L’imperatore Ch’ien Lung amava viaggiare per l’impero travestito da persona comune, e fu così che giunse in una locanda, presso un villaggio sulle rive del lago, verso Hangchow. In quella occasione si era travestito da letterato di modesta origine, fingendo di essere uno dei tanti funzionari confuciani che viaggiavano per preparare dei giovani allievi a sostenere gli esami di accesso alle più alte cariche governative imperiali. Nella locanda, l’imperatore incontrò un vecchio taoista che era entrato per rifocillarsi con un the caldo e una ciotola di zuppa, prima di ritornare al suo monastero.
Vennero quindi a ragionare tra loro e l’imperatore, per dare maggiore enfasi al suo personaggio, iniziò a recitare delle sontuose massime confuciane, e prese a ragionare dei doveri familiari e degli obblighi civili, della lealtà e dell’amore filiare come vere fondamenta dello stato, usando il tono del pedagogista orgoglioso degli insegnamenti che impartiva. Il taoista lo fece parlare a lungo ma poi, non poté trattenersi oltre, ed esclamò esasperato:
“Bei tipetti voi confuciani! Sempre dietro a tutte queste belle parole, tutti impegnati a praticare le teoriche virtù. Come se aveste diritto a definirvi esperti di quello che proclamate, ma come parlare di virtù e giusto comportamento, se non si contempla la sacra Fonte dell’Essere, che sta nella stanza segreta della mente? Bravi a parlare, ma incapaci a fare sul serio e in pratica “Parlare è facile; fare è difficile.” Non è forse questo che dice il vostro Confucio?”
A queste parole in cui veniva chiamato in causa Confucio e in modo pure offensivo, almeno secondo l’opinione dell’imperatore, anche lui si sentì assai risentito e per un attimo dimenticò il travestimento e la prudenza, per ribattere tutto piccato:” Ah! Bel maestro un taoista per parlare di cose superiori! Ma se voi usate tutte le scuse per starvene inattivi, e lasciar fare tutto agli altri. Voi, contemplazione silenziosa la chiamate, la pratica di stare seduti, e di lasciare faticare gli altri per il bene della famiglia, e per il bene superiore dell’impero? Credo che per voi sarebbe troppo anche russare, mentre sedete come scansafatiche!”
Anche il taoista, sebbene imperturbabile, venne aspramente piccato dalle risposte del falso precettore, così non riuscì più a tenere a freno la lingua, e gridò indignato: “Sentilo tu il signorino! Guardalo tutto bello agghindato con i suoi abitini per bene, tutto ripulito con le sue mani lisce e ben curate, le sue belle manine da letterato, attento solo alla fatica di vendere belle parole! Le vedi invece le mie mani? Vedi come sono sporche di terra? Ne vedi i calli e le rughe delle mie fatiche? Io sono il giardiniere del monastero, e fatico duramente nel giardino per diverse ore al giorno. Altro che ozioso scansafatiche!”
L’imperatore che aveva girovagato ed osservato attentamente quelle regioni, si ricordò di avere visto il giardino del monastero e di averlo trovato veramente magnifico, per cui ritrovò il suo buonumore, vedendo una giusta reazione, quindi disse bonariamente: ”In effetti ho visto il giardino del monastero, e ho trovato veramente magnifiche soprattutto le tue peonie. Convengo che sei un operoso giardiniere, ma non mi potrai convincere che stare seduto in meditazione possa servire per renderle così belle.”
Il taoista ancora indignato, esclamò fieramente: “Certo che lo dico! I fiori rispondono a colui che li cura usando la giusta pratica della natura, che deriva solo dalla giusta contemplazione del Tao. Senza volermi credere, allora prova tu a curarli parlandogli di doveri familiari, di lealtà e di obblighi sociali. Vediamo se farai dei fiori migliori con questi tuoi metodi persuasivi.” L’imperatore si ricordò allora dello splendido giardino di peonie, che circondava i padiglioni estivi del suo palazzo, e gli rispose divertito:
“Beh! Guarda un po’ la combinazione! Anche io ho un meraviglioso giardino di peonie, e sono veramente belle, forse belle come nulla di altro al mondo.” A quella risposta il taoista perse ogni freno e prudenza, perciò urlò: “Ma guarda che bugiardo e presuntuoso che sei. Dovrai farmele vedere queste meraviglie, altrimenti dirò ovunque che sei un gran bugiardo e un presuntuoso!” L’imperatore a quell’insulto perse completamente le staffe e gridò: “Taoista insolente! Tu hai osato chiamare bugiardo e presuntuoso il Figlio del Cielo davanti al Volto del Drago! Osi insultare così il tuo sovrano?”
Alle urla accorse un drappello di guardie imperiali, allarmate per lo schiamazzo, poiché lo seguivano nascostamente da vicino. Alla vista del drappello armato, il taoista si sentì perduto perciò, persa ogni imperturbabilità superiore, vedeva già la sua testa rotolare nella polvere, tagliata di netto per punire l’affronto all‘onore imperiale. Allora si lasciò cadere sulle ginocchia e rimase in silenzio, aspettando il colpo di grazia. Ma l’imperatore, che conosceva il linguaggio degli uomini comuni, aveva capito che l’offesa non era volontaria perciò era più divertito che indignato.
Il Signore dei Diecimila anni era molto magnanimo, perciò si tirò dietro il taoista contrito e impaurito fino al suo palazzo, dove lo assunse tra i Giardinieri Reali al rango superiore di Responsabile dei Giardini del Nuovo Palazzo Estivo, che aveva fatto costruire sui Monti Occidentali, destinandolo alla cura particolare del Giardino delle Peonie. L’anno successivo le peonie di quei giardini, fiorirono magnificamente superando ogni splendore precedente. Fu allora che l’imperatore convocò il taoista e gli parlò, usando un grazioso miscuglio di dignità regale e di rispetto sincero, lo stesso con cui si tratterebbe con un valido precettore.
L'imperatore disse: “Reverendo Maestro, avete dimostrato fino in fondo le vostre capacità. E’ per questo che Noi abbiamo pensato che, se delle peonie traggono tanto vantaggio dalla vostra contemplazione interiore, quale superiore vantaggio potrebbe trarne un Impero? Quale prosperità potrebbe dare un monarca che si accinga a coltivare quest’Arte, fino a raggiungerne la completa Padronanza?” Dopo aver detto questo, l’imperatore nominò il taoista, abate di un monastero vicino al suo Palazzo: da allora egli andò a visitarlo regolarmente e ricevette in privato, direttamente dalla sua bocca, tutti i segreti dell’Arte meravigliosa della Contemplazione.
Buona erranza
Sharatan
Vennero quindi a ragionare tra loro e l’imperatore, per dare maggiore enfasi al suo personaggio, iniziò a recitare delle sontuose massime confuciane, e prese a ragionare dei doveri familiari e degli obblighi civili, della lealtà e dell’amore filiare come vere fondamenta dello stato, usando il tono del pedagogista orgoglioso degli insegnamenti che impartiva. Il taoista lo fece parlare a lungo ma poi, non poté trattenersi oltre, ed esclamò esasperato:
“Bei tipetti voi confuciani! Sempre dietro a tutte queste belle parole, tutti impegnati a praticare le teoriche virtù. Come se aveste diritto a definirvi esperti di quello che proclamate, ma come parlare di virtù e giusto comportamento, se non si contempla la sacra Fonte dell’Essere, che sta nella stanza segreta della mente? Bravi a parlare, ma incapaci a fare sul serio e in pratica “Parlare è facile; fare è difficile.” Non è forse questo che dice il vostro Confucio?”
A queste parole in cui veniva chiamato in causa Confucio e in modo pure offensivo, almeno secondo l’opinione dell’imperatore, anche lui si sentì assai risentito e per un attimo dimenticò il travestimento e la prudenza, per ribattere tutto piccato:” Ah! Bel maestro un taoista per parlare di cose superiori! Ma se voi usate tutte le scuse per starvene inattivi, e lasciar fare tutto agli altri. Voi, contemplazione silenziosa la chiamate, la pratica di stare seduti, e di lasciare faticare gli altri per il bene della famiglia, e per il bene superiore dell’impero? Credo che per voi sarebbe troppo anche russare, mentre sedete come scansafatiche!”
Anche il taoista, sebbene imperturbabile, venne aspramente piccato dalle risposte del falso precettore, così non riuscì più a tenere a freno la lingua, e gridò indignato: “Sentilo tu il signorino! Guardalo tutto bello agghindato con i suoi abitini per bene, tutto ripulito con le sue mani lisce e ben curate, le sue belle manine da letterato, attento solo alla fatica di vendere belle parole! Le vedi invece le mie mani? Vedi come sono sporche di terra? Ne vedi i calli e le rughe delle mie fatiche? Io sono il giardiniere del monastero, e fatico duramente nel giardino per diverse ore al giorno. Altro che ozioso scansafatiche!”
L’imperatore che aveva girovagato ed osservato attentamente quelle regioni, si ricordò di avere visto il giardino del monastero e di averlo trovato veramente magnifico, per cui ritrovò il suo buonumore, vedendo una giusta reazione, quindi disse bonariamente: ”In effetti ho visto il giardino del monastero, e ho trovato veramente magnifiche soprattutto le tue peonie. Convengo che sei un operoso giardiniere, ma non mi potrai convincere che stare seduto in meditazione possa servire per renderle così belle.”
Il taoista ancora indignato, esclamò fieramente: “Certo che lo dico! I fiori rispondono a colui che li cura usando la giusta pratica della natura, che deriva solo dalla giusta contemplazione del Tao. Senza volermi credere, allora prova tu a curarli parlandogli di doveri familiari, di lealtà e di obblighi sociali. Vediamo se farai dei fiori migliori con questi tuoi metodi persuasivi.” L’imperatore si ricordò allora dello splendido giardino di peonie, che circondava i padiglioni estivi del suo palazzo, e gli rispose divertito:
“Beh! Guarda un po’ la combinazione! Anche io ho un meraviglioso giardino di peonie, e sono veramente belle, forse belle come nulla di altro al mondo.” A quella risposta il taoista perse ogni freno e prudenza, perciò urlò: “Ma guarda che bugiardo e presuntuoso che sei. Dovrai farmele vedere queste meraviglie, altrimenti dirò ovunque che sei un gran bugiardo e un presuntuoso!” L’imperatore a quell’insulto perse completamente le staffe e gridò: “Taoista insolente! Tu hai osato chiamare bugiardo e presuntuoso il Figlio del Cielo davanti al Volto del Drago! Osi insultare così il tuo sovrano?”
Alle urla accorse un drappello di guardie imperiali, allarmate per lo schiamazzo, poiché lo seguivano nascostamente da vicino. Alla vista del drappello armato, il taoista si sentì perduto perciò, persa ogni imperturbabilità superiore, vedeva già la sua testa rotolare nella polvere, tagliata di netto per punire l’affronto all‘onore imperiale. Allora si lasciò cadere sulle ginocchia e rimase in silenzio, aspettando il colpo di grazia. Ma l’imperatore, che conosceva il linguaggio degli uomini comuni, aveva capito che l’offesa non era volontaria perciò era più divertito che indignato.
Il Signore dei Diecimila anni era molto magnanimo, perciò si tirò dietro il taoista contrito e impaurito fino al suo palazzo, dove lo assunse tra i Giardinieri Reali al rango superiore di Responsabile dei Giardini del Nuovo Palazzo Estivo, che aveva fatto costruire sui Monti Occidentali, destinandolo alla cura particolare del Giardino delle Peonie. L’anno successivo le peonie di quei giardini, fiorirono magnificamente superando ogni splendore precedente. Fu allora che l’imperatore convocò il taoista e gli parlò, usando un grazioso miscuglio di dignità regale e di rispetto sincero, lo stesso con cui si tratterebbe con un valido precettore.
L'imperatore disse: “Reverendo Maestro, avete dimostrato fino in fondo le vostre capacità. E’ per questo che Noi abbiamo pensato che, se delle peonie traggono tanto vantaggio dalla vostra contemplazione interiore, quale superiore vantaggio potrebbe trarne un Impero? Quale prosperità potrebbe dare un monarca che si accinga a coltivare quest’Arte, fino a raggiungerne la completa Padronanza?” Dopo aver detto questo, l’imperatore nominò il taoista, abate di un monastero vicino al suo Palazzo: da allora egli andò a visitarlo regolarmente e ricevette in privato, direttamente dalla sua bocca, tutti i segreti dell’Arte meravigliosa della Contemplazione.
Buona erranza
Sharatan
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