martedì 3 giugno 2008
La liberazione dell’altra metà del cielo
Secondo la psicanalisi classica, soprattutto le teorie di Karen Horney, la psicologia femminile risentirebbe del ruolo subalterno che la cultura ha sempre riservato alla identità femminile, infatti le concezioni dell’ordinamento sociale conformate su schemi tipicamente maschili hanno determinato quella precarietà della stima di sé che, nel contesto della cultura occidentale, sembra essere una costante nella storia delle donne. Le donne sono sempre state frustrate nel perseguimento dello loro sviluppo e della loro individualità, ritardo rivelato anche dallo status giuridico femminile, che in Italia ha faticato a riconoscere delle parità tra i sessi. Solo nel 1975 è stata approvata la riforma del diritto di famiglia che, di fatto sanziona la parità dei coniugi e solo dal 1976 le donne iniziano a ricoprire cariche istituzionali. Nel 1978 si approva la legge 194, contenente le Norme per la tutela sociale della maternità e sull'interruzione volontaria della gravidanza, una legge cardine con cui la donna ha guadagnato il diritto all’autodeterminazione, cioè alla possibilità di essere padrona del proprio corpo. Nel 1996 è stata approvata la nuova legge sulla violenza sessuale che diviene reato contro la persona e non contro la pubblica opinione. Nel 1997 si emana la direttiva del governo italiano, per la prevenzione e contrasto di tutte le forme di violenza fisica, sessuale e psicologica contro le donne. E’ del 2001 la legge n. 154 sull’allontanamento del familiare violento per via civile o penale, che prevede misure di protezione sociale per le vittime, quando le notizie di donne uccise, stuprate o umiliate in ogni modo, affollano le prime pagine dei giornali.
L’evidenza che la donna sia ancora lontana dall’avere conquistato una vera autonomia, è un dato di fatto pienamente confermato dalle date suddette ma, a parere mio, la maggiore nemica della donna rimane sempre sè stessa, soprattutto quando, in nome di una errata concezione di parità, si conforma ad atteggiamenti e stereotipìe negative del sesso maschile, per simulare una sorta di pseudo parità della demenza umana.
Sono ancora molte le donne che, dovendo esporsi più dell’uomo per dimostrare le loro qualità, sono disposte a tutto piuttosto di primeggiare, e le donne si allenano fin dall’infanzia alla “competitività”, perché educate a valori stereotipati che definiscono la femminilità in termini di bellezza, sottomissione, negazione dell’io per compiacere gli altri, tutti valori che la società tende a confermare. Queste contraddizioni portano a sentimenti di ostilità contro le altre donne e contro l’universo femminile, aldilà del perseguimento di un vantaggio vero o presunto. Spesso rileviamo sentimenti di tale genere anche tra madri e figlie, soprattutto quando l’invidia della giovinezza o della bellezza e della seduttività diventano elementi focali.
Ho personalmente verificato la verità di questa teoria, sia nell’ambito delle amicizie che delle conoscenze, e devo convenire che, tale comportamento dimostra proprio l’immaturità psicologica che la donna dovrebbe invece sconfessare. Durante una pausa in palestra, ho raccolto il velenoso e svagato commento, di una falsa bionda che mi ha confidato casualmente:”Sai penso che le donne muscolose siano così poco femminili, se fossi uomo credo che mi piacerebbero delle donne dalle curve morbide e molto più femminili.” Sia pure non esageratamente sono muscolosa, e da altri sintomi pregressi, si dà il caso che la donna a cui alludeva la tipetta fossi io, per cui gli ho risposto che, ammesso che fossi stata uomo anche io saremmo stati grossi amici, non avremmo litigato per le donne, infatti a me mi sarebbe piaciuta una pupetta atletica, compatta e veloce con cui divertirmi non poco. Ho sempre trovato le donne tradizionali troppo noiose.
Le differenze tra uomini e donna sono moltissime ovviamente ma, come nemico e nel caso di conflitti all’ultimo sangue, perlopiù l’uomo è stronzo ma la donna diventa straordinariamente perfida. Per questo credo che sia ancora lunga la strada per la conquista di una identità femminile, libera dai ruoli stereotipati che ci vengono consegnati dalla nostra cultura, vedo piuttosto che molte donne vi si sottomettono ancora volentieri, malgrado ci siano strumenti per pensare in modo intelligente. Vedo un perseguimento di modelli errati anche per il genere maschile, apoteosi di falsi miti quali la competitività e l’ostilità, miti irragionevoli in ogni frangente ed in ogni contesto. Io concepisco invece la mente come una risorsa e la limitazione della mente in qualsiasi contesto di un copione culturale rigido, come una castrazione. Per cui il mio pensiero si rivolge sia all’uomo come pure alla donna, e credo che la liberazione della donna possa passare solo dalla liberazione dei generi, dall’affrancamento di entrambi i generi, non solo di quello femminile. La crisi dell’identità personale credo sia generalizzata in entrambi i sessi, senza differenze, soltanto che alla donna è permessa la manifestazione delle proprie debolezze, per cui ha maggiore possibilità di un’elaborazione ed emancipazione dai conflitti, mentre l’uomo è condannato culturalmente ad un maggiore livello di autocontrollo e di rigidità affettiva. Le donne, rispetto agli uomini, sono in maggiore percentuale, rispetto all’uomo, tra coloro che affrontano un percorso di ricerca psicologica e/o terapeutico. Le donne sono maggiormente disponibili a mettersi in crisi: ammettono debolezze e sconfitte, non devono dimostrare sempre di essere forti ed impermeabili. Per la donna è più facile avere dèfaillances senza mettere in crisi la propria femminilità, perlomeno nella maggior parte dei casi, insomma possiamo permetterci il lusso di cadere e soffrire per amore come lo stereotipo romantico vorrebbe, mentre l’uomo non dovrebbe mostrare dolore, piuttosto disprezzo per un indegno oggetto d’amore e passare ad un altro oggetto maggiormente gratificante. Sappiamo tutti invece che questo non è assolutamente vero, e che non rispondiamo, ai casi della vita secondo regole predefinite, che le persone reagiscono secondo i loro sentimenti e non secondo le regole. Tutto questo ci dovrebbe convincere che le conclamate caratterizzazioni di genere sono dannose, che esse sono nefaste in tutti i casi in cui vengano impersonate, a discapito della personalità e dell’individualità del soggetto. Guai a volersi racchiudere su uno stereotipo fisso di femminilità o mascolinità obbligate, ci precludiamo esperienze e contributi che potrebbero farci crescere molto. Ho provato a fare capire ad un mio amico che le donne amano “anche” le fragilità e le debolezze degli uomini, che insomma un po’ di sindrome della crocerossina l’abbiamo tutte, altrimenti non avrebbe avuto senso il successo del film “Io ti salverò”. Ho cercato di spiegargli che nei rapporti d’amore un po’ funziona come nell’immagine taoista della preponderanza del debole, in cui il debole avanza, ma se è il posto degno ed il debole agisce in modo opportuno, di solito nessuno si lamenta.
Buona erranza.
Sharatan ain al Rami
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