domenica 25 maggio 2008
La felicità della nostra vittoria
Per il sabato pomeriggio mi trovo a scegliere tra due possibili opzioni: conferenza con presentazione di un libro oppure manifestazione di arti marziali. Senza esitazione scelgo le arti marziali. Sono stata spesso alle presentazioni dei libri e sono spessissimo grosse marchettone, cioè l’autore di turno viene a convincerti ad acquistare il suo prodotto, che in questo caso è un libro, ma potrebbero essere anche cosmetici o altra merce, dopo averti intrattenuto con una chiacchierata di circa 1 oretta. A me ricordano un po’quelle gitarelle che organizzavano con il solito gruppo di pensionati, che venivano caricati, ad ore antelucane, su pulmann da turismo dove gli venivano sincronizzate le vesciche, indi trasportati verso s. Giovanni Rotondo (o altra meta religiosa a scelta), in visita alla taumaturgica salma. Prima però, durante il percorso, una breve sosta all’area di servizio Cardo Fiorito, dove si viene intrattenuti sulle virtù della nuova batteria di puro inox, con fondo da 10 cm, su cui puoi cucinare dietetico e sicuro e che durano una vita. La nonna di un mio amico se le faceva tutte e diceva furbetta, al mio amico che la avvisava del fatto che ti volevano vendere le peggiore stronzate, che lei non sapeva scrivere (falsissimo!) e non firmava mai niente se non c’era suo figlio (il mio amico era orfano di un padre morto giovane). Intanto si era fatta una gitarella in compagnia dei suoi coetanei, pranzo al sacco e qualche distrazione, sempre lucida ed ironica, tagliente come un coltello, ma assente e confusa, anziana ed indifesa alla bisogna.
Allora, io che qualche volta faccio come la nonna del mio amico, stavolta mi sono detta che le arti marziali erano sicuramente più apprezzabili del marchettone letterario, e sono andata alla manifestazione. L’atmosfera in queste occasioni è sempre quella che mi ricordo: fuori macchine e pulmini, anche pulmann di linea, c’è gente che viene da tutto il mondo e dentro è una cacofonia di colori, di chimono colorati, pantaloncini e divise tra le più varie: quelle da Tai chi le più austere. Immancabili banchetti di mercanzia legata al mondo in oggetto, tutte le armi possibili ed immaginabili, chimono ed abbigliamenti cinesi in tutte le salse, compreso l’angolo delle specialità ed altri articoli orientali dai talismani agli incensi profumati, insomma un suk mediorientale. Già so che mi comprerò il ginseng coreano a metà prezzo rispetto all’erboristeria e una tonnellata di incensi profumati visto che la scelta è infinita.
Mi siedo in posizione centrale in modo da poter vedere almeno 4 pedane diverse, a sinistra c’è quella del Tai chi che mi interessa particolarmente. Quando arrivo stanno già esibendosi e una ragazza presenta una forma codificata con il ventaglio, la guardo rapita e penso che la presenta molto male, è rigida e scattosa, e non mi piace. Anche le forme codificate vanno interpretate e non eseguite come una litanìa. Me le guardo tutte le forme di Tai chi e non me ne piace una. C’è una ragazza slava, con la forma con la spada che esegue la sequenza con maggiore armonia, con fluidità maggiore, ma niente più. Mi sento tanto criticona, ma ho visto eseguire le forme da maestri cinesi, devo dire che è dura poi apprezzare gente che si impegna per anni in discipline anche ingrate, perché basta guardare in YouTube quello che sanno fare i cinesi nel Wushu, per capire che non hai speranza. Purtroppo!
Gli stili interni sono ingrati perché meno spettacolari, praticati da donne, frequentati da pochissimi uomini, per una nostra mentalità distorta, perché "sifu", maestre donne sono consuete in Cina. Solitamente, in Italia, gli uomini sono amanti e praticanti dei soli stili esterni, in cui la forza e la performance fisica sono essenziali. Nello stile interno, la ricerca della via del chi, porta alla consapevolezza della forza interiore e ad una via per captare l’energia universale, tramite il dominio delle vie della forza, sia la propria che quella altrui, per cui nel combattimento devi impiegare la forza dell’avversario per sconfiggerlo. La cura cinese per il corpo, diceva Bruce Lee, punta sulla conservazione dell’energia: moderazione senza mai toccare gli estremi. Lui affermava che chi pratica il kung fu si vota all’indipendenza e quindi non dipende dalla considerazione altrui per la sua felicità. Un maestro di kung fu, a differenza di un allievo, è riservato, calmo e modesto, e non nutre il benchè minimo desiderio di farsi notare. Al livello più elevato dei livelli di apprendimento taoista, il maestro torna ad essere un uomo semplice. Quando si raggiunge la perfezione finale, il corpo con le sue membra fa ciò che deve fare, senza che la mente interferisca, sono in armonia in un tutt'uno.
Nel giudicare con tanta severità quelle atlete sento tutto il mio rancore per la mancanza di quella disciplina. In me parla l’invidia e il dolore della perdita di quella pratica: è il dolore del grande e perduto amore. Me ne rendo conto quando, finito il Tai chi, mi dedico alla pedane in cui fanno sanda gli atleti “veri” e mi guardo il combattimento di un azebagiano: è più basso del suo avversario e appare decisamente sovrappeso, sebbene solido e compatto essendo un atleta. Il suo avversario è più alto per cui parte avvantaggiato sulla lunga e media distanza, perlomeno di solito è così. Se l’avversario lo pensa, e lo avrà pensato sono certa, deve cambiare idea velocemente. E’ grosso ma agile e scattoso, determinato, sembra non stancarsi facilmente perché avanza veloce per colpire e ritorna indietro con velocità pari. Arriva colpisce e rientra in guardia, saltando indietro agile come una molla, alla faccia della mole; ha la grazia di un ballerino. UAO! Bravo e determinato, veloce, grintoso e instancabile il tripponcino, finchè finisce il suo avversario. Il verdetto che lo vede vincere è scontato, se lo merita tutta la vittoria. A questo punto, visto che mi ero intrufolata nella zona riservata agli staff, ho assistito ad una scena particolare. Un tipo che assisteva il trippettino, si avvicina alla scalinata e urla una cosa in azerbagiano agli spalti più alti. Gli tirano una stoffa tutta arrotolata, che non capisco cosa sia. Lui la prende e se la porta verso la pedana dove il trippettino viene ufficialmente dichiarato vincente. L’assistente va dal trippettino e gli passa la stoffa. Lui intanto si è tolta la canottiera mostrando l’addome muscoloso e in sovrappeso che si immaginava, mette la sua bandiera sulle spalle e si fa il suo giro di ring, con un sorriso ed una gioia incredibili: i suoi compagni sono al settimo cielo e lui è felicissimo. Gli brillano gli occhi mentre scende dalla pedana, accolto come un vincitore dai suoi compagni. E’ tangibile, intensa e coinvolgente la gioia di quel gruppo che accoglie il suo atleta, e mi ricorda una soddisfazione e una gioia che conosco. Ricordo come eravamo felici dei compagni che vincevano o che erano applauditi, era una gioia anche nostra, era la gioia di tutti noi: era uno di noi e quella vittoria era di tutti.
Buona erranza.
Sharatan ain al Rami
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