e frecce nell’Alto Veldt.

Va saputo che i due amici avevano un ottimo accordo, perciò l’Etiope e il Leopardo andavano sempre insieme. Quell'armonia era un disastro per la Giraffa, l’Antilope, la Zebra, il Koodoo, l’Hartbeest e gli altri animali. Per abitudine e per obbligo di sopravvivenza, le bestie del posto avevano imparato a nutrire una sana diffidenza per tutto ciò che sembrava assomigliare anche vagamente al Leopardo e all'Etiope.

Per non essere uccisi dall'Etiope o sbranati dal Leopardo, tutte le bestie indifese iniziarono a fuggire. La prima a partire fu la Giraffa dalle lunghe zampe che fu seguita dall’Antilope, dalla Zebra, dal Koodoo e, alla fine, erano fuggiti tutti. Infatti, gli animali corsero e corsero, finché giunsero a una fitta foresta verde piena di ombre punteggiate, striate, macchiate per il gioco del sole e delle foglie.

Gli animali si nascosero nell'ombra della foresta vivendo nascosti. Perciò restando sempre in penombra, il loro pelo iniziò a macchiarsi quindi la Giraffa si maculò, la Zebra si scolorò a strisce, e l’Antilope e il Koodoo divennero bruni con la groppa maculata più scura diventando come la corteccia degli alberi.

In quel modo restò inalterato solo il loro odore, ma la loro pelliccia mutò e si confuse con la foresta. Essi vennero visti sempre meno e solo se si restava attenti a dove si guardava. Intanto, mentre gli animali si godevano il nascondiglio della foresta, il Leopardo e l’Etiope restavano nel Veldt e cercavano i bei pranzetti a cui erano abituati.

Siccome erano restati da soli si ritrovarono in preda a una gran fame. Allora si mangiarono gli scarafaggi, i topi e persino i conigli delle rocce per necessità, ma gli venne un gran mal di pancia e si sentirono male. Mentre cercavano il cibo videro Baviaan, il babbuino dalla testa di cane che abbaia come un cane. Baviaan era il più sapiente e informato animale della zona, perciò gli chiesero dove fossero andati gli animali.

Era un giorno di canicola feroce e il Leopardo gli chiese: “Si può sapere dove si è cacciata la nostra preda saporosa?” Baviaan, sorrise e strizzò un occhio: era chiaro che sapeva ma che non voleva parlare. Perciò l’Etiope chiese: “Di grazia messere, dove sono andati gli indigeni? Sa dirmi dov'è andata la Fauna abitante?”

La domanda dell’Etiope era come quella del Leopardo, ma l’Etiope era un uomo, perciò parlava difficile e oscuro. Baviaan, il babbuino dalla testa di cane che abbaia come un cane, sorrise, strizzò un occhio e rispose: “La caccia ha cercato altre macchie e la mia modesta opinione è che anche per il Leopardo è meglio cercare altre macchie al più presto!” L’Etiope osservò: “Quello che dici è interessante, ma vorrei sapere dov'è andata la Fauna aborigena. Sai dire dov'è?”

Balaan gli rispose: “La Fauna aborigena ha fatto comunella con la Flora indigena, perché era l'ora di mutare. Il mio parere è che anche l'Etiope deve cambiare.” Dopo aver detto quelle frasi misteriose, il babbuino se ne andò e lasciò il Leopardo e l’Etiope assai perplessi, perciò essi decisero di mettersi in viaggio per cercare la Fauna scomparsa.

Dopo aver camminato molto videro una enorme foresta ombrosa piena di ombre punteggiate, macchiate, striate e maculate. Il Leopardo disse: “Ma com'è che c'è tanta ombra? Come mai questo bosco è pieno di luce e di ombra?” L’Etiope rispose: “Non lo so proprio, ma mi sembra una ben misteriosa Flora. In questo posto sento l'odore di Giraffa, ma non vedo e non sento nessuna Giraffa. Tutto questo è assai curioso!”

Il Leopardo osservò: “Curioso tu mi dici? Forse la nostra confusione viene dal fatto che abbiamo camminato sotto il sole. Io sento un buon odore di Zebra, ma non vedo e non sento nessuna Zebra.” L’Etiope riprese: “Aspetta fratello, forse ora capisco! È tanto che non cacciamo e non vediamo quelle prede. Forse abbiamo dimenticato come sono fatte e anche il loro odore, perciò ora ci confondiamo.”

Il Leopardo scrollò le spalle: “Ma no! Io ricordo bene il loro aspetto e l’odore, ma soprattutto ricordo il sapore del midollo quando mastico le loro ossa. Ricordo che la Giraffa è un animale alto cinque metri, di un colore fulvo e giallo dorato dalla testa alle zampe. Mi ricordo che la Zebra è alta un metro e mezzo, e che è di un bel color grigio.”

L’Etiope sbirciò nell'ombra della foresta aguzzando lo sguardo: “Beh, sarà come dici! Io credo che se fossero qui dovremmo vederle spiccare come il fuoco di notte!” Ma le bestie non spiccavano e non si vedevano in nessun luogo, perciò il Leopardo e l’Etiope andarono a caccia tutto il giorno, ma seppure sentissero e annusassero le prede, non riuscirono a vederle.


Infine il Leopardo era affamato e stanco, perciò mentre si riposavano disse: “Per carità! Mi sento sfinito e sono a stomaco vuoto. La caccia di giorno è una grande sconvenienza che non procura alcuna preda. Aspettiamo la sera e saremo più fortunati nella caccia notturna.” Infatti aspettarono il buio, quando il Leopardo sentì sbuffare e soffiare nel buio, poi vide un ombra alla fioca luce lunare e si gettò contro la sagoma buia.

Il Leopardo atterrò su qualcosa che soffiava e puzzava di Zebra, e che dava una sensazione di Zebra. L'essere misterioso stramazzò a terra scalciando come una Zebra, ma di notte non si vedeva nulla. Il Leopardo gli urlò: “Sta fermo misterioso essere informe! Starò seduto sul tuo collo e ti terrò fermo finché sarà venuto il giorno: sono molto curioso di vedere cosa sei!”

Nel buio si sentì anche un grugnire, uno sbuffare e poi il rumore di una lotta furibonda, poi si sentì l’Etiope che diceva: “Fratello! Ho preso un tipo strano che non veggio. L'essere strano odora di Giraffa e scalcia come una Giraffa! È un ombra che non so descrivere, ma la tengo stretta!”

Il Leopardo disse: “Amico, non ti fidare! Qui avvengono molte stranezze. Stai seduto sulla sua testa e tienilo immobile. Io ho catturato qualcosa che tengo ferma sotto gli artigli. Alla luce del giorno vedremo cos'è, perché niente qui è come sembra!” Così passarono la notte pesantemente seduti sulle ombre, finché venne il giorno. Alle prime luci del sole, il Leopardo chiese: “Fratello, cosa tieni nelle grinfie?”

L’Etiope si grattò la testa e rispose: “Non saprei dire! Questa bestia dovrebbe essere gialla dorata e dovrebbe essere una Giraffa, ma veggio una bestia con macchie marrone scuro sulla groppa. E tu, cosa hai preso?” Anche il Leopardo si grattò la testa e disse: “Dovrebbe essere grigio perla e dovrebbe essere una Zebra, perché odora e scalcia come una Zebra, ma è una bestia a strisce nere e viola. Che diamine ti è successo Zebra? Quando eri nell’Alto Veldt eri diversa, e ti avrei riconosciuta.”

La Zebra gli disse: “Qui noi siamo lontani dall’Alto Veldt. Non lo vedi?” Il Leopardo obiettò: “Adesso ti vedo bene, ma prima non ti vedevo. Come si spiega il mistero?” La Zebra disse: “Alziamoci, e poi te lo dico!” La Zebra e la Giraffa si alzarono e andarono verso la macchia in cui filtravano i raggi del sole, perché era una folta macchia punteggiata, striata e maculata di ombre e di luci.

La Zebra disse: “Vedete come siamo appaiati al panorama? Ecco come abbiamo fatto, perciò un, due e tre… e il vostro pranzo è sparito!” Dopo averlo detto, la Zebra e la Giraffa sparirono nell’ombra della foresta lasciando il Leopardo e l’Etiope con un palmo di naso. Essi restarono a occhi sbarrati, si guardarono muti e poi guardarono la macchia ma non videro che ombre rigate, striate e maculate: non restavano tracce della Giraffa e della Zebra.

I due furboni si erano nascosti nella foresta e li avevano giocati, infatti l’Etiope convenne: “Una beffa encomiabile! Un tiro da maestro e questo ci serva da lezione, caro Leopardo! Tu sei visibile come un tizzone di brace nella notte, perciò non possiamo più cacciare senza essere visti!”

Il Leopardo rispose piccato: “Se io risalto come un tizzone, anche tu risalti come un seme bianco tra i semi neri!” L’Etiope concluse: “Anche se facciamo notte a insultarci non risolviamo i problemi! A essere ingiuriosi uno con l'altro non facciamo grandi progressi. Perché non facciamo come consiglia Baviaan? Io voglio cambiare come dice lui, perciò non avendo altro che la pelle, muterò la mia pelle.”

Il Leopardo incuriosito chiese: “E come pensi di fare?” Era curioso di vedere cosa avrebbe fatto. Intanto l’Etiope si guardava le braccia e diceva: “Questo giallo non è gran cosa, lo muterò in un brunetto scuro dai vellutati riflessi violetti. Credo che sarà un colore bello e adatto al bosco.” Mentre parlava, la sua pelle si desquamava davanti agli occhi del Leopardo che guardava il primo uomo che faceva la muta.

Il Leopardo si chiedeva: “E io, come posso diventare più adatto?” Mentre l’Etiope si assestava la pelle pensava che la pelle nera era veramente una meraviglia. Dopo che l'Etiope si fu assestata meglio la pelle nuova disse al Leopardo: “Segui anche tu il consiglio di Baviaan. Non ti ricordi il fatto delle macchie?”

Il Leopardo disse: “Certo che mi ricordo le macchie. Cercai sempre gli animali nelle macchie, ma ultimamente non presi nulla. Me ne venni con te nelle macchie, ma la cosa non ha giovato molto a togliermi la fame.” L’Etiope rise di gusto: “Baviaan non alludeva alle macchie boscose, ma diceva di altre macchie. Baviaan ti diceva di farti le macchie sulla pelliccia!”

Il Leopardo era poco convinto: “Dici di farmi le macchie? Perché dovrei farmi le macchie?” E l’Etiope rispose: “Pensa alla Giraffa o alla Zebra. Sono mutate mettendosi macchie e strisce, e sembrano molto soddisfatte dello scambio di pelle!” Il Leopardo sbottò indignato: “Ma come ti permetti di paragonarmi a loro? Io non sono una Giraffa e neppure una Zebra. E non vorrei esserlo nemmeno per l'oro del mondo, neppure per sogno!”

L’Etiope stava diventando molto impaziente, perciò disse: “Allora fai come credi, ma decidi velocemente! Io ho fame perché non ho mangiato nulla. Mi piace cacciare con te, ma se non ti decidi andrò a caccia da solo. Allora, cosa vuoi fare? Devi rassegnarti, perché se resti così sembri un girasole nel bosco.”

Mentre l’Etiope parlava mise le dita sulla spalla del Leopardo, e gli lasciò delle macchie. Il Leopardo le guardò e disse: “E allora vada per le macchie! Vedo che ti vengono bene, ma non farmele troppo grandi altrimenti divento volgare!” Era successo che il colore della pelle dell’Etiope non si era ancora ben fissato, perché la sua muta non si era stabilizzata, perciò aveva macchiato la pelle del Leopardo.

L’Etiope strinse le dita della mano destra dove il nero era in avanzo, e iniziò a macchiare la pelle del Leopardo. Mentre poggiava le dita sulla pelle, le dita riunite lasciavano cinque segni neri raggruppati che vediamo ancora oggi sulla pelle del Leopardo. In altre zone i segni vennero meno simmetrici e regolari, perché l'Etiope era affamato e aveva fretta di cacciare.

Quando ebbe disegnato tutto il Leopardo, l’Etiope gli disse: “Adesso sei diventato una vera bellezza! Potrai sdraiarti al sole e nasconderti tra le frasche, potrai stare tra le rocce oppure nascosto nell’ombra. Le macchie si appaiano a meraviglia con ogni posto, pensa alla tua fortuna e fammi le fusa per la felicità!”

Il Leopardo si guardò soddisfatto e ammise: “In effetti non nascondo che questa pelle mi piace molto. Ma tu allora, se ti piacciono tanto le macchie, perché non diventi maculato pure tu?” Allora l’Etiope ammise: “Le macchie sono molto belle, ma per un nero è molto più elegante essere in tinta unita. Ma tu non credi che dobbiamo saldare la questione con i furbetti del Un, due e tre… e il pranzo sparisce?”

Il Leopardo sorrise e ammise: “Credo che dobbiamo saldare un vecchio conto, fratello. Coraggio, andiamo a caccia!” E senza perdere altro tempo corsero a cacciare il loro pranzo. Da quel giorno il Leopardo e l’Etiope tornarono a cacciare insieme e vissero per sempre felici e contenti.

Buona erranza
Sharatan