giovedì 27 ottobre 2011

Impronte


“Nessuno può farti più male
di quello che tu fai a te stesso.”

(Mahatma Gandhi)


Freud diceva che la mente tende ad annullare tutte le tensioni spiacevoli ricercando uno strato di quiete che procura piacere, perciò l’attività della mente mira all’annullamento delle situazioni dolorose. I nostri impulsi sono regolati in base al principio che ricerca il piacere, ma questa non è la tendenza più importante, perché il principio primo della vita è la sopravvivenza fisica. Per salvare la sopravvivenza dell'organismo percepiamo istintivamente il principio di realtà che diventa più forte persino del principio del piacere.

Esaminando l’origine delle pulsioni, Freud teorizza che il principio di realtà e il principio di piacere siano le due direttive con cui sono governate le nostre pulsioni interiori, ma il governo equilibrato è possibile solo se i due principi collaborano in modo armonioso. Quando le pulsioni hanno avuto uno sviluppo squilibrato nell’uomo subentra il disagio e il dolore, perché si resta imprigionati nel malfunzionamento di un meccanismo ripetitivo penoso che non sappiamo interrompere e da cui non si fugge.

La ripetizione penosa è chiamata “coazione a ripetere” ed è connotata da un meccanismo in cui la pulsione e la spinta interiore agiscono superando anche la volontà di ricercare il piacere, perché la reazione è un tentativo di ritrovare il benessere smarrito. Nel mondo originario avevamo una beatitudine totale non subendo il conflitto tra la vita e le sue tensioni. La volontà di restare nell’inerzia è una tendenza che rafforza il principio di morte, infatti Thanatos usa la ripetizione per avere il benessere.

L'uomo sente il disagio del mutamento delle cose, perciò il cambiamento è ritenuto un elemento di disturbo, infatti ignoriamo che la metamorfosi è la manifestazione dell'impulso vitale di Eros. Nell’uomo c'è la lotta tra amore e morte, perché è prodotta dalla nostalgia per lo stato originario in cui eravamo fusi nell’Uno, perciò vogliamo ritrovare la beatitudine da cui siamo stati esclusi.

Nel tentativo di tornare nel Paradiso perduto l’uomo diventa nevrotico, infelice e disturbato, perciò resta imprigionato tra le pulsioni di vita e di morte. L'inerzia comporta la morte dell'organismo statico, perché la vita non può essere limitata nella sua espansione. Per Freud l’uomo si dibatte tra l'affermarsi come individuo per impulso di Eros e la tendenza a tornare nella fusione di Thanatos che è la fine dell'essere differenziato.

Se l’uomo non sa risolvere il conflitto diventa prigioniero della ripetizione dei comportamenti, perciò la replica ossessiva gli impedisce di vivere delle situazioni migliori di quelle passate. Molti credono che il patrimonio genetico determini ciò che siamo e ciò che saremo: con questa prospettiva si definisce di non poter cambiare un copione scritto prima della nostra nascita, ma la teoria è illogica.

Nel corpo eterico umano è conservata la memoria e tutte le informazioni, perciò nell'eterico sono conservate le impronte delle nostre azioni, dei nostri pensieri e dei nostri desideri. Tutte le registrazioni della memoria sono conservate sotto forma di immagini dei fatti passati, perciò il ricordo rievoca le immagini che conserviamo.

Le cose ridestano le immagini corrispondenti e tracciano lo schema usando le abitudini, perciò le abitudini si ripetono se non cambiamo l’impronta che è impressa nel corpo eterico. Le impronte sono i nostri semi, perciò diventano le tendenze che canalizzano le nostre energie, perciò immaginiamo di vedere dei canali in cui scorrono le acque per capire che, se vogliamo cambiare il corso del fiume, dobbiamo scavare dei canali diversi, altrimenti le acque seguono il loro corso consueto.

Gli uomini tendono a ripetere le stesse cose, perché seguono le impronte tracciate dalle abitudini, perciò sono le abitudini che ci fanno agire in maniera identica. Le cose tracciano le impronte eteriche che fanno ripetere le consuetudini dei pensieri, dei desideri e delle azioni. Nella nostra registrazione influisce anche la qualità dell’impronta originaria, perché l'imprinting traccia lo schema della struttura di base.

La conoscenza dell'origine è essenziale per comprendere i fenomeni, perciò le novità vanno affrontate con calma, perché la traccia originaria venga a essere incisa in modo preciso, accurato e impeccabile. Nella vita agiamo di fretta e fagocitiamo il mondo, sommergendo le persone e le cose e agiamo senza la delicatezza e senza la riflessione, così che non riusciamo più ad avere una panoramica chiara e completa delle cose.

Le vecchie impronte restano inalterate se non facciamo delle nuove registrazioni che sostituiscono le vecchie, infatti le cose scorrono sempre uguali se non usiamo la volontà di cambiare gli schemi consueti. Le situazioni si ripetono perché non abbiamo creato delle nuove abitudini, dei nuovi ideali e dei nuovi interessi al posto di quelli precedenti. Ma le vecchie impronte restano nell'inconscio, perché la nuova struttura si sovrappone alla precedente, ma l’impronta originaria nonviene mai eliminata in modo totale e resta latente.

E’ questo il motivo per cui è difficile lottare contro le abitudini, infatti per non far riemergere le vecchie impronte è necessario restare sempre lucidi e attenti, perché quando l’attenzione è ridotta le vecchie abitudini riemergono dall’inconscio. Poiché sia la fisica che la spiritualità dicono che nulla si elimina ma tutto si trasforma, si può convenire sull'utilità di avere le memorie, perché è utile conservare la memoria di ciò che è passato.

Se non esistesse la memoria la conoscenza non potrebbe esistere e tutto sarebbe cancellato, perciò non avremmo neppure l'automatismo dei meccanismi fisiologici di base. Nel contesto esaminato vediamo tutta la perfezione della natura che usa le abitudini per alleviare la fatica di vivere, perciò comprendiamo che anche le abitudini vanno addestrate. Molti credono che le abitudini siano delle forze inesorabili a cui non si sfugge, perciò ripetono le sciocchezze, fanno gli errori e compiono le stesse disattenzioni usando le abitudini come alibi.

Molti dicono di essersi sforzati per cambiare, ma che lo sforzo è stato inutile e infruttuoso, perciò conservano la vecchia impronta nel medesimo errore. Il meccanismo che Freud chiama “coazione a ripetere” viene spiegato a livello spirituale valutando che lo spazio è percorso da infinite correnti energetiche create e alimentate dalle creature che vivono nei vari livelli.

La nostra mente è ricettiva come l'antenna che capta e trasmette, perché deve saper riconoscere tutti i flussi energetici che agiscono nell’ambiente. Anche i pensieri e i sentimenti hanno la loro qualità energetica, perciò le impronte riconoscono meglio le vibrazioni a cui sono affini. Essendo ricettivi a ciò che conosciamo meglio, le abitudini diventano le impronte consolidate delle nostre preferenze e delle nostre tendenze.

Se le impronte sono chiare e luminose attirano la gioia e il benessere, ma se incidiamo delle impronte confuse e oscure attiriamo il caos e il dolore. Dovremmo essere riconoscenti di aver avuto dei maestri che ci hanno insegnato la necessità di coltivare il pensiero positivo, il senso della presenza a noi stessi e la necessità di incidere solo impronte luminose se vogliamo ritrovare il benessere nella vita e nella memoria.

Buona erranza
Sharatan


domenica 23 ottobre 2011

Vedere la realtà autentica


“L’occhio è formato dalla luce per la luce”
(Johann Wolfgang von Goethe)

I cabalisti dicono che maggiore è la complessità della nostra impronta dell’anima, più abbiamo difficoltà a essere compresi dagli altri, infatti più una struttura è complessa più diventa ridotto il numero di persone che possono comprenderla. Nell’essere profondi e nello sviluppo di un'individualità particolare si corre il rischio di restare isolati nella propria unicità. Vi è un forte rischio nell’essere delle persone profonde, sebbene l’adesione al nostro essere più autentico e alla nostra impronta dell'anima costituisca un'esperienza magnifica e potente.

Gurdjieff diceva che la missione umana alla grandezza è, nel contempo, sia terribile che straordinaria, perciò la vera condanna dell’uomo è il fatto di non venire addestrati a impersonare noi stessi, e che l’espressione della nostra autenticità vada conquistata con un lavoro molto doloroso e faticoso. Il mito di Mosè è quello in cui il concetto viene spiegato in modo esemplare, perché Mosè aveva una impronta dell’anima preziosa e unica, ma il mito biblico narra che fu anche uno degli uomini più soli, sebbene fosse un leader politico, un capo spirituale e un sommo profeta.

Nella consapevolezza biblica, la profezia veniva considerata un’esperienza spirituale molto unica e molto rara, infatti il profeta doveva affrontare il mondo in un modo che non è tipico dell’uomo comune. Il profeta era una persona che aveva trascorso molto tempo in meditazione e in solitudine, perciò egli aveva lavorato molto duramente per sviluppare delle doti intellettuali e morali.

Il profeta era un giusto a cui Dio si rivelava, perciò era necessario un lungo lavoro fisico, intellettuale e morale per poter diventare il vaso giusto per ospitare l’energia potente della profezia, perciò il profeta viveva in un livello particolare. La realtà può essere vista da punti di vista molto diversi, perciò cambiando la prospettiva si può vedere oltre i confini della nostra percezione ordinaria e il mondo può essere diverso pur restando identico: questo è quello che avveniva nell’animo del profeta.

Il profeta accedeva a una visione soprasensibile del mondo, ma questa esperienza era troppo inconsueta e incomprensibile per gli altri, perciò Mosè viveva isolato e non trovava nessuno per condividere la sua visione del mondo. Se l’impronta dell’anima è molto perfezionata diventa troppo vasta per essere contenuta da altri, perciò Mosè era diventato un profeta molto elevato, ma era anche diventato un uomo solo e isolato, perché era giunto ad una percezione unica.

Anche un dono stupendo può diventare un peso troppo pesante, perciò l’essere speciale gli aveva causato l'isolamento dell’esemplare unico, e la grandezza della sua anima dava a Mosè il maggiore piacere e il massimo dolore. I cabalisti usano l’espressione “Bechinat Moshe” per indicare la qualità mosaica che è presente in tutti gli uomini, perché una condizione incomunicabile è presente in tutti gli uomini, perciò anche avere degli aspetti che non possono essere condivisi è un fatto naturale, e questa necessità va compresa.

Ogni qualità dell’anima possiede il suo lato oscuro che coesiste con la parte luminosa, perciò l’anima grande e potente che impersona la più completa autenticità e fedeltà a se stessa sperimenta anche l’esperienza della più intensa solitudine. Questo è il motivo per cui cerchiamo di fuggire l’individualità, e perché cerchiamo qualcuno in cui perderci per sentirci integrati nell’essere dell’altro.

Ognuno ha un aspetto in cui possiede una visione che equivale al dono di un angolo di paradiso personale: il nostro paradiso è una conoscenza, un talento o una inclinazione da cui ricaviamo una realizzazione e un piacere particolare che si manifesta come in Mosè: è questa la qualità mosaica che vive in ogni anima umana. Nel mito biblico vediamo che Mosè affrontò dei rischi e subì molte prove per restare fedele al suo Sé superiore e per incarnare totalmente la sua impronta dell'anima sapendo restare fedele a ciò che credeva.

Il simbolismo cabalistico è molto più profondo del fatto di segnalare la solitudine e l’isolamento che accompagnano i capi religioni e politici, e l'incomprensione che subiscono i pionieri del progresso, infatti i cabalisti indicano la nostra necessità di sentirci vicini ai nostri simili, ma indicano anche che la comunicazione va imparata. Il mito dice che Mosè era balbuziente perché le sue labbra non erano purificate, perciò che egli non fu accolto perché non sapeva comunicare avendo una scarsa padronanza della lingua.

A livello simbolico è suggerito che dobbiamo essere noi stessi, ma che dobbiamo conquistare degli strumenti per imparare a comunicare, perciò non dobbiamo pretendere dagli altri la loro comprensione se non li accogliamo per primi. Spesso tralasciamo di comunicare e interrompiamo la comunicazione con gli altri ottenendo il vuoto dell’incomprensione perciò, nel momento del bisogno, restiamo soli e le nostre aspettative vengono deluse.

Nell’uomo vi è riluttanza a comprendere e accogliere gli altri, perché il modo di essere degli altri è percepito come una sfida e come una provocazione al proprio modo di essere, perciò se siamo degli insicuri iniziamo delle dure competizioni. L'incapacità di accogliere gli altri è aumentata dall'amore per la competizione e dall'accanimento che facciamo contro chi ci appare troppo diverso, perché rifiutiamo tutto quello che appare come una minaccia.

Se conosciamo qualcuno che mette in crisi la percezione che abbiamo di noi stessi, e se sentiamo un segreto piacere vedendo i suoi dolori e i suoi fallimenti questo avviene perché abbiamo una scarsa consapevolezza del valore del nostro essere, e coltiviamo una stima personale che è troppo fragile. Molte persone cadono nella tentazione di opprimere e di escludere gli altri, perché non sanno amarsi e non si accettano, ma è necessario sapere che se non ci amiamo non potremo amare gli altri.

Secondo i cabalisti in ogni idea anche elevata e nelle condizioni più privilegiate si nasconde un aspetto che è oscuro e inquietante, infatti vedere l’impronta degli altri ci espone al rischio della reazione di colui che viene osservato. L’anima, nel suo livello inferiore, possiede un forte istinto di sopravvivenza che è collegato alla sua sensibilità animale, perciò l'uomo crede che la sacralità e la preziosità siano delle qualità diffuse in maniera limitata.

Spesso si teme che altre stelle possano brillare in modo più luminoso fino a oscurare il cielo con il loro fulgore, perché non sappiamo che tutti possano migliorare per diventare preziosi, e che questo avviene senza che nessuno venga escluso da questa potenzialità. La vita è vissuta in modo difensivo perché non sappiamo accogliere gli altri e perchè non coltiviamo la comprensione dell’altro, infatti ignoriamo che l'osservazione degli altri ci aiuta a evolvere più velocemente: questo ruolo scomodo è svolto dai grandi maestri, dai guru e dai santi.

Quando non sappiamo vivere l'autenticità del nostro essere abbiamo la difficoltà ad accogliere gli altri, perciò usiamo le maldicenze, le menzogne e gli inganni per opprimere e per scagliare all’esterno la rabbia e la frustrazione di sentirci carenti e di essere manchevoli nel paragone con gli altri. La volontà di sminuire, di offendere e di denigrare gli altri sono la manifestazione dell'insicurezza interiore, perché le radici della calunnia affondano nella patologia di chi le usa, perciò la guarigione è nell’amore e nella comprensione di noi stessi e degli altri.

La vita ci ripaga sempre con la medesima moneta che noi abbiamo speso nel mondo, perciò il rifiuto e l’intolleranza verso il modo di essere degli altri rivela il profondo rifiuto che nutriamo verso noi stessi, e che viene proiettato all’esterno. L’incapacità di comprendere gli altri dimostra l’incapacità di comprendere noi stessi, e l’incapacità di amarli dimostra lo scarso amore che possediamo interiormente, perché non possiamo dare ciò che non abbiamo.

Se scendiamo più profondamente vediamo che tutte le persone che appaiono troppo speciali e troppo irraggiungibili scatenano una forte ostilità e un forte desiderio di compromettere la loro integrità fisica. Spesso l’umanità viene accecata dalla sua incapacità d’amare perciò uccide chi viene per risvegliarla, infatti lo stolto quando vede chi gli indica la luna, trova più conveniente distogliere lo sguardo dal cielo per amputare il dito che aveva indicato la meta.

Buona erranza
Sharatan


giovedì 20 ottobre 2011

Il custode della vita


Un uomo era alla ricerca della verità e una notte si ritrovò a viaggiare nella foresta. La notte era fredda e lui non era riuscito a raggiungere in tempo una locanda per trovare un riparo e un letto comodo. Mentre camminava vide un chiarore e quando si avvicinò vide che la luce veniva da una casetta, perciò decise di bussare per trovare ospitalità: fu accolto da un vecchietto gentile e affabile che lo invitò al caldo.

L’interno era confortevole e tutto risplendeva perché c'erano tantissimi lumini a olio accesi in ogni angolo, e perfino la soffitta era piena di lucerne. Vedendo lo sguardo stupito dell'uomo, il vecchio sorrise e spiegò: “Immagino che vorrai sapere cosa siano queste luci. Le lucerne sono le luci che alimentano l’anima degli uomini, e io sono colui che le custodisce. Io sono il custode della vita.”

Il viandante guardava ogni lumino e ammirava le sfumature di ogni fiammella, finché vide un lumino in cui la fiamma era tenue e iniziava a crepitare, perciò chiese: “Cosa significa? Cosa succede a questa persona?” Il vecchio gli rispose: ”La persona sta morendo. E’ stabilito che ognuno abbia una certa quantità di olio nel suo lumino, e che il fuoco possa bruciare velocemente o lentamente secondo il calore della persona.

Qualcuno consuma più velocemente e altri più lentamente, ma per tutti arriva il momento in cui l’olio si esaurisce, perciò il lumino si spegne e si deve morire. Questa è la verità del mondo.” Il viandante vide che ogni lumino recava inciso il nome della persona, perciò mentre il vecchio sembrava impegnato a cercare qualcosa, iniziò a cercare il suo lumino.

Dopo aver guardato ovunque lo trovò sul ripiano più alto della soffitta, ma la sua fiamma era molto tenue e l’olio contenuto nell’ampolla era scarso. Il suo tempo sembrava quasi scaduto e lui non si sentiva pronto a morire, ma la sua fiamma era debole e presto avrebbe iniziato a spegnersi, perciò sentì salire il panico.

“No! Non voglio morire, sento che è troppo presto! Devo fare ancora molte cose, devo imparare perché non ho ancora imparato tutto ciò che volevo, poi devo trovare la verità!” Il suo sguardo cercò nella stanza finché vede un piccolo lumino che ardeva vivacemente e che aveva ancora molto olio nella sua ampolla.

Con grande cura sollevò la piccola lampada e andò alla sua lucerna che aveva una fiamma molto attenuata, e mentre cercava di travasare l'olio nel suo recipiente, sentì una stretta di ferro che gli bloccò il polso. Il vecchio era comparso al suo fianco e gli aveva immobilizzato il polso.

L’aspetto del vecchio non era più benevolo e la sua voce era gelida e sferzante: “Cosa cerchi di fare? Come puoi dire di voler cercare la verità? Come può pretendere la conoscenza superiore un uomo che non sa sostenere neppure la verità sulla sua vita?”

Il viaggiatore non ebbe neppure il tempo di rispondere, perché si ritrovò nella notte. La casa era scomparsa come d'incanto e lui era restato solo. L'uomo si strinse nel mantello per riscaldarsi e s’inoltrò nella notte, mentre si massaggiava il polso indolenzito e rifletteva sulla verità che aveva ricevuto dal custode della vita.

Buona erranza
Sharatan

venerdì 14 ottobre 2011

L’attenzione consapevole


“Tu devi superare lo stato
in cui le forze razionali
possono ancora venirti in aiuto.
Quando, infine, non avrai davvero più niente,
allora considera questo stato
con molta precisione.
Ma, che cos‘è dunque?”

(Bassui Tokusho)

Siddharta sedeva sulla riva del fiume e guardava le acque vorticose che trascinavano i sassi strappati dalle rive, osservava la corrente che sommergeva gli insetti che erano caduti nelle acque, infatti essi erano risucchiati e affogavano. Poi vide dei massi poderosi che erano al centro del fiume e che riuscivano a resistere alla violenta corrente restando inamovibili e indifferenti alla furia del fiume. Siddharta pensò che l’uomo vive nel fluire dell’esistenza come l'insetto che è sommerso dai gorghi, perciò si chiese come potersi liberare dal flusso dell’oblio e dalla ruota della nascita e della morte.

Siddharta trovò la risposta quando diventò il Buddha, infatti quando fu Risvegliato, comprese che la liberazione dal Samsara della sofferenza, della morte e dell’illusione diventa possibile se impariamo a stare attenti e concentrati in modo consapevole davanti a ciò che avviene. Gurdjieff dice che l’attenzione è l’unica via terapeutica per sanare la malattia dell’uomo che è addormentato e inconsapevole, infatti aprire gli occhi alla realtà impone il distacco dall’automatismo del pensiero e libera dagli stereotipi e dalle astrazioni da cui è oberata la mente umana.

L’attenzione e il ricordo di sé sono i due cardini della tecnica con cui Gurdjieff risvegliava i suoi allievi alla realtà autentica, perché lo stato di grazia è raggiungibile solo dopo un addestramento duro che esercita la mente a percepire con la massima apertura. Se la mente è vuota percepisce l’infinito, perché essa non giudica la realtà e non pretende di cambiarla, in quanto s’impegna solo a percepire la realtà. Perciò, la consapevolezza inizia con lo sforzo di osservare se stessi, perché l’osservazione cosciente produce una separazione interna tra ciò che vediamo e il soggetto che percepisce.

Gurdjieff dice che l’uomo ordinario del suo tempo non comprendeva il valore del motto di Socrate “Conosci te stesso” che si riferisce alla necessità di conoscere la macchina umana, perché la struttura è più o meno la stessa per tutti, perciò essa va studiata se vogliamo conoscere il funzionamento dell‘uomo. Dobbiamo conoscere le funzioni e le leggi dell’organismo, perché nella macchina tutto è collegato e una cosa dipende dall’altra, perciò è impossibile studiare la struttura senza conoscere lo schema generale. “La conoscenza di una parte richiede la conoscenza dell’insieme,” dice Gurdjieff, perciò è possibile conoscere tutto, ma solo se sappiamo usare il metodo giusto e se sappiamo fare un lavoro complesso e duro.

Conoscere se stessi è un ideale molto elevato e astratto per il livello dell’uomo odierno, perciò il suo scopo più elevato deve essere quello di studiare se stesso e dobbiamo capire che è necessario conoscersi bene, perché lo studio di sé è il lavoro ovvero è la via che conduce alla conoscenza di sé. Per studiare dobbiamo imparare come capire, da dove cominciare e quali mezzi possiamo usare, perciò bisogna imparare anche come si studia l‘uomo e il metodo fondamentale per lo studio di sé è l’osservazione. Se l’uomo non conosce le sue funzioni e non sa come esse sono collegate, perciò se non pratica l’osservazione di sé non comprende perché “tutto accade.”

Conoscere le funzioni significa saper riconoscere le divisioni dell'uomo e saperle definire, perciò vederle in modo immediato. La definizione non può essere una conoscenza verbale e teorica ma deve essere una percezione interna, di cui sappiamo sentire il gusto, perciò dobbiamo sentirla come una sensazione intima e interiore. Possiamo usare due metodi per osservarci: il primo è l’analisi o il tentativo di analizzare da cosa dipende il fenomeno e perché esso si verifica, e il secondo è il metodo delle “constatazioni” che è la semplice registrazione di ciò che vediamo.

Nella fase iniziale non dobbiamo presumere di saper analizzare, perché l’analisi verrà più tardi quando saremo più esperti: se analizziamo troppo precocemente l’attenzione viene distolta, perciò l’analisi frettolosa fa omettere la raccolta di informazioni molto preziose. Se siamo impegnati a fare ipotesi ne veniamo assorbiti, perciò tralasciamo di osservare, poiché non possiamo osservare e analizzare, infatti non possiamo fare le due cose contemporaneamente. L’analisi che non considera la struttura generale della macchina è una perdita di tempo, perché l’analisi necessita di avere delle informazioni esatte sotto forma di molte registrazioni.

Le registrazioni sono l’osservazione di ciò che avviene in certi momenti, perciò solo se abbiamo una sufficiente quantità di registrazioni, e se conosciamo la nostra struttura possiamo analizzare correttamente. L’osservazione di sé non è l’osservazione ordinaria che possiamo fare, infatti l’osservazione corretta inizia con lo studio delle nostre funzioni. Osservando dobbiamo considerare e distinguere le 4 funzioni fondamentali che corrispondono ai nostri 4 cervelli o centri, perciò dobbiamo distinguere le funzioni intellettuali, le funzioni emotive, le funzioni motorie e le funzioni istintive.

Ogni fenomeno che osserviamo si riferisce a queste funzioni, perciò conoscerle è essenziale, ed è in questo senso che l’osservazione corretta riparte sempre da zero: quello che abbiamo osservato e pensato di noi in precedenza va eliminato, anche se le vecchie osservazioni fossero valide. Tutto il materiale precedente è stato elaborato con la precedente conoscenza, perciò è stato elaborato in modo inesatto ed è inadatto per l’osservazione corretta: se avessimo visto degli elementi utili potremo osservarli anche in seguito.

Nell'analisi dobbiamo rivedere dall’inizio, infatti è necessario osservarsi come se non ci conoscessimo e come se fossimo sconosciuti a noi stessi. L’immaginazione e il sogno sono esempi dell'errato funzionamento del centro intellettuale, perciò l’osservazione dell’immaginazione e del sogno sono la parte essenziale dell'osservazione di sè. Più tardi vedremo anche le abitudini, poiché l’uomo è pieno di abitudini sebbene tutti dicano che non ne hanno, ma i centri umani sono intessuti con le abitudini, perciò esse vanno sapute vedere.

Osservare le abitudini è molto difficile, perché per vederle è necessario essersene liberati anche per poco tempo, infatti solo se cerchiamo di sfuggirle vediamo la presa che esse esercitano su noi, ma finché restiamo vincolati non le notiamo, perciò la lotta ci rende coscienti e le fa percepire meglio. Finché siamo governati dalle abitudini non le percepiamo, perciò bisogna opporsi a esse, infatti la lotta alle abitudini è un'altra via per praticare l’osservazione.

Nessuno può osservarsi se non tenta di lottare contro se stesso e se non contrasta le sue abitudini: ma la lotta non produce dei risultati e dei cambiamenti immediati, perché lottare contro le abitudini è un percorso lungo e faticoso, ma è così che si comincia. Se vogliamo conoscere le abitudini del centro motore osserviamo come camminiamo, il tipo di passo, la velocità e l’impulso del movimento, ma per veder bene è necessario cambiare il nostro modo di camminare e saper camminare in modo diverso da come siamo abituati, infatti mentre tentiamo di cambiarle vediamo bene le abitudini del centro motore.

Una delle abitudini che possiamo cambiare è l’espressione delle emozioni negative, perché lo studio e l’osservazione delle emozioni va unito alla lotta contro l'espressione delle emozioni sgradevoli e questa lotta è l’unica lotta che può essere vinta. Se l’osservazione è fatta in modo giusto scopriamo delle cose che non sapevamo, cioé che nulla in noi avviene in modo autentico e consapevole, ma che tutto avviene come una reazione automatica. Osservando, vediamo che siamo automi, perché le azioni, i pensieri, i sentimenti e le parole sono delle reazioni meccaniche, infatti ciò che accade fa sorgere degli Io sconosciuti. Ogni fatto è lo shock esterno che fa sorgere un Io nuovo che sommerge l’Io precedente, perciò sappiamo che è l'esterno che fa sorgere l’Io.

Se non percepiamo il cambiamento violento restiamo immobili nell'inerzia, perciò le nostre azioni sono condizionate dalle spinte del mondo esterno e non provengono da un Io stabile interiore. La cosa più importante che impariamo nell'osservazione di sé, dice Gurdjieff, è che non percepiamo noi stessi e che non siamo coscienti di noi, perché l’automatismo sommerge la coscienza. Perciò dobbiamo “ricordarci di noi” e il ricordo va conservato mentre osserviamo e mentre analizziamo: solo se le osservazioni hanno "il ricordo di sé" assumono valore autentico, altrimenti viviamo in modo inconsapevole. Sapere questo è conoscere molto del lavoro che si può fare, perché se l’uomo è consapevole che non si ricorda di sè, è molto vicino alla comprensione del suo essere.

Nella vita avviene che le circostanze esterne facciano sorgere il ricordo di sé, che non è l’introspezione interiore ma è il senso della presenza piena a noi stessi, e questo avviene quando accadono delle cose inattese e potenti: il ricordo giunge con l’irrompere dello shock che sconvolge le abitudini della nostra vita. La sensazione di piena presenza viene ridestata dai momenti di potente emozione o di grande pericolo, perché ci sono dei momenti in cui non possiamo perdere la testa, perciò dobbiamo percepirci meglio, quindi ci vediamo e ci sentiamo pienamente, ma siamo sorpresi di ciò che vediamo, perché è come se vedessimo uno essere sconosciuto: è in questi momenti che l’uomo si ricorda veramente di se stesso.

Molte cose vengono sepolte nella memoria, perché la nostra memoria è molto limitata, perciò le esperienze di ricordo sono dimenticate molto velocemente. L‘uomo lavora sempre al minimo delle sue possibilità e non sviluppa tutte le sue facoltà, perciò la sua potenzialità non è sfruttata, ma lui dice che è la macchina a essere limitata: la verità è che non abbiamo voglia di faticare. L’osservazione di sé ci induce a riconoscere la necessità di cambiare, e anche il solo sforzo di provare fa cambiare i processi interiori: l’osservazione è lo strumento che illumina ciò che è oscuro, perché un barlume di consapevolezza può fare il cambiamento.

Dobbiamo vedere ciò che l’uomo è in daterminati momenti, dobbiamo vedere i pensieri, gli umori, le espressioni del viso, la postura del corpo e così via, e dobbiamo fare delle fotografie di quegli istanti. Le foto vanno scattate nei momenti più interessanti, perché dobbiamo evidenziare i gesti, le espressioni, le emozioni e i nostri pensieri caratteristici. Se le immagini sono interessanti e se sono in numero sufficiente avremo l’immagine che l’uomo si crea, perciò conosceremo l’immagine sulla quale ognuno costruisce la sua identità, e con cui ha vissuto fino a quel momento.

Ma la totalità osservata sarà molto lontana da ciò che si credeva di essere, perché si vedrà il volto di un uomo diverso e l’uomo sarà lui stesso ma non lo sarà, perché è ciò che tutti conoscono ed è ciò che pensiamo di essere, ma non è ciò che veramente siamo. Vedremo l’irrealtà, l’invenzione e l’artificio con cui abbiamo costruito ciò che credevamo di essere, perciò vedremo che è necessario separare l’irrealtà dalla realtà, perciò l’osservazione è necessaria per renderci consapevoli che siamo composti da due uomini.

Il lavoro interiore inizia quando comprendiamo che in noi esistono due opposti individui, di cui uno è passivo e soggiace a tutto ciò che accade, mentre l’altro è attivo e crede di dominare il mondo, perciò non siamo mai stabili e oscilliamo sempre tra due poli estremi. Vediamo che indossiamo delle maschere che recitano una parte e che si dominano l’una con l’altra: l'Io stabile compare raramente, perciò è necessario conservare il ricordo di quando giunge. L’uomo è schiavo di tendenze opposte che non esprimono la sua volontà, perciò agiamo seguendo l'impulso del momento.

Dobbiamo avere il coraggio di vedere che non siamo padroni di noi stessi e avere la forza di sopportare questa verità, perché la verità è la base concreta per poter giudicare noi stessi. Il segreto è nell’essere sinceri in modo totale, ma questo è molto difficile per gli uomini, dice Gurdjieff. La sincerità non è una dote innata perciò va imparata, perché essere sinceri non è un desiderio o una decisione, e non possiamo dirci sinceri se non abbiamo il coraggio di vedere chi siamo, perciò diventa necessario che qualcuno ce lo ricordi.

E’ l’atteggiamento verso chi ce lo ricorda che conta veramente, infatti chi ci risveglia va agevolato e non va ostacolato, come quando si afferma di non dovere imparare da nessuno, ma questa è la fase più critica del lavoro, perché chi perde la direzione in questa fase non la ritroverà più. Dobbiamo comprendere la necessità di osservarci, altrimenti continueremo a mentire, ci inventeremo dei personaggi falsi e non ci vedremo per come siamo: finché l’uomo s’identifica con ciò che non è, egli continua a essere schiavo di tutto ciò che accade, perciò la nostra libertà inizia con la liberazione da tutte le nostre identificazioni.

Buona erranza
Sharatan


martedì 11 ottobre 2011

Il compito essenziale


“Se vuoi essere giusto con gli altri, devi accettarli come sono e rinunciare a ogni tentativo di giudicare, analizzare, interpretare o cambiare la loro vita. Nel tentativo di correggere gli altri o di dare consigli li stai violando. Se hai fiducia che gli altri trovino le loro risposte, li tratti come esseri spiritualmente alla pari. Offri loro rispetto e libertà. Hai fiducia che la verità presente in ognuno illuminerà loro la via. Questo è amore in azione. Questo è il tipo di amore incondizionato che vi chiedo di donarvi a vicenda.

Non creare regole per le altre persone. Così facendo ti limiteresti a distogliere la tua attenzione da te stesso. Lascia che gli altri trovino da soli la loro strada, sostienili, incoraggiali, rallegrali, ma non pensare di sapere qual è il loro bene. Non lo sai, ne mai lo saprai. Rimani con la tua vita. Rimani con il tuo cuore. Tutto quello di cui hai bisogno per compiere il tuo destino è dentro di te. Ascolta la tua guida interiore, onorale, seguila, dedicale la tua energia, e si rivelerà.

Quando sei una sola cosa con la tua natura divina, le porte che hai bisogno di varcare si apriranno. Nessuno si incarna con un piatto vuoto. Tutti hanno almeno un avanzo o due da digerire. (Alcuni hanno un pasto di sette portate! Ma non ho intenzione di puntare il dito contro nessuno!) Il tuo compito sta nell’occuparti di quanto hai sul piatto o ti ritroverai con una seconda o terza porzione da trattare.

Rimani distaccato rispetto a quello che gli altri fanno o non fanno. Non avere neppure una opinione al riguardo. Lasciali fare. Non prendere l’esperienza di un altro ed evita di dare la tua a qualcun altro. Dormi nel tuo letto, preparati da mangiare, tienti pulito. Impara a occuparti di te stesso e lascia che gli altri facciano altrettanto con se stessi. Il tuo compito è solo questo. Non sei qui per fare agli altri quello che dovrebbero fare per se stessi.

Per alcuni di voi è una rivelazione sapere che non siete qui per liberare gli altri dal dolore, ma solo per attraversare il vostro. Nessun altro lo può fare al tuo posto. Il tuo compito essenziale è questo e lo sarà in tutta questa tua incarnazione. Persino quando unisci la tua vita con quella di un’altra persona, il tuo compito rimane lo stesso. E ogni volta che lo perdi di vista o cerchi di scaricarlo su qualcun altro, devi pagarne il prezzo.

Se ciascuno di voi alimentasse la verità che è dentro ogni cuore, insieme dareste vita a un mondo completamente diverso. Sarebbe un mondo di realizzazione, non di sacrificio, un mondo di eguaglianza, non di pregiudizi, un mondo di verità e rispetto, non di inganni e disperazione.”

(Paul Ferrini)

sabato 8 ottobre 2011

Il mare della mente


“La padronanza della propria mente,
ribelle, capricciosa e vagabonda,
è la via verso la felicità.”
(Dhammapada)

La qualità della nostra vita è determinata dalla qualità del nostro essere, infatti chi si nutre interiormente con dei contenuti scadenti diventa un essere che si impegna solo in imprese stupide, per questo è essenziale nutrirsi di pensieri elevati se vogliamo avere una vita migliore. Gli uomini vivono in un mondo di apparenze, perciò non conoscono la forza che è racchiusa nella mente e nella volontà del pensiero, perché il pensare è la nostra manifestazione divina.

Sapersi elevare nel sentimento e nel pensiero pone su un piano molto più alto tutto il nostro essere, poiché il piano elevato così come quello infimo esiste nel mondo interiore di ogni uomo, però è solo il piano alto che attiva il collegamento con i piani spirituali. I pensieri sono semi interiori, perciò la realtà concreta è la manifestazione del tipo di pensiero che ospitiamo nella mente, e se la realtà inizia nella mente, perché la mente è lo strumento dello spirito e lo spirito è tutto, nella mente esistono le capacità di realizzare tutto ciò che pensiamo.

Il mondo esterno è la copia perfetta del mondo che abbiamo costruito e che abitiamo interiormente, perciò dobbiamo imparare a usare il pensiero, perché il pensiero è la massima facoltà creatrice dell'uomo ed è l‘aspetto in cui siamo plasmati a somiglianza di Dio. La nostra scintilla divina, che è il Sé Spirituale proviene dalla Mente Divina, perché l’uomo è un’emanazione della creazione e Dio emana con la potenza della Volontà ciò che aveva predisposto nel suo Piano Mentale divino. La nostra evoluzione vede l’uso della mente in una fase ancora molto primitiva, infatti abbiamo bisogno di immagini per poter pensare e usiamo ancora solo i sensi fisici per acquisire i materiali che vengono elaborati a livello mentale.

La mente ha bisogno di immagini forti per essere scossa, e il pensiero non può svilupparsi in ambienti che sono privi di vivaci afferenze sensoriali, infatti il pensiero teme la solitudine perché quando è solo con se stesso deve osservare se stesso. Chi non sa stare solo con se stesso non sa pensare, però il pensiero è il seme che deve saper restare inerte quando germoglia, perciò il pensiero opera meglio nel silenzio avendo la tranquillità necessaria per sviluppare e crescere. Ma se la mente non è governata diventa la vittima della sua immaginazione, perciò costruisce delle concezioni fantastiche e prive di aggancio con il mondo reale.

Le forze che agiscono sull’uomo non sono solo esteriori, perché vi sono delle forze molto potenti che formano e agiscono lavorando dall’interno, e che possono diventare delle forze che salvano o che sabotano la nostra vita. Un piccolo pensiero esalta trasportandoci fino al settimo cielo, ma può anche sprofondarci in un mondo da incubo colmo di odio, di invidia e di gelosia: la forza del pensiero cambia il ritmo e il colore della giornata. Camminando per le strade del mondo portiamo in noi un mondo interno gioioso o malefico, e il tormento mentale diventa il lento e progressivo avvelenamento dell’intero essere.

Noi possiamo inquinarci fino nel più intimo nucleo dell'essere, perciò fino alla distruzione della nostra sorgente vitale interiore, infatti l’avvelenamento della mente può diventare totale. Le angosce sono degli agenti tossici, sono delle tossine che si riversano nel corpo fisico fino a farlo ammalare, infatti molti si distruggono perché i fantasmi della mente tracimano nella vita concreta e tutta la loro realtà diventa angosciante. Molti si lamentano della sorte ingiusta, perciò si scagliano contro il destino cinico e baro, ma se guardassero meglio vedrebbero che ognuno ha il destino che merita, perché ottiene il destino che ha costruito con i prodotti della sua mente. Il dolore è prodotto dall’uso errato dello stato mentale e dall’incapacità di coltivare il pensiero giusto, per questo esiste l'identità tra il carattere e il destino.

L’uomo pensa, perciò richiama la vita che viene pensata, e se sapessimo pensare perfettamente saremmo esseri spirituali completi, infatti la mente dirige il piano astrale, ma se l’ambito è incontrollato produce la peggiore delle esistenze materiali in cui regna caos e tormento. La mente è lo strumento dello spirito, perciò conosce l'ordine e l'armonia, infatti essa viene controllata dall’Io Spirituale, perciò può attuare il controllo e l’educazione del pensiero: il pensiero è la forza con cui plasmiamo la nostra vita, perciò se il pensiero è sottile, raffinato e spirituale può attualizzare questa realtà, in quanto la realtà è attratta dalla qualità del nostro pensiero, perché si attualizza il pensiero che è affine al suo Pensatore.

Noi siamo scintille della Mente Divina e la mente è la nostra più elevata facoltà, infatti il nostro mondo inizia nel pensiero per potersi concretizzare nella materia. Chi pensa che vivere nel mondo sia immergersi nella materia o chi crede di vivere nel completo isolamento non comprende che la vita inizia nel pensiero ma si deve concretizzare nel mondo materiale. Infatti non comprendiamo che la realtà mentale e quella pratica sono due facce della medesima medaglia, perciò la realtà va compresa con il pensiero concreto che agisce e modifica le cose: il pensiero penetra all’interno delle cose per poter modificare e plasmare esteriormente, perciò il pensiero deve agire sul motore interno del mondo.

La mente costruisce, analizza, divide, ricompone, raggruppa, pesa e crea il suo mondo, perché penetra nelle sue leggi particolari usando i sensi e le emozioni. La mente è il ponte usato dallo spirito per scendere nel mondo, perché la mente possiede due facce, infatti preleva e smista il mondo esterno e quello interno. L’intuizione è il salto della mente verso le realtà superiori, perché il lampo del genio vede qualcosa di superiore, perciò le intuizioni sono tipiche delle menti geniali dette “visionarie” da chi non le comprende, ma il visionario è chi realizza ciò che gli altri credevano impossibile prima che lui lo facesse.

Le persone geniali vedono prima con la mente che tramite i sensi, perciò vedono nel pensiero, infatti il pensiero intuitivo ha immaginato e ha creato il futuro. La vita prende il ritmo e la qualità del pensiero, perciò possiamo usare la volontà per migliorare la nostra condizione, in quanto la volontà è la forza divina che teniamo incatenata come una schiava lasciando libere le passioni e i desideri come tiranni capricciosi e cause della nostra sofferenza. La passione, per come la percepisce l’uomo, è l’emozione tirannica di cui l’uomo si compiace fino a esserne vittima, perché l’uso distorto della mente fa ripetere le cose che crediamo positive fino a diventarne prigionieri.

L’inganno è credere che le cose superflue siano necessarie, perciò che dei bisogni superflui siano primari, perciò offriamo alle cose superflue e vuote il valore che non hanno, e quelle cose indegne ci racchiudono nella gabbia della necessità. L’abbassamento della civiltà inizia facendo la confusione tra le cose essenziali e le necessità fittizie, infatti molti pensieri sono distorti e male indirizzati verso valori sempre più infimi. Pensare bene per restare centrati su quello che ha un valore reale, perciò centrarsi sulle cose che sono primarie è la condizione per addestrare la mente in modo positivo: in questo siamo gli artefici della nostra buona o cattiva sorte.

Siamo noi che risolviamo i problemi se usiamo la mente per analizzare i piani sottili delle cose, perché la creazione della vita avviene in modo raffinato e non in modalità meccanica, infatti il pensiero è l'ambito personale che prevede di saper progettare “ad hoc,” perciò per contesto particolare e soggettivo. Le abitudini mentali nocive sono le creazioni sbagliate che abbiamo nella nostra realtà, perché la meccanicità mentale non sa valutare il vantaggio globale delle cose. Quando l’idea entra nella mente, feconda e trasforma l'ambito mentale, perciò diventa la forza dirompente della necessità realizzatrice di ciò che è insito nella natura delle cose.

Anche la fede è una convinzione, infatti chi ha una fede ha la certezza incrollabile delle idee, perché esse hanno una profonda risonanza con la natura della loro coscienza. Molti traggono dalle loro idee la forza di affrontare delle difficoltà insormontabili per altri: questo è l’effetto della fede, al di là della qualità dell’idea che la ispira, infatti la persuasione rafforza il senso di valore dell’idea. Molti non conoscono la forza della suggestione e ignorano che è il metodo usato dalla società per addestrarci, poiché usa dei canali inconsci per entrare profondamente nella mente.

La persuasione assume una forza devastante se i pensieri penetrano e sono rinforzati dalla devozione con cui li conserviamo, e vince le più profonde convinzioni e agisce minando alla base le strutture mentali come tutte le idee che penetrano e agiscono dall’interno. L’idea diventa molto potente se possiede una grande forza di penetrazione, perciò se l’anima la accetta e la include nella parte più intima e inconscia di sé, perciò l’idea cambia l’essere perché lo spinge e lo trasforma interamente. Chi conosce la mente ci persuade ripetendo più volte per inculcare meglio i concetti, perciò le idee sono ripetute in modi diversi per imprimerle meglio.

Il nostro subconscio assorbe e rende indelebile l'idea, perciò i concetti ripetuti fiaccano anche la più accanita resistenza della mente: le suggestioni sono armi potenti perché usano la nostra parte impulsiva per sfruttare l’azione propulsiva, infatti le forze inconsce impulsive sono irrefrenabili. Il meccanismo crea i martiri che assorbono in modo inerte le idee altrui, perché la forza della suggestione usa gli ingranaggi impliciti della struttura umana, perché hanno una forza espressiva estremamente potente. L'ingranaggio è usato dai persuasori occulti che sanno che il pensiero può essere innestato nella mente, perciò sanno di ottenere una gran massa di gente molto suggestionabile e influenzabile: la pubblicità e la politica sono i fenomeni più evidenti, perché l’azione insistente infonde anche le idee che sono basate sulla menzogna e sull'ignoranza.

La suggestione può vincere la volontà, infatti stimola alla condensazione del pensiero fisso penetrato intimamente, perciò la suggestione positiva origina idee positive, ma se ci abbandoniamo a ogni pensiero che viene a visitare la mente, senza discriminare la qualità e il valore dell’idea, siamo la preda di tutto ciò che giunge. Perciò la mente si deprime o si esalta come una bilancia che oscilla continuamente, e la mente viene trascinata nei flussi dell’emozione e nella gamma delle sue tempeste: lasciati alla deriva di noi stessi diventiamo i naufraghi del pensiero, ma il pensare disordinato è un naufragare in un mare troppo tormentoso.

Per pensare dobbiamo selezionare e ordinare, perciò la mente deve essere attiva e passiva, e chi pensa deve essere il soggetto e l'oggetto del suo mondo, perciò l’ordine mentale è primario per pensare, infatti dobbiamo riordinare e soppesare la qualità dei pensieri e il vero valore delle idee. Molti usano la mente con schemi rigidi e passivi, perciò la mente diventa pigra e confusionaria, e risente dell’accumulo indiscriminato di idee che sono indifferentemente pescate dal mondo, perciò non si conosce neppure l’origine delle proprie convinzioni. Se i pensieri sono vacui e sciocchi, e sono prodotti in abbondanza possono coltivare delle menti poco sviluppate che vivono una vita sconclusionata e inconcludente, perciò spiritualmente sterile.

E' necessario saper chiudere la mente ai pensieri che non hanno qualità e che vengono per deprimere la fiducia nella vita, infatti gli inquinamenti sono evitati se impediamo alla negatività di attecchire: la nostra mente deve essere chiusa ai pensieri di vendetta e di rancore. Se le cose vanno male la causa non è mai esteriore, ma la causa va ricercata all’interno, perché siamo noi che abbiamo dato consenso a quel pensiero, perciò è nell’uomo la causa dei suoi mali ma nell’uomo esiste anche il rimedio, se cambiamo il modo di pensare e se vogliamo eliminare la sofferenza mentale.

I pensieri nocivi si tagliano alla radice, perciò va eliminata la paura che è l'unica causa della sofferenza, infatti vizio e difetto nascono dalla paura così come l’odio, poiché si odia la persona perché essa rappresenta la cosa che temiamo. Se una cosa non si temesse non potremmo odiarla, infatti ci lascerebbe indifferenti. L’uomo teme troppe cose, infatti teme la povertà e diventa avaro, odia il rischio e diventa pigro, odia gli errori e diventa irresponsabile, odia il dolore e la malattia e diventa mediocre e indifferente al dolore del mondo. Quando si teme tutto, il timore impedisce di essere i padroni del mondo, perché siamo chiusi alla fiducia nella bontà della vita.

Le sensazioni penose sono la calamita delle nostre negatività, perché innestiamo il circolo vizioso di paure ed errori, infatti siamo un centro magnetico che è indifferente alla qualità del sentimento e che risponde solo alla forza dell'attrazione e alla potenza delle convinzioni che accumuliamo, perciò attiriamo nella vita ciò che amiamo, ciò che temiamo, ciò che odiamo oppure ciò che desideriamo ardentemente. Il pensiero ha un’enorme potenza attrattiva con i pensieri della stessa natura, perciò attiva la concretizzazione del nostro pensare, sia in senso positivo che negativo.

Noi abbiamo il libero arbitrio e la volontà di poter discriminare la qualità del mondo che vogliamo abitare, infatti ognuno può coltivare il pensiero che vuole e che sente interiormenete come vero e corrispondente al suo essere, perciò abbiamo la responsabilità del nostro pensiero. Ognuno è libero di essere come vuole, perciò può scegliere di essere costruttivo oppure negativo ed è libero di poter usare la carica mentale per rafforzare la sua fiducia nella vita, perché è stato detto che ci sarà dato secondo la nostra fede, perciò è certo che la nostra fede nella bellezza della vita ci darà una vita più bella e più serena.

Buona erranza
Sharatan


martedì 4 ottobre 2011

La strategia dell’Uomo Astuto


“Se le cose si mettono male,
colui che conosce l’armonia,
sarà in grado di armonizzarle”
(Confucio)

L’uomo nasce incompleto, infatti la natura fornisce la maturazione delle strutture di base per garantirci la sopravvivenza fisica, ma di più non ci viene donato alla nascita. Se vogliamo evolverci ulteriormente è necessario che si voglia fare, perché la “coscienza” e la “volontà” vanno conquistate con un lungo lavoro interiore e con grandi sforzi, perciò l’evoluzione è raggiunta solo da coloro che sviluppano un ardente desiderio di perseguirla e che perdurano nel desiderio.

L’uomo non nasce con uno sviluppo completo perché la natura non ha bisogno di una umanità consapevole, in quanto la necessità di evolvere deve essere un’esigenza percepita dal singolo e solo se costui lo desidera ardentemente e se la sua coscienza sente l’urgenza di accrescersi, perciò solo se la volontà si attiva in questa direzione. La natura è giusta, perché non forza nessuno a fare ciò che non vuole, infatti l’evoluzione non può essere imposta a chi non la desidera, ed è giusto che sia così. L’uomo deve rappresentarsi internamente ciò che vuole raggiungere e poi deve sviluppare le strategie opportune per conquistare il suo obiettivo: se viene raggiunta questa condizione, allora è certo che la meta sarà perseguita, seppure a prezzo di grandi sforzi e di fatiche.

Noi siamo in relazione molteplice con il mondo, infatti percepiamo attraverso 3 vie di comunicazione: l’approccio con il mondo avviene primariamente con il corpo anche se non lo conosciamo, non lo comprendiamo e non lo ascoltiamo come dovremmo. Gurdjieff dice che non sappiamo neppure usare il centro emotivo, perciò non sappiamo neppure quali potenzialità il corpo può avere, perciò guardiamo il mondo e vediamo le cose, i problemi, la politica e tutte le relazioni con gli altri, perciò di tutto questo ci preoccupiamo, e se tutto va bene, sappiamo vedere le relazioni con l’interno e con l’esterno del corpo, perciò vediamo solo due dimensioni: l’interno e l’esterno.

Nulla sappiamo della relazione con noi stessi, perché non si crede che questo tipo di relazione sia importante, infatti nella realizzazione personale si privilegia il benessere fisico, il benessere economico e il successo sociale. Di altro non ci occupiamo, e se le cose si mettono male crediamo che la causa sia solo esteriore, perciò incolpiamo il destino, gli altri oppure le circostanze, perciò diamo la colpa sempre agli altri di tutto ciò che ci turba. L’uomo crede di sé tante falsità che riguardano principalmente la conoscenza di sé e la volontà di poter fare, perciò pensa di saper dominare la miriade di desideri e di volontà contrastanti che lo popolano.

Gurdjieff racconta un’antica metafora orientale che descrive come agisce il mondo sull’uomo e come l’uomo reagisce per evolvere sapendo usare abilmente l’azione del mondo, perciò si spiega come avviene il graduale sviluppo dell’uomo e le condizioni della crescita si raffigurano con la metafora del vaso o dell’alambicco che raffigura l’uomo. Immaginiamo un alambicco che sia riempito di varie polveri metalliche che sono in contatto una con l’altra, perciò se l’alambicco viene scosso, le polveri si mischiano tra loro. Colpendo il vaso, le polveri scendo e salgono, perciò non esiste una posizione definitiva per le polveri che dipendono da ogni colpo o da ogni scossa che è inferta all’alambicco: la relazione che le polveri metalliche hanno tra loro è quella della semplice mescolanza meccanica, perciò le polveri subiscono delle mescolanze che non sono mai stabili e definite.

Questa è l’immagine più pregnante per descrivere la nostra condizione psichica interiore ed esprime lo stato di variabilità e d’instabilità che sperimentiamo interiormente. Per rendere più stabile la condizione delle polveri metalliche dell’alambicco è possibile fonderle, in quanto la loro natura metallica ne permette la fusione, è possibile accendere un fuoco speciale che è in grado di scaldare e di mescolare le polveri, finché esse si trovano nella condizione di poter diventare un composto chimico. Dal momento in cui il composto si fonde in una lega, le polveri non possono essere più separate con la stessa facilità che esisteva quando venivano mescolate in modo meccanico.

Dalla fusione esce una lega particolare e individuale, e questo rappresenta la formazione del nostro secondo corpo che nasce dal fuoco speciale della frizione , cioè dal conflitto delle nostre tendenze opposte, perciò tra il “si” e il “no” che sono i desideri contrastanti da cui siamo travagliati. I fatti del mondo e gli avvenimenti ci imprimono un continuo cambiamento di posizione degli elementi che sono dentro di noi, infatti non abbiamo la capacità di resistere agli urti che la vita ci imprime, perciò basta molto poco per provare la sensazione che ci stiamo infrangendo come un delicato cristallo. Lavorare su noi stessi significa creare qualcosa di permanente che possa restare stabile e permanente anche davanti agli accidenti interiori.

Nella metafora orientale vediamo che possiamo avere una fusione se usiamo un fuoco particolare che può agire sulle polveri, e il fuoco è la coscienza che è l’unica che può formare l’unità al nostro interno. Pensando all’alambicco sappiamo che, se lavoriamo in un certo modo, perciò se usiamo il fuoco della consapevolezza si può agire sul composto chimico, infatti le caratteristiche della sostanza ottenuta sono di un certo tipo, perciò il composto possiede determinate caratteristiche che sono specifiche di quella sostanza. Un lavoro adeguato è in grado di accrescere queste caratteristiche, perciò la lega metallica assume altre qualità molto più raffinate di quelle che aveva all’inizio: quando le qualità si sono sviluppate e differenziate, in modo che la lega possa acquisire il terzo corpo vi è l’acquisizione di nuovi poteri.

E’ chiaro che le caratteristiche sono state sviluppate in modo artificiale e con un’azione esteriore, perciò queste qualità vanno stabilizzate e magnetizzate affinché divengano permanenti e definitive, e la stabilizzazione viene operata da un Io Osservatore. Questa figura, dice Gurdjieff, equivale alla formazione di un Intendente Delegato che dirige una compagnia di Io che vuole lavorare, anche se tutti gli altri non lo vogliono fare: se la figura delegata riesce a diventare abbastanza forte è possibile che si pervenga ad un Io stabile e inamovibile. Per poter descrivere questo sviluppo sono necessarie due condizioni, e cioè che l’uomo si senta realmente sommerso e soffocato dalle cose, che la vita gli riesca insopportabile per come si svolge, perciò il primo fattore è che si percepisca la vita solo con dei sentimenti negativi.

La seconda necessità è percepire che vi è qualcosa che non funziona e che ci rende insoddisfatti, perché c’è qualcosa che non va, e questo fattore d’insoddisfazione può avere due tipi diversi di esito, perché vi è chi sente che il suo mondo non va bene, ma non crede che ci possa essere il modo di cambiare perciò si rassegna, e poi ci sono quelli che vogliono essere aiutati e che sperano nell’aiuto dell’alto, perciò sperano anche nell’aiuto divino. Ma è qui che si gioca la carta dell’Uomo Astuto, secondo Gurdjieff, perché chi è astuto comprende che si trova in uno stato d’animo che è molto drammatico, che è nella crisi più nera, perciò deve trovare una soluzione ottimale.

Costui sente di aver perso ogni controllo di se stesso, perciò non può permettersi il lusso di poter indugiare e si applica seriamente, perciò non perde tempo a commiserarsi e sentirsi infelice e sfortunato. La strategia ottimale e il compito migliore in questo frangente consiste nel riappropriarsi dei propri centri interiori e contattare i vari Io che presiedono alle funzioni istintive, emotive e razionali. Per l’uomo che è in crisi è utile leggere i Dieci comandamenti, ma soprattutto i primi 5 che sono dei precetti psicologici, perciò dedicati all’interno dell’uomo, mentre i secondi 5 sono dedicati all’esterno e ai rapporti esteriori.

Nel primo comandamento è scritto: “Tu non avrai altro Dio, al di fuori di me stesso” perché è il massimo precetto che viene dall’alto, ed è inviato dalle gerarchie celesti superiori, perciò indica ciò che è primario e imprescindibile. Questo comandamento non è stato inteso nel modo adeguato, poiché se l’uomo ci credesse davvero tutta la sua vita sarebbe molto diversa, infatti le dottrine bibliche contengono degli insegnamenti molto più profondi e raffinati di quelli che ci insegnano, perciò le dottrine bibliche non le abbiamo comprese nel modo giusto: per iniziare il lavoro interiore è necessario avere questo primo Shock del Ricordo di Sé che è necessario per la trasformazione totale.

E’ da questo shock che inizia la trasformazione delle nostre cellule che saranno in grado di ricevere un nutrimento diverso, infatti nel primo comandamento è indicato qualcosa che ha un valore primario per l’uomo, e ciò che ha il valore maggiore domina l’intero essere. Ciò che ha il valore assoluto è solo Dio, perciò Dio è il riflesso nostro come noi siamo il riflesso di Dio, ma questo noi lo dimentichiamo spesso, infatti adoriamo molte cose strane e abbiamo delle divinità anomale che mettiamo al centro del mondo.

Questo è il primo concetto che dobbiamo acquisire se vogliamo uscire dal cattivo stato interiore, perché è il passo necessario per iniziare il lavoro soprattutto se navighiamo in pessime acque. Molti credono che essere in pessimo stato interiore dimostra che siamo degli esseri sbagliati e che non sappiamo fare nulla di giusto, e questo errore è molto comune. Gli stati negativi che sperimentiamo nella vita servono per rafforzare l’astuzia dell’uomo e per stimolare le sue capacità peculiari, così che lui possa ridestarle e perfezionarle, perciò nessuna astuzia e tecnica si potrebbe sperimentare se non sperimentassimo uno stato disagiato.

L’Uomo Astuto è quello che sa ricordarsi di sé in momenti diversi e con tecniche diverse, perciò solo se siamo in una condizione negativa possiamo acquisire la certezza che la nostra condizione sia solo transitoria, e che tutto si possa risolvere se abbandoniamo la sensazione che la condizione sia irrimediabile. L’unica condizione richiesta è quella di avere la certezza che si può sempre uscire dal momento negativo, e l’immaginazione non deve essere mai negativa e non deve impedirci di ricordarci di noi stessi. Questo è il primo Ricordo di sé e produce un rafforzamento della nostra forza vitale, perciò avere questa conoscenza è utile per capire che il lavoro interiore è sempre possibile e che l'elevazione è la sola via valida.

Nella vita tutti affrontano dei momenti problematici e tutti hanno delle preoccupazioni, infatti nessuno è indenne dalle tempeste della vita, perché dalle tempeste non esiste una via di fuga valida, se non quella di diventare dei naviganti molto esperti dell’arte della navigazione. Nella vita non possiamo avere la garanzia di poter affrontare tutto in modo perfettamente adeguato, perciò se percorriamo una strada con molti sassi e molti rovi, la soluzione migliore resta quella di attrezzarci usando un buon paio di scarpe molto resistenti e molto robuste.

Buona erranza
Sharatan