“Il problema fondamentale è l’alienazione da noi stessi,
l’alienazione dai nostri sentimenti,
dagli altri esseri umani e dalla natura,
l’alienazione dal mondo dentro e fuori di noi.”
(Erich Fromm)
Alla metà del secolo scorso, Erich Fromm studiò il problema della salute mentale dell’uomo moderno. Usando un approccio di impostazione socio-psicologica egli esaminò i disturbi psicologici dell’uomo “normale” e concluse che la “normalità” è correlata allo stato dell’uomo socialmente adattato. Fromm mise in relazione il contesto sociale in cui l’individuo vive con la qualità della sua salute mentale e affermò che il comportamento umano risente delle esigenze economiche e sociali.
Questo metodo di indagine, in passato, gli aveva consentito di evidenziare il carattere autoritario degli anni ’30, il carattere mercantile degli anni ’40 e il carattere necrofilo degli anni ’60. Facendo l’analisi dei processi produttivi e studiando il risultato del processo di adattamento degli individui, Fromm concluse che vi era il fondato sospetto che la società pretendesse dall’individui degli atteggiamenti psichici che potevano indurre dei processi patologici. La condizione del mondo moderno induce una crescente incapacità di avere un rapporto diretto con la realtà.
Fromm usò il concetto di “alienazione” che Marx aveva collegato solo ai processi produttivi e all’economia, e usò quel concetto per studiare il comportamento sociale umano e le ripercussioni della modernità sulla salute mentale. Negli anni ’70, Fromm affermò che la società moderna soffriva di una crisi profonda. Tale crisi era “unica nella storia dell’umanità” perché era la “crisi della vita stessa.”
Fromm scrisse che il nostro futuro dipenderà essenzialmente dal fatto che si prenda consapevolezza di ciò, e ci si metta al servizio di un nuovo “umanesimo” che saprà mettere l’uomo al centro del nostro interesse. La questione fondamentale è l’alienazione da noi stessi, e questo significa che siamo diventati estranei a noi stessi o che il mondo esterno ci appare estraneo. Fromm era persuaso che, in ogni società, gli uomini vengono plasmati - in larga misura - dalle condizioni economiche e sociali in cui vivono.
Usò Marx sebbene considerasse troppo dogmatico il marxismo, e le sue teorie poco attente ai fattori umani coinvolti nei processi economici. Respinse la pretesa degli stalinisti di essere gli unici depositari delle teorie marxiste, e sostenne che le teorie di Marx possono dare molto alla psicologia. Notò che “la nostra è una società incentrata sul mercato.” Ma il nostro tipo di mercato è molto diverso da quello delle società rurali e dei piccoli paesi delle regioni sottosviluppate.
In quei contesti mercantili, il rapporto tra chi vende e chi compra è basato sulla conoscenza diretta. Il mercato diventa un contesto di scambio, un luogo in cui si va per fare due chiacchiere e per rinsaldare i rapporti. La società di mercato è regolata in modo diverso, perché il mercato non è governato dal venditore ma tutto viene definito dal “pubblico mercato delle merci” nel quale i prezzi e la produzione sono determinati dalla domanda.
Il prezzo e la permanenza delle merci sul mercato sono determinati dall’andamento del mercato stesso che, dentro certi limiti, deve continuamente cercare un equilibrio per governare “la domanda e l’offerta.” Ma questo meccanismo si collega con i processi psicologici degli individui, perché il mercato richiede che tutti gli oggetti siano presentati come delle merci.
Ma c’è una grande differenza tra un oggetto e una merce, perché l’oggetto possiede un determinato valore d’uso, mentre la merce ha un valore di scambio. Quando l’oggetto appare sul mercato assume un certo valore economico, perciò l’oggetto inizia ad essere pensato sotto forma di denaro o di astrazione. Il valore economico degli oggetti implica che gli oggetti siano pensati nella forma astratta di denaro.
Ognuno di noi, dice Fromm, se ci pensa bene si accorge che gli oggetti vengono pensati non più come degli oggetti, ma come delle merci. Gli oggetti non vengono più considerati per il loro valore d’uso, o per la loro bellezza e utilità, ma assumono un valore sempre più astratto. Gli oggetti non vengono più considerati per le loro caratteristiche concrete ma in modo astratto. Questo “processo di astrattizzazione” è collegato al meccanismo produttivo e alla nostra economia.
Con questo processo “vanno perdute praticamente tutte le qualità specifiche, concrete, e ogni cosa assume la stessa caratteristica quantificabile che si esprime in forma astratta,” scrive Fromm. E lo stesso processo si estende e si manifesta anche nella percezione che abbiamo di noi stessi e del mondo. Di conseguenza, viene “dimenticata e ignorata la concretezza di quella persona, che pure era una persona particolare, unica, com’è unico ogni essere umano.”
L’atteggiamento mercantile si manifesta quando le persone che lavorano non vendono solo la loro forza fisica e le loro capacità ma, nella nostra società, esse vendono anche la loro libertà. Per restare rispettabili occorre mostrarsi gradevoli e avere un buon ambiente familiare. Ma, in questo modo, il singolo non si percepisce più come un individuo concreto, ma è come una merce ovvero uno che deve “vendersi bene sul mercato.”
Nella nostra società l’individuo fa dipendere il suo valore solo dal fatto di essere più o meno commerciabile, perciò la sua fiducia in sé stesso dipende dal fatto che sia commerciabile. La percezione di noi stessi non è più determinata dall’apprezzamento delle nostre qualità concrete, della nostra intelligenza, dalla nostra onestà, dalla nostra dolcezza, dal nostro umorismo e così via.
La percezione del nostro valore e il senso di sicurezza che ne deriva dipendono dalla capacità di venderci. Per questo l’uomo moderno è insicuro e dipendente dal successo, oppure diventa insicuro quando non ha successo. Il comportamento economico e il nostro modo di produrre esercitano un’influenza enorme sulla struttura della nostra personalità. Anche il linguaggio accentua l’astrazione, perché il linguaggio - di sua propria natura - deve sintetizzare tutte le qualità intrinseche delle cose rappresentandole con una parola.
Anche il linguaggio facilita l’astrazione dalle vere esperienze, infatti le parole diventano sempre più lontane dalle esperienze concrete. Questa perdita di contatto con la realtà, secondo Fromm, investe anche il mondo dei sentimenti. Viviamo in un vuoto affettivo e - per tirare avanti - riempiamo il vuoto con il sentimentalismo.
Il fenomeno del sentimentalismo è tipico nell’individuo distaccato, chiuso in sé stesso e privo di relazioni significative perciò viene a trovarsi in una condizione particolare. Egli prova emozioni ma senza riferirsi a nessuno in particolare, perciò diventa sentimentale: i sentimenti traboccano ed emergono altrove. Ecco allora il ricorso a parole roboanti quali: «onore», «Patria», «rivoluzione» ma queste parole sono astratte e avulse da ogni reale significato.
In effetti, alcune persone possono vedere immani tragedie a pochi passi da loro e restare impassibili. Costoro non hanno alcun rapporto con il mondo che le circonda quindi vivono nel vuoto dell’astrazione, nell’alienazione della realtà dei sentimenti. Ma, dato che sentono pur sempre qualche sentimento, non possono far altro che risvegliare il sentimentalismo, perché non sanno esprimere dei veri sentimenti.
Essi ricorrono alle frasi fatte legate a particolari contesti e, se piangono, non lo fanno perché provano una reale infelicità ma piangono solo per avere uno sfogo. Essi vivono nel vuoto e quando il sentimento che possiedono cerca uno sfogo, questi individui "disturbati" prendono al volo l’occasione per sfoggiare quel sentimentalismo vuoto che è così frequente nella cultura moderna.
Buona erranza
Sharatan
Nessun commento:
Posta un commento