domenica 8 giugno 2008
Le persone e i codici della nostra vita
James Hillman ne “Il codice dell’anima” narra il mito platonico di Er - riferito da Socrate - per spiegare la discesa dell’anima nel corpo. Er narra che, dopo la sua morte, si era ritrovato in cammino con molte anime fino ad un luogo meraviglioso in cui vi erano i giudici delle anime. Ad Er i giudici ordinano di ascoltare e poi raccontare quello che sarebbe accaduto. Le anime vengono giudicate ed i giusti vengono premiati, mentre agli ingiusti vengono imposte sofferenze dieci volte maggiori di quelle che avevano causato. Eaco giudica chi viene dall'Europa, Radamanto chi viene dall'Asia, e Minosse funge da giudice d'appello. L'anima e il corpo, separati, conservano ciascuno le proprie qualità e i segni delle attività compiute, che il giudice, senza gli ingombri del corpo e del vestito, può accertare direttamente. Il giudice vede l'anima senza sapere a quale corpo appartiene, e se è flagellata, contorta e piena di cicatrici a causa della sua malvagità, l'avvia in prigione, dove patirà i dovuti castighi. Tutti gli ingiusti vengono perdonati, ma non i tiranni che non potranno ritornare mai più, condannati ai supplizi del Tantalo. Dopo l’espiazione le anime giungono al cospetto di Ananke, che rappresenta la necessità o il destino ineluttabile, la quale sostiene sulle sue ginocchia un fuso in cui girano le otto sfere. Su ogni cerchio sta una Sirena, che emette un'unica nota, e le diverse Sirene tutte insieme producono ruotando un'armonia. Intorno ad Ananke, su tre troni, siedono le tre Moire o Parche. La Moira è la sorte impersonale e cosmica che assegna ad ogni ente naturale una parte, una porzione determinata una volta per tutte e immutabile. Le tre moire sono figlie di Ananke: Cloto, la filatrice, canta il presente, Lachesi, la distributrice, il passato, e Atropo, colei che non può essere dissuasa, l'avvenire. Giunte in quel luogo, le anime vengono presentate a Lachesi, da un araldo che ne comunica le volontà:”O anime che vivete un solo giorno, comincia per voi un altro periodo di degenerazione mortale, portatrice di morte. Non vi otterrà in sorte un daimon, ma sarete voi a scegliere il daimon. E chi viene sorteggiato per primo scelga per primo una vita, cui sarà necessariamente congiunto. La virtù è senza padrone e ciascuno ne avrà di più o di meno a seconda che la onori o la spregi. La responsabilità è di chi sceglie; il dio non è responsabile.” Nella mitologia greca, il daimon è la creatura divina che presiede alla sorte di ciascuno, ma quello che siamo, avverte l’araldo, dipende solo dalle nostre scelte. Dopo aver sorteggiato l'ordine della scelta delle anime, viene loro proposta una grandissima quantità di paradigmi di vita: vite di animali, di uomini, di donne, di tiranni, di successo o fallimentari, di persone oscure o insigni. Ma non c'è un’ordine o disposizione dell’anima, perché ognuna diviene ciò che ha scelto di essere. La selezione dei paradigmi di vita da parte delle anime è uno spettacolo insieme miserevole, ridicolo e meraviglioso. La maggioranza sceglie secondo le abitudini della vita precedente: Agamennone, per esempio, sceglie la vita di un'aquila, e Odisseo, stanco di avventure, la vita tranquilla di un privato. Dopo la scelta, le anime si presentano a Lachesi, dalla quale ciascuna ottiene il suo daimon, perché gli sia custode e adempia quello che ha scelto. Questo guida l'anima da Cloto, a confermare sotto il giro del fuso il suo destino, e poi da Atropo a renderlo inalterabile, e quindi, dal trono di Ananke, verso la pianura del Lete, afosa e senza alberi. Alla fine della giornata le anime si accampano sulla riva del fiume Amelete o Lete, il cui nome significa trascuratezza, incuria e la cui acqua non può essere contenuta da nessun vaso; poichè è la trascuratezza che ci fa dimenticare che noi, avendo scelto, siamo liberi, e che possiamo renderci migliori. Tutte le anime, tranne Er, vengono obbligate a bere quell’acqua e, quelle che non sono frenate dalla “phronesis” discernimento, ne bevono in abbondanza. Poi le anime cadono in un sogno profondo e, a mezzanotte, con un violento terremoto, vengono scagliate nel mondo. Er, che non aveva bevuto l'acqua del fiume Amelete o Lete, si era svegliato sulla pira funeraria, con la memoria del suo mito. Memoria che, conclude Socrate nel suo racconto, anche noi potremo conservare, se attraverseremo bene il Lete e seguiremo la via della “dikaiosyne” giustizia e della phronesis “discernimento” per trovarci bene in questo mondo e nell'altro millenario cammino. Il mito insegna che noi esistiamo in maniera piena solo se sappiamo fare le nostre scelte, se sappiamo, cioè, valorosamente morire e consapevolmente rinascere, senza dimenticare nulla. La ripetizione ossessiva e l'immersione acritica in un flusso non concettuale, incontenibile e indefinibile, proprio come l'acqua del fiume Amelete o Lete, impedendo il ricordo critico della nostra storia, ci toglie la libertà di cambiare. Quella che io scelgo, ricorda Hillman, è l’immagine che mi attrae maggiormente, la “mia giusta eredità”, la porzione assegnatami nell’ordine del mondo, il mio posto sulla terra condensato in un modello che è stato scelto dalla mia anima e che la mia anima conferma di continuo. La mitologia antica localizza l’anima nel cuore, quindi il nostro cuore conserva sempre l’immagine del nostro destino e ci spinge verso di esso, anche se per riconoscere quella immagine spesso occorre una vita.
Spesso ci chiediamo perché alcune persone entrino nella nostra vita e ci sembra che, almeno apparentemente, esse siano scombinate ed inadatte per quello che siamo e per quello che proviamo. Anche se appare incredibile nessuno entra per caso nella vita degli altri, e gli incontri che si fanno, nel percorso e nel progetto di vita che viviamo, sono sempre funzionali alla crescita della conoscenza del nostro vero essere e della consapevolezza che abbiamo delle nostre opportunità. L’incontro non è obbligatoriamente con persone fisiche, spesso è con libri, con maestri spirituali che ci parlano tramite i loro scritti, o con idee che hanno il compito di risvegliare quello che dorme all’interno della nostra anima. Spesso la violenza dell’impatto con persone o sentimenti che esse ci scatenano è incomprensibile, ma anche questi nodi vanno dipanati, per scoprire i motivi della nostra infelicità e costruire un sentimento di sicurezza e gioia.
Dice Hillman che oggi “Siamo avviliti perché abbiamo solo un dio, e questo è l'economia. L'economia è un aguzzino. Nessuno ha tempo libero; nessuno ha riposo. L'intera cultura è sotto una pressione terribile, intessuta com'è di preoccupazioni. E'difficile uscire da questa prigione. Inoltre, vedo la felicità come la conseguenza di ciò che fai.” Anche Goethe diceva che la felicità più grande risiede nel praticare un talento che fa parte della nostra natura,confermando che la felicità è nella scoperta del nostro personale codice dell’anima.
Buona erranza.
Sharatan ain al Rami
Iscriviti a:
Commenti sul post (Atom)
Nessun commento:
Posta un commento