domenica 29 giugno 2014

La saggezza del fiore



“C’è una storia, famosa negli ambienti zen, che parla di un fiore. Un giorno il Buddha mostrò un fiore a un’assemblea di 1250 monaci e monache. Per molto tempo non disse nulla. L’uditorio restò in perfetto silenzio. Tutti sembravano intenti a riflettere, cercando di capire il significato recondito del gesto del Buddha. Poi, d’un tratto, il Buddha sorrise. Sorrise perché uno dei presenti aveva sorriso a lui e al fiore. Il nome di quel monaco era Mahakashyapa. Era stato l’unico a sorridere; il Buddha sorridendogli di rimando disse: “Ho un tesoro di saggezza e l’ho trasmesso a Mahakashyapa.”

Questa storia è stata oggetto di discussione da parte di molte generazioni di studenti Zen, e ancor oggi si continua a ricercarne il senso. Per me, il significato è molto semplice. Quando qualcuno solleva un fiore e ve lo mostra, vuole che voi lo vediate. Se non smettete di pensare, perderete il fiore. La persona che non stava pensando, che era semplicemente se stessa, fu capace di un incontro profondo con il fiore, e quindi sorrise.

Ecco il problema della vita. Se non siamo noi stessi fino in fondo, se non siamo davvero nel presente, perdiamo tutto. Quando vi viene incontro un bambino sorridente, se siete nel futuro o nel passato oppure pensate ad altro, invece di essere lì, è come se il bambino non esistesse. Il metodo per essere vivi è ritornare a se stessi perché il bambino si mostri nella sua splendida realtà. Allora lo vedrete sorridere, e potrete stringerlo fra le braccia.

Vorrei condividere con voi una poesia scritta da un amico che morì a Saigon a 28 anni, circa trent’anni fa. Dopo la sua morte si trovarono molte belle poesie composte da lui; questa mi colpì particolarmente. Sono pochi brevi versi, ma molto belli.

Accanto allo steccato, silenziosa,
sorridi col tuo incantevole sorriso.
Resto senza parole, saturo
dei suoni della tua bella canzone
senza principio e senza fine.
Ti saluto con un profondo inchino.

Il poeta si rivolge a un fiore, a una dalia. Quella mattina, passando davanti a uno steccato, aveva visto quel piccolo fiore molto in profondità, e colpito da quella visione si era fermato a scrivere la poesia. A me piace moltissimo. Forse penserete che il poeta sia un mistico, per via dello sguardo profondo con cui vedeva le cose. Ma era una persona normale, come voi e me.

Io non so come e perché fosse capace di guardare e vedere così, ma è esattamente il modo con cui pratichiamo la consapevolezza. Cerchiamo di essere in contatto con la vita e guardiamo in profondità mentre beviamo il tè, camminiamo, sediamo o disponiamo i fiori. Il segreto del successo sta nell’essere veramente ciò che si è, e quando siamo veramente ciò che siamo incontriamo la vita nell’attimo presente.” (Thich Nhat Hanh, La pace è ogni passo, Astrolabio)

giovedì 26 giugno 2014

Psicotrappole



“Non esistono problemi: ci sono solo le soluzioni.
Lo spirito dell’uomo crea il problema dopo.”
(Andrè Gide)

Giorgio Nardone è stato allievo di Paul Watzlawick il filosofo, sociologo e psicologo austriaco che è stato uno dei massimi studiosi della comunicazione morto nel 2007. Nardone è uno dei ricercatori della famosa Scuola di Palo Alto, e le sue ricerche hanno portato a delle innovative tecniche terapeutiche grazie alle quali ha risolto 20.000 casi clinici nel corso di 25 anni di attività terapeutica.

L'opera di Nardone che dovete leggere è “Psicotrappole” uscito in economica a 10 euro ben spesi, che per me è una chicca. Già dalla copertina emerge il tema su cui Nardone ci invita a riflettere, e il sottotitolo è già un programma: "Psicotrappole ovvero le sofferenze che ci costruiamo da soli: imparare a riconoscerle e combatterle.”

Nardone parte dal presupposto che esistono tanti disagi quanti ne possiamo inventare, però ogni trappola che facciamo ha una via di uscita. Seppure siamo abili nel costruire ‘psicotrappole’ siamo ugualmente abili a realizzare psicosoluzioni. Nardone crede che gli uomini hanno la capacità di crearsi difficoltà o malattie della più varia tipologia, ma sono capaci di fare cambiamenti tanto imprevisti che straordinari.

Certo, nella maggioranza dei casi, è necessario farsi aiutare dall'esperto ma, a volte, vediamo casi di trasformazioni positive che si realizzano spontaneamente. Esse avvengono in virtù di “esperienze correttive, folgoranti illuminazioni e cambiamenti di prospettiva, frutto di ciò che la vita ci propone e delle nostre reazioni, che per caso o per scelta introducono il cambiamento.”

Le ‘psicotrappole’ sono costruite in relazione della percezione che abbiamo riguardo alle cose che sono classificate secondo la percezione che abbiamo di loro, nel nostro modo di agire volontario o involontario. Sono costruite per cercare di gestire alla meno peggio la nostra realtà, perciò si conformano al nostro modo di pensare e dare un senso a ciò che viviamo. Nardone dice che ci scaviamo le trappole in cui noi stessi poi cadiamo, e da cui ci sembra di non poter uscire.

È importante chiarire che nessuna ‘psicotrappola’ è una forma, in sé, patologica ma che lo diventa quando essa si ripresenta in modo ridondante ed esclusivo. Perciò è la loro ossessiva reiterazione che le rende responsabili dell’insorgere delle patologie. Ad esempio, fare attenzione alle reazioni emotive è sicuramente positivo, ma quando il controllo delle emozioni diventa ossessivo e compulsivo, quel controllo si è trasformato in disturbo fobico-ossessivo.

Tutto il problema è nel fatto che l’uomo tende a ripetere ciò che ha funzionato in passato e che fu utile a superare ostacoli e risolvere problemi. La trappola è insita nel fatto di schematizzare le esperienze che vengono fatte, e nel susseguente irrigidimento su cui si insiste. E poi, nell'applicare la medesima strategia anche quando la strategia non funziona.

Delle condizioni diverse richiedono delle soluzioni diverse, ma a questo si oppone un’altra naturale tendenza umana. Ed è quella di credere che la strategia non è efficace perché non la si è perseguita abbastanza a lungo e con la necessaria convinzione. Ed è così ci infiliamo nelle situazioni in cui prendiamo a testate un muro, ma lui è solido e duro perciò non cede. Per tutti questi fattori avviene che noi esseri umani che percepiamo, pensiamo e agiamo siamo perennemente sospesi tra la sanità e la malattia mentale.

Anche le virtù non esercitate con discernimento possono diventare vizi, perché ogni eccesso diventa un difetto. Ma, se le nostre debolezze vengono accettate, possono essere trasformate e possono diventare i nostri punti di forza. Si pensi ad esempio, che il senso comune pensa che l'essere delle persone molto percettive e molto sensibili sia un grande dono.

Ma, se questo dono non viene gestito con intelligenza, diventa fonte di ansia, incertezza, preoccupazioni e fragilità interna che possono sfociare in disturbi psichiatrici e comportamentali, dice Nardone. Le nostre psicotrappole sono sempre effetto dell’iperdosaggio o della deviazione dal retto orientamento e dell’agire sano che deve essere adatto alle circostanze.

Tanti psichiatri pensano che questi problemi vengano dall’inadeguato senso della realtà. Nardone crede che, in maggioranza, i processi non sono il frutto di scelte pensate, ma che sono reazioni che scattarono come “frutto della ripetizione di un copione acquisito sulla base della sua efficacia.”

Ognuno può costruire la psicotrappola in cui cadrà prigioniero, e anche chi è scarsamente dotato o non intelligente può ideare la sua. L'esperienza del terapeuta gli fa concludere che i casi più incredibili e difficili da trattare sono quelli che riguardano le persone più dotate, perché sono soggetti che estremizzano anche i loro problemi.

Sulla base dell'esperienza si può dire, afferma Nardone, che la complicazione psicopatologica è sempre proporzionale all’intelligenza del soggetto. Più una persona è geniale più le sue trappole sono profonde o possono diventare un labirinto da cui è difficile uscire. L’altra tendenza umana che tende a favorire la costruzione di psicotrappole è il naturale funzionamento fisiologico della mente.

La mente risponde all’esigenza di un sistema che evita il disperdio di energie. La mente lavora in economia se usa schematizzazioni e associazioni funzionali. Se la mente elabora dei processi che verifica come soluzioni di problemi, poi tende a trasformarli in schemi replicabili che usa in situazioni che percepisce come simili. Ma se tendiamo ad applicare una soluzione che è frutto della generalizzazione cadiamo in una trappola mentale micidiale!

La somiglianza induce alla percezione ingannevole e le situazioni sono viste come uguali ma, in realtà, non lo sono. In questo modo si creano soluzioni disfunzionali che sono reiterate creando nuove complicazioni. Si deve ammettere che la capacità umana di crearsi problemi è connaturata al funzionamento del sistema della mente, perciò si deve ammettere che non sempre i naturali processi mentali producono dei risultati positivi.

La spontaneità è un’illusione, in barba al mito del "buon selvaggio" di Jean-Jacques Rousseau. Si vede bene che la relazione del soggetto, la sua relazione con se stesso e il suo rapporto con il mondo esterno sono i tre poli delle relazioni. L'evidenza dimostra che le reazioni definite come 'spontanee' sono solo il frutto della nostra esperienza, perciò che tutte le reazioni sono delle reazioni acquisite.

Le reazioni non sono schemi che vengono pianificati, ma sono risposte che sono profondamente radicate. Esse sono reazioni prive di riflessioni cioè sono dei meccanismi automatizzati. Questa è la struttura mentale su cui nasce un psicotrappola, ma ora si deve avvisare che ognuno crea trappole diverse inventando la miscela magica con valenza positiva o negativa.

Nel libro si spiegano i più importanti disturbi psichici e comportamentali in cui entrano in gioco gli attacchi di panico, le ossessioni, le compulsioni, le manie, le depressioni, le anoressie e così via. Chiaramente ci sono anche tutte le psicosoluzioni ovvero le strategie psicoterapeutiche fatte di tecniche e stratagemmi che rompono il circolo vizioso.

La psicotrappola crea il copione, perciò si creare un copione di soluzioni che spiegano anche il funzionamento del problema che si va a risolvere. La replica della strategia terapeutica dimostra che nei soggetti che avevano lo stesso tipo di patologia si potevano verificare l’efficacia risolutiva, ma si dimostra anche che si è trovato il funzionamento e l'origine del disturbo.

Il libro è frutto dell’esperienza ventennale dell’autore, ma anche del lavoro dei suoi collaboratori. La lettura insegna a riconoscere le strutture delle 7 psicotrappole del pensiero, delle 8 psicotrappole dell’azione e delle varie combinazioni patologiche, a cui fanno seguito le varie strategie positive. Insomma, abbiamo tanti buoni motivi per leggere questo "Psicotrappole" di Giorgio Nardone che è edito da Ponte alle Grazie.

Buona lettura
Sharatan



martedì 24 giugno 2014

I blocchi dell'ego



“L’energia della creazione è interpersonale e transpersonale. Passa da te agli altri e dagli altri a te. Mentre questa energia ti sostiene in modo essenziale, non è possibile possederla a livello personale. Nessuno ha una connessione speciale all’energia. Non appena qualcuno pretende di possederla, la sua connessione all’energia subisce dei disturbi.

In un rapporto di fiducia e di rispetto reciproci, crei una connessione sostenuta dall’energia d’amore dell’universo. […] Per allinearti con l’energia della creazione devi abbandonare i programmi del tuo io. I programmi del tuo io agiscono in base alla convinzione che tu possa manipolare le persone e gli eventi per ottenere i risultati che vuoi. I programmi del tuo io sono egoisti e miopi. Non tengono in considerazione il bene degli altri, e pertanto non tengono in considerazione neppure il tuo, nonostante tu sia convinto del contrario.

Quando defraudi qualcuno di qualcosa che si merita, non solo perdi ciò che pensi di guadagnare se avessi agito in modo meno egoistico. Ogni tentativo di guadagnare in modo egoistico finisce per portare a una perdita e a una sconfitta, poiché le azioni egoistiche non vengono sostenute dall’universo. Coloro i quali traggono vantaggi dagli altri possono essere dotati di grande determinazione e notevoli abilità, ma non possono compensare la perdita della loro connessione all’energia della creazione.

Altri individui ugualmente determinati si uniranno e, sorretti da forze invisibili, finiranno per sconfiggerli, poiché Davide sconfigge sempre Golia. Non perché sia più grande o più forte, ma perché le sue intenzioni sono chiare e nel suo cuore c’è amore. Mentre, a volte, può sembrare che la paura schieri un maggior numero di forze al suo fianco di quante ne schieri l’amore, ma essa non potrà mai tenerle unite. Le forze timorose tendono sempre a staccarsi.

Quando le aspettative egoistiche di un gruppo non vengono più soddisfatte, esso diserta o passa dall’altra parte. L’amore ha una forza di sostegno molto maggiore della paura, perché è calmo e paziente. Quando non attrae l’aiuto direttamente non si dispera, ma trova fede e conforto nella sua forza e nella chiarezza di cui già dispone.

Quelli che cercano di trarre vantaggio dagli altri cadono vittime delle loro azioni sbagliate. È la natura del percorso karmico. Ogni volta che cerchi di ferire un altro, in realtà ferisci te stesso. Perché ogni cosa che pensi o fai agli altri finisce per ritornare a te. Solo chi perdona veramente e si astiene dalla vendetta rompe il circolo vizioso egoico della violenza.

Se vuoi aprirti all’abbondanza della tua vita, devi abbandonare l’idea di poter guadagnare grazie al fatto che ci sia qualcuno che perde. Questo è il pensiero spaventoso della mente egoica che devi riconoscere e rifiutare se vuoi mettere in moto nuovi modelli nella tua vita.

Fortunatamente esiste un altro modo, un modo che comincia quando riconosci che il tuo bene e quello di tuo fratello o di tua sorella è lo stesso. Quando accetti di essere uguale agli altri ti riconnetti all’energia della creazione, e questa energia ti sostiene. Grazie a questo supporto non ti affatichi invano. I risultati giungono spontaneamente e secondo la loro tabella di marcia.

Ma a te viene sempre richiesto di abbandonare le tue aspettative di modo che l’opera possa muoversi con te e attraverso di te. Mentre puoi avere padronanza della tua area di lavoro, non avrai mai la proprietà esclusiva dell’intero lavoro. Questo perché il lavoro della creazione è essenzialmente collaborativo. Non può essere svolto senza il contributo di molte persone.

La tua tessera deve adattarsi alle altre, altrimenti l’integrità dell’opera verrà compromessa. Le richieste di questa via sono grandi quanto quelle della via egoica della manipolazione e della lotta. Ma le ricompense della via dello Spirito sono molto più grandi, perché chi segue questa via trova la vera felicità. Poiché serve gli altri, l’amore lo serve.

Poiché dà senza aspettarsi niente in cambio, l’universo gli porta doni inaspettati. Poiché vive con gioia nel presente, il futuro gli si presenta pieno di grazia. Quando giungono le sfide, si alza per affrontarle. Quando sorge la delusione, vi guarda dentro e abbandona le barriere all’amore che impediscono di sentirne la presenza nella propria vita.” (Paul Ferrini, Il miracolo dell’amore, Macro)

giovedì 19 giugno 2014

Un’idea bizzarra



"Io sono la via, la verità e la vita;
nessuno viene al Padre se non per mezzo di me."
(Giovanni 14,6)

Il maestro Omraam Mikhael Aivanhov dice che, da molti secoli, i cristiani riflettono sulla resurrezione dei morti e sul Giudizio finale, ma l’argomento resta sempre più oscuro. La maggioranza pensa la resurrezione come il fatto che, quando si muore, si viene sepolti e da quel momento, nel chiuso della tomba, aspettiamo che venga la fine dei tempi. A quel punto, al suono della tromba dell’Angelo del Giudizio, tutti i morti riprendono i loro corpi e si presentano al Giudizio finale per essere giudicati. In sostanza, si crede che tutti gli uomini morti nella storia umana risorgeranno nei tempi finali. Ma l’idea è bizzarra e illogica per una serie di motivi.

Innanzitutto, dice il maestro Aivhanov, quando l’uomo muore vengono gli Spiriti degli elementi e prendono l’acqua, il fuoco, l’aria e la terra che compongono l’involucro fisico. Il corpo si decompone per questo motivo, poiché le particelle degli esseri elementali concorrono a creare nuove forme materiali. E allora, da dove prenderemo la materia per rifare i corpi di tutti quelli che sono risorti? Poi riflettiamo sul fatto che la valle del Giudizio sarà un posto pieno di tante strane tipologie di uomini, perché sarebbero tutti risorti. Dove metteremo tutti quelli che sono ritornati?

Vedremo le persone fare una fila infinita per essere giudicati, mentre i giudici divini saranno oberati dalle richieste e dalle lamentele dei condannati. Tutto deve essere ricostituito perciò è necessario portare le prove a nostro discarico oppure porteremo i corpi del reato, mentre i giudici celesti dovranno ascoltare le peggiori miserie e i dolori più grandi dell’umanità intera. Se pensiamo ai mostri e agli assassini vissuti in tutti i tempi immaginiamo che sarà difficile resistere per quei giudici, benché divini, il dover ascoltare tante miserie e tante brutture sarà un lavoro tremendo. E poi, riflettiamo sul fatto che l’attesa del giudizio, rinchiusi nella tomba, sarà di una noia mortale!

Gli uomini più sfortunati sono quelli nati nei tempi preistorici, perchè dovranno aspettare più a lungo di tutti gli altri. E già questa mi sembra un’ingiustizia bella e buona, anche se tutti devono aspettare con pazienza il loro turno. Immaginiamo la dose di pazienza che sarò necessaria per restare immobili nella bara per millenni? E poi quanto spreco è il tenere l’umanità inattiva nelle tombe, mentre l’economia generale prevede che tutti devono essere attivi. Dio è molto operoso e creativo, perciò come può aver ideato una cosa così illogica?

La risposta di Aivhanov è che la resurrezione dei morti e il Giudizio finale, per come la pensano i cristiani, è un'idea inverosimile e contraria alla logica, alla giustizia e al buon senso. Pur ammettendo che i morti possano risorgere dobbiamo pensare che non c’è giustizia nell’essere giudicati in base a una unica vita. Anche vivendo come Matusalemme, il tempo è troppo ridotto rispetto all’eternità. Tutti sarebbero giudicati in base a una esistenza limitata che può essere di mesi o giorni. In assurdo, quasi tutti avrebbero più dormito che vissuto e, avendo dormito, hanno vissuto come esseri inutili. E l’essere inutili è la condizione di sterilità spirituale che costituisce il peggiore peccato degli uomini.

Il Giudizio finale, per come lo si gira non funziona per nulla, e resta un fatto ingiusto e illogico. Le persone sono chiuse per millenni nelle tombe e non hanno la possibilità di riscattare e riparare i loro errori. Si muore e si viene sepolti senza altre possibilità in alternativa: la cosa è ingiusta e va pensata diversamente. Se dirigiamo un’azienda che vuole avere sempre in ordine i suoi conti, dobbiamo fare dei controlli periodici dei bilanci dell’impresa. Un tesoriere è tranquillo se fa verifiche periodiche del denaro che è in cassa. Un buon amministratore non aspetta certo i millenni per controllare l’andamento economico della sua impresa.

Ogni volta che c’è un controllo di cassa viene emesso un giudizio sull’andamento dell’impresa: lo stesso avviene nel regno celeste. Sarebbe troppo crudele far aspettare per millenni i poveri figli di Dio per aggiustare i loro debiti e saldare i crediti, perché non si permette di accumulare troppo lavoro. Se i nostri bilanci karmici fossero derogati per millenni, saremmo oberati dal lavoro. Infatti, quando si muore c’è il giudizio su quella vita. Quando, in alto, si pensa che l’uomo abbia vissuto abbastanza e si crede che l’individuo abbia concluso il suo lavoro… gli si dice di fare i bagagli, di partire e di ritornare a casa.

Per aiutare gli uomini, l’Intelligenza cosmica, nel corso della vita, ci sottopone a delle prove e anche queste prove sono paragonabili a dei piccoli giudizi. Queste forme di giudizio non sono mai dei giudizi finali, perché non ci sono mai condanne definitive, perciò tutti i giudizi divini vanno pensati come penultimi giudizi. E se ci illudiamo che morendo si resta nella tomba, tranquilli e distesi a riposare, ci illudiamo. Certamente si deve lasciare il corpo a decomporre, ma si continua a crescere e imparare a un livello diverso. Poi il nostro spirito ritorna sulla terra per l’apprendimento, perché la vita continua sempre. Si sappia che nessun morto torna, perché non c’è vita nella morte: solo la vita può dare la vita e la resurrezione, come disse Gesù. Considerato il nostro grado evolutivo, dice il maestro Aivhanov, gli uomini hanno bisogno di molti cicli di reincarnazione per diventare perfetti.

Gesù disse: “Io sono la via, la verità e la vita” perciò sappiamo che possiamo risorgere. Sappiamo che possiamo accelerare la nostra trasformazione e la nostra resurrezione avviene se accelleriamo il processo lavorando sui nostri pensieri, sui nostri sentimenti e sulle nostre azioni. E non solo, infatti la resurrezione fu insegnata nei templi dei misteri dagli iniziati per millenni. Tutti quei grandi maestri insegnarono che non è necessario aspettare di essere nella tomba per combattere le nostre debolezze, i nostri vizi e le nostre malattie. Insegnarono che dobbiamo fare un miglioramento interno per avere la resurrezione del corpo nel corso della vita.

Per risorgere dobbiamo cercare di diventare perfetti, secondo il maestro Aivanhov, perciò dobbiamo conquistare una purezza perfetta e una vibrazione molto intensa. Tutti quelli che hanno un’intensa vita spirituale sono esseri che si preparano a risorgere. L’uomo diventa una tomba quando le sue cellule sono spente e inattive, perciò per aprire la tomba dobbiamo ritrovare il calore e l'acqua ossia luce e amore. L’acqua è simbolo di ciò che offre la vita, mentre il calore è il sole che ci dà l’impulso alla crescita. L’acqua è veicolo di vita, perciò se le cellule vengono risvegliate, l’essere si espande e non resta più lo stesso. La tomba si apre quando l’anima rinasce alla vita.

Un’immagine molto usata per descrivere l’anima resuscitata è quella della farfalla, perché la farfalla è una creatura resuscitata. All’inizio la farfalla era un bruco perciò era un verme privo di grazia e bellezza che sa fare il bozzolo. Dopo averlo fatto, si addormenta e dal bozzolo esce una farfalla. Ma cosa è avvenuto durante il sonno della crisalide? E' successo che il bruco è diventato farfalla perché aveva già avviato una trasformazione, anche se quella metamorfosi non si vedeva. Lo stesso fenomeno accade agli uomini che, per molte ragioni, si possono paragonare a bruchi.

Come i bruchi, gli uomini sono creature non troppo belle che strisciano al suolo, e che mangiano foglie. Come i bruchi, anche gli uomini sono esseridannosi, perciò si cerca di contenerli finché non sono diventati farfalle! La natura offre molte ispirazioni per capire cos’è la resurrezione. Anche la meditazione assomiglia alla creazione del bozzolo che sta preparando una metamorfosi. Se non siamo ancora diventati farfalle è perché il lavoro fatto non è stato sufficiente. Forse siamo ancora troppo attaccati alla nostra vita prosaica, e amiamo vivere come bruchi che strisciano e che brucano foglie.

A volte ci racchiudiamo nel bozzolo e tessiamo un filo di spiritualità, ma poi la vita ci chiama e corriamo fuori. L’indomani riprendiamo quel rituale e così via, fino al giorno che ameremo diventare farfalle. Il maestro Aivanhov dice: “A quel punto non avrete più bisogno di mangiare foglie: vi nutrirete del nettare dei fiori, attingerete cioè a quello che vi è di più sottile nel cuore e nell’anima di tutte le donne e di tutti gli uomini. Perché ogni essere possiede in sé qualcosa di delizioso, un po’ di nettare… e se potete attingere a questo nettare senza sciupare i fiori, sarete felici e volerete nella luce.”

Buona erranza
Sharatan

martedì 17 giugno 2014

Resurrezione



“Lo Spirito è infinito! Ogni parola rappresenta un’idea perfetta dell’Infinito, poiché in ogni parola e in ogni pensiero è insita una manifestazione dello Spirito. Le onde di molti pensieri danzano tra i flutti della coscienza, ma al di là di essa esiste il grande, eterno oceano della Verità. Le espressioni del nostro pensiero sono le onde di questo oceano di conoscenza.

Qual è il significato della resurrezione? Tornare nuovamente a vivere! Risorgere a nuova vita! che cosa risorge e come? Dobbiamo comprendere in che sensi risorgere significa rivivere di nuovo. Ogni cosa è sottoposta a un processo di trasformazione, che può andare a danno o a vantaggio di ciò che cambia. […]

La resurrezione rappresenta ogni cambiamento che va a beneficio di un oggetto o di un essere umano. Potete far ‘risorgere’ i vostri vecchi mobili con l’aiuto del falegname o del tappezziere; potete far ‘risorgere’ la vostra casa con l’aiuto degli architetti. Ma noi stiamo parlando della resurrezione del corpo umano. In questo contesto, per resurrezione intendiamo ogni cambiamento edificante. Non potete restare fermi. Dovete andare avanti o tornare indietro. È una verità di grande ispirazione sapere che nella vita non potete rimanere immobili.

Dovete accettare i cambiamenti, sia quelli che vanno a vostro vantaggio sia quelli che vi danneggiano. Ogni uomo è un’espressione del vasto, immenso Spirito. Non è meraviglioso vedere come gli esseri umani, senza motore, senza fili, senza nessuna fonte visibile di energia, si muovano facilmente? La mattina, la macchina umana si sveglia, fa colazione, va a lavorare, pranza, torna in ufficio, cena, va al cinema (oppure si dedica a qualche hobby casalingo), poi va a dormire, per risvegliarsi e fare di nuovo, un giorno dopo l’altro, sempre le stesse cose.

In quanto esseri mortali, siamo controllati da un qualcosa che assomiglia a una radio, ossia all’energia intelligente attiva e vitale che Dio lascia libera di manifestarsi nelle leggi creative della Natura. Come le navi possono essere radiocomandate, così noi siamo ‘radiocomandati’ dalle leggi naturali dell’infinito Spirito onnipresente.

Noi, tuttavia, non siamo automi. La nostra anima è un riflesso dello Spirito. Così come i raggi del sole che colpiscono una massa liquida in movimento si suddividono in miriadi di scintille, allo stesso modo lo Spirito, che risplende nella creazione vibratoria, si riflette in essa come Spirito individualizzato, ossia anima, presente in ogni corpo e in ogni mente umana.

Ora, sebbene l’anima sia un riflesso dello Spirito, si è identificata con il corpo, e ha assunto tutte le limitazioni proprie del corpo e della mente. Ma, attraverso il processo evolutivo, sta facendo ogni sforzo per risorgere dalle alterazioni causate dalla schiavitù del corpo e della mente.

Ma è più facile a dirsi che a farsi, non è vero? Far risorgere l’immagine riflessa dell’anima significa sottrarla all’irrequietudine che altera la coscienza corporea, e ricongiungerla all’originale e inalterata luce dello Spirito che pervade ogni cosa.” (Paramahansa Yogananda, Verso la realizzazione del Sé, Astrolabio)

martedì 10 giugno 2014

Nel santuario interiore



Quando mente e cuore sono in pace, sei sensibile alla verità e puoi riconoscerla facilmente. Quando la mente è divisa o confusa e sei sconvolto o sotto il dominio di un’emozione, sarà quasi impossibile per te distinguere la verità o sentire la presenza energetica dell’amore nella tua vita. Questo ci porta a una constatazione semplice ma importante.

Quando vuoi entrare in comunione con Dio o con la Verità, devi ritirarti da dramma della vita quotidiana ed entrare nel santuario interiore. Lì potrai respirare, rilassarti, mettere da parte pensieri ed emozioni e stabilire una vibrazione d’amore e di fiducia nella mente e nel cuore. Questa vibrazione è la porta del tempio interiore. È lì che vai per incontrare Dio, per sentire il Suo amore e ascoltare la Sua guida.

Il tempio non è tanto un luogo fisico, quanto un luogo creato dalla mente, un posto di pace, riposo, nutrimento, accettazione e amore. Il tempio non viene da te. Sei tu che devi andare al tempio. Devi spostare la consapevolezza dall’agitazione alla pace, dalla paura all’amore. Quando lo fai, risiedi con Dio e puoi sentire la Sua presenza e il Suo amore per te. Questa è la pratica fondamentale… è una pratica quotidiana.

Almeno una volta al giorno devi passare del tempo in comunione con Dio attraverso la tua essenza spirituale. Almeno una volta al giorno ti si chiede di lasciarti il mondo alle spalle ed entrare nel santuario interiore. Se non dedichi tempo a Dio in questo modo, come puoi comprendere qual è la sua volontà per te e sentire il Suo amore e la Sua presenza mentre compi il tuo cammino di vita?

Il tempo che dedichi a Dio è anche tempo che dedichi a te stesso. Non c’è dono più grande che puoi dare a te stesso o a chiunque altro del tempo che passi in comunione con Dio nel silenzio del tuo cuore. Gesù ci ha detto: “Ama il Signore tuo Dio con tutto il tuo cuore, tutta la tua anima e tutta la tua mente. Questo è il primo comandamento e il più grande.” (Matteo 22:37-38)

Ogni giorno, nel corso della vita, la mente è confusa e il cuore turbato. Ecco perché durante la giornata dobbiamo imparare a prendere un bel respiro, mettere da parte preoccupazioni e paure, e liberare uno spazio per Dio. Gesù ci ha ricordato: “L’uomo non vive di solo pane, ma di ogni parola che viene dalla bocca di Dio.” (Matteo 4:4 e Deuteronomio 8:3) Questo è il vero pane della vita. Questa è l’autentica comunione.” (Paul Ferrini, L’amore è il mio vangelo, Macro ed,., 2007)

sabato 7 giugno 2014

Creare uno spazio



“La virtù che permette di controllare la propria irritazione si chiama pazienza. L’irritazione è inevitabile. Ma ci sono due modi di sentirla. La prima consiste nell’accusare l’altro della propria sofferenza e nell’aggredirlo. La seconda equivale a far nascere una reazione all’irritazione, la doppia benedizione dello spazio e della compassione:

- uno spazio tra sé e i propri pensieri; uno spazio di respiro tra sé e l’altro, lo spazio aperto dell’assenza di reazione;
- compassione per se stessi, poiché l’irritazione è una sofferenza; compassione per l’altro perché la sua collera è un dolore.

Non vi è spazio senza compassione, non vi è compassione senza spazio. Solo colui che si ama e si conosce può amare e conoscere l’altro e quindi non rispondere all’aggressione con l’aggressione, arrestando così il ciclo infernale dell’irritazione. L’ignorante che non ha messo spazio tra sé e i suoi pensieri, non può aprire uno spazio di pace tra sé e gli altri. Lo spazio interiore e lo spazio esterno hanno esattamente la stessa natura pacifica.

L’essere cosciente coglie l’occasione che ogni irritazione, ogni sconforto gli offre per progredire nella conoscenza di sé. Ogni volta che soffre, scopre una nuova zona del suo ego, un attaccamento, un’immagine di sé, un concetto (illusorio) di come le cose dovrebbero essere.
La sofferenza è aggressione di sé. Ogni aggressione del prossimo è la contropartita di una sofferenza dell’aggressore. L’aggressione fa soffrire. L’aggressione segnala il passaggio della sofferenza. La vittima e il carnefice bruciano nello stesso inferno.

Ogni volta che ti arrabbi con qualcuno, crei un mondo di parole dure, di accuse, di violenze, di collera, di sofferenza. Manchi di dolcezza verso te stesso. Ogni volta che ti arrabbi, sei in collera con una proiezione del tuo stesso ego, una persona o una situazione che hai costruito pezzo per pezzo. È un gioco di specchi, un’illusione che ti porta a combattere contro te stesso.

Ogni volta che sei in collera è perché il tuo orgoglio o la tua avidità, o la tua irritazione, o la tua invidia o uno qualunque dei veleni della tua mente è stato stimolato. Non devi prendertela con una persona all’esterno bensì diventare cosciente del tuo punto debole e osservarlo.

Si soffre solo per ciò cui si tiene. Ma possiamo scoprire che ciò cui teniamo è solo un pensiero e che i pensieri sono come sogni. La nostra anima immobile e silenziosa proietta questo mondo su uno schermo di illusioni. Ricordati, quando la collera sale, che il mondo sei tu e dunque ti stai arrabbiando con te stesso.

La stessa ignoranza del vuoto dei pensieri si trova dietro a questi due traccianti della sofferenza: l’avidità e l’aggressione. La stessa intelligenza del vuoto genera lo spazio dei rapporti pacifici: l’amore e la compassione.” (Pierre Lévy, Il fuoco liberatore, Sossella ed., 2006)

martedì 3 giugno 2014

Qualcosa di speciale



“Non posso eleggere il meglio.
È il meglio che elegge me.”
(Rabindranath Tagore)

La maggioranza di chi andava a studiare da lui, racconta Chogyam Trungpa, lo faceva perché conosceva la sua fama. Erano molto affascinati dal fatto che fosse un grande maestro di meditazione e che fosse l’undicesima reincarnazione del Trungpa Tulku. Pochissimi erano interessanti a studiare il buddismo oppure volevano meditare sul senso dell'incontro con un guru. Le persone che chiedevano i suoi insegnamenti erano le stesse che non l’avrebbero notato se si fossero incontrati al supermercato e lui non fosse stato famoso!

Invece accorrevano numerosi a chiedere all’iniziazione concessa dal grande lama reincarnato proveniente dal misterioso Tibet. Ma che cos’è l’iniziazione che volevano, e perché la cercavano così tanto? A dire il vero, ammette Chogyam, la tradizione tibetana possiede una rigorosa linea di trasmissione di insegnamenti che avviene da una generazione all’altra, in virtù della quale si ottiene l’iniziazione. Ma, nel caso di quelli di cui si parlava, conviene essere più cinici nei riguardi del loro vero obiettivo. La gente vuole l’iniziazione, vuole sentirsi parte di un gruppo, vuole fregiarsi di un titolo altisonante e vuole la saggezza per sentirsi importante.

Chogyam non ha mai voluto speculare sulle debolezze umane, ma sa che il vero desiderio dei ricercatori di verità spirituali è quello di diventare esseri straordinari. Per lo stesso motivo, molti comprano quadri di artisti famosi non perché amano l’arte, ma perché sanno che il nome dell’artista è alla moda e ben quotato, perciò accettano la moda e la fama come prove sicure del suo merito artistico.

Si pagano grandi cifre per avere qualcosa che si pensa valido, e si sborsa molto denaro per cose che sono stimate molto oltre i loro meriti. Crediamo che non c’è intelligenza in questo, ma così avviene anche in campo spirituale. A volte le persone sono sinceramente affamate di verità, ma cercano l'insegnamento perché nell’organizzazione si sentono al sicuro. Il gruppo è ricco di certezze e loro vogliono essere sfamati, perciò si aspettano di venir ben pasciuti. A volte è il guru che inganna se stesso e vuole avere molti discepoli, oppure il guru inganna i discepoli che si affidano alla sua guida.

In tutti questi casi non è in questione la serietà degli insegnamenti, ma è in questione la qualità delle persone. A causa di tutte queste situazioni, noi dobbiamo accostarci alla spiritualità con una salda intelligenza, dice Chogyam. Ascoltando un maestro non dobbiamo farci trasportare dal suo carisma o dalla sua fama, ma dobbiamo sperimentare concretamente ogni parola dei suoi discorsi. Dobbiamo avere sempre un chiaro e intelligente rapporto con i suoi insegnamenti.

L’intelligenza deve essere lontana dalla romanticizzazione del ruolo del guru. Non vanno accettate con romantica ammirazione le sue idee, perché non dobbiamo avere una venerazione delle credenziali del guru. Non dobbiamo mai aggregarsi a una comunità di persone con l’idea che ci possano arricchire.

Non è possibile rubare o comprare la saggezza, perciò dobbiamo mettere a nudo noi stessi e tutte le nostre illusioni sull'eccezionalità. La vera iniziazione si ottiene con l’onesto rapporto con noi stessi e con il nostro maestro spirituale. La parola iniziazione in sanscrito è ‘abhisheka’ e significa aspersione, versamento, unzione. La parola indica un vaso in cui viene versato un liquido, perché si deve diventare come un vaso in cui può cadere la comunicazione che ci aprirà permettendo l’iniziazione.

Questo è il senso di ‘abhisheka’ che è l’incontro delle due menti di maestro e discepolo. Questo aprire non può venire dalla volontà di ingraziarsi il maestro. Perciò le donazioni di denaro ad una causa spirituali sono inutili e non significano nulla a livello spirituale. Più che altro, l’eccesso di zelo significa che vogliamo stare dalla parte giusta, dalla parte più vantaggiosa, dalla parte più sicura, dalla parte buona. Il guru ci sembra una persona molto saggia, perciò stare dalla sua parte ci assicura la tranquillità e il benessere.

Ma più stiamo al suo fianco e più sappiamo che non siamo riusciti ad assicurare la sicurezza su noi stessi, perché abbiamo impiegato solo la nostra facciata, la nostra faccia e la nostra armatura di certezze esterne. Non abbiamo mai impegnato totalmente noi stessi, dice Chogyam, perciò ci troviamo con le spalle scoperte.

Possiamo pensare che la spiritualità sia un’attività pittoresca o esotica, perciò adottiamo un modo di essere che modifica il tono di voce e il modo di comportarci. Ma questi ideali di condotta sono lontani dal nostro modo di essere, perciò non saranno mai la nostra seconda natura. La confusione spirituale può essere notevole anche se si seguono fedelmente delle sacre scritture.

Abbiamo bisogno dell’incontro delle due menti, perché senza abhisheka ogni tentativo sarà solo una collezione di usanze spirituali, di differenti ideali, di condotte e maniere differenti, ma non avremo nulla che potremmo imporre validamente a noi stessi. Abbiamo indossato un'altra maschera seppure spirituale, ma non abbiamo realizzato l'abbandono dell'ego. Ci apriamo all’iniziazione quando entriamo in totale comunicazione con il maestro.

Se avviene diversamente è perché cerchiamo la spiritualità per orgoglio, per sentirci importanti oppure per avere dei vantaggi materiali. Perciò avremo altri tipi di strutture che possono rinnovare il Samsara. I buddisti dicono che la presunta superiorità spirituale è causata alla seduzione delle figlie di Mara, in cui Mara è la tendenza nevrotica della mente che manda le sue figlie a sedurci.

Mara ci induce a credere che l’incontro con la spiritualità sia un grosso affare, perciò le sue figlie ci convincono che siamo importanti perché abbiamo avuto un privilegio spirituale. Ci danzano intorno per congratularsi del nostro successo. In realtà, l’incontro tra maestro e discepolo è la cosa più naturale e spontanea del mondo. Non c’è nulla di eccezionale nel riconoscimento, perché l’incontro avviene in uno stato in cui entrambi sano reciprocamente aperti e disponibili.

Quando sappiamo vedere noi stessi e il mondo con questa disponibilità, la nostra condizione è veramente ordinaria. In tibetano questo modo di vedere è chiamato "mente ordinaria" perché è lo stato basilare della mente che riposa nell’assenza di ogni raccolta e valutazione. Potremo credere che la mancanza di significato è straordinaria, ma sorge la seduzione Mara nascosta nell'illusione di vivere un'esperienza che è esclusiva.

Perciò la cosa più intelligente è rinunciare al tentativo di sentirsi importante o speciale. La maggiore preoccupazione, dice Chogyam, è osservarci sempre per capire se la spiritualità è un modo per non rischiare e per sentirsi più sicuri. Osserviamoci, poi osserviamo anche come ci osserviamo mentre ci stiamo osservando. E proseguiamo sempre così, perché l’auto-inganno è il rischio più comune in campo spirituale.

Le nostre complicazioni si stratificano accumulandosi una sull’altra. Si deve costruire una complicata macchina della verità che va testata da un'altra macchina della verità che verifica come funziona la nostra macchina della verità. La mente, ogni volta che si sente al sicuro cerca di costruire una struttura che può difendere le sue certezze, perciò con tutti questi sistemi di fortificazioni allarga sempre più i confini da controllare.

Se vogliamo sentirci totalmente sicuri non ci sono confini agli sforzi che dobbiamo fare, perciò è più vantaggioso lasciare andare ogni illusione di essere al sicuro. L’auto-inganno è il problema che accompagna tutto il cammino, perché l’io cerca di conseguire sempre spazi maggiori, e agisce così anche con la spiritualità. Perciò tanti cercano un maestro con la speranza di trovare qualcosa di meraviglioso.

L’approccio è detto “caccia al guru” e viene paragonato alla caccia al mosco. La mentalità del ricercatore è come quella del cacciatore che caccia il mosco per asportare il muschio. Si crede che la verità possa essere espiantata dal guru e innestata nel discepolo. Seppure fosse possibile fare il trapianto dell'elemento spirituale, se esso è estraneo al nostro corpo, quel trapianto è malriuscito.

Se siamo ossessionati sulla volontà di avere non sappiamo che non si possono trapiantare i cervelli, dice Chogyam, e se lo facessimo, l'intera testa verrebbe rigettata dal corpo. L'iniziazione accade se tra il discepolo e il maestro c'è una cooperazione e se c'è un modo di sentire e comunicare che è identico. Se il maestro esterna, si apre, e se noi siamo ricettivi alla sua comunicazione avviene l'abhisheka cioè l’incontro delle due menti.

Nell'istante, l’essenza speciale del guru e l'essenza spirituale del discepolo si fondono. L’iniziazione non è aggregarsi al gregge dello spirito, non è farsi tatuare il marchio del padrone più conveniente sulla schiena. L'incontro con la mente del maestro realizza una piena comunicazione spirituale. Il risveglio non dura se il discepolo crede che quel fatto sia esterno a lui, e che sia causato solo dal maestro. Se lo crede è certo che è convinto di essere speciale perciò è ingannato delle figlie di Mara.

Buona erranza
Sharatan