giovedì 31 gennaio 2019

Il linguaggio della politica



“A me sembra che tutti, con pochissime eccezioni,
facciano un cattivo uso del potere e di conseguenza,
la cosa più importante è distribuire il potere quanto più si può,
e non dare un immenso potere a una piccola cricca.”
(Bertrand Russell)

Gli studiosi di scienze sociali mettono l’accento sul fatto che, nell’ultima parte del 20° secolo la comunicazione politica si è modificata soprattutto a causa dei mezzi di comunicazione di massa e per mezzo della televisione. L’impiego della televisione ha trasformato la comunicazione politica influenzandone il tono, infatti il messaggio politico è slittato verso la personalizzazione, la drammatizzazione, la frammentazione e la normalizzazione del suo contenuto.

Negli anni ’80 e ’90 del secolo scorso abbiamo visto che le ideologie vengono messe al margine a favore della valorizzazione delle qualità del leader e dei suoi comportamenti. Non viene evidenziato più il valore politico del leader ma vengono enfatizzate le sue caratteristiche fisiche o sociali. Inoltre cambiano anche le tattiche usate per comunicare la politica, perché si assiste ad una sorta di campagna elettorale permanente.

La preoccupazione primaria è quella di persuadere i cittadini a votarci o di recuperare voti convincendo le persone ad andare a votare. Le logiche si spostano sul versante del conflitto tra ideologie invece che sul versante del consenso dell’elettore nei riguardi di una determinata ideologia. Sono stati gli stessi politici che hanno voluto adattare il loro stile a quello usato dai media che prediligono l’intrattenimento e la tecnica pubblicitaria.

La comunicazione della politica ha adottato una narrazione spettacolarizzata per rendere più efficace il messaggio che vuole veicolare. Le caratteristiche di questo nuovo linguaggio sono l’immediatezza, la persuasività, la banalizzazione e l’emotività. Molto studiosi hanno notato che le volontà di essere sempre più persuasivi è andata a scapito dell’argomentazione politica così che il linguaggio dello spettacolo ha preso il posto del linguaggio politico.

La televisione ha influito su questo fenomeno, perché ha sostituito la centralità delle parole con quella delle immagini. La costruzione dell’immagine è basilare nel costruire il dato politico, perché il partito deve essere sicuro di captare un determinato grado di consenso. Nella politica è diventato prioritario creare una serie di attese a cui il leader deve dare soddisfazione.

Si costruiscono le campagne politiche cercando di fare in modo che il pubblico non deve notare la mancanza di argomentazioni razionali, ma deve premiare i tratti personali del leader con cui deve identificarsi. Gli esponenti politici tramite le immagini comunicano le loro azioni, i loro valori estetici, i loro tratti caratteriali come insieme di caratteristiche che pilotano l’attenzione e l’interpretazione del pubblico nella direzione che vuole il politico.

La politica degli ultimi anni ha anche enfatizzato la personalizzazione perché i prodotti che vengono messi in vendita sono i politici stessi. L’elettorato viene studiato e suddiviso in segmenti di consenso per poter agire con maggiore efficacia, ossia per avere più voti. L’elettore è diventato un consumatore e il suo voto somiglia sempre più all’acquisto. Le regole del marketing commerciale sono entrate nella politica indicando ai politici come comportarsi e come comunicare con i cittadini basandosi sui profili dei bisogni di consumo.

Con il tempo appare con maggiore evidenza che l’ascoltatore giudica l’oratore (in politica e in altro) in base al principio di identificazione. Da qui partono gli sforzi dei politici per convincere che essi sono come i loro elettori, infatti i politici usano concetti e termini simili a quelli di una certa fascia di elettori. A ciò si unisce la semplificazione della realtà costruita sulle dicotomie degli opposti “noi e loro”, “bianco o nero” e “buono o cattivo”.

Questo schema binario viene dato per scontato e naturale, perciò avviene una polarizzazione che semplifica in modo radicale la molteplicità degli atteggiamenti possibili e la qualità dell’offerta politica. Il meccanismo illustrato attinge alla semplice opposizione tra “chi ha ragione e chi ha torto”, e - guarda caso - la ragione è sempre dalla parte dell’oratore mentre il torto è sempre dalla parte dell’avversario: questa tecnica rende facile - e scontata - la scelta che dovrà fare l’elettore.

Il linguaggio politico, affermano gli studiosi, tende a mascherare e confondere invece che a chiarire quello che si vuole comunicare. Tutto ciò impedisce il coinvolgimento dell’elettore nel giudicare le azioni del politico, e comporta la disaffezione per la politica. L’inizio degli anni ’90 e l’inchiesta di “mani pulite” e poi “tangentopoli” e la discesa in campo di Berlusconi mostrano il carattere della comunicazione politica della Seconda Repubblica.

Vediamo che, da quel tempo cambia il voto degli italiani che dal voto di appartenenza passa al voto di opinione che viene formato attraverso i mass media. Per raggiungere le grandi masse, i politici usano un linguaggio semplice e più vicino alla gente comune. Si usano dei toni colloquiali con prevalenza di frasi brevi e semplici per rinforzare il rispecchiamento e l’identificazione del potenziale elettore: il gentese.

Il gentese è netto e semplice, per cui offre un’immagine in cui è facile riconoscersi. Non è secondario il fatto che si ricorra sempre di più all’insulto e all’aggressività con cadute di stile che non sono stigmatizzate, ma imitate. Nei politici della Seconda Repubblica osserviamo l’uso degli elementi tipici della lingua parlata con il frequente ricorso agli slogans e all’immagine più che al significato del messaggio. Per rendere più oscuro il messaggio si ricorre a termini attinte da espressioni angloamericane come Jobs Act o labour day, ecc.

I linguaggi di vari settori entrano nei discorsi politici in varie metafore usate in campo calcistico, bellico, religioso o sportivo. Tale scelta linguistica e stilistica dimostra che i politici mirano a rafforzare il fattore emotivo e non cercano la persuasione che fa leva sulla ragione. Alcuni termini vanno in disuso come il termine “compagni” che è sostituito da un generico “cari amici elettori” più opportuno in tempi di crisi delle ideologie.

Negli anni ’90 vediamo la delusione e il rifiuto della politica a cui segue la sfiducia verso la politica, per cui si affermano politici che affermano di presentarsi come “il nuovo e il diverso” della politica. Da qui parte l’abbandono delle formule passate che vengono contrassegnate come “il vecchio”. Viene affermato il passaggio dall’ideologia al programma o al progetto e l’impegno fattivo e concreto contrapposto all’inerzia e all’incapacità dell’avversario.

Gli anni ’90 segnano il vero passaggio di boa per le nuove tendenze della politica in cui la personalizzazione del leader prevale sul messaggio. Molte parole della lingua comune vengono rafforzate e utilizzate in modo nuovo per rafforzare l’effetto della comunicazione. In alcuni casi, parole importanti come 2democrazia” vengono rovesciate e svuotate del loro valore semantico e politico.

Si possono notare gli effetti dei mass media, in particolare la televisione, sulla spettacolarizzazione della vita politica quando vediamo i politici partecipare ai talk-show e ad altri programmi di intrattenimento. Il palcoscenico della politica e quello dello spettacolo si confondono: l’attenzione si sposta sulle caratteristiche fisiche, sui passatempi e sui fatti privati dei politici. Non è più possibile distinguere i caratteri delle ideologie per cui enfatizzare i tratti del leader serve a dare una garanzia di affidabilità.

Alcuni leader come Bossi e Berlusconi hanno fondato il loro messaggio politico al loro linguaggio peculiare, per cui quel linguaggio è diventato il simbolo dell’ideologia che rappresentano. Dei loro movimenti, essi divennero i fondatori e le figure carismatiche per eccellenza. I politici di questo genere usano un linguaggio che usa espressioni gergali o dialettali, per la loro immediatezza e perché sono facilmente riconoscibili dal loro elettorato.

Il partito di Berlusconi fu fondato come partito-azienda e fu creato da istituti di ricerca e dagli esperti di marketing. Essi volevano comunicare che, una persona esterna al mondo politico ed estraneo alla politica, più conosciuto come imprenditore di successo poteva conquistare la fiducia delle persone, e portare l’Italia ad una rinascita economica e industriale.

Per mezzo il lavoro dei pubblicitari, Berlusconi ricorse ad una accorta pianificazione della sua strategia con il ricorso alle tecniche pubblicitarie e con un accorto sfruttamento della sua immagine. Seppe adeguarsi le sue azioni alle esigenze e ai desideri degli italiani, seppe agire sui loro sentimenti, e capì i meccanismi dell’uomo comune. Per raggiungere gli elettori usò le caratteristiche buone e cattive dell’elettore e indicò un percorso che, nella Terza Repubblica, sembra ancora efficace.

Buona erranza
Sharatan

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