mercoledì 30 ottobre 2013

L’Amore è un suono soave



“È necessario che il veggente si faccia prima simile
e affine a ciò che deve essere visto e poi si applichi alla Visione.
Così come l’occhio non riuscirebbe mai a vedere il sole,
se non divenisse solare, così l’anima non può contemplare la Bellezza
se non diviene essa stessa bella.”
(Plotino Enneadi, I, 6, IX)

“L’Amore è comprensione e comprendere significa abbracciare, contenere, racchiudere, intendere con intelligenza, incorporare, includere, integrare l’altro o qualunque cosa, fino a realizzare l’unità. Nella comprensione si risolvono tutte le contraddizioni di una psiche inquieta: da ciò deriva la pacificazione del cuore.

La comprensione è Sapienza divina. La comprensione annulla le distanze perché non crea opposizione; in essa non c’è critica poiché, appunto, comprende, non c’è giudizio perché riconosce che ogni cosa è al suo giusto posto. La comprensione, più che la mente dell’altro, tocca per via diretta la coscienza la quale non può aprirsi e concedersi.

La comprensione non è discorsività mentale perché discende da quel reame ove l’Intelligenza splende, per cui è uno stato coscienziale che risponde adeguatamente e saggiamente allo stimolo esterno e interno allo stesso individuo. La comprensione è Amore in atto, è soave espressione del Cuore.

L’Amore è donazione perché è ricco, perché ha e, avendo, può offrirsi su tutti i livelli esistenziali per un puro atto gratuito. Il desiderio acquisitivo, natura dell’io psicologico, essendo mancanza, privazione, deve cercare disperatamente di possedere per colmare la lacuna insita nella sua struttura. Due enti generalmente non si amano ma si desiderano perché devono compensarsi, devono colmare la loro indigenza; ma se non hanno, che cosa possono offrirsi?

Eppure in loro c’è il germe dell’Amore; c’è Madonna pura e gentile che irradia “virtute e conoscenza.” Si tratterrebbe di evocare tale Potenza che attende di essere portata in atto perché in ogni cuore umano esiste questa divina Scintilla che, se risvegliata e sviluppata, diventa un fuoco così irresistibile da bruciare tutte le scorie d’incompiutezza.

L’Amore integra l’io bisognoso e lo trasfigura, così come un fiume viene integrato e trasfigurato dalla maestà dell’oceano. L’Amore dà vita, unifica e fa crescere; il desiderio, che è un sottoprodotto, un riflesso al negativo dell’Amore, crea dualità, differenziazione perché esalta l’io. L’Amore è dell’Anima, il desiderio è dell’individualità o dell’io empirico il quale, essendosi scisso dalla sua controparte divina, è costretto a non avere e, senza una precisa direzione, è costretto a errare per cercare di godere.

L’Amore è gioia-beatitudine che non deriva dal prendere (diversamente ci sarebbe solo gratificazione) ma dall’evento stesso del porgere, del dare. L’Amore gioisce dell’amore; l’Amore vive di Amore, quindi prescinde da ogni dualità o rapporto individuato. L’Amore, a differenza del desiderio che è necessità, vive nella e con la sua stessa essenzialità perché è ipseità, essendo prerogativa della natura dell’Anima.

L’Amore è pienezza. Questa può esprimersi solo quando l’ente, estinta la brama di possedere per compensare la povertà in cui si dibatte, si “ricompone” ripristinando così la sua Interezza primigenia. La pienezza rappresenta lo stato integro dell’Anima in quanto Persona. Da qui la beatitudine che promana dall’essere un compiuto.

Soltanto chi ha raggiunto la pacificazione dell’animo e reso unità le molteplici voci discordanti del desiderio, sempre imperfetto e voglioso di aspettative, può trovarsi nello stato di pienezza e, quindi, nella condizione di poter offrire, concedere e porgere. Secondo San Bernardo e Riccardo da San Vittore l’Amore basta a se stesso, senza il desiderio del possesso: “Può l’Amore volere l’Amore se esso stesso è Amore?... L’Amore sensoriale è nostalgia del Paradiso perduto.”

L’Amore è libertà perché non imprigiona, in quanto non vede l’altro come distinto da sé. Il desiderio esige, mette condizioni, si appropria per soddisfare, come abbiamo visto, gli aspetti di cui manca. Il desiderio procura agitazione, inquietudine, ansietà perché si esprime su una dimensione che non è, e non essendo, per quanto possa appetire non potrà mai offrire cose che non appartengono alla sua natura.

La libertà offre certezza; le gelosie, di ogni ordine, e le acquisizioni derivano dalla paura di perdere l’oggetto del desiderio; quindi, dietro il desiderio si nasconde l’incubo della sofferenza. L’Amore è libertà perché non impone, non essendo figlio della necessità. L’Amore è un suono soave che attrae pacificando. Essendo un “influsso”, una “corrente” secondo Platone (Cratilo, 420 a-b) è altresì una vibrazione, un ritmo, un afflato, un soffio che penetra, allaccia, contiene rendendo appagato l’animo che riceve.

Sotto questa prospettiva l’Amore è rivelazione di Armonia la quale non è che giusto Accordo con la polarità vitale, e l’Accordo non è che rivelazione di intesa tonale. Come nella musica il ritmo dà vita al suono, così l’Amore dà vita al rapporto polare, dà quell’equilibrio di tensione e rilassamento che devono succedersi nella giusta proporzione.

E come l’armonia crea l’intervallo musicale tra due o più note che vibrano accordi, così l’Amore crea l’incontro giusto ed equilibrato di due nobili cuori che vibrano melodie consonanti, gradevoli che, a loro volta, producono stabilità, all’opposto del desiderio che è instabile ed effimero.

L’amore (desiderio) sensoriale è aritmico e disarmonico perché il desiderio che è frutto di dissonanza, manca di equilibrio, di cadenza, di timbro amabile, quindi non offre chiarezza di accordo, né dà smalto o brillantezza al rapporto. Una coppia che esprima il tipo di Accordo-Amore di cui abbiamo parlato costituisce un suono commensurato con ciò che Pitagora definisce l’Armonia delle sfere.

Le due note polari sono in un rapporto di consonanza tale da toccare le vite di altri piani; non sono dunque dei sistemi tonali individuati chiusi che corrono parallelamente e che tentano solo di convivere, come normalmente avviene. Esse, di cui ognuna possiede un proprio valore tonale, danno, prese insieme, quel tipo di sintonia, risonanza che è più di una semplice somma numerica, rappresentando una nuova e più elevata vibrazione operante a livelli veramente profondi e creativi.

Si tratta di un ente che si realizza mediante un determinato rapporto di toni e che è consapevole dell’unità del sottofondo sonoro: vale a dire, dell’Archetipo-Amore. A questo punto è l’“orecchio interno” che percepisce la tonalità, la potenza dell’Amore e l’osmosi innocente e immediata. I toni a questi livelli rappresentano le espressioni di vita nelle varie note animiche e contengono in sé il numero e il valore.

Il numero è caratterizzato dalla quantità, dalla potenza espressiva dell’Amore o dalla frequenza dello stato vibratorio fino a toccare dei vertici considerevoli (così abbiamo enti che incarnano potenti Principi universali) e il valore rappresenta la qualità dell’Amore o del Principio stesso.

A tali altezze di vita espressiva non è l’istinto separativo di conservazione di sé che lega e unisce, non è l’emozione-sentimento-passione perché si è risolta la “scissura”, né il principio mentale utilitaristico perché il puro Intelletto d’Amore opera con gli universali e non con l’io appropriativo; simile stato di Amore elimina lo spazio e il tempo, per cui si può parlare di Amore immortale.

Esso è profonda “esteticità” che trasfigura ogni atto, ogni parola, ogni movenza ed esige silenzio concettuale o mentale perché alle parole si sostituisce il vibrare che penetra, avvolge e dischiude sempre più l’Accordo, l’Armonia e l’Intelletto d’Amore. Se parliamo di “toni” è perché, appunto, l’Amore, vibrando un determinato influsso, possiede una gamma indefinita di possibilità sonore e quindi di armoniche.

Lo sguardo di due Corde riunificate palesa le molteplici sfumature di toni che, all’“udito attento”, risultano come potenza di estasi risuonante che inebria fino a trascendere ogni contingenza oggettiva, per cui il “mondo scompare” alla percezione dei sensi. Prodigio dell’Amore! “ (Raphael - La Scienza dell'Amore – Roma, Edizioni Asram Vidya)

giovedì 24 ottobre 2013

Nubi



Nubi.
Siepi di piume
uccelli di schiume.

Uccelli dalle grandi ali
venuti dal mio altrove.

Nubi.
Barboncini d'ovatta
nati dal sogno di un bimbo malato.

Nubi, vele d'un vascello
che mi mostra il cammino
il cammino fluido del silenzio.

Nubi.
Montagne scaturite dall'altrove
e dell'ormai più.

Montagne che vengono verso di me
e che non lasceranno nulla di me
nulla se non un riflesso cantante.
Nubi, fuochi del cielo.

(Minou Drouet)

martedì 22 ottobre 2013

Atteggiamenti



“Per raggiungere una felicità autentica a volte
occorre trasformare il proprio atteggiamento,
e il proprio modo di pensare.
L'impresa non sempre è facile...
il cambiamento richiede tempo.”
(Gyalwa Tenzin Gyatso, 14° Dalai Lama)

La nostra felicità viene ostacolata dal mondo insicuro e irrequieto in cui viviamo. E non si tratta solo delle crisi economiche che si spostano ovunque, cioè a livello planetario. L’incertezza e l’ansia sono diventati dei problemi globali a cui si sommano le guerre che spingono le masse dei poveri e disperati verso i paesi più ricchi.

Sembrerebbe giusto credere che, in queste condizioni, non si possa pensare alla felicità. Il nostro mondo è in crisi globale perciò cresce l’infelicità, perché la violenza, la guerra, il terrorismo, la povertà e la prevaricazione non possono rendere felice nessuno.

Malgrado tutto, non si può dire che le persone non debbano aspirare alla felicità. Le condizioni esterne e il vissuto sociale, secondo il Dalai Lama, sono fattori esterni che condizionano gli individui che vivono nelle società ingiuste, perciò dobbiamo impegnarci per modificare la condizione e superare i problemi che affliggono il mondo odierno.

Dobbiamo fare ogni sforzo per creare condzioni sociali che possano offrire le azioni necessarie affinché ognuno possa avere la felicità. È una cosa molto importante ed è una responsabilità per tutti i membri della società. Ma se vogliamo favorire la felicità dobbiamo affrontare il problema su due livelli, cioè quello interno e quello esterno.

Chiaramente dobbiamo darci da fare per risolvere i problemi esterni ma, nel contempo, dobbiamo trovare il modo di affrontarli anche all’interno cioè a livello individuale. Così possiamo mantenere la felicità anche a dispetto dei problemi del mondo. Ci sono dei mezzi che possiamo usare per accrescere la felicità, e non si allude all’atto di allontanarsi da tutti per rifugiarsi in cima al monte come facevano gli eremiti. Non è questa la soluzione!

Molti credono che lo stress sia una caratteristica del mondo moderno, ma questo non è vero perché lo stress e il disagio sono stati interiori, mentre le ingiustizie sociali sono fatti esterni. Lo stress e il disagio interiore sono reazioni a fatti esterni, però non sono responsabili dello stress e del disagio, dice il Dalai Lama.

Questi stati negativi sono collegati alla risposta che noi diamo a quelle condizioni quindi sono la prova che non sappiamo tenere testa all'ambiente e alle situazioni negative. Molti dei disagi del vivere sono causati dallo sconvolgimento interiore che impedisce di gestire le emozioni negative. L’antidoto giusto è aumentare la nostra capacità di gestire le emozioni negative come la rabbia, l’odio, la gelosia, l’accoramento e così via.

Si tratta di imparare una disciplina della mente che sappia accrescere la nostra felicità. L’addestramento della mente implica la pratica di coltivare gli stati mentali positivi e superare quelli negativi noti anche come emozioni afflittive. Secondo l’insegnamento buddista, gli stati mentali positivi inducono la felicità, mentre le emozioni negative accrescono l’infelicità e le emozioni afflittive causano la maggiore infelicità.

Perciò il Dalai Lama insegna che più si consolida la positività più si riduce la forza dell’emozione negativa. Esistono degli antidoti specifici per ogni emozione negativa, ad esempio, la pazienza e la tolleranza sono l’antidoto contro la rabbia. La compassione e l’amorevole bontà sono l’antidoto contro l’odio, mentre il sapersi accontentare e l’avere desideri moderati sono potenti antidoti contro la bramosia e l’avidità e così via.

Ma se parliamo di disciplina interiore non si deve dimenticare la disciplina etica. L’etica deve procedere di pari passo, perciò mentre si riducono le emozioni negative si deve sviluppare anche l’atteggiamento mentale e le qualità positive che si devono trasferire anche nel comportamento. Perciò tutto deve riflettersi anche nel modo con cui trattiamo gli altri.

Forse un giorno il mondo adotterà la non violenza, il pregiudizio, il razzismo la povertà e la fame saranno abolite e tutti saranno felici. Ma, forse… questo avverrà un giorno. Non è ancora così, perché il cambiamento richiede ancora tempo.

Secondo il Dalai Lama, una volta assolti i bisogni essenziali, la felicità è condizionata più da uno stato della mente che dalle circostanze e dagli eventi esterni. Perciò possiamo coltivare intenzionalmente la mente rimodellando le nostre opinioni e i nostri atteggiamenti, perché la felicità va coltivata come ogni disciplina. Come ogni pratica, l’addestramento comincia con l’acquisire domestichezza con i nostri diversi tipi di stati mentali e delle nostre emozioni.

Poi dobbiamo provare a definirli, a seconda del fatto che ci arrechino la felicità o l'infelicità. La compassione, la gentilezza, il perdono, la tolleranza sono ritenute condizioni mentali positive che accrescono la felicità, e non solo per la mentalità buddista. Molti studi scientifici hanno provato il beneficio di queste emozioni per la salute mentale e fisica, per la qualità dei rapporti umani, e per avere il successo in molti campi.

Ci sono emozioni che accrescono la sofferenza, infatti l’ostilità, l’odio, l’ansia, la gelosia, la bramosia, la disonestà e tutte le emozioni negative sono dette, in sanscrito, “klesha” che significa “emozioni afflittive” o “illusioni.” Ma, a prescindere dal nome che gli vogliamo dare, resta il fatto che nessuna emozione negativa si può provare insieme al suo antidoto.

L’emozione negativa e quella positiva non sono emozioni intercambiabili, e non possono essere esperite contemporaneamente, perché l’arrivo dell’una dissipa l’altra. Pertanto, a mano a mano che si coltiva l’emozione positiva se ne accresce la forza e si rende più debole l’emozione negativa corrispondente.

Dobbiamo immaginarle come l’azione di un secchio di acqua fresca che raffredda un secchio di acqua bollente, e questo è dimostrato anche scientificamente. I ricercatori hanno provato che chi prova emozioni positive si riprende prima dagli eventi traumatici, perciò hanno avanzato una “ipotesi di annullamento” dell’emozione negativa con quella positiva, che è la conferma dell’idea buddista.

Chiaramente non c’è dubbio che la condizione in cui versa il nostro mondo, e il modo in cui siamo evoluti comporta delle condizioni esterne che ci mettono a dura prova. L'addestramento alla felicità fa superare le situazioni di stress cronico e acuto, perché aiuta la mente a rovesciare la qualità delle emozioni che sperimenta.

Buona erranza
Sharatan

giovedì 17 ottobre 2013

L’ignoto benefattore



Un tempo viveva al Cairo un cordaio di nome Nurudin. Era un uomo semplice e povero che lavorava tutto il giorno nella sua bottega. Guadagnava poco ma si accontentava di quel nulla quindi mentre lavorava cantava allegramente. Un giorno come gli altri, mentre stava intrecciando le sue funi, due sconosciuti entrarono nella bottega. Mentre guardavano le sue ceste, uno dei due disse all'altro:

“Amico mio, tutti abbiamo un destino fissato. Questo è certo! Ma il destino non è inderogabile, perché il fato può essere reso favorevole. Guarda, ad esempio, questo povero cordaio la cui vita è segnata dalla misera nascita. La sua sorte sembra indicare una morte misera come la sua povera vita. Ma se un caso fortunato gli offre una borsa d'oro? Non credi che la sua vita avrebbe un corso migliore?”

Nurudin, che aveva sentito tutto il discorso, sorrise timidamente e chiese: “Scusatemi signore, ma ho sentito tutto. Sono tutte belle parole le vostre, ma non è possibile che questo mi accada. Come potrei trovare un sacchetto di monete d’oro? Come potrebbe entrare nella mia bottega un tesoro così? La verità è che i soldi attirano i soldi, perciò il povero resta sempre misero per questo motivo.”

Lo sconosciuto rispose: “Sei fortunato, perché la sorte è stata generosa con me che ho un'enorme ricchezza. Se il problema è solo il sacchetto d’oro, io posso rimediare! Di solito faccio la carità e aiuto nei limiti di ciò che posso, perciò oggi ti aiuterò. Ora mi vuoi dire cosa faresti per vivere felice?”

Nurudin pensò di vivere un sogno e aveva le mani sudate e la gola secca, ma trovò la voce per dire: “Signore, se avessi una borsa d’oro mi farei costruire una bottega luminosa. Farei una bella casa nuova con una bella bottega in cui assumerei due aiutanti per aumentare la mia attività e vivere in modo più agiato.”

A ciò, lo sconosciuto prese la borsa che aveva alla cintura e gliela consegnò: “La cifra è sufficiente per fare quello che dici?” Il cordaio sbirciò la borsa e disse: “Illustrissimo, la cifra può realizzare tutti i miei sogni. Che il Cielo vi benedica e vi protegga! Grazie, mille volte grazie! Che siate benedetto per sempre!”

Dopo le benedizioni di Nurudin, i due uscirono dalla bottega lasciandolo stupefatto con l'oro. In verità, Nurudin era ancora incredulo di quello che aveva vissuto. Poi si riscosse e guardò allarmato per vedere se qualche ladro avesse visto o sentito. La zona era piena di ladri, perciò doveva trovare un posto sicuro per nascondere l’oro.

Mentre si guardava intorno vide il vaso della farina, e decise di nascondere lì dentro la borsa dell'oro. Poi pensò di andare al caffè per bere in onore al Dio del Caso e alla salute del suo benefattore. Sembrava che il destino fosse girato a favore e che l'avvenire fosse pieno di gioia e felicità. Mentre chiudeva la bottega pensò che finalmente aveva in pugno la buona sorte.

Quando rincasò era tardi e sua moglie Yashmina dormiva, perciò Nurudin si sdraiò al suo fianco ma fu insonne fino all’alba. Si addormentò tardi e si svegliò tardi. Si alzò di scatto e corse nella bottega dove lanciò un urlo di orrore. Il vaso di farina era scomparso, perciò urlando chiamò: “Yashmina!” Quando lei accorse le chiese: “Dov’è il vaso di farina? Era qui, dov'è finito?”

La moglie rispose: “Non mi serviva a nulla. È tanto che non lo usiamo, perciò quando la moglie del barbiere mi ha dato un po' di henné gliel’ho regalato perché non avevo altro per pagarla. Ma tu, marito mio, perché sei così pallido?” Nurudin vacillò e rispose: “Donna, sono un uomo morto! Sono disperato!” Le raccontò tutto e disse dell’oro nascosto nel vaso.

Yashmina, un attimo dopo, era già diretta verso la casa del barbiere, ma lungo la strada incontrò la moglie che tornava dal mercato. Le fece cenno di fermarsi e farfugliò qualcosa sul vaso. La donna la interruppe: “Rivuoi il tuo vaso? Te lo darei volentieri, ma stamattina l'ho venduto al rigattiere. Se hai problemi di soldi, ti do 4 soldi. Il suo valore non era maggiore!”

Nurudin la vide tornare senza il vaso e si sentì morire. Ma la vita andò avanti e passarono i mesi, finché il suo benefattore tornò nella bottega. Come la volta prima era assieme all'amico silenzioso e fedele. Entrambi si guardarono intorno, ma non videro nulla di nuovo. La bottega era sempre malandata, la porta era tarlata, le mensole erano vecchie e la piccola finestra illuminava le pareti ingiallite.

Nurudin si affrettò a spiegare: “ E’ avvenuto un fatto terribile!” Al racconto delle sue disgrazie, lo sconosciuto sorrise: “Se il problema è un sacchetto di monete, eccone un altro. Spero che stavolta vada meglio.” Nurudin gli disse: “Non posso accettare tanta generosità. Non potrei restituire questo denaro. Non potrò mai ripagarvi e io non sono uno sciocco, sono un uomo povero ma onesto.”

Lo sconosciuto rispose: “Amico, io non ti chiedo nulla. Prendi ciò che ti dono, fanne buon uso e mi renderai felice.” Nurudin voleva ringraziare ma i due erano già usciti. Quando Yashmina li vide partire andò dal marito che gli mostrò l'oro, e si abbracciarono muti per la felicità. Ma Nurudin aveva nuovamente il problema di tenere al sicuro il suo oro, perciò Yashmina gli consigliò di nasconderlo nel turbante:

“Così sarai più tranquillo! Il turbante lo togli solo per dormire. Puoi tenere l'oro sempre a portata di mano e nessuno ne saprà nulla.” Il marito la giudicò un’ottima idea, ma passò il giorno a tastarsi il turbante. Ogni tanto si palpava il cranio e poi tornava a intrecciare. A sera, si tolse il turbante e lo nascose sotto il letto. Chiuse la porta, sprangò la finestra e si addormentò tranquillo con Yashmina.

A mezzanotte dormivano già della grossa, altrimenti avrebbero sentito lo scricchiolio del pavimento. Era l’ora in cui il topo del pavimento usciva dalla sua tana per cercare il cibo per la sua nidiata. Quando vide l'intreccio del turbante odoroso di sudore umano, il topo pensò che era un bel giaciglio per l'inverno.

Il topo prese il turbante, e tirando con unghie e denti lo riuscì a trascinare nella sua tana insieme alle monete che vi erano nascoste. Il giorno dopo, Nurudin si stirò per benino e poi tastò sotto il letto, ma si rialzò pallido come un morto. Guardò, cercò per tutta casa pensando di essere vittima di un’allucinazione. Pensò che era lo zimbello di un demone malvagio e la disgrazia gli fece quasi perdere il sonno.

Quando gli uomini misteriosi vennero a vedere come aveva usato la sua ricchezza, Nurudin raccontò tutto. Lo sconosciuto disse: “Per due volte hai perso un tesoro. La seconda volta è stata di troppo, perciò l’Altissimo ti mostra che devi restare povero. Dio ti ama perché ama tutti, ma ha deciso che non devi cambiare vita. La cosa è chiara, addio cordaio!” E se ne uscì, ma il compagno che era stato in silenzio disse: “Non voglio andar via senza lasciarti nulla. Io non sono ricco, anzi non ho nulla. Ti lascio solo un porta fortuna!” e gli consegnò una piccola sfera di piombo.

Nurudin rimase ipnotizzato con la pallina in mano, poi la mise sulla mensola sbilenca e tornò a intrecciare le corde. Era venuta la notte quando bussarono alla porta e Nurudin aprì alla vicina, la moglie del pescatore, che chiese: “Per caso non avete qualcosa per zavorrare la rete? Mio marito stanotte va a pescare, ma cerca un peso per fissare la rete. Non avete qualcosa che sia utile?” Lui disse: “Un cliente mi ha regalato una pallina di piombo. Aspetta che vado a prenderla.” Gliela regalò, si augurarono la buonanotte e Nurudin ciabattò verso il suo letto.

Il giorno dopo, la moglie del pescatore ritornò con un pesce e glielo diede: “Il pesce te lo manda mio marito. Dice che il tuo piombo gli porta fortuna. Ha fatto una bella pesca e vuole goderne con te!” Nurudin disse: “Vicina, mille grazie! Tuo marito è una brava persona, devi ringraziarlo a mio nome.” Poi portò dalla moglie il pesce da cucinare, Yashmina prese il tagliere e iniziò a togliere le viscere al pesce.

Mentre la donna lo ripuliva, dalle interiora del pesce uscì una pietra. La donna la mise da parte, e mentre con Nurudin si godevano il buon pasto videro una luce. La lampada era spenta, ma la stanza splendeva, perciò il cordaio chiese alla donna: “Moglie mia, tu capisci da dove viene la luce?” Yashmina rispose: “Non è difficile. E' la pietra che ho trovato nel pesce, guarda come riflette il sole.” Quando guardarono la pietra, i loro volti furono illuminati dal suo splendore.

L’indomani venne una ricca cliente piena di gioielli, e chiese di comprare dei cesti. Ma poi vide la pietra e chiese: “Dove l’hai trovata? Me la vendi? Mi piacciono i suoi riflessi.” Nurudin disse che veniva dal ventre del pesce, ma non poteva venderla. La donna insistette dicendo che l’avrebbe pagata 100 monete d’oro. Davanti alle esitazioni dell'uomo, lei rilanciò offrendo 500 monete. Nurudin farfugliò, ma lei tirò fuori una borsa con 1000 monete d’oro come ultima offerta. Così il cordaio gli vendette la pietra, ma le chiese: “Vale davvero tanto?”

La donna ridendo rispose: “Vale molto di più di questo. E’ una pietra di valore incalcolabile degna del tesoro del re Salomone. E forse è proprio una di quelle che ornavano la sua corona. Chi possiede questa pietra è molto ricco!” Nurudin, dopo che la donna fu uscita con la pietra, si mise a riflettere sulla sua ricchezza. Per prima cosa, il giorno dopo, fece iniziare i lavori per costruire la nuova bottega. Mentre si faceva la demolizione della vecchia casa fu trovato il suo vecchio turbante.

Quando il cordaio lo prese, nelle sue pieghe trovò la borsa con l’oro che aveva perduto. Mentre si riprendeva dallo stupore gioioso che aveva, si presentò un robivecchi a vendere le sue merci. Mentre l’uomo chiedeva se voleva qualcosa, il cordaio vide un vecchio vaso che riconobbe essere il vaso che Yashmina aveva regalato alla moglie del barbiere in cambio dell’henné. Nurudin frugò sotto la farina ammuffita e ritrovò la borsa che aveva nascosto. L’oro era rimasto nel vaso, perciò Nurudin esclamò: “Adesso mi ritorna indietro tutto!”

Il robivecchi gli chiese: “A chi dici, buon uomo?” Nurudin disse: “Amico, molto tempo fa uno sconosciuto mi aiutò. L’aiuto ritorna proprio quando non ne ho più bisogno. Voglio che tu prenda l’oro così che un po’ di gioia ne venga anche a te.” Il robivecchi esclamò felice: “Grazie amico mio! Queste sono le parole che mi piace sentire.”

Nurudin lo guardò meglio, perché la sua voce lo aveva colpito infatti riconobbe il suo benefattore. Un nodo di commozione gli strinse la gola e con gli occhi lucidi chiese: “Ma tu chi sei?” L'altro rispose: “Chi sono non ha importanza. Ciò che importa è chi sei tu. Tu sei un uomo degno. Non sei avido e dividi la tua fortuna con gli altri, perciò la tua felicità rende felice anche me.” Dopo quelle parole misteriose, lo sconosciuto scomparve e Nurudin non lo rivide mai più.

Buona erranza
Sharatan

venerdì 11 ottobre 2013

Rinascere



“Come l’argilla nelle mani del vasaio, così sono gli uomini
nelle mani del Creatore che li modella come preferisce,
e assegna loro un destino in base alle sue decisioni.”
(Siracide 33, 13)


Una miriade di perle di consapevolezza è inserita nella trama dell’organismo cosmico. Gurdjieff dice che il cosmo è formato da una infinita serie di sistemi e di sottosistemi, e che i cosmi sono formati da reti di energia differente e queste energie sono usate per far evolvere gli organismi.

Nell’organismo cosmico in continua espansione vivono dei frammenti di coscienza che devono individuarsi e assumere qualità specifiche e capacità divine. Secondo questa idea, gli uomini sono esseri spirituali che vanno verso uno sviluppo spirituale, perciò gli esseri che sono più avanti aiutano chi è restato indietro. Quando gli esseri più avanzati offrono l’aiuto, anch'essi accrescono la loro consapevolezza.

Il sistema reticolare del cosmo prevede che tutto sia collegato, infatti le più antiche visioni spirituali insegnano che il cosmo è una grande “fabbrica” che crea gli dei. Nell'induismo credono che il Creatore ha formato con parti di Sé tutta questa miriade di gocce di coscienza che procedono lungo dei percorsi evolutivi diversi.

Questo cammino duro e lungo procede con una evoluzione progressiva, infatti il karma scorre nel corso di molte vite successive. Lo sviluppo da “creatura” a “Creatore” avviene con molte discese dal mondo spirituale e molte ascese dal mondo terrestre, perché inizialmente siamo solo un punto di coscienza e poi diventiamo una splendida perla.

Il nucleo di sentire diventa il seme che è come un sasso che l’ostrica trasforma nella perla o nel fiore d’Oro degli alchimisti cinesi. Dobbiamo immaginare un piccolo nucleo che è circondato da un alone luminoso, dobbiamo immaginare che il nucleo diventa più denso e più grande mentre l’alone diventa più luminoso.

Se, nella vita terrestre, abbiamo coltivato quello che c’è di più nobile, porteremo via con noi tanto nutrimento per accrescere il nucleo cioè la nostra coscienza. Ma se non avremo prodotto molto, avremo ben poco con cui nutrirlo e farlo crescere, perché quando torniamo nei mondi spirituali, tutto il buono che abbiamo fatto viene consolidato all’interno del nostro essere.

Tutto quel bene diventa la parte nuova della vita precedente che deve essere integrata nel vecchio nucleo, perché ogni vita ci fa crescere e ci trasforma. Ciò che avremo sarà il giusto riconoscimento dei nostri sforzi, perché sarà quello che abbiamo meritato nel pareggio del bene e del male. Il karma pareggia e rimette sempre in ordine quello che abbiamo scombinato.

Steiner dice che il karma è la “legge spirituale delle cause” essendo la legge che determina la causa da cui derivano i determinati effetti che ne seguono. Ma, dicendo che un effetto deriva da una causa rischiamo di fraintendere il collegamento tra le due cose, perché per crederlo dobbiamo vedere le due cose assieme e immediatamente collegate. Non comprenderemo mai il concetto di karma se ragioniamo in modo così limitato.

Dobbiamo capire che un’azione ricade sempre su chi l’ha provocata o perlomeno se questo è rimasto lo stesso. Ma se accade qualcosa che il soggetto non ha avuto nessuna intenzione di causare, il nesso tra la causa e l’effetto trascenderà il campo del karma. La volontarietà delle azioni è un concetto importante.

Come pure è rilevante il fatto che il karma produce un effetto soprattutto interiore, perché l’azione esterna avrà la funzione di procurare un effetto interno rilevante su chi la subisce. Ma l’effetto dipenderà dalla differenza di reazione collegata alla psicologia delle persone, perché ognuno capisce e reagisce a suo modo.

E se ognuno capisce diversamente quello che gli accade, è chiaro che la medesima azione provoca delle reazioni diverse. La reazione, la macerazione interna e il significato specifico dell’esperienza saranno diverse per ciascuna persona. Dobbiamo sapere che, nell’attuale livello di evoluzione degli uomini, l’attività del corpo fisico, del corpo eterico e del corpo astrale sono connesse, perciò dov’è attivo il corpo astrale le impressioni esterne diventano dei processi interni.

Il corpo astrale unisce il mondo esterno a quello interno, perciò ogni azione esterna si ripercuote sul nostro corpo astrale. Il tipo di vita che facciamo si ripercuote sul nostro corpo eterico, e anche il modo con cui lo farà dipenderà da ciò che abbiamo inserito nel corpo astrale in passato.

Con questo si capisce perchè il corpo eterico viene modificato dalla vita che facciamo, infatti esso è condizionato dalle gradazioni di bene e di male che facciamo. E tutto questo che ne consegue si imprimerà anche sul corpo fisico. Al momento della morte, il corpo fisico viene lasciato e il corpo eterico resta collegato solo al corpo astrale e all’io.

Poi decade anche il corpo eterico, ma resta un estratto del nostro corpo eterico cioè resta l’essenza di quello che l’uomo ha accolto interiormente durante la vita. Questo è quello che resta e che l’uomo trattiene in sé, e che rielabora finché non viene il tempo adatto per una nuova nascita.

Quando l’uomo affronta la nuova nascita, l’essenza del suo corpo eterico viene riversata nel nuovo eterico, perciò essa compenetra il nuovo corpo eterico che viene formato. Il nuovo corpo eterico porterà in sé il ricordo della vita precedente e “siccome il corpo eterico è l’edificatore del nuovo organismo dopo una nuova nascita, tutto questo si imprime adesso anche nel corpo fisico”, dice Steiner a questo riguardo.

Tutto questo accade perché il corpo fisico deve mostrare la traccia di quello che l’uomo è stato. Perciò vediamo che non solo il corpo astrale, ma anche il corpo eterico viene impregnato e intessuto dalle azioni compiute nelle vite passate.

Nella vita viviamo esperienze di tipo cosciente, ma le sperimentiamo anche in modo inconscio. Le nostre impressioni diventano dei sentimenti che si imprimono nella parte cosciente, ma esse penetrano anche nelle parti più profonde del corpo fisico ossia a livello somatico e viscerale.

Tutto quello che penetra nell’uomo e che filtra nell’inconscio condiziona maggiormente tutta la nostra vita intima. Se un’impressione viene vissuta in modo cosciente trova l’opposizione della coscienza, perciò la sua azione risulta attutita, ma questo non avviene se l’impressione penetra attraverso l’inconscio.

Tutto quello che agisce sull’inconscio non trova la difesa della coscienza, perché essa viene scavalcata. La vita umana ha una ricchezza di sfumature che sarebbe impossibile descrivere, perché la parte inconscia è molto più ricca della parte che percepiamo in modo cosciente. Le caratteristiche dell’essere che impersoniamo dipendono da una serie incredibile di fattori.

Quando l’uomo è nel mondo astrale e quando viene costruito il suo nuovo corpo astrale accade che, la sostanza astrale che è distribuita irregolarmente, si viene ad aggregare formando delle forme e delle figure specifiche che sono determinate dal grado di evoluzione che l’anima ha raggiunto. Il nucleo dell’essere funziona come un magnete che calamita la sostanza astrale attorno a sé, perché la formazione del corpo astrale dipende dalla forza che l’anima ha acquisito con l’evoluzione.

Invece la formazione del corpo eterico non dipende soltanto da questo fattore, ma dipende anche dall’azione di alcuni esseri spirituali. Per questo si hanno sempre dei corpi astrali che sono adatti, mentre non sempre il corpo eterico è in armonia con il corpo astrale. Se non c’è l’armonia tra i due involucri, ne conseguono delle disarmonie e delle insoddisfazioni nella vita.

Un uomo nasce bene se gode dell’armonia che sente tra tutti i suoi involucri, perciò se è in armonia anche con il suo corpo fisico. Non si può fare un buon uso del cervello se il corpo fisico non è inserito correttamente nel suo ambiente. Vediamo che ci sono dei condizionamenti nella scelta, infatti in base alle caratteristiche dell’uomo si riveste con un diverso corpo astrale.

La sostanza astrale lo attrae verso un certo tipo di individui, nella vita terrena, mentre il corpo eterico lo attira verso un certo popolo e un certo tipo di famiglia in seno a cui rinascere. Il modo con cui è costruito il corpo astrale lo porta verso la madre, perché l’essenza, la sostanza e la struttura del corpo astrale sospingono verso la madre.

Il suo Io lo spinge verso il padre, perché l’io sente una particolare attrazione per la figura paterna. Quando il corpo eterico tende al popolo e alla famiglia, il corpo astrale tende alla madre e l’io verso il padre, l’uomo è pronto per l’incarnazione. Attualmente l’io rappresenta la volontà e gli impulsi senzienti, mentre il corpo astrale rappresenta la fantasia e il pensiero, perciò le prime caratteristiche si ereditano dal padre e le seconde si ereditano dalla madre.

L’individuo ha cercato la coppia di genitori che avrebbero fornito un corpo fisico, ma spesso si deve accontentare di quello che trova. Per quanto riguarda il corpo fisico è ancora più valido quello che vale per il corpo eterico, perciò è ancora più difficile che esso si sviluppi in armonia con tutto il resto. Chiaramente, più si è progrediti e più si può fare autonomamente il corpo fisico che pensiamo essere il più adatto per la nostra vita. Ma finché non siamo ad un certo livello di evoluzione questa libertà ci viene negata!

Più siamo evoluti e più libertà avremo di plasmare a nostro gusto il germe del corpo fisico che indosseremo. Le sostanze del corpo fisico si rinnovano continuamente, ma resta invariata la sua forma, perciò nella vita dobbiamo continuamente ricreare la sostanza mutabile. Quello che sviluppiamo a livello spirituale è un tesoro che viene conservato e che agisce nella formazione del nuovo organismo, perciò anche la nascita è una trasformazione e un cambio totale di materia.

Secondo Steiner, l’essere rinasce come maschio o come femmina per la necessità di sviluppare certe proprietà dell’anima, infatti la donna è diversa dall’uomo perché è disposta maggiormente ad avere esperienze psichiche rispetto all’uomo. L’uomo è un essere più intellettuale e materialista, mentre la donna ha elementi più psichici ed emozionali, perché queste caratteristiche sono insite nella natura di maschio e di femmina.

La donna percepisce meglio le sfumature della vita e le fa penetrare maggiormente nella sua anima. Quando viviamo il periodo tra la morte e la nuova nascita, vediamo che alcune proprietà dell’anima agiscono nella successiva organizzazione corporea. Ebbene, tutto quello che ha avuto una forte connotazione psichica ed emozionale va a imprimersi nell’interiorità perciò fa una presa maggiore, perciò agirà maggiormente sul nuovo corpo e lo impregnerà in modo più intenso.

L’uomo vive molte esperienze concrete, ci dice Steiner, ma quelle esperienze entrano meno profondamente nella sua anima rispetto a quello che avviene nella donna. Nella donna ogni cosa diventa parte dell’anima, perciò una vita vissuta come donna è più intensa perciò influisce di più sulla vita futura.

Perciò, la vita come donna fa penetrare più profondamente le esperienze producendo una forza che s’impone nel futuro corpo che – a causa di questa forza – produrrà un futuro corpo maschile. Un organismo maschile viene formato dalla forza con cui l’anima riesce a plasmare la materia, perciò nell’occultismo si dice che l’uomo è il karma della donna. Infatti l’organismo maschile della vita successiva è sempre il frutto della precedente vita come incarnazione femminile.

L’organismo maschile, dice Steiner, ci offre una maggiore affinità con l’elemento materiale, mentre la vita nel corpo femminile dona una interiorità più duttile che percepisce meglio gli aspetti spirituali. La donna è più ricettiva agli aspetti spirituali della vita, ed è più sensibile a percepire l’influsso dello spirito, perciò il fatto di nascere alternativamente nei due sessi deve aiutarci ad equilibrare la percezione della materia e dello spirito.

L’organismo maschile ha più difficoltà a immedesimarsi con l’aspetto spirituale, perché è maggiormente collegato al corpo materiale. Il suo essere interiore è ancora più fortemente legato con la materia, perciò la natura maschile risulta più condensata, più compressa e più concentrata, perciò è anche più rigida.

La donna possiede una maggiore duttilità, perciò la donna ha un cervello malleabile e ricettivo. Il suo essere interiore è molto sensibile al mondo spirituale, alle sensazioni. E questo discorso ha valore superiore se riflettiamo sul fatto che un pensiero che è diventato troppo materialistico non sa capire la ricchezza e le sfumature dell’interiorità umana, perciò non capisce le necessità evolutive dell’anima.

La conseguenza della scarsa attenzione alla vita dell’anima si riflette sulla minore possibilità di influire sulla formazione del corpo che avremo nella vita futura. Se in passato non abbiamo accumulato la forza necessaria a svolgere questo è perché l’anima di chi vive come maschio si impregna di meno, perciò dovremo rinascere come essere femminile. Di nuovo vediamo confermato il motto occulto che insegna che la donna è il karma dell’uomo.

Buona erranza
Sharatan

martedì 8 ottobre 2013

La luna



Nel firmamento è apparsa una Luna
è scesa dal cielo e mi ha rivolto lo sguardo.

Come il falco che strappa via l'uccello che gli è preda
mi rapì quella Luna e corse di nuovo nel cielo.

E quando a me stesso guardai, più me stesso non vidi;
perché, in quella Luna, il mio Corpo per grazia sottile
s'era fatto anima pura!

E quando viaggiai dentro l'anima, non vidi che Luna
finché mi fu svelato tutto il mistero della manifestazione!

I nove cerchi del cielo s'erano immersi in quella luna,
e la barca dell'essere mio s'era tutta, in quel mare, nascosta.

Si franse d'onde quel mare, e tornò la Ragione
e lanciò il suo grido: così fu, così avvenne.

Spumeggiò quel mare; e da ogni frammento di quella schiuma
di qualcuno venne un disegno, venne di qualcosa un corpo,

e ogni frammento di schiuma corporea che si mostrò da quel mare
poi subito si fuse, e in quel mare entrò di nuovo;

ma senza l'aiuto del Signore, del Sole divino di Tabriz,
non si può vedere la luna, non si può essere il mare.

(Maulānā Gialāl al-Dīn Rūmī)

giovedì 3 ottobre 2013

Mutazioni dell’anima



“Il Signore prestò la casa di un bruto all’anima di un uomo.
E l’uomo disse: ‘Ti sono io debitore?’
Il Signore rispose: ‘Non ancora, ma rendila pura quanto puoi,
e allora te ne darò una migliore’.”
(Alfred Tennyson)

Ogni forma di vita affronta successive incarnazioni per sviluppare una capacità di pensiero, di sentimento e di espressione sempre più raffinata. Le forme di vita si perfezionano acquisendo delle capacità e delle strutture sempre più complesse. Generalmente si crede che solo gli esseri umani si reincarnano, ma il fenomeno riguarda tutte le forme di vita e tutti gli organismi viventi.

Anche le piante e gli animali si reincarnano, però nel loro caso, l’anima che muore ritorna alla grande anima di gruppo vegetale oppure al gruppo animale. Per capire, pensiamo che l’anima della rosa ritorna all’anima di gruppo delle Rosacee, mentre l’anima del gatto ritorna all’anima di gruppo dei felini. E dopo potranno vivere una nuova vita come rose oppure come gatti.

Per l’uomo la cosa è diversa, perché l’uomo ha un’anima che si è individualizzata, perciò egli è una coscienza separata e individuale. Secondo le concezioni dei teosofi e degli antroposofi l’anima, una volta che si è individualizzata si reincarna sempre come essere umano. L’anima individualizzata ha acquisito i suoi veicoli o strumenti di conoscenza, e li rinnova in ogni vita.

L’anima usa un corpo di materia mentale superiore che è chiamato “corpo causale.” Esso ha una forma ovoidale ed è costituito da un ovale di materia ardente e luminosa oppure delicata e sfumata che lo circonda, e che forma la veste permanente dell’anima. La sua forma è umanoide, ma non appare connotata da tratti di sesso, ma è asessuata e simile alla natura degli angeli.

Il “corpo causale” è così detto perché è il principale impulso del pensiero, del sentimento e dell’azione dell’anima in ogni contesto in cui essa si manifesta, perché esso viene creato dall’anima stessa. All’interno del corpo causale vive l’anima eterna e imperitura che non conosce nascita, infanzia e vecchiaia, e che perciò è immune dalla morte.

L’anima immortale deve crescere in capacità di amare, di pensare e di agire col trascorrere dei millenni. Essa vive una vita eterna per rendersi sempre più efficiente in qualche manifestazione particolare. Per accrescere la sua maturazione, l’anima usa le esperienze delle vite che vive, ma l'aspirazione dell'anima è partecipare alla manifestazione dell’Amore Divino.

All’inizio, l’anima vive delle vite ai piani più bassi del suo livello di manifestazione, perciò è costretta a reincarnarsi più volte. Per incarnarsi, l’anima raduna intorno a sé la materia del piano mentale inferiore e plasma con essa il corpo mentale con cui pensa e trasforma il mondo esterno in idee e concetti mentali.

Poi raduna un po’ di materia astrale per fare il corpo astrale con cui sente e trasforma il mondo dei fenomeni in emozioni e sentimenti. Infine, le viene dato un corpo fisico che l’anima usa per agire e percepire il mondo fisico per mezzo dei sensi. Quando l’anima indossa questi corpi si incarna.

Il corpo fisico percepisce le vibrazioni esterne che provocano una reazione nervosa che si riflette sul cervello. E il corpo astrale registra quella stimolazione per l'effetto piacevole o spiacevole. Il corpo mentale trascrive la classificazione fatta dal corpo astrale e la trasforma in pensiero.

Il pensiero è portato a conoscenza dell’anima che vive nel corpo causale. L’anima può mandare la sua reazione al fenomeno del mondo fisico tramite il corpo mentale che comunica con l’astrale, e l’astrale comunica con il cervello fisico. Ogni istante e ogni volta che la coscienza entra in azione, attiva una comunicazione tra il corpo causale ed i suoi veicoli inferiori.

Dopo aver raccolto idee e informazioni, l’anima le analizza, le classifica, e dalle idee della vita distilla gli ideali di vita, pensiero e di azione. In questo modo, i concetti dei fenomeni sono trasformati in ideali che l’anima ingloba in sé, e che diventano parte di essa. E alla morte, l’anima depone il veicolo fisico che non risponde più agli stimoli sensoriali.

L’anima conserva ancora il corpo astrale e il corpo mentale. Poi si disintegra il corpo astrale perciò l’anima viene distolta dai fenomeni del mondo astrale e si concentra sul corpo mentale inferiore. Quando è abbandonato anche il corpo mentale, l’anima si ritrova nel corpo causale, perciò si libera dei suoi veicoli inferiori.

Ma riflettendo, vediamo che per l’anima non è cambiato nulla, perché essa è sempre restata nel corpo causale. Erano i veicoli inferiori che agivano nel mondo. L’anima è tornata finalmente a casa, anche se non l'ha mai abbandonata. Essa non ha fatto altro che concentrare la sua attenzione e la sua coscienza sui veicoli inferiori. Questo è il funzionamento del meccanismo della reincarnazione.

L’anima usa dei veicoli finché ne ha bisogno, poi li abbandona per indossare altre vesti, perciò quello che conosciamo come morte non è altro che un ritrarsi della coscienza dell’anima dai piani inferiori per riportarla verso quelli più alti. La reincarnazione andrebbe studiata potendo osservare il ciclo delle varie trasformazioni dell’anima con il maturare delle sue esperienze di vita.

I teosofi dicono che ogni passo di questo incedere dell'anima è presente nella Memoria del Logos, perciò un investigatore può mettersi in contatto con quella Memoria e vedere le successive incarnazioni dell'anima. Un primo fatto da ricordare è che non tutte le anime imparano alla stessa maniera, perché ad una certa data, non tutte le anime hanno la medesima capacità.

Esistono anime vecchie e anime giovani, perciò un’anima impara più velocemente e altre più lentamente perché la poca esperienza rende più difficile avere la velocità di percezione. Per questo si ripetono le medesime esperienze, finché si amplia la capacità di acquisire da esse, perciò anche la differenza di età delle anime fa la differenza.

Ci sono delle anime incapaci di dominare i loro istinti e ci sono anime più evolute, ma la legge generale prescrive che, dopo la morte, l’anima debba passare un periodo di tempo sul piano astrale finché possiede il corpo astrale. Poi deve passare un certo lasso di tempo nel piano mentale inferiore finché possiede il corpo mentale. Il mondo mentale inferiore è chiamato Devachan dai teosofi, e indica il luogo in cui l’anima rivive i suoi desideri e le aspirazioni della vita terrena.

In quel luogo l’anima appaga pienamente tutti suoi desideri e gode della felicità di vedere realizzato ciò che aveva sognato. Perciò l’anima può vivere per secoli immersa nella completa beatitudine, almeno finché le forze che avevano sorretto quelle aspirazioni sono esaurite. Poi viene il tempo in cui l’anima deve abbandonare anche il corpo mentale.

Essa ha concluso l’incarnazione e si ritrova nel corpo causale con le esperienze che ha trasformato in ideali e in capacità di amare e di agire. Ma, poiché il cammino di perfezionamento è molto lungo, ben presto arriva il momento di nascere ancora. Perciò si fanno dei nuovi veicoli inferiori con cui l'anima potrà affrontare una nuova incarnazione.

L’intervallo tra due vite viene trascorso, in gran parte, nel mondo celeste inferiore cioè nel mondo celeste più basso detto Devachan. La lunghezza della permanenza dipende dalla quantità e dalla qualità delle aspirazioni accumulate nella vita passata. Le anime meno evolute solitamente vivono una breve vita nel Devachan, mentre quelle più evolute vivono molto più a lungo nel mondo celeste.

Riguardo al sesso, va detto che le caratteristiche di genere hanno come unico scopo quello di farci acquisire delle caratteristiche. Perciò vivremo nel corpo che il genere che ci farà sviluppare meglio. Sarà usato sempre il corpo del sesso che favorirà la migliore comprensione delle esperienze che vivremo.

Le necessità e le opportunità migliori variano a seconda dell'anima, ma si dice che non c’è regola fissa sul numero di vite come maschio o femmina che vivremo. Non c’è una regola neppure sulla durata della vita fisica. La nascita nel mondo fisico corrisponde alla morte nel mondo celeste, perciò il tempo della morte è definito “a priori” ossia prima della nascita, e la scelta spetta ai “Reggenti del Karma.”

I Reggitori del Karma sono Angeli preposti a pareggiare il male e il bene del passato e del presente dell’uomo. Il loro ruolo è quello di fare in modo che, nel pareggio del male e del bene, si ottenga il massimo bene per la creatura. Una vita può essere più utile se diventa più breve, perciò essi possono accorciare la vita di quella creatura.

Oppure può essere meglio che una vita abbia una durata maggiore, perché deve continuare per qualche motivo. I Reggenti del Karma possono decidere di allungare quella vita. La durata dell'incarnazione è sempre motivata da uno scopo, anche se non potremmo non comprenderlo.

Sebbene le linee evolutive e gli eventi principali della vita siano definiti dagli Angeli a seconda del karma, cioè dei meriti e demeriti che abbiamo accumulato, ci resta un margine di libertà. Possiamo scegliere come modificare la vita per mezzo della nostra iniziativa, perciò possiamo accelerare la comprensione e rendere più veloce e indolore il nostro sviluppo.

Nel corso delle incarnazioni il corpo fisico cambia, ma il corpo causale detto Augoide, non cambia mai. Esso mantiene sempre la sua forma peculiare, e qualcuno riesce a vederla dietro il corpo fisico. Il corpo causale è il volto che non cambia mai, perciò esso resta immutabile per tutte le nostre vite.

Ogni anima evolve restando legata alle anime con cui ebbe legami d’affetto, perciò non percorre da sola i sentieri della vita. Essa cammina in compagnia di altre anime che ha imparato ad amare. Un affetto profondo è sempre un legame di anime e non di materia, perciò le anime che sono affini si riconoscono sempre.

Le relazioni fisiche hanno un'importanza minore delle affinità elettiva tra le anime. Le incarnazioni delle anime s'intrecciano per entrare in relazioni in cui impersonano i ruoli di genitori, fratelli, amanti o amici. E poi, nelle vite successive, quei ruoli si scambiano.

I vincoli di affetto tra anime si manifestano in forme diverse, perciò facciamo l'esempio di A e B. Vediamo A vivere tre vite come femmina e B come maschio che, in una vita gli è amante, in un’altra gli è fratello, poi diventa figlio in una terza vita. Nella quarta vita, A e B si incontrano come maschi, perciò diventano due amici fraterni.

La vita potrebbe sembrare incomprensibile senza la realtà dell’evoluzione che mostra il futuro cui l’uomo è diretto. L’evoluzione è un processo che cura l’anima senza trascurare il corpo. Uno sviluppo evolutivo equilibrato non deve trascurare nessun aspetto della vita individuale.

Anche la morte deve perdere il suo aspetto tremendo, perché gli uomini vanno verso la perfezione insieme a coloro che amano. I teosofi dicono che quando l’anima sarà uscita dal ciclo del Samsara perché ha concluso tutte le vite, essa continuerà l’evoluzione diventando un Maestro di Sapienza ossia il Verbo di Dio fatto carne.

Buona erranza
Sharatan

martedì 1 ottobre 2013

Come un filo ...



“Più si conosce e più si ama.”
(Leonardo da Vinci)

Gurdjieff diceva che l'uomo sembra un essere unitario, ma la sua struttura è molteplice. Infatti, la nostra struttura prevede un corpo fisico, un corpo eterico e un corpo mentale che sono usate dall'essere psichico interno per aumentare il livello della sua coscienza. L’esperienza umana prevede un corpo mentale che elabora i pensieri, un corpo astrale che sente le emozioni e un corpo fisico che compie le azioni.

Le informazioni che sono necessarie per svolgere tutte le funzioni sono raccolte con i sensi. Ma la parte essenziale che esprime la nostra peculiarità non è nei corpi che usiamo per esprimere la vita fisica, perché la nostra parte essenziale è nel “corpo akashico” ossia nella nostra coscienza.

La nostra coscienza si manifesta nel divenire che è vissuto con i 3 corpi “grossolani” e più densi di quello akashico, ma la coscienza si manifesta e cresce solo così. Ogni ampliamento di coscienza che conquisteremo sarà manifestato, in futuro, in altre vite e in altri corpi, in modo che il sentire che si è ampliato contiene in sé – per ampiezza – anche il sentire precedente.

Secondo gli indù, via via che andiamo aumentando il nostro livello di coscienza andiamo verso il sentire cosmico. Questo è l’obiettivo a cui tende chi vuole evolvere. Secondo Annie Besant "nel corso della presente evoluzione dobbiamo dominare cinque dei sette piani dell’universo.[...]

Siamo destinati ad agire e dominare sul piano fisico, ad agire e dominare sul piano astrale e sul piano mentale che include lo Svarga degli Indù e il Devacian dei Teosofi [...]al disopra di questo viene il piano di Buddhi e più sopra ancora il piano di Nirvana o Turyia-tita. Con che si hanno le cinque distinte regioni dell’universo destinate ad essere occupate dall’umanità nel corso di questa evoluzione. Questi sono gli stadi dell’espansione della coscienza, per i quali l’uomo deve passare per poter condurre a termine il suo pellegrinaggio."

Ma l’ampliamento di coscienza non va pensato come un diventare diverso, perché il sentire precedente non viene annullato dall'evoluzione, ma resta. Dobbiamo immaginare due sentire di ampiezza diversa che sono collegati tra di loro. E questo legame crea una consequenzialità che diventa intrinseca ai sentire medesimi, perché il medesimo meccanismo legato alle affinità governa tutto la creazione.

L’essere umano impara a pensare quando usa delle sequenze logiche di crescente complessità che il cervello mette in relazione. Per seguire la nostra struttura mentale, la vita umana è legata alla legge di causa-effetto, perciò ogni sentire successivo è sempre legato a quello precedente. E anche le circostanze spazio-temporali del luogo e dell’epoca in cui viviamo sono le più adatte al tipo di sentire che deve evolvere.

Quando entriamo nel mondo il destino che ha già definito l’ambiente e le esperienze che saranno funzionali alla nostra evoluzione, perchè questo meccanismo è legato all’aspetto karmico della legge di causa-effetto. Questo processo è conosciuto come reincarnazione. Ma cosa torna a vivere nelle successive vite?

I maestri dicono che non rivive l’io che conosciamo, cioè la personalità, il carattere o le qualità, e neppure la memoria e le esperienze che viviamo al presente. Crediamo che tutto questo sia la parte fondamentale di ciò che siamo, perché è quello con cui ci identifichiamo. Crediamo di essere il corpo e il ruolo che recitiamo, ma tutto questo è solo l'apparenza e non la sostanza del nostro essere.

La nostra sostanza è il succo cioè è il concentrato di esperienze che hanno arricchito la nostra coscienza. Questo nucleo è quello con cui si prepara la manifestazione di un sentire più ampio che sarà incarnato da un nuovo essere. E il nuovo essere avrà l'io, la personalità e il corpo fisico, astrale e mentale che ha "conquistato" in premio dalle vite precedenti.

Il nuovo essere è legato alla nostra esperienza di vita solo per la sottile trama di cause che furono mosse da noi in precedenza, e che il lui si rifletteranno come effetti che devono aiutare la sua comprensione. Le cose che lui dovrà capire sono quelle che noi, in precedenza, non abbiamo compreso e che comportano gli effetti che lui subisce karmicamente.

Gli effetti che aumenteranno la comprensione preparano la manifestazione di una coscienza più ampia che si manifesterà nell'ininterrotto cammino futuro di nuove vite con altri ampliamenti. Ma potrebbe sembrare ingiusto un ordine cosmico che fa subire le conseguenze delle cause a chi non conosce le situazioni che le determinarono.

E, in effetti, così sarebbe se fosse come sembra, ma la cosa diventa più chiara perché le creature legate da causa-effetto appartengono, in realtà, al sentire di un solo essere, cioè sono un unico essere con la medesima natura e coscienza. E questo essere è colui che si manifesta nel progredire logico di sentire sempre più ampi di nuove vite.

Così, nel mondo del divenire, egli percorre il cammino evolutivo in diversi abiti per arrivare alla espressione della sua massima coscienza. La coscienza diventa sempre più ampia, perciò assume un corpo akashico sempre più grande che viene accresciuto dalle esperienze che sono vissute dai tanti individui che la compongono.

Una sola coscienza superiore è il legame tra le molte incarnazioni di vari individui. Se vediamo questo processo in sequenza temporale e cronologica, notiamo che ogni individuo possiede un corpo akashico con cui manifesta il sentire e la coscienza che ha acquisito nelle vite precedenti. In quelle vite il sentire dell'io fu calibrato e perfezionato per l’evoluzione del sentire successivo.

Se vediamo tutti gli individui che vivono in ogni coscienza li vediamo collegati da un legame che possiamo paragonare al filo che unisce le varie perle che formano una collana. Le perle della collana sono i singoli individui delle varie esistenze in cui essi hanno acquisito sempre una maggiore consapevolezza, e l'evoluzione è sempre più ampia.

Il filo è il legame karmico che li unisce in virtù della legge di causa-effetto, e la collana nella sua totalità è l’individualità. I maestri orientali descrivono la trama karmica come una fune composta da molti fili intrecciati insieme, perché non è detto che gli effetti di una causa precedente ricadano subito sulla vita successiva dell’individuo.

Avviene che le conseguenze si manifestano quando l’individuo può vivere quell’esperienza traendone il massimo profitto in senso di evoluzione spirituale. Questo spiega il senso del karma doloroso che è quello di donare la comprensione e di sbloccare l’individuo per farlo aprire maggiormente, anche se spesso la lezione si comprende alla fine della vita.

In questo senso non può essere trascurata l’importanza del periodo di riflessione a cui l'anima è sottoposta nel periodo che vive nei mondi spirituali. Infatti, nel tempo che intercorre tra la morte e la nuova nascita continua il nostro processo evolutivo con la riflessione che deve completare l’assimilazione di ciò che si è estratto dalla vita conclusa. E quello che ne risulta, andrà a fondersi nella nostra coscienza.

I maestri specificano che l’individualità comprende tutti gli stati di coscienza perciò è il filo della collana, mentre l’individuo è ogni stato di coscienza ossia è la singola perla che è legata al filo. Come possiamo notare, anche l’individuo non è formato da un solo stato di coscienza ma possiede molti sentire di tipo diverso che ha stratificato nella sua coscienza.

Si pensa che, se ogni sentire è unico non si possa incontrare un altro sentire che ci sia affine, perciò si pensa che non ci possa essere una confluenza di sentire omologhi al nostro. Ma c’è sempre una consequenzialità nei sentire, perciò esiste una progressione in cui i vari gradi di sentire sono collegati tra loro per mezzo di questa progressione logica.

Questa naturale progressione di sentire forma delle catene di sentire che sono collegate, e logicamente ogni progressione assume una forma che è peculiare all’ordine specifico a cui appartiene, e che sarebbe irripetibile altrove. Nella concatenazione cosmica vediamo dei sistemi di mondi che formano dei sistemi diversi in cui ogni sentire si sviluppa in un modo specifico.

Perciò comprendiamo che, dei sistemi diversi non possono comunicare tra loro, perché le loro logiche sono troppo diverse. Ma questo fatto non avviene mai all’interno del medesimo cosmo. Nel medesimo cosmo, tra un sentire e l’altro c'è sempre una progressione di logica ascendente che porta al vertice in cui lo svolgimento del cosmo vede la sua soluzione.

In ogni equazione di sentire del medesimo cosmo esiste almeno un punto di contatto in cui il sentire si può incrociare. Ogni cosmo ha la sua struttura logica, in cui lo svolgimento e la consequenzialità formano un filo che unisce un sentire ad un altro. La consapevolezza dell’essere che scorre lungo il filo di perle crea l’individuo che sente e vive la vita in un certo modo.

Questo modo di vivere può essere condiviso con gli esseri che condividono le medesime esperienze, perché essi condividono la logica di quel sentire. Un sentire è uguale per tutti gli individui che appartengono al medesimo sistema, e la loro evoluzione prosegue per mezzo di fusioni progressive tra individui affini.

Poiché la realtà è l'essere e non divenire, per fusione non si deve intendere qualcosa che fondendosi aumenta di volume, ma si deve pensare all'assommarsi di singoli sentire. E ogni sentire successivo conterrà i sentire precedenti, perché nulla viene mai perso e nessuna vita è mai inutile. Nulla viene distrutto o perduto, perché il filo in cui sono infilate le perle rappresenta una singola individualità.

Se vediamo un secondo filo come simbolo della vita seguente, immaginiamo che entrambi confluiscono nel punto in cui è infilata una grande perla che, per ampiezza, contiene le due perle dei due fili precedenti. Quei due fili sono separati tra loro, ma vengono uniti dalla perla grande, perché essa diventa la saldatura o la fusione dei due fili che hanno prodotto quella grande perla.

Vediamo che avviene come nel caso di due affluenti che confluiscono in un grande fiume che è maggiore dei due precedenti corsi d'acqua, perciò il fiume maggiore li raccoglie, e così può aumentare il grado di flusso della sua corrente. Ma tutto questo avviene anche se i due fiumi minori restano a monte dell’unione, ossia continuano ad esistere come fiumi autonomi, a monte del punto di confluenza.

Il fiume non assorbe e non fa sparire ciò che esisteva prima, perciò con la fusione o comunione di sentire, nasce l'individuo che è il prodotto della reincarnazione di molti individui. Nel punto di fusione vediamo l'unico essere, ma se usassimo uno sguardo retrospettivo vedremmo degli individui omogenei, cioè degli esseri dal sentire omogeneo che acquisendo un sentire più ampio causarono la nascita dell’essere presente.

Ognuno vive una vita che ha delle limitazioni, perciò è normale che possa cercare la comunione con chi vive e sente la vita in modo omogeneo. È così che avviene la comunione del sentire che è una fusione in cui nessuno deve smarrire il senso o venire meno, perché nessuna fusione deve annullare la peculiarità e le differenze dei vari individui che cooperano.

La fusione deve essere una comunicazione di sentimenti che si ampliano in modo da produrre un individuo più completo che non si annulla. Se non potessimo avere una comunicazione così intima con gli altri dovremmo vivere personalmente tutte le esperienze, e questo sarebbe impossibile. In virtù della comunicazione di sentire e della condivisione delle esperienze si raggiunge più velocemente una totalità di esperienze.

Le esperienze ampliano la coscienza, perciò così avviene anche nella Coscienza Cosmica che contiene tutte le coscienze degli esseri che vivono nel cosmo. Se la coscienza individuale si identifica con la Coscienza Cosmica, dice Yogananda, anche il singolo sente le esperienze che essa conserva, perciò esse diventano sue. I rami che discendono dalla Coscienza Cosmica sono molti, perciò essi si sintetizzano e il sentire che ne segue è la fusione assoluta.

Buona erranza
Sharatan