Leggo che Barack Obama, per non complicare la missione dei suoi soldati schierati in Iraq e Afghanistan, è contrario alla pubblicazione delle nuove foto che mostrano gli abusi commessi dalle truppe americane sui detenuti a Bagdad e Kabul. Nessuno ha dimenticato le foto delle umiliazioni inflitte nel carcere di Abu Ghraib, ed il presidente non ha voluto rischiare, per cui le foto restano secretate. Abu Ghraib è uno dei simboli negativi più pesanti di una crudele guerra inutile, ed Obama sceglie la ragion di stato a scapito della democrazia, e fa molto male!
La sensazione che sorge quando si contemplano immagini come quelle di Abu Ghraib, è che ci troviamo di fronte a dei mostri, a degli esseri mostruosi che infieriscono su prigionieri inermi, non solo con maltrattamenti fisici, ma anche con ingiurie ed umiliazioni che tutti hanno definito inumane. E in effetti, molto spesso davanti a delitti incredibili ci ritiriamo, dicendo che quelle sono mostruosità, che sono compiute da persone che hanno del tutto smarrito la ragione e ogni natura umana. Ma è proprio vero che essi sono un non-Noi, un’alienità, che con il nostro essere non ha nulla da spartire?
Nel 1971 Philip Zimbardo, professore del Dipartimento di psicologia presso l’Università di Stanford in California, compì un esperimento di “prigione simulata” che lo rese famoso. Nell’esperimento, tra coloro che avevano risposto ad un’inserzione di lavoro sui giornali locali, furono scelte 24 persone, che avevano il profilo di giovani maschi di media estrazione sociale, intelligenti e sani: quelli che potremmo definire un campione di uomini normali. A metà di loro fu affidato il ruolo delle guardie e all’altra metà quello dei prigionieri, dicendo alle guardie di fare tutto ciò che ritenevano opportuno per mantenere l’ordine, ma evitando di usare abusi e punizioni fisiche.
Il 15 agosto 1971 inizia l’esperimento, con la simulazione dell’arresto dei prigionieri, che vengono prelevati nelle loro vere case, con la collaborazione della polizia di Palo Alto, e che vengono sottoposti alle varie pratiche di degradazione presenti negli arresti reali: furono perquisiti, fotografati, schedati, bendati e spogliati, cosparsi di disinfettante e fotografati nudi. Dopo furono fatti rivestire con le uniformi carcerarie, ma senza biancheria intima, gli vennero consegnati dei sandali di gomma come calzature e delle cuffie di nylon per nascondere i capelli: il loro numero di matricola, prima unito al nome e poi il solo numero spersonalizzato, diventò la nuova identità carceraria.
Le guardie indossavano uniformi cachi, brandivano dei manganelli, avevano il fischietto al collo, e indossavano degli occhiali a specchio che ne occultavano gli occhi. Le guardie, nei giorni precedenti all’esperimento, avevano compiuto dei sopralluoghi alla “prigione” e avevano concordato delle regole per i prigionieri, per cui esse vennero lette ai prigionieri e poi vennero condotti in cella. L’esperimento che doveva protrarsi per 2 settimane, si interruppe al 5° giorno, perché gli abusi fisici e psichici diventavano così radicali da costituire un pericolo per i “prigionieri.” In 5 giorni, dei normali padri di famiglia si erano trasformati in spietati aguzzini, e le guardie non solo erano diventate estremamente autoritarie, ma di notte avevano anche abusato sessualmente dei reclusi.
L’esperimento di Stanford si concluse ma, la coincidenza con l’omicidio di George L. Jackson nel penitenziario di San Quentin il 21 agosto 1971, attirò l’attenzione sul lavoro di Zimbardo e lo rese famoso. La morte del militante del Black Panther Party, George Jackson recluso da quando aveva 18 anni, chiuso in una cella d'isolamento del penitenziario di San Quentin per almeno ventitré ore al giorno e brutalmente ucciso da un secondino a soli 30 anni, non poteva che avere una risonanza eccezionale.
Sepolto vivo nell’isolamento del carcere, Jackson aveva scritto parole audaci, disperate, piene di odio contro l’impero statunitense, un fondamentale contributo alla lotta di liberazione dei Neri, una colonia “interna” al sistema e costretta in condizioni di ordinaria schiavitù, simili a quelle che molti migranti vivono oggi nelle metropoli del capitalismo globalizzato.
Il contributo offerto dagli studi di Zimbardo sui componenti degradati e violenti, osservabili all'interno di un'istituzione come il carcere, sono considerati un classico della psicologia sociale, ma il suo lavoro nel tempo è continuato, allargandosi allo sfruttamento delle tecniche psicologiche per aiutare le persone ad andare oltre la cieca conformità ed obbedienza sociale.
Zimbardo afferma che in tutti noi vi è il bene ed il male, tutti siamo come Lucifero, tutti siamo capaci di essere demoni e angeli per noi e per i nostri simili. Il Male assoluto non è che l’ombra che il Bene assoluto proietta sulla nostra vita, e il Male è proprio il “far Male” inteso come sofferenza subita ed inflitta.
Classicamente, il peccato di Lucifero nasce dalla “cupiditas” che, secondo Dante è la radice dei peccati della lupa. Questa è la condizione spirituale di avere in sé un abisso che non possa essere colmato, nè dal potere nè dal denaro: per costoro, tutto ciò che esiste fuori di essi, ha motivo di esistere solo se può essere sfruttato o acquisito. Per questo nell’Inferno, Dante li descrive come infissi in un lago di ghiaccio e imprigionati nel gelo del loro Sé per l’eternità.
Inducendo le persone a concentrarsi solo su se stessi, Satana e i suoi seguaci, distolgono il loro sguardo dall’armonia dell’amore che unisce tutte le creature, ingenerando separazione e discordia: i peccati della lupa spingono l’essere umano fuori dalla grazia dell’amore, li crea e li lega come vittime in una prigione interiore.
Ma il significato di Satana, non è altro che uno specchio dell’umanità, infatti nel Vangelo di Tommaso, si insegna che “vi è una luce entro ogni persona che illumina l’universo intero. Se non brilla, c’è la tenebra”. Secondo Elaine Pagels, infatti: “Quello che ci affascina, di Satana, è il modo in cui esprime qualità che vanno oltre ciò che comunemente riconosciamo come umano. […] Quindi il male, al suo peggio, sembra implicare il soprannaturale, ciò che riconosciamo, con un brivido, come il diabolico contrario della definizione di Dio in quanto “totalmente altro”.
Nel Pentateuco si narra che con Dio, nell’alto dei cieli, c’erano i Bene Elohim (figli del Signore) e i Malak Jahvé (emissari o messaggeri di Dio). Il Satana del libro di Giobbe è confuso tra i Bene Elohim, i figli del Signore, e forse è uno di loro. Vaga per la terra, ed osserva da vicino gli esseri umani. Li osserva per ricercarne i cattivi comportamenti e quindi sottoporli al giudizio di Jahvè. Ha accesso al trono del Signore, siede tra la corte celeste e dialoga con il Signore.
Questo Male ci affascina e ci ripugna poiché, come diverso lo respingiamo per la sua alienità da noi, ma poi sappiamo apprezzare gli eccessi sessuali e le violazioni dei codici morali che vengono compiuti da estranei al nostro gruppo sociale.
Secondo David Frankfurter, docente di studi religiosi, questo è dovuto al fatto che, la costruzione di un Altro di tipo sociale, usa le immagini di cannibale, selvaggio, demone, stregone, vampiro etc. attingendo ad un repertorio di simboli di inversione e, nel contempo, giocando sulle loro attribuzioni di crudeltà, perversità e libertinismo: ciò causa un compiacimento e un godimento nella commistione di orrore e di piacere anche a livello di fantasie individuali.
L’effetto Lucifero è il nome che Zimbardo attribuisce alla nostra illusione di essere speciali, perché la maggior parte di noi si nasconde dietro un preconcetto egocentrico che ci offre l’illusione di essere speciali: questi scudi protettici egocentrici ci illudono che siamo ad un livello di integrità morale che si colloca al di sopra della media.
Ma le nostre preconcezioni ci allontanano da una profonda conoscenza di noi stessi, perché la maggior parte di noi si conosce solo in base alle limitate esperienze in situazioni abituali, che implicano regole, leggi e linee di condotta conosciute. Ma cosa accade quando ci troviamo davanti a scenari nuovi ed inconsueti?
L’idea che una frattura separi i Buoni dai Cattivi consola, perché il Male diventa un’entità precisa, una qualità intrinseca di certe persone ed estranea ad altre: dal cattivo seme viene il cattivo frutto. Inoltre, in questo modo, le persone buone sono esentate da ogni responsabilità, vengono liberate da ogni valutazione o responsabilità di poter essere stati complici o inerti di fronte alle azioni malvagie.
Zimbardo suggerisce l’ipotesi che il Male sia una cosa di cui tutti siamo capaci, e che la nostra natura possa essere modificata in senso buono o cattivo, a seconda dell’acquisizione di qualità dovute a esperienze e pratiche di vita, e che ci si possa avvalere di particolari opportunità: tutti possiamo diventare sia buoni che cattivi, indipendentemente dalla dotazione genetica, dalla personalità o dal retaggio familiare, perché siamo in uno stato di interazione dinamica.
Buona erranza
Sharatan
La sensazione che sorge quando si contemplano immagini come quelle di Abu Ghraib, è che ci troviamo di fronte a dei mostri, a degli esseri mostruosi che infieriscono su prigionieri inermi, non solo con maltrattamenti fisici, ma anche con ingiurie ed umiliazioni che tutti hanno definito inumane. E in effetti, molto spesso davanti a delitti incredibili ci ritiriamo, dicendo che quelle sono mostruosità, che sono compiute da persone che hanno del tutto smarrito la ragione e ogni natura umana. Ma è proprio vero che essi sono un non-Noi, un’alienità, che con il nostro essere non ha nulla da spartire?
Nel 1971 Philip Zimbardo, professore del Dipartimento di psicologia presso l’Università di Stanford in California, compì un esperimento di “prigione simulata” che lo rese famoso. Nell’esperimento, tra coloro che avevano risposto ad un’inserzione di lavoro sui giornali locali, furono scelte 24 persone, che avevano il profilo di giovani maschi di media estrazione sociale, intelligenti e sani: quelli che potremmo definire un campione di uomini normali. A metà di loro fu affidato il ruolo delle guardie e all’altra metà quello dei prigionieri, dicendo alle guardie di fare tutto ciò che ritenevano opportuno per mantenere l’ordine, ma evitando di usare abusi e punizioni fisiche.
Il 15 agosto 1971 inizia l’esperimento, con la simulazione dell’arresto dei prigionieri, che vengono prelevati nelle loro vere case, con la collaborazione della polizia di Palo Alto, e che vengono sottoposti alle varie pratiche di degradazione presenti negli arresti reali: furono perquisiti, fotografati, schedati, bendati e spogliati, cosparsi di disinfettante e fotografati nudi. Dopo furono fatti rivestire con le uniformi carcerarie, ma senza biancheria intima, gli vennero consegnati dei sandali di gomma come calzature e delle cuffie di nylon per nascondere i capelli: il loro numero di matricola, prima unito al nome e poi il solo numero spersonalizzato, diventò la nuova identità carceraria.
Le guardie indossavano uniformi cachi, brandivano dei manganelli, avevano il fischietto al collo, e indossavano degli occhiali a specchio che ne occultavano gli occhi. Le guardie, nei giorni precedenti all’esperimento, avevano compiuto dei sopralluoghi alla “prigione” e avevano concordato delle regole per i prigionieri, per cui esse vennero lette ai prigionieri e poi vennero condotti in cella. L’esperimento che doveva protrarsi per 2 settimane, si interruppe al 5° giorno, perché gli abusi fisici e psichici diventavano così radicali da costituire un pericolo per i “prigionieri.” In 5 giorni, dei normali padri di famiglia si erano trasformati in spietati aguzzini, e le guardie non solo erano diventate estremamente autoritarie, ma di notte avevano anche abusato sessualmente dei reclusi.
L’esperimento di Stanford si concluse ma, la coincidenza con l’omicidio di George L. Jackson nel penitenziario di San Quentin il 21 agosto 1971, attirò l’attenzione sul lavoro di Zimbardo e lo rese famoso. La morte del militante del Black Panther Party, George Jackson recluso da quando aveva 18 anni, chiuso in una cella d'isolamento del penitenziario di San Quentin per almeno ventitré ore al giorno e brutalmente ucciso da un secondino a soli 30 anni, non poteva che avere una risonanza eccezionale.
Sepolto vivo nell’isolamento del carcere, Jackson aveva scritto parole audaci, disperate, piene di odio contro l’impero statunitense, un fondamentale contributo alla lotta di liberazione dei Neri, una colonia “interna” al sistema e costretta in condizioni di ordinaria schiavitù, simili a quelle che molti migranti vivono oggi nelle metropoli del capitalismo globalizzato.
Il contributo offerto dagli studi di Zimbardo sui componenti degradati e violenti, osservabili all'interno di un'istituzione come il carcere, sono considerati un classico della psicologia sociale, ma il suo lavoro nel tempo è continuato, allargandosi allo sfruttamento delle tecniche psicologiche per aiutare le persone ad andare oltre la cieca conformità ed obbedienza sociale.
Zimbardo afferma che in tutti noi vi è il bene ed il male, tutti siamo come Lucifero, tutti siamo capaci di essere demoni e angeli per noi e per i nostri simili. Il Male assoluto non è che l’ombra che il Bene assoluto proietta sulla nostra vita, e il Male è proprio il “far Male” inteso come sofferenza subita ed inflitta.
Classicamente, il peccato di Lucifero nasce dalla “cupiditas” che, secondo Dante è la radice dei peccati della lupa. Questa è la condizione spirituale di avere in sé un abisso che non possa essere colmato, nè dal potere nè dal denaro: per costoro, tutto ciò che esiste fuori di essi, ha motivo di esistere solo se può essere sfruttato o acquisito. Per questo nell’Inferno, Dante li descrive come infissi in un lago di ghiaccio e imprigionati nel gelo del loro Sé per l’eternità.
Inducendo le persone a concentrarsi solo su se stessi, Satana e i suoi seguaci, distolgono il loro sguardo dall’armonia dell’amore che unisce tutte le creature, ingenerando separazione e discordia: i peccati della lupa spingono l’essere umano fuori dalla grazia dell’amore, li crea e li lega come vittime in una prigione interiore.
Ma il significato di Satana, non è altro che uno specchio dell’umanità, infatti nel Vangelo di Tommaso, si insegna che “vi è una luce entro ogni persona che illumina l’universo intero. Se non brilla, c’è la tenebra”. Secondo Elaine Pagels, infatti: “Quello che ci affascina, di Satana, è il modo in cui esprime qualità che vanno oltre ciò che comunemente riconosciamo come umano. […] Quindi il male, al suo peggio, sembra implicare il soprannaturale, ciò che riconosciamo, con un brivido, come il diabolico contrario della definizione di Dio in quanto “totalmente altro”.
Nel Pentateuco si narra che con Dio, nell’alto dei cieli, c’erano i Bene Elohim (figli del Signore) e i Malak Jahvé (emissari o messaggeri di Dio). Il Satana del libro di Giobbe è confuso tra i Bene Elohim, i figli del Signore, e forse è uno di loro. Vaga per la terra, ed osserva da vicino gli esseri umani. Li osserva per ricercarne i cattivi comportamenti e quindi sottoporli al giudizio di Jahvè. Ha accesso al trono del Signore, siede tra la corte celeste e dialoga con il Signore.
Questo Male ci affascina e ci ripugna poiché, come diverso lo respingiamo per la sua alienità da noi, ma poi sappiamo apprezzare gli eccessi sessuali e le violazioni dei codici morali che vengono compiuti da estranei al nostro gruppo sociale.
Secondo David Frankfurter, docente di studi religiosi, questo è dovuto al fatto che, la costruzione di un Altro di tipo sociale, usa le immagini di cannibale, selvaggio, demone, stregone, vampiro etc. attingendo ad un repertorio di simboli di inversione e, nel contempo, giocando sulle loro attribuzioni di crudeltà, perversità e libertinismo: ciò causa un compiacimento e un godimento nella commistione di orrore e di piacere anche a livello di fantasie individuali.
L’effetto Lucifero è il nome che Zimbardo attribuisce alla nostra illusione di essere speciali, perché la maggior parte di noi si nasconde dietro un preconcetto egocentrico che ci offre l’illusione di essere speciali: questi scudi protettici egocentrici ci illudono che siamo ad un livello di integrità morale che si colloca al di sopra della media.
Ma le nostre preconcezioni ci allontanano da una profonda conoscenza di noi stessi, perché la maggior parte di noi si conosce solo in base alle limitate esperienze in situazioni abituali, che implicano regole, leggi e linee di condotta conosciute. Ma cosa accade quando ci troviamo davanti a scenari nuovi ed inconsueti?
L’idea che una frattura separi i Buoni dai Cattivi consola, perché il Male diventa un’entità precisa, una qualità intrinseca di certe persone ed estranea ad altre: dal cattivo seme viene il cattivo frutto. Inoltre, in questo modo, le persone buone sono esentate da ogni responsabilità, vengono liberate da ogni valutazione o responsabilità di poter essere stati complici o inerti di fronte alle azioni malvagie.
Zimbardo suggerisce l’ipotesi che il Male sia una cosa di cui tutti siamo capaci, e che la nostra natura possa essere modificata in senso buono o cattivo, a seconda dell’acquisizione di qualità dovute a esperienze e pratiche di vita, e che ci si possa avvalere di particolari opportunità: tutti possiamo diventare sia buoni che cattivi, indipendentemente dalla dotazione genetica, dalla personalità o dal retaggio familiare, perché siamo in uno stato di interazione dinamica.
Buona erranza
Sharatan
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