“Ciò che è destinato a fare luce, deve bruciare!”
(Victor Frankl)
(Victor Frankl)
Un discepolo andò dal maestro zen Bankei, e gli disse:”Maestro, sono completamente schiavo della mia collera. Come posso guarire?” Il maestro rispose: “Mostrami questa collera, così che io possa esaminarla.” Il discepolo spiegò:”Non posso farlo. Lei adesso non c’è, ma anche quando arriva, non so mai per quanto tempo resta. Non saprei come mostrarla; essa giunge e parte senza che io possa dominarla infatti non posso trattenerla.” A quelle parole Bankei disse: “Se una cosa non viene governata è segno che essa non ti appartiene.
Questa collera di cui dici non fa parte della tua natura, essa non ti è stata donata dalla nascita, perciò non è una tua prerogativa. Ciò che non viene all’interno giunge dall’esterno, perciò essa va estirpata essendoti estranea. Il mio consiglio è che, quando la collera giunge tu afferra un bastone e colpisciti con violenza finché lei, non sapendo sopportare tanto dolore, sia costretta a fuggire per non tornare più.”
Questa storia zen contiene alcuni utili orientamenti per la nostra discriminazione. Per chi cerca la verità è utile sapere che le cose che sono nostre non ci possono essere tolte, infatti le nostre prerogative naturali sono destinate ad emergere sebbene la famiglia, la società, e gli usi di buona creanza ci spingano a reprimere le nostre tendenze. Noi facciamo una limitazione di noi per non dover affrontare l’infelicità, ma otteniamo in cambio una vita che non si celebra, poiché non ci nutre di tutto ciò che ci piace, perciò impariamo a vivere senza la gioia di vivere.
La manifestazione dell’energia conosce due movimenti, di cui uno che va verso l’esterno e uno che viene rivolto al nostro interno. La nostra cultura insegna le forme repressive e limitative del carattere perché esse rendono l’uomo passivo e ottuso, perciò più controllabile come uno schiavo che è prevedibile non essendo libero di fare ciò che vuole. Ma ciò che è nostro resta vivo nel nucleo profondo, in cui restiamo sempre immutabili in ciò che siamo: le nostre qualità e le nostre prerogative non scompaiono perché sono il nostro essere, siamo noi stessi.
In tutti vi è una dimensione in cui siamo eterni, poiché qui abbiamo le caratteristiche che non muoiono e che non nascono, e che sono nostre da sempre. Tutto ciò che crediamo di essere è una finzione, è un inganno: ciò che noi facciamo e pensiamo ci è stato programmato dall’educazione, perciò ricordare cosa siamo significa saper discernere ciò che resta invariabile nella nostra essenzialità più profonda. E’ molto raro che un essere umano mostri la sua vera natura, poiché l’uomo è abituato a dissimulare, perciò accettare di conoscersi per rischiare non è facile.
Il problema vero è il punto di vista da cui osserviamo, poiché la consapevolezza va correttamente orientata, infatti noi dobbiamo stare al centro del nostro nucleo più profondo per vedere meglio: se l’uomo viene visto come un cerchio, è evidente che il punto di equidistanza dell’essere è il centro della circonferenza. Nella parte periferica del cerchio vi è la zona di confine con il mondo, perciò vi giungono tante interferenze mentre, al centro, abbiamo la calma e la quiete per contemplare il paesaggio.
I nostri movimenti energetici si basano su forze che possono venire rivolte all’interno oppure all’esterno, perciò noi possiamo reprimere oppure manifestare le nostre tendenze fondamentali. La differenza tra i due movimenti è che la repressione causa una forzata compressione di forze vitali che vengono spinte sempre più in fondo all’inconscio diventando così delle forze negative che inquinano la persona e la sua vita.
Le persone reprimono e trattengono tutto quello con cui vengono in contatto senza discernere ciò che fa parte di loro e che va conservato discriminando ciò che è estraneo, perciò va assolutamente eliminato. Noi non sappiamo fare la selezione della parte migliore eliminando le negatività che giungono, infatti ingurgitiamo tutto nell'accumulo che avvelena l’organismo con malattie fisiche, mentali e spirituali da cui il mondo deve risanarsi, ma il lavoro di trasformazione non viene affrontato se l‘uomo non vi è obbligato.
Nei monasteri zen, quando un discepolo veniva colpito dal maestro con il bastone si alzava a ringraziare facendo sette inchini, perché il bastone del maestro offriva la sua considerazione all‘allievo. Venire colpiti equivaleva alla dichiarazione che quel discepolo poteva migliorare molto di più, perciò il maestro gli applicava la tecnica del dolore per stimolare il suo veloce miglioramento: nel colpire egli dimostrava la sua amorosa sollecitudine. Le persone tendono a fare dei miglioramenti superficiali perché il lavoro profondo si compie con il pungolo del dolore, perciò nessuno vuole essere cambiato a colpi di bastone.
Comunemente le persone sono superficiali perciò fingono di essere cambiate, ma il loro lavoro è fittizio perché la modifica del carattere è dura quindi si lavora sulla parte visibile millantando una bonifica che è giunta in profondità. Tale profondità è inesistente perché si resta intimamente sempre gli stessi nelle trasformazioni degli infingardi che fingono di essere i migliori. Questi sono i comportamenti di coloro che amano mentire agli altri e che si arrogano delle bonifiche che ripuliscono solo la superficie occultando tutto il resto, perché l’importante è apparire giusti!
Le bonifiche devono eliminare la tossicità che si accumula nell’animo come il frutto delle nostre imperfezioni e dei depositi emozionali degli altri. Avviene che l’uomo mangia in senso fisico, mentale e spirituale perciò deve smaltire il detrito di quel pasto se non vuole essere inquinato e ucciso dalle sue scorie. Molti non fanno lavori profondi, e non vogliono essere toccati da ciò che sorge dalla loro intimità, perciò lottano strenuamente contro la loro natura: essi reprimono le loro tendenze diventando infelici o folli.
Non ci stupisce se molti dicono che non possono cambiare perché il loro carattere non è forte ma, in realtà, questo è l’alibi dell’uomo cantastorie che si assolvere e si consola usando tutti gli alibi per non fare nulla, pur restando innocente dell‘omissione forzata. Trasformarsi non è facile ma il carattere è l’alibi, in quanto non serve alcuna forza, per cambiare è necessario solo il coraggio.
Buona erranza
Sharatan
Questa collera di cui dici non fa parte della tua natura, essa non ti è stata donata dalla nascita, perciò non è una tua prerogativa. Ciò che non viene all’interno giunge dall’esterno, perciò essa va estirpata essendoti estranea. Il mio consiglio è che, quando la collera giunge tu afferra un bastone e colpisciti con violenza finché lei, non sapendo sopportare tanto dolore, sia costretta a fuggire per non tornare più.”
Questa storia zen contiene alcuni utili orientamenti per la nostra discriminazione. Per chi cerca la verità è utile sapere che le cose che sono nostre non ci possono essere tolte, infatti le nostre prerogative naturali sono destinate ad emergere sebbene la famiglia, la società, e gli usi di buona creanza ci spingano a reprimere le nostre tendenze. Noi facciamo una limitazione di noi per non dover affrontare l’infelicità, ma otteniamo in cambio una vita che non si celebra, poiché non ci nutre di tutto ciò che ci piace, perciò impariamo a vivere senza la gioia di vivere.
La manifestazione dell’energia conosce due movimenti, di cui uno che va verso l’esterno e uno che viene rivolto al nostro interno. La nostra cultura insegna le forme repressive e limitative del carattere perché esse rendono l’uomo passivo e ottuso, perciò più controllabile come uno schiavo che è prevedibile non essendo libero di fare ciò che vuole. Ma ciò che è nostro resta vivo nel nucleo profondo, in cui restiamo sempre immutabili in ciò che siamo: le nostre qualità e le nostre prerogative non scompaiono perché sono il nostro essere, siamo noi stessi.
In tutti vi è una dimensione in cui siamo eterni, poiché qui abbiamo le caratteristiche che non muoiono e che non nascono, e che sono nostre da sempre. Tutto ciò che crediamo di essere è una finzione, è un inganno: ciò che noi facciamo e pensiamo ci è stato programmato dall’educazione, perciò ricordare cosa siamo significa saper discernere ciò che resta invariabile nella nostra essenzialità più profonda. E’ molto raro che un essere umano mostri la sua vera natura, poiché l’uomo è abituato a dissimulare, perciò accettare di conoscersi per rischiare non è facile.
Il problema vero è il punto di vista da cui osserviamo, poiché la consapevolezza va correttamente orientata, infatti noi dobbiamo stare al centro del nostro nucleo più profondo per vedere meglio: se l’uomo viene visto come un cerchio, è evidente che il punto di equidistanza dell’essere è il centro della circonferenza. Nella parte periferica del cerchio vi è la zona di confine con il mondo, perciò vi giungono tante interferenze mentre, al centro, abbiamo la calma e la quiete per contemplare il paesaggio.
I nostri movimenti energetici si basano su forze che possono venire rivolte all’interno oppure all’esterno, perciò noi possiamo reprimere oppure manifestare le nostre tendenze fondamentali. La differenza tra i due movimenti è che la repressione causa una forzata compressione di forze vitali che vengono spinte sempre più in fondo all’inconscio diventando così delle forze negative che inquinano la persona e la sua vita.
Le persone reprimono e trattengono tutto quello con cui vengono in contatto senza discernere ciò che fa parte di loro e che va conservato discriminando ciò che è estraneo, perciò va assolutamente eliminato. Noi non sappiamo fare la selezione della parte migliore eliminando le negatività che giungono, infatti ingurgitiamo tutto nell'accumulo che avvelena l’organismo con malattie fisiche, mentali e spirituali da cui il mondo deve risanarsi, ma il lavoro di trasformazione non viene affrontato se l‘uomo non vi è obbligato.
Nei monasteri zen, quando un discepolo veniva colpito dal maestro con il bastone si alzava a ringraziare facendo sette inchini, perché il bastone del maestro offriva la sua considerazione all‘allievo. Venire colpiti equivaleva alla dichiarazione che quel discepolo poteva migliorare molto di più, perciò il maestro gli applicava la tecnica del dolore per stimolare il suo veloce miglioramento: nel colpire egli dimostrava la sua amorosa sollecitudine. Le persone tendono a fare dei miglioramenti superficiali perché il lavoro profondo si compie con il pungolo del dolore, perciò nessuno vuole essere cambiato a colpi di bastone.
Comunemente le persone sono superficiali perciò fingono di essere cambiate, ma il loro lavoro è fittizio perché la modifica del carattere è dura quindi si lavora sulla parte visibile millantando una bonifica che è giunta in profondità. Tale profondità è inesistente perché si resta intimamente sempre gli stessi nelle trasformazioni degli infingardi che fingono di essere i migliori. Questi sono i comportamenti di coloro che amano mentire agli altri e che si arrogano delle bonifiche che ripuliscono solo la superficie occultando tutto il resto, perché l’importante è apparire giusti!
Le bonifiche devono eliminare la tossicità che si accumula nell’animo come il frutto delle nostre imperfezioni e dei depositi emozionali degli altri. Avviene che l’uomo mangia in senso fisico, mentale e spirituale perciò deve smaltire il detrito di quel pasto se non vuole essere inquinato e ucciso dalle sue scorie. Molti non fanno lavori profondi, e non vogliono essere toccati da ciò che sorge dalla loro intimità, perciò lottano strenuamente contro la loro natura: essi reprimono le loro tendenze diventando infelici o folli.
Non ci stupisce se molti dicono che non possono cambiare perché il loro carattere non è forte ma, in realtà, questo è l’alibi dell’uomo cantastorie che si assolvere e si consola usando tutti gli alibi per non fare nulla, pur restando innocente dell‘omissione forzata. Trasformarsi non è facile ma il carattere è l’alibi, in quanto non serve alcuna forza, per cambiare è necessario solo il coraggio.
Buona erranza
Sharatan
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