"Conoscere senza presumere di conoscere
è la cosa migliore.
Presumere di conoscere quello che non si sa,
è una malattia.
Solo riconoscendo questa malattia
è possibile non essere malati.
I Saggi sono liberi dai mali perché riconoscono
questa malattia come tale:
così non soffrono di malattie."
(Tao-te ching, 71)
è la cosa migliore.
Presumere di conoscere quello che non si sa,
è una malattia.
Solo riconoscendo questa malattia
è possibile non essere malati.
I Saggi sono liberi dai mali perché riconoscono
questa malattia come tale:
così non soffrono di malattie."
(Tao-te ching, 71)
Circa 5.000 anni fa una popolazione tribale occupò i territori situati lungo il corso del Fiume Giallo, nella Cina del Nord. Erano delle popolazioni nomadi che si accamparono lungo le rive del fiume perché trovarono tutto il necessario per una vita più comoda. Vi trovarono pesce da pescare, e l’acqua sufficiente per abbeverare le loro greggi e, infine, iniziarono a coltivare dei piccoli appezzamenti di terreno a grano e miglio, dissodandoli a fatica con aratri di legno.
Di notte accendevano dei fuochi e si riunivano intorno al loro calore a contemplare la volta celeste sfavillante di stelle scintillanti nella cappa scura della notte. Intorno a quei fuochi si tramandavano le storie delle loro lotte contro le bestie feroci che venivano a predare le greggi migliori, e delle disgrazie causate dalle piene del grande fiume che straripava trascinandosi via il frutto del raccolto dei campi, così faticosamente coltivati, e di cui non godevano nulla.
A volte però quelle disgrazie venivano evitate perché quei popoli nomadi possedevano dei capi tribù dai poteri veramente eccezionali. Quei capi straordinari riuscivano a dominare gli elementi naturali, e a piegare i fiumi ai loro voleri, a loro le piante e gli animali rivelavano i segreti poteri, ed essi parlavano con le forze invisibili dell’universo.
Essi sapevano salire al cielo e calarsi fino in fondo ai regni degli inferi per acquisire le conoscenze che fossero più utili per tutta la tribù: il più grande di questi capi portentosi fu Yu il Grande, il mitico imperatore antico e il fondatore della dinastia Hsia (2205-1766 a.C.).
La leggenda narra che Yu non era un comune mortale perché non aveva madre, ed era stato generato direttamente dal corpo del padre Kun. Si narra che, il padre Kun era stato scelto dal capotribù Shun per respingere le inondazioni del Fiume Giallo, ma lui non riuscì a farlo e per questo, Shun lo punì e gli rubò tutte le energie vitali, poi abbandonò il suo cadavere sulle pendici di una montagna.
Per 3 anni Yu restò nel cadavere del padre e, quando il padre resuscitò e si trasformò in un orso bruno, si aprì la sua pancia e ne uscì il figlio Yu. Immediatamente anche Yu divenne un orso bruno e, per tutta la vita, Yu continuò ad oscillare tra il lato umano e quello animale, infatti camminò sempre con un’andatura strascicata che divenne nota con il nome di Passo dell’Orso.
Lo spirito dell’orso viene considerato come un “iniziatore” e l’orso è anche un mitico antenato: perciò l’orso permette all’uomo di ripercorrere a ritroso la concatenazione delle precedenti incarnazioni del suo spirito fino a ritornare all’unità della sua radice, ossia alla radice della sua specie.
Circa 1.000 anni dopo, nell’epoca Chou o Zhou (datata dal 1121 al 222 a. C.) i sacerdoti ancora si vestivano di pelli d’orso e, quando eseguivano la danza in onore di Yu il Grande, strascinavano i piedi e grugnivano come l’orso.
Secondo la leggenda, quando Yu fu cresciuto, continuò il mestiere del padre ma con migliore fortuna, e questo perché le stesse forze sacre gli fecero dono di un libro magico, il mitico Shui-Ching ossia Il Libro del potere sulle Acque.
Grazie a quel dono Yu riuscì a viaggiare fino alle stelle per conoscere i segreti degli Spiriti Celesti: la Danza di Yu, che è la Danza della Forza, capace di fare volare Yu fino al Cielo, è ancora conservata nei testi taoisti: essa è stata eseguita per secoli da generazioni e generazioni di sacerdoti taoisti, da mistici, da stregoni e, ancora oggi è usata nelle scuole tradizionali cinesi di stili interiori.
Yu era in grado di assumere l’aspetto di tutti gli animali, ed era capace di comunicare con loro, egli li comprendeva e si fidava di loro perché li vedeva come amici, e loro di fidavano di lui, e perciò gli rivelavano tutti i loro più grandi segreti.
Quando Yu ebbe acquisito tutti questi saperi, provò a ripetere l’impresa in cui aveva perso la vita il padre. Ad un solo cenno della sua mano Yu riuscì a far ritirare le acque del fiume e, mentre queste si ritiravano, si vide emergere dal fiume una tartaruga che aveva il dorso tatuato con il disegno del Lo-sho Pa-K’ua, che descrive la natura del flusso e del cambiamento nell’universo: questo disegno diventerà la base di tutte le arti divinatorie cinesi.
Tutti i tratti della leggenda di Yu il Grande lo rivelano come uno sciamano. Mircea Eliade, nel suo saggio sullo sciamanesimo e sulle tecniche dell’estasi, attribuisce agli sciamani i seguenti poteri: il volo verso il cielo, il viaggio sottoterra, la danza delle forza, l’estasi e l’improvvisa rivelazione di verità superiori, il potere di conversare con gli animali, il potere sugli elementi, il potere taumaturgico, e la conoscenza e l’uso del potere curativo delle piante.
Nell’antica Cina vi era una classe di persone tenute in enorme considerazione chiamate Wu, le cui capacità sono assonanti con quelle che Mircea Eliade attribuisce agli sciamani, perciò Eliade afferma che i maghi wu furono i primi sciamani che noi conosciamo. Yu era uno sciamano che viveva in una società in cui gli sciamani erano importanti membri della società tribale.
Anche il padre di Yu, Kun, era un sciamano perché riusciva a trasformarsi in orso, e anche Shun il capotribù, che ricompensò Yu per avere fermato il fiume, era un potente sciamano, perché aveva punito Kun facendogli il furto delle forze vitali.
Si narra che il capotribù Shun, sia stato il primo sciamano che fosse riuscito a salire fino al cielo, e che avesse tratto i suoi insegnamenti direttamente dalle figlie del suo predecessore, Yao. Sappiamo che gli Wu erano impegnati come medium, maghi della pioggia, esorcisti, guaritori, etc., e che le donne erano dotate di enormi poteri magici: furono Nu Ying e O Huang, le due figlie del mitico imperatore Yao ad insegnare a Shun l’arte di volare al cielo.
Sappiamo perciò che le donne erano esperte di pratiche magiche ed estatiche, e che queste erano praticate su larga scala: se valutiamo che l’estatico è colui che sa volare con lo Spirito, non ci dovrebbe stupire questa particolare vocazione femminile. Quanto al potere magico, ebbene esso si conquista con l'esercizio di una persistente e potente volontà personale.
Dell’antico sciamanesimo cinese restano tracce in leggende e superstizioni popolari, e nei testi di alchimia taoista, però sappiamo che sciamani e sciamane erano molto numerosi nell’antica Cina, poiché era necessario che l’imperatore celeste fosse abile nelle tecniche estatiche così da poter affermare la sua autorità di origine magica, sull’uomo e sulla natura intera.
Colui che ha tale dominio dimostra di essere un “trasmettitore” o “condensatore” di Tao, che è il magico potere regolatore del cosmo. Si narra di molti personaggi antichi e di grandi imperatori che erano in grado di dominare gli spiriti, che sapevano salire al cielo e che sapevano usare delle tecniche sciamaniche: più tardi tali tradizioni furono conservate solo dai taoisti.
Lo sciamanesimo regnò incontrastato fino all’avvento del confucianesimo (6.-5. sec. a. C.) e gli Wu erano coloro che si facevano incarnare dagli spiriti per servire da intermediari con le forze sovrumane, in modo che gli stessi spiriti li trasformavano in miracolosi guaritori.
Le sciamane quando erano possedute dagli spiriti, potevano compiere delle azioni prodigiose come rendersi invisibili, procurarsi ferite, inghiottire spade, tagliarsi la lingua, sputare fiamme, viaggiare sulle nuvole, ma specialmente sapevano operare delle guarigioni miracolose.
Lo sciamanesimo era particolarmente rispettato perché il re e i nobili si servivano degli Wu come consiglieri, indovini e guaritori così che, nella prima fase della dinastia Chou (1.200 a. C.), gli Wu erano incaricati di evocare gli spiriti, interpretare i sogni, leggere i presagi, effettuare le guarigioni e fare anche le divinazioni celesti per le azioni umane.
Altro compito degli Wu era quello d’invocare la pioggia infatti, e non casualmente, il carattere cinese di spirito (ling) è formato da tre radici: una radice raffigura la “pioggia”, l’altra raffigura 3 bocche che significa “cantare” e la terza è il segno “sciamano.”
Circa 1.000 anno dopo la danza di Yu, ormai le popolazioni tribali sciamaniche erano entrate a far parte dell’impero a tutto titolo, e tutte le famiglie che avevano servito l’imperatore erano state ricompensate con feudi e titoli nobiliari: nasce un sistema di governo proto-feudale in cui le terre sono assegnate dal re come una ricompensa monetaria del valore militare.
I nobili fedautari forniscono al re i tributi in prodotti naturali delle loro terre, essi appoggiano il re nella guerra e ne amministrano i feudi. Compaiono allora le città fortificate, sorgono delle guarnigioni quadrate e fortificate ben protette da mura e circondate da enormi distese di terre coltivate.
Il re si autoproclama imperatore e si dice "Figlio del Cielo" così che questo diventerà il nome di tutti i sovrani della Cina antica, adesso servono molti schiavi per coltivare gli enormi appezzamenti terrieri, per cui si proibiscono i sacrifici umani e quindi scompare l'uso delle ossa oracolari.
I sacerdoti, con il decadere della religiosità popolare, perdono il loro potere e si mischiano alla nobiltà locale insediandosi in vari settori dell'amministrazione e dell'insegnamento imperiale: è vero che poi lo stato diventa anche meno schiavista, ma la struttura feudale impone il prevalere del più forte sul debole, ed autorizza la prepotenza militare.
La ricchezza, il potere e il piacere diventano l'unico scopo dei regnanti ma, per ottenerli, diventa necessario possedere sempre più ricchezze e più schiavi, magari strappandoli a chi li aveva precedentemente posseduti. Diventa necessario aumentare le tasse per avere sempre più oro da spendere in godimenti personali: il benessere del popolo diventa l'ultima preoccupazione nobiliare.
Fu dal 770 al 276 a. C., che il Celeste impero subì una devastante guerra intestina causata dall’ambizione dei maggiori signori feudali sempre più infidi, litigiosi ed ambiziosi. I più potenti nobili erano riusciti a fondare degli stati semiautonomi in cui vivevano come dispotici imperatori, perciò aumentavano sempre più la loro pressione sui feudi vicini.
Questi signori erano però convinti che la forza militare non fosse tutto, ma che fossero necessarie anche delle doti di mediazione e diplomazia, soprattutto quando l'arte della diplomazia faceva risparmiare tempo e spargimento di sangue nel raggiungere il medesimo scopo. E' per questo che sorse la richiesta di una classe di politici e di consiglieri girovaghi che si mettessero al servizio dei vari signori locali.
E così si richiedeva di saper esercitare un mestiere assai pericoloso, perché la vita di corte era piena d’insidie e di complotti, perciò le maghe ed i maghi wu furono ancora i più adatti per divenire efficienti e richiesti funzionari di corte: è in questo contesto che si manifesta l’impatto tra lo sciamanesimo e la filosofia di Lao-tsu, da cui nasce il taoismo.
Sulla figura di Lao-tsu, sappiamo solo che nacque da una famiglia colta dell’alta società, egli lavorò come bibliotecario negli archivi imperiali, ma poi lasciò il suo lavoro, forse per il disgusto degli intrighi politici della corte e per il disgusto delle crudeltà dei signori feudali. Lao-tsu viene considerato il padre del taoismo, e si narra che ebbe una sorta d’illuminazione, e che viaggiò fino alla frontiera occidentale per poi scomparire diventando uno degli Otto Immortali del taoismo.
Prima di sparire dettò un trattato di 5.000 parole ad una guardia di frontiera, ossia al “Custode del cancello” di nome Wen-tzu, e che divenne il suo primo discepolo: il libro che lasciò prima di salire al Cielo, fu il Tao-te Ching, ossia Il Libro dei mutamenti.
Quando ci apprestiamo a studiare il taoismo, la prima cosa che troviamo è una distinzione tra il Tao-chia e il Tao-chiao: il primo termine definisce il taoismo come filosofia, perché “chia” significa “casa” nel senso di “setta” o “gruppo” o “scuola” mentre il secondo termine “chiao” significa “dottrina” e “insegnamento” di una pratica popolare.
Differenziando i due termini e le due realtà si vuole definire che il taoismo autentico, quello di Lao-Tsu o Chuang-tzu, sarebbe il Tao-chia, mentre il Tao-chiao sarebbe quello degradato e degenerato, dominato dall’alchimia e dal culto popolare: questo secondo, viene detto, è un derivato degradato della più elevata forma filosofica e metafisica delle leggi del Tao eterno.
Coloro che conoscono i taoisti, sanno che essi riderebbero di questa distinzione, perché un taoista è molto disinteressato riguardo al nome che si usa per definire la realtà: “Se vuoi chiamarmi come ti pare, fai pure!” dice il taoista, perciò accetta senza protestare ogni definizione che gli si possa attribuire infatti, nel corso della storia, essi stessi si definirono in modi anche molto diversi.
Nel periodo intorno al 200 a. C., che viene definita l’età d’oro della filosofia cinese, il movimento taoista era conosciuto, e quando andiamo a leggere Ssu-ma T’an (morto nel 110 a. C.) che fa una classificazione a posteriori della filosofia cinese in 6 scuole, troviamo una strana definizione perché lui usa il termine di Tao-chia, cioè taoismo filosofico, per una setta eccentrica che era dedita a pratiche fisico-salutistiche e tecniche meditative.
E allora sarà strambo dover pensare che Ssu-ma T’an non conosca la lingua cinese, e che abbia sbagliato scrivendo quel termine piuttosto che Tao-chiao, taoismo popolare, e che è il termine più calzante per indicare una setta anomala ed eccentrica! E non sarebbe più opportuno considerare che, nella realtà del tempo, non vi fosse affatto una tale differenza?
Ssu-ma Ch’ien (145-86 a. C.), è uno storico cinese autore dello Shih-chi (Memorie di uno storico), che tratta la storia della Cina dalle sulle origini fino verso l'anno 90 a. C., e che documenta un arco di tempo di circa 3.000 anni. La storia che narra viene redatta sulla base di un materiale storico scrupolosamente vagliato, e la sua opera costituisce un modello esemplare nel suo genere, perciò è considerata fondamentale per la conoscenza della storia della Cina antica.
In un passo poco noto del suo lavoro storico, egli ci informa che Lao-tsu era originario del villaggio di Li della Contea di Fu nel regno di Ch’u, che era una zona in cui vigeva una forte tradizione sciamanica. E allora è chiaro che Lao-tsu, da bravo sciamano, non si fosse mai curato del tipo di definizione che veniva data al suo pensiero, perché pensava che, tutto è mutamento in ciò che deve fare Ritorno all'Unicità del Tao.
Egli stesso ci dice all'inizio del Tao-te Ching: "Una Via può essere una guida, ma non un sentiero fisso; i nomi sono segni, ma non etichette permanenti" e poi ci chiarisce all'aforisma 25: "Qualcosa di indifferenziato c'era prima del cielo e della terra; calmo e silente, solitario e immutabile, circolante senza fine, capace di essere la madre del mondo. Non conosco il suo nome; io lo chiamo la Via."
Buona erranza
Sharatan
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